la vita nuova.
io e patrick rimanemmo giorni e giorni in silenzio, senza sapere cosa dirci. io continuavo a stare con la mia mestruatissima ragazza e lui continuava a fare la strega della casa. e volutamente non creammo occasioni per rimanere da soli, parlare un po’.
accadde poi che gli altri due coinquilini partirono per le vacanze: io e patrick saremmo rimasti soli per un mese intero. la mia ragazza era partita coi suoi, e man mano che la data del nostro rimanercene finalmente soli si avvicinava, tra me e lui si creava un gioco di sguardi, un’intesa, un tacito accordo, tra il mio lasciare cenere di sigaretta per terra e il suo incazzarsi, tra una cena d’appartamento e una serata al pub o a ballare in qualche centro sociale.
lentamente iniziò il nostro rapporto clandestino. per tacito accordo, io e lui diventammo amanti. probabilmente era la soluzione meno complicata, più interessante, meno pericolosa. quando rimanemmo completamente da soli in quell’appartamento, fu la scoperta di un mondo. rimanemmo nudi per una settimana intera, uscendo di casa solo per andare a fare la spesa o a qualche festa di laurea o di compleanno (durante una di queste feste con mia grande sorpresa e sconcerto qualcuno mi disse: “hey! ma tu e patrick vi siete fidanzati? siete arrivati che sembrate una coppia” e io: “certo! ci inchiappettiamo da qualche settimana” - e tutti giù a ridere. se avessi detto che era la verità non mi avrebbe creduto nessuno).
tra una scopata e l'altra, mi fece vedere un sacco di film francesi degli anni ‘50 e ‘60: roba psicologica, poetica, profonda, intensa. uno più bello dell’altro. mi introdusse a certa musica del novecento che ignoravo completamente, tipo francis poulenc (un genio assoluto). facevamo sesso in ogni stanza della casa: a volte era lui a fare la prima mossa, altre ero io a “rapirlo” mentre stava facendo qualcosa, tipo cucinare o pulire il bagno. senza mai parlare di quello che facevamo assieme, senza mai dargli un nome. anche nei mesi successivi, quando l’appartamento riprese a brulicare di gente, amici, fidanzate, zii e gente bizzarra, ci bastava un’occhiata per metterci d’accordo sul dove (camera mia o camera sua), sul quando (al mio rotorno a casa dopo una serata con la mia ragazza, oppure al suo ritorno da qualche cineforum o qualche conferenza su jung o freud o roba del genere) e sul come.
durò circa due anni, e molte delle sere che trascorsero in quei due anni io le passavo con lui. potevo anche avere passato ore a letto con la mia miss mestruata che, una volta tornato a casa, sapevo di poter entrare in camera di patrick, scivolare tra le sue lenzuola e trovarlo già nudo e pronto a me, che mi diceva: “cazzo. sai di LEI. che schifo!” e mi mandava diritto a farmi una doccia, incurante delle mie proteste. nessuno nell’appartamento - che pure era un porto di mare, sempre piena di gente che andava e veniva - si accorse mai di nulla, finché la ragazza di uno dei nostri coinquilini, che in piena notte, ubriaca persa, scambiò la porta della mia stanza per quella del bagno, la aprì e ci sorprese sul più bello di un sessantanove. riuscì solo a dire “uh oh, scusate, sono la solita imbranata”. il giorno dopo fece finta di niente, ma poi mi prese per mano e mi disse: “che belli che eravate. spero siate felici assieme.” incredibile, mantenne il più rigoroso silenzio su ciò che aveva visto.
la mia mestruatissima fidanzata, nel frattempo, pur non sospettando nulla, doveva avere intuito qualcosa, perché continuava a chiedermi “hey, ma non è che oltre a me vedi qualcun’altra, vero?” oppure “ma io sono l’unica nella tua vita? non è che mi nascondi qualcosa?”. io, con la tranquillità più assoluta: “dai che lo sai: quando la sera torno a casa piombo in camera di patrick, gli tiro giù le mutande e lo inculo a sangue”
“come NO!”, rispondeva lei, “ti ci vedo proprio!” ….eppure era la verità!
un giorno andammo al mare io e patrick, da soli, e senza accordarci prima, giocammo a “fare la coppia”. ci baciammo in pubblico suscitando sguardi di ribrezzo in famiglie e famigliuole timorate di iddio, addirittura camminammo sul lungomare tenendoci per mano. definimmo quel'unica e ultima giornata da coppia gay “il nostro film erotico - sentimentale”, inscenando poi in stazione uno straziante finto addio con lacrime e abbracci da drammone d’altri tempi.
ecco, in quei due anni arrivai a montarmi la testa. avevo a mia disposizione due persone che mi adoravano. lei, miss mestruata, viveva per me. patrick non me lo disse mai, ma era innamorato perso. e io - da bravo pezzo di merda - me ne approfittai largamente: non essendoci probleema di mestruazioni o di peluria bisognosa di ceretta o di mal di testa improvvisi, potevo possederlo anche tutte le sere. ovviamente non accadeva davvero, ma sapere che potevo farlo e sapere che lui non mi avrebbe detto mai no per nessun motivo al mondo era una sensazione pazzesca. potevo attingere affetto, felicità, soddisfazione, sesso, emozioni, trasgressione, cultura, intelligenza da entrambi i mondi. e fu abbastanza crudele, seppur inconscio da parte mia, fare le stesse identiche cose con tutti e due a poche ore di distanza. fare i confronti. paragonare le intensità. dare un voto a tutti e due su ogni aspetto del rapporto sessuale.
