Racconto di fantasia il bello dell'abbondanza...

snatch1982

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Questo è un racconto di fantasia anche se c’è comunque molto di vero: la trama, ad esempio, è verissima, molto romanzata perchè i fatti nella realtà non sono stati così “avventurosi” come in questo racconto ma molto più banali e poco avvincenti.

Galeotta fu quell’estate strana, sul lavoro: riorganizzazione degli uffici e ristrutturazione dei locali ci costrinsero a modificare pesantemente il piano ferie e con somma gioia delle famiglie io e pochi altri dovemmo rinunciare alle vacanze, chi riuscì a farle slittare bene, altri come me che non ci riuscirono passarono l’intero mese di agosto da soli con la propria famiglia al mare o comunque in vacanza.
Non era la prima volta che mi succedeva, nell’esperienza di lavoro precedente Erika e i nostri figli si erano per così dire abituati ai cambi di programma improvvisi e a dirla tutta non ci facevano molto conto sulla mia “presenza” …
Li spedii ad Andora, tre settimane in un residence di proprietĂ  di un vecchio amico di famiglia che mi garantiva prezzi adeguati e trattamento all-inclusive, e poi altre due settimane in montagna nella casa degli zii di Erika, quindi da quel punto di vista tutto sistemato.
Poi c’era il lavoro, noioso.
Cominciare la mattina alle otto sapendo che non c’era altro da fare se non le “varie ed eventuali” e rispondere al telefono era snervante, le cinque del pomeriggio non arrivavano più e complice anche il caldo di quell’estate particolarmente secca, la noia e la solitudine mi stavano deprimendo.
Poi… ecco che arrivò quella cosa “assurda”.
C’era Alessia, la più odiata da tutti per via di quel carattere spigoloso e fastidioso.
Pur avendo un visto “passabile” il resto era da “croce rossa sopra” come avevo sentito dire in giro: era alta forse un metro e sessanta, culone e coscione grassocce, pancia e tettone esagerate “da cicciona”, ma nonostante tutto questo si ostinava a mettere vestitini e fuseaux aderenti, spesso con intimo in vista.
Non era esibizionista o peggio, semplicemente non se ne curava…
Era sulla quarantina, sposata e poi separata, due figli di circa tredici o quattordici anni e una figlia di nove o dieci avuta con il secondo compagno che faceva un lavoro, non ricordo quale, che lo teneva lontano da casa per intere settimane.
A tutti era antipatica ma personalmente non la trovavo spiacevole, anzi, mi piaceva il suo carattere deciso e senza peli sulla lingua, e lei (forse) apprezzava il mio essere “non ostile” nei suoi confronti, visto che sicuramente ero uno dei pochi.
I primi tre o quattro giorni li passammo con un ciao la mattina e uno la sera, poi la convivenza forzata in quel deserto ci fece avvicinare, quindi appuntamento fisso per il caffè della metà mattina e del dopo pranzo fino ad arrivare alle chiacchierate fiume del pomeriggio, quando proprio non c’era più nulla da fare.
E così, chiacchiera dopo chiacchiera, confidenza dopo confidenza arrivammo inevitabilmente a parlare di sesso.
Alessia era piuttosto “aperta” su quell’argomento, candidamente ammise che era in un momento di stasi dal punto di vista dei rapporti con il compagno, che l’ultima volta che erano stati a letto insieme era il natale scorso, e aspettando una mia replica rise nervosamente constatando che era la prima volta che parlava dei fatti suoi con qualcuno che non fosse sua sorella.
“Io… così e così” replicai, “sai, alti e bassi…” aggiunsi restando sul vago, ma ormai la cosa era avviata…
“Eh no, non dirmi così” buttò lì, con una punta di nervosismo che non mi sfuggì, “adesso mi devi dare data e ora dell’ultima volta…”
Scoppiai a ridere, nervosamente, e le dissi che l’ultima volta era stata per il mio compleanno, a fine giugno.
“Eh” rispose, “sei ancora un signore…”
“Sei uno di quelli che per il tuo compleanno vuole… fare una cosa in particolare?” mi chiese maliziosamente, indagando a fondo.
Sapevo cosa voleva chiedere, e l’accontentai.
“Beh, quello me lo scordo…” risposi facendola scoppiare a ridere, “se solo ci provo prendo un calcio sui denti, o dove fa ancora più male!”
Eravamo entrambi nervosissimi, ma la confidenza era ormai così spinta che non potevamo più fermarci.
“No… io quello…” disse fermandosi qualche istante, forse per valutare la cosa, e poi aggiunse finalmente “io quello lo faccio senza problemi… a Luca piace…” ammise alzando le spalle, “e anche a me!” concluse senza più pensarsi.
“C’è chi ha tutte le fortune… e chi no…” buttai lì.
“Ah, guarda” si affrettò a dire, “da quel punto di vista a lui non faccio mancare niente, guarda!”
La tensione era altissima, roba da far pulsare la giugulare.
Alessia mi guardava in modo strano, quasi mi volesse “squadrare” o aspettasse un mio passo per fare qualcosa, e quel “qualcosa” fu il caldo.
Sapevo che abitava sul lago di Garda in un comune che conoscevo bene e così le chiesi se anche da lei faceva caldo.
“No, non tantissimo” mi disse snocciolandomi (da analista) le temperature che registrava in casa, ma poi aggiunse “e se fa troppo caldo tanto abbiamo la piscina in giardino, faccio un tuffo e chissenefrega?”
“Che figata…” le risposi, sinceramente invidioso, “pensa che in queste sere così calde se avessi la piscina a disposizione ci dormirei dentro…”
Parlammo di piscina e di temperature, di opportunità e di possibilità di costruire e tutto il resto, e tornando ancora sull’argomento “sere roventi” la vidi esitare per un istante fino a che buttò lì “Perché non vieni a trovarmi?”
Restammo entrambi spiazzati da quella sua uscita.
“Vieni a farti un tuffo, ci mangiamo la pizza e prendi un po' di fresco…” aggiunse volendo forse… chiarire il senso della sua frase, ma ormai il dado era tratto…
E fu tutta colpa mia se le cose finirono per andare oltre.
“Sì, certo, piscina, pizza al fresco… poi quando torno a casa al caldo… sto peggio di prima” le dissi, tenendola sullo scherzoso.
Rispose, ma senza essere scherzosa.
“Allora non tornare a casa…” mi disse, guardandomi negli occhi con il suo sorriso… strano.
Sorrisi e annuii.
“Eh…” riuscii solo a dire, forse tentennando troppo per i suoi gusti.
E capii che lei non tentennava, anzi.
“Dai” mi incitò, “vieni stasera, così finiamo di parlare del nuovo pacchetto che arriva a settembre” aggiunse scoppiando a ridere.
Era chiaramente una provocazione, forse per stemperare, ma la tensione era comunque altissima.
Restai a pensarci per un paio di secondi, poi presi una decisione, definitiva.
“Sai cosa ti dico?” le dissi, “Accetto, vengo!”
Sembrò veramente felice della mia decisione, e per tutto il tempo parlammo ancora di pizza, di piscina, di caldo, del lago e delle opportunità di lavoro, fino a che arrivò l’ora di uscire.
“Senti” mi disse mentre ci preparavamo ad uscire, “posso chiederti una cosa?”
“Sì, certo…” le risposi.
“Ho la macchina che è in riserva” esitò, “e è sotto il sole, mentre tu ce l’hai sotto al coperto, giusto?”
Annuii, capendo cosa voleva.
“Possiamo andare con la tua, poi domani mattina mi riaccompagni?”
“Si, certo, perché no?” le risposi.
Quel giorno Alessia indossava un vestito floreale, piuttosto corto, che le lasciava scoperte le cosce, mentre sopra era abbondantemente scollato: e infatti quando salì in macchina cercò di coprirsi le gambe senza riuscirci, tanto che mi fece anche vedere gli slip neri, e mettendosi la cintura se la fece passare proprio tra le zucche facendole uscire ancora di più.
Lo fece apposta, ne ebbi la certezza quando con la coda dell’occhio la vidi sorridere dopo avermi “beccato” a spiarla.
“Sono un po' abbondante…” ammise, “faccio fatica a coprirmi…” ridacchiò.
Non so cosa mi trattenne dal risponderle, magari offendendola, ma feci di peggio.
“Beh, non sei mica una brutta cosa da vedere…” le dissi strappandole un sorrisetto malizioso, ma subito dopo tornò a schernirsi dicendo che non c’era proprio niente di bello e tutto il resto, aspettandosi che le rispondessi che non era vero (cosa che ovviamente feci).
Ricordo benissimo una cosa, che nonostante il panorama poco… incoraggiante era perfettamente depilata, sia sulle gambe che sotto le ascelle (che vidi molto bene perché continuava a tirarsi su i capelli): Erika non era così attenta, anzi, ero io che spesso e volentieri la… sollecitavo a prendersene cura.
Parlammo del più e del meno, ridemmo alternando anche lunghissimi silenzi, e una volta usciti dalla tangenziale ed imboccando vie a lei abituali cominciò a dirmi dove passare e quali vie invece evitare, dicendomi che preferiva non essere vista: capivo benissimo e non me la presi, anche se Alessia continuò a ringraziarmi per la pazienza.
La zona era bellissima, era parecchio che non ci andavo più, e tra una svolta e l’altra e tra una scorciatoia e l’altra ancora arrivammo sotto casa sua.
Viveva in una specie di cascinale mezzo ristrutturato e metà no (la metà “rustica” era vuota), mi fece mettere la macchina dietro casa e dopo essersi guardata attorno con attenzione nonostante fossimo in pieno deserto scese per prima e mi portò dentro, all’ombra freschissima di un pergolato di edera mista ad uva del Canada, oltre la quale c’era la piscina tutt’altro che piccola completamente riparata tanto da essere invisibile all’esterno.
“Accomodati, vieni…” mi disse aprendo la porta d’ingresso e disattivando l’allarme, “fa come se fossi a casa tua, io devo andare a fare una pipì urgente…” aggiunse ridacchiando a cosce strette.
Curiosai con attenzione le foto d’epoca esposte in soggiorno e quando mi raggiunse dopo aver fatto quel che doveva mi illustrò il percorso immaginario che aveva voluto creare, e riuscendoci perfettamente.
Poi ci accomodammo sul divano, mi portò una birra della sua scorta (in macchina ne avevamo parlato parecchio di birre) e lì ricominciammo a parlare aprendoci ancora molto: e fu proprio lì che cominciò tutto…
Si passò una mano sulla gamba e subito la ritrasse chiudendo gli occhi per poi fare una risatina.
“Non mi sono depilata le gambe…” mi disse spiegandomi tutto, “è che non mi aspettavo ospiti…”
“Se vuoi posso…” le dissi pronto a fare dell’ironia sul fatto che potevo anche andarmene ma lei, come sempre faceva, anche sul lavoro, finì la frase per me credendo che volessi dire proprio quello.
“Puoi aiutarmi a depilarmi?” buttò lì ridendo, ma con quel tono… indagatore che conoscevo bene.
Non la feci cadere, non a quel punto.
“Esatto” le risposi, guardandola negli occhi mantenendo anche il mio di sorrisetto.
Si lasciò scappare una risatina quasi infantile, continuò a tartassarsi una ciocca di capelli e a lisciarsi la gonna del vestito scendendo con le mani sulla pelle delle gambe, poi finalmente disse “Ma dai, non sono poi così pelosa…”
“N-no…” le risposi un po’ a disagio ma ostentando comunque sicurezza, e senza chiederle il permesso allungai la mano e le accarezzai la pelle dello stinco sentendo qualcosa di ispido ma veramente poca cosa.
“Direi proprio di no…” le dissi mentre ancora lei mi guardava negli occhi, che sembravano ancora più scuri e profondi, come quelli di un rapace.
Per un istante mi sentii in trappola.
“Mi sono depilata domenica” mi confessò, “di solito duro una settimana…” aggiunse e cominciò a parlami di prodotti, di ceretta, di irritazioni e di altre cose tipicamente femminili, poi ancora una volta sembrò valutare se dirlo o no e alla fine lo fece.
“Però non mi depilo proprio tutta” disse, lanciando la bomba, che scoppiasse oppure facesse cilecca, andava come andava.
“No?” le chiesi, sorseggiando l’ultimo goccio di birra.
“No… qualcosa lo tengo…” ridacchiò.
“Tu cosa ne pensi?” volle sapere, “So che ci sono diverse correnti di pensiero tra voi maschietti…”
Alzai le spalle.
“Io sono per… la piazza pulita” ammisi candidamente.
“Ti piace la figa pelata?” sentenziò ridendo (e facendomi ridere nervosamente).
“La prediligo” confessai, “ma non è che se non è così non mi interessa…”
Mi disse che Luca invece preferiva i peli, e che anche lei sotto sotto preferiva avere qualcosa, obiettai e ridemmo come due scemi pronti ad incolpare la birra (che nel frattempo consumavamo allegramente).
Ridemmo per sdrammatizzare, alla quarta birra sentivo la testa piacevolmente “leggera” mentre Alessia sembrava sempre uguale quando all’improvviso si alzò.
“Allora, lo vogliamo fare un tuffo o no?” mi chiese, mettendosi proprio davanti a me, con le mani sui fianchi e le tettone che lottavano per uscire.
“S-sì…” le risposi, “ma ho un piccolo problema…”
“Se devi andare in bagno…” mi disse pensando a quel problema ma scuotendo la testa la bloccai.
“Non ho il costume…” le dissi.
Silenzio, silenzio pesante.
Avrebbe magari potuto “prestarmi” un costume di Luca, ma non lo fece.
“Beh, non ce le hai le mutande?” mi chiese, “Usi quelle come costume…”
Non c’era altro da dire, ma feci comunque “il vergognoso” e tentennai facendola sbuffare.
“Senti, per me puoi anche fare il bagno nudo” mi disse, “o vestito, come preferisci, se sei in imbarazzo…” aggiunse fermandosi un istante sempre per… valutare le parole, “se sei in imbarazzo non lo metto neanche io il costume e faccio il bagno in mutandine e reggiseno, così non ti imbarazzi…”
E senza aggiungere altro, davanti ai miei occhi sbigottiti, si sfilò il vestito da sopra la testa e restò davvero in mutandine nere e reggiseno grigio (spaiato, che mi fece capire quanto quella cosa fosse improvvisata e non programmata).
Aveva due tettone esagerate, sicuramente quinta abbondante, così come aveva la pancia abbondante e il culo super abbondante, con due chiappone che avevano fatto finire gli slip dentro il solco dei glutei come se fosse un perizoma.
Non se ne curò minimamente e restò davanti a me aspettando che mi spogliassi, e allora non la delusi né persi altro tempo, mi liberai delle scarpe poi della camicia e infine dei jeans restando con i boxer.
Era l’estate dei miei quarantadue anni, da tre avevo smesso di giocare a calcetto e frequentavo ogni tanto la palestra e il mio bel fisico si era per così dire “ammorbidito” pur restando abbastanza… gradevole, e la mia amica Alessia sembrò apprezzare, anzi, apprezzò e me lo disse.
“Ti mantieni bene, eh?” buttò lì, “Palestra, corsetta al mattino, dieta bilanciata?” aggiunse quasi prendendomi in giro.
Non le risposi limitandomi a sorridere e un minuto dopo eravamo davanti alla piscina, indecisi su cosa fare.
Guardai dentro, sporgendomi, le chiesi “Quanto è prof…” ma non riuscii a finire la frase perché stavo volando…
Caddi dentro come un sacco di… patate, e mentre riemergevo la vidi entrare in acqua tenendosi tappato il naso fino a sprofondare sotto per poi riemergere, annaspando per guadagnare il bordo.
“Cazzo se è fredda…” mugugnò con gli occhi spalancati, e allora la raggiunsi fermandomi a meno di un metro da lei, tenendomi al bordo e restando con solo la testa fuori dall’acqua.
“Allora?” mi chiese dopo aver recuperato, “Bello?”
“Eccome…” le risposi, “se ce l’avessi io sarei dentro tutti i giorni, tornato dal lavoro… giù in piscina…”
Non mi disse nulla, mi guardò negli occhi e poi distolse lo sguardo, ma alla fine si lasciò andare.
“Beh, puoi venire quando ti pare…” disse, con un tono di voce molto “dimesso”, “sono sola a casa fino alla fine di agosto, e come vedi… non c’è un cazzo di nessuno qui in giro…”
“Mmm…” mugolai, lasciandomi andare a fare il morto, “non tentarmi… non riuscirei a dirti di no…”
“E allora non dirmelo” buttò lì, rude come sempre, esattamente come al lavoro, ma subito si riprese e tornò più conciliante aggiungendo un “se non hai niente di meglio da fare…”
Ricominciammo a parlare del posto, degli immobili, degli investimenti e dell’immancabile crisi, poi Alessia si immerse riemergendo con la fronte per tirarsi indietro i capelli e mi disse che sarebbe uscita, aveva due telefonate da fare e poi avrebbe ordinato la pizza.
Si diresse verso la scaletta e la risalì mettendomi davanti il culone (tondo, ma senza i buchi della cellulite, la pelle era tesa e all’apparenza elastica e non flaccida), per correttezza voltai lo sguardo ma capii anche che non era quello che voleva perché indugiò parecchio sulla scaletta tanto che da sotto vidi anche la patonza gonfia e pelosa a malapena trattenuta dalla tela degli slip, che non riuscivano a trattenere i peli dagli elastici laterali.
Risalimmo e ci mettemmo seduti sui lettini a bordo piscina, sull’erba rigorosamente sintetica, Alessia tornò dentro e uscì con altra birra, patatine e noccioline.
Parlammo liberamente, in mutande, e ancora una volta arrivammo al sesso.
Sesso, esperienze, esperienze azzardate, esperienze “sporche”: l’alcool faceva effetto, eccome se lo faceva, Lusia rideva piegandosi in sue facendo quasi uscire le tettone (le areole scure ormai erano sempre fuori, così come i grossi capezzoli), e proprio in quel frangente cominciò tutto a girare vorticosamente.
Ridemmo e parlammo volgare, di fighe pelose e cazzi molli, e inevitabilmente, davvero inevitabilmente, parlammo della sua figa pelosa.
“Io non sarei neanche capace di rasarmela” mi disse ormai fuori controllo, tra una sorsata “a canna” e l’altra di Heineken, “avrei bisogno di un aiuto…” sghignazzò sputacchiando birra senza nemmeno accorgersene e bagnandosi il mento.
Non rispondevo, timoroso di fare (e dire) cazzate, ma Alessia era un fiume in piena.
Rise a crepapelle e recuperando a fatica disse qualcosa come “è la prima volta che usciamo insieme e parliamo della mia figa pelosa”, tornando improvvisamente seria come se si fosse dimenticata di qualcosa.
“Ma non dovevi telefonare?” le dissi per spezzare la tensione, ma lei si limitò ad alzare le spalle dicendo “manderò un messaggio…”
Finii credo la decima bottiglia e mi distesi sul lettino socchiudendo gli occhi (sotto il suo sguardo costante), non sapevo bene come muovermi, se tentare di ottenere il massimo da quella serata pazza e surreale o se fare il bravo ragazzo, cosa che mi aveva sempre portato bene, decisi per quest’ultima opzione ma sbagliai e lo capii dal suo di atteggiamento.
Continuò a parlare sporco (magari esagerando, dando colpa all’alcool) e facendo frequenti allusioni di natura sessuale, e soprattutto continuando a toccarmi la spalla ad ogni battuta, cercando il contatto (o era solo un modo di fare? Tanti amici lo facevano, innervosendomi non poco tra l’altro), e complice la birra buttata giù il caldo, l’umidità e una buona dose di astinenza decisi di lasciare andare il freno a mano e di vivere il momento.
Non mi aveva di certo portato a casa sua per poi sputtanarmi o cercare qualcosa in cambio da me, non era il tipo, di quello ne ero certo, ma non sapevo fin dove voleva spingersi… proprio non lo capivo.
Restammo in silenzio per forse un paio di minuti, stesi sul lettini, e con un soffio improvviso si alzò l’aria della sera, facendomi venire i brividi.
Ero sudato sul collo e sulla schiena, dov’ero a contatto con il lettino di plastica, e con i boxer erano ancora bagnati, quella ventata improvvisa mi fece venire la pelle d’oca.
“Cazzo che freddo…” ridacchiò tenendosi le braccia sulle tettone, “adesso si sta meglio in acqua che fuori…”
Si alzò e si stiracchiò, guardò la piscina e poi me e visto che non reagivo mi disse “Allora? Vieni o no?”
Mi tirai su ormai allegro (era ufficiale, ormai, vedevo doppio!) e le dissi che se facevo il bagno non mi si sarebbero più asciugati i boxer, sembrò ancora una volta pensarci su e poi semplicemente mi disse “Togliteli…”
“Li metti lì sulla pietra e in un attimo si asciugano…” aggiunse, quasi a recuperare una frase infelice.
“Mmm…” mugugnai poco convinto, “che faccio giro nudo per casa tua?”
Si fece un’altra risatina e con una mezza smorfia buttò lì qualcosa del tipo “Fai quel cazzo che vuoi…” che non capii bene.
“Sarei un po’ in imbarazzo…” le risposi, al che Alessia roteò gli occhi e con estrema naturalezza si mise le mani dietro la schiena e si sbarazzò del reggiseno, facendo uscire due bombe esagerate che le si posarono (quasi) sulla pancia, e ormai sullo slancio “alcolico” si mise due dita negli elastici degli slip e si piegò in avanti portandoseli alle caviglie, e dopo esserseli sfilati si mostrò completamente nuda davanti ai miei occhi, con le tettone di fuori, la pancia con un rotolo in vita e la famosa figa pelosa nera come il carbone (ma comunque curata).
Si voltò mostrandomi il culone, fece due passi verso la piscina prendendo la rincorsa e ci si buttò dentro a bomba (nel vero senso della parola…), e riemergendo mi incitò a gesti ma anche a parole a non fare la fighetta ed entrare.
Che potevo fare? Tanto avevo già deciso di lasciare i freni…
Mi feci trascinare e mi tuffai in buono stile, riemergendo dalla parte opposta quasi picchiando la testa sul fondo che lì era piuttosto basso e mi permetteva di toccare con i piedi restando fuori dalle spalle in su, e quando mi voltai me la trovai praticamente addosso, che annaspava.
L’afferrai per un braccio e ovviamente le tastai una tetta senza che smettesse di ridere, la feci appoggiare al bordo e ancora una volta cercai di caprie che cosa dovevo fare.
Un po’ mi vergogno della mia… indecisione, Alessia a giochi fatti me lo fece anche notare con la sua ruvidezza, ma alla fine la decisione la prese lei.
Allungò la mano e mi prese il cazzo, stringendomelo nel pugno cercando di scappellarmelo, e senza molto riguardo mi disse “La prima mossa la faccio io perché se aspetto te…”
Mi appoggiai al bordo della piscina con la schiena allargando le braccia e lasciandole tutto a disposizione, Alessia in poche mosse su e giù se lo trovò in mano duro e tonico (forse) come lo voleva fin dal primo momento.
Continuò a menarmelo tastandomi anche le palle (forse con un po’ troppa veemenza) ma poi volle la sua parte.
Mi venne addosso schiacciandomi le tettone sul petto e cominciò a strusciarsi orizzontalmente fino a che mi costrinse ad una reazione, così lasciai andare il bordo e me la trovai in braccio, con le mani che la sorreggevano per il culone e con la pancia solleticata dai suoi peli pubici.
Ero quasi sul punto di metterle la lingua in bocca ma una specie di sesto senso mi fece fermare, e forse fu un bene perché non era quello che voleva.
Ridacchiò senza motivo e finalmente mi disse “Ti danno fastidio?” riferendosi ai suoi peli sulla mia pancia.
Scossi la testa senza che si fermasse nei suoi movimenti, e allora con le mani cominciai a darmi da fare palpandole il culone e aprendole le chiappe ma senza poter “esplorare” i suoi tesori perché c’era troppo materiale di mezzo…
Restammo in quella posizione piuttosto scomoda (per me) forse per tre o quattro minuti, poi Alessia si staccò e prendendomi la mano mi portò verso l’altra scaletta, dove l’acqua era più bassa, e ridacchiando la afferrò e salì facendomi vedere praticamente tutto: il buco del culo scuro, peloso e abbondantemente aperto, la figa altrettanto pelosa ma sorprendentemente “sigillata”, con le grandi labbra appena dischiuse, e due chiappe così grosse che per farne una delle sue ce ne volevano tre di Erika!
Si fece vedere esposta senza il minimo problema, attese che salissi anch’io e prendendomi nuovamente per mano mi portò dentro, incurante del fatto che stavamo bagnando dappertutto, e dopo aver chiuso la porta a vetri mi fece cenno di seguirla al piano di sotto.
Rideva come una scema, io invece ero così teso e pieno di dubbi che non riuscivo a godermi il momento.
C’era una stanza con dentro un letto e un paio di comodini e una specie di cassettiera, forse un abbozzo di camera per gli ospiti, e Alessia ormai senza più alcun timore si gettò sul letto rotolando… lussuriosamente, si mise in ginocchio con le tettone che le penzolavano sotto e si mise a ridere ricadendo a pancia in giù come un sacco di patate.

Fine prima parte.
Se piace, a breve posto la seconda...
 

Grandel

"Level 7"
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Posizione
Jerusalem’s Lot
Questo è un racconto di fantasia anche se c’è comunque molto di vero: la trama, ad esempio, è verissima, molto romanzata perchè i fatti nella realtà non sono stati così “avventurosi” come in questo racconto ma molto più banali e poco avvincenti.

Galeotta fu quell’estate strana, sul lavoro: riorganizzazione degli uffici e ristrutturazione dei locali ci costrinsero a modificare pesantemente il piano ferie e con somma gioia delle famiglie io e pochi altri dovemmo rinunciare alle vacanze, chi riuscì a farle slittare bene, altri come me che non ci riuscirono passarono l’intero mese di agosto da soli con la propria famiglia al mare o comunque in vacanza.
Non era la prima volta che mi succedeva, nell’esperienza di lavoro precedente Erika e i nostri figli si erano per così dire abituati ai cambi di programma improvvisi e a dirla tutta non ci facevano molto conto sulla mia “presenza” …
Li spedii ad Andora, tre settimane in un residence di proprietĂ  di un vecchio amico di famiglia che mi garantiva prezzi adeguati e trattamento all-inclusive, e poi altre due settimane in montagna nella casa degli zii di Erika, quindi da quel punto di vista tutto sistemato.
Poi c’era il lavoro, noioso.
Cominciare la mattina alle otto sapendo che non c’era altro da fare se non le “varie ed eventuali” e rispondere al telefono era snervante, le cinque del pomeriggio non arrivavano più e complice anche il caldo di quell’estate particolarmente secca, la noia e la solitudine mi stavano deprimendo.
Poi… ecco che arrivò quella cosa “assurda”.
C’era Alessia, la più odiata da tutti per via di quel carattere spigoloso e fastidioso.
Pur avendo un visto “passabile” il resto era da “croce rossa sopra” come avevo sentito dire in giro: era alta forse un metro e sessanta, culone e coscione grassocce, pancia e tettone esagerate “da cicciona”, ma nonostante tutto questo si ostinava a mettere vestitini e fuseaux aderenti, spesso con intimo in vista.
Non era esibizionista o peggio, semplicemente non se ne curava…
Era sulla quarantina, sposata e poi separata, due figli di circa tredici o quattordici anni e una figlia di nove o dieci avuta con il secondo compagno che faceva un lavoro, non ricordo quale, che lo teneva lontano da casa per intere settimane.
A tutti era antipatica ma personalmente non la trovavo spiacevole, anzi, mi piaceva il suo carattere deciso e senza peli sulla lingua, e lei (forse) apprezzava il mio essere “non ostile” nei suoi confronti, visto che sicuramente ero uno dei pochi.
I primi tre o quattro giorni li passammo con un ciao la mattina e uno la sera, poi la convivenza forzata in quel deserto ci fece avvicinare, quindi appuntamento fisso per il caffè della metà mattina e del dopo pranzo fino ad arrivare alle chiacchierate fiume del pomeriggio, quando proprio non c’era più nulla da fare.
E così, chiacchiera dopo chiacchiera, confidenza dopo confidenza arrivammo inevitabilmente a parlare di sesso.
Alessia era piuttosto “aperta” su quell’argomento, candidamente ammise che era in un momento di stasi dal punto di vista dei rapporti con il compagno, che l’ultima volta che erano stati a letto insieme era il natale scorso, e aspettando una mia replica rise nervosamente constatando che era la prima volta che parlava dei fatti suoi con qualcuno che non fosse sua sorella.
“Io… così e così” replicai, “sai, alti e bassi…” aggiunsi restando sul vago, ma ormai la cosa era avviata…
“Eh no, non dirmi così” buttò lì, con una punta di nervosismo che non mi sfuggì, “adesso mi devi dare data e ora dell’ultima volta…”
Scoppiai a ridere, nervosamente, e le dissi che l’ultima volta era stata per il mio compleanno, a fine giugno.
“Eh” rispose, “sei ancora un signore…”
“Sei uno di quelli che per il tuo compleanno vuole… fare una cosa in particolare?” mi chiese maliziosamente, indagando a fondo.
Sapevo cosa voleva chiedere, e l’accontentai.
“Beh, quello me lo scordo…” risposi facendola scoppiare a ridere, “se solo ci provo prendo un calcio sui denti, o dove fa ancora più male!”
Eravamo entrambi nervosissimi, ma la confidenza era ormai così spinta che non potevamo più fermarci.
“No… io quello…” disse fermandosi qualche istante, forse per valutare la cosa, e poi aggiunse finalmente “io quello lo faccio senza problemi… a Luca piace…” ammise alzando le spalle, “e anche a me!” concluse senza più pensarsi.
“C’è chi ha tutte le fortune… e chi no…” buttai lì.
“Ah, guarda” si affrettò a dire, “da quel punto di vista a lui non faccio mancare niente, guarda!”
La tensione era altissima, roba da far pulsare la giugulare.
Alessia mi guardava in modo strano, quasi mi volesse “squadrare” o aspettasse un mio passo per fare qualcosa, e quel “qualcosa” fu il caldo.
Sapevo che abitava sul lago di Garda in un comune che conoscevo bene e così le chiesi se anche da lei faceva caldo.
“No, non tantissimo” mi disse snocciolandomi (da analista) le temperature che registrava in casa, ma poi aggiunse “e se fa troppo caldo tanto abbiamo la piscina in giardino, faccio un tuffo e chissenefrega?”
“Che figata…” le risposi, sinceramente invidioso, “pensa che in queste sere così calde se avessi la piscina a disposizione ci dormirei dentro…”
Parlammo di piscina e di temperature, di opportunità e di possibilità di costruire e tutto il resto, e tornando ancora sull’argomento “sere roventi” la vidi esitare per un istante fino a che buttò lì “Perché non vieni a trovarmi?”
Restammo entrambi spiazzati da quella sua uscita.
“Vieni a farti un tuffo, ci mangiamo la pizza e prendi un po' di fresco…” aggiunse volendo forse… chiarire il senso della sua frase, ma ormai il dado era tratto…
E fu tutta colpa mia se le cose finirono per andare oltre.
“Sì, certo, piscina, pizza al fresco… poi quando torno a casa al caldo… sto peggio di prima” le dissi, tenendola sullo scherzoso.
Rispose, ma senza essere scherzosa.
“Allora non tornare a casa…” mi disse, guardandomi negli occhi con il suo sorriso… strano.
Sorrisi e annuii.
“Eh…” riuscii solo a dire, forse tentennando troppo per i suoi gusti.
E capii che lei non tentennava, anzi.
“Dai” mi incitò, “vieni stasera, così finiamo di parlare del nuovo pacchetto che arriva a settembre” aggiunse scoppiando a ridere.
Era chiaramente una provocazione, forse per stemperare, ma la tensione era comunque altissima.
Restai a pensarci per un paio di secondi, poi presi una decisione, definitiva.
“Sai cosa ti dico?” le dissi, “Accetto, vengo!”
Sembrò veramente felice della mia decisione, e per tutto il tempo parlammo ancora di pizza, di piscina, di caldo, del lago e delle opportunità di lavoro, fino a che arrivò l’ora di uscire.
“Senti” mi disse mentre ci preparavamo ad uscire, “posso chiederti una cosa?”
“Sì, certo…” le risposi.
“Ho la macchina che è in riserva” esitò, “e è sotto il sole, mentre tu ce l’hai sotto al coperto, giusto?”
Annuii, capendo cosa voleva.
“Possiamo andare con la tua, poi domani mattina mi riaccompagni?”
“Si, certo, perché no?” le risposi.
Quel giorno Alessia indossava un vestito floreale, piuttosto corto, che le lasciava scoperte le cosce, mentre sopra era abbondantemente