fu facile, immediato per me rendermi conto che non amavo né lui né lei. vivevo della felicità che mi davano, sperando che non scoprissero quanto male in realtà mi stessi comportando con entrambi. pian piano feci del mio rapporto con patrick una cosa davvero “a mio piacimento”: lui mi apriva la porta della sua camera e io facevo di lui quel che volevo senza bene e spesso nemmeno aspettare che lui venisse. certe volte mi toglievo il condom per venirgli in bocca o in faccia, come avevo visto fare nei film porno e come la miaragazza non mi avrebbe mai e poi mai permesso di fare. era già successo, ma stavolta non era un gioco tra due persone che fanno sesso. ero io che stabilivo e confermavo la mia predominanza su di lui. ero io che lo possedevo. capitava sempre più di rado che gli concedessi di penetrarmi, o che io facessi sesso orale su di lui. stava diventando “sempre la stessa cosa”. quando lui me lo fece notare me ne vergognai parecchio: accortomi di quanto lo stavo ferendo, iniziai a stare attento a quel che facevo con patrick, col risultato di rendere ogni volta tutto sempre più piatto, scialbo, poco emozionante, fino alla sera in cui - come mai mi era capitato con la mia lei - di fare cilecca. patrick neanche se ne accorse.
una sera patrick mi presentò certi suoi amici che non avevo mai visto. disse loro semplicemente “il mio coinquilino. è un tipo sveglio, moderno, non si scandalizza a uscire con un
gruppo di checche” - disse proprio così: checche. pensavo che nessuno usasse più quel termine! gli amici di patrick erano persone pazzesche, dall’intelligenza e dalla cultura spropositata, non c’era argomento che non sviscerassero con acume. era quello che iniziai a chiamare “il circolo letterario”, in cui il meno laureato aveva quattro o cinque master in filosofia orientale o quattro o cinque lingue straniere. io - misero studentucolo da quattro soldi - mi sentivo un po’ pesce fuor d’acqua in quell’ambiente. l’unica cosa di cui potevo discettare con loro senza fare figure di merda era la musica. gli amici di patrick divennero - e sono ancora - miei amici: loro sapevano benissimo di me e lui, ma era gente talmente discreta e di classe che nessuno di loro disse mai nulla, nemmeno dopo anni.
molto meno mi piacquero ALTRE situazioni, nelle quali patrick volle coinvolgermi. entrando una sera con lui in una discoteca, anziché gente che ballava - come normalmente uno si aspetta di vedere - trovai gente nuda che scopava. maschi, femmine e tutto quello che stava in mezzo. io mi voltai verso di lui:
“ma dove CAZZO mi hai portato?”
mi girai e me ne andai lasciandolo lì. non gi rivolsi la parola per settimane, e quando lo feci, gli feci giurare che non mi avrebbe mai più proposto niente del genere.
dopo quella sera tutto si incrinò, per poi spezzarsi quando patrick vide uscire dalla mia camera una ragazza che non era la mia ragazza. patrick esplose in una vera e propria scena di gelosia, una roba talmente isterica che nessuna donna sarebbe mai riuscita a inscenare. facemmo poi la pace, ma sentivo che non avevo più tempo per lui. come si dice, “mi era passata”. e poi l’idea che lui frequentasse posti in cui faceva qualsiasi cosa con chiunque andava davvero contro le mie capacità di comprensione: in realtà quegli episodi furono alibi per iniziare a liberarmi di lui.
l’unica volta che parlammo davvero di noi e di me fu quando patrick, mentre passeggiavamo assieme per la città mi disse:
“tu non sei gay. non lo sarai mai. prima di tutto non hai la sensibiità, l’anima, i gusti di un gay. puoi sforzarti quanto vuoi, ma non lo sei. sei bisessuale” …rimasi di sasso: stava rispondendo alla domanda che mi stavo ponendo da due anni.
“ma qual è la differenza?”, chiesi.
per la prima volta patrick si espresse come uno scaricatore di porto:
“ai gay piace il cazzo. leccarlo, prenderlo in bocca, farsi eiaculare addosso, prenderlo nel culo. ai bisessuali, il cazzo interessa molto relativamente. preferiscono il culo, e fondamentalmente per una sola cosa: entrarci. il culo di chiunque: maschio, femmina, travestito, transgender, poco importa. ebbene, caro mio, tu sei bisex. quando passi da “lei” a me e da me a “lei” è il culo che vuoi, anche se da tutti e due ti sei preso pure tutto il resto.”
dire qualcosa sarebbe stato da completi idioti, per cui tacqui.
finì definitivamente, e in modo assai brusco, quando mi vide per strada con un ragazzo che faceva parte del “circolo letterario”. poco più giovane di patrick, bello quasi come patrick, gay come patrick, innamorato di me come patrick. ci affrontò e disse solo: “me lo aspettavo”.
tornato a casa, trovai sul tavolo di cucina una copia delle chiavi di casa, l’affitto del mese in corso e un biglietto. c’era scritto
“ti ho aperto la gabbia. ora vola libero e felice”
lo rividi solo cinque anni dopo. ma questa è un'altra storia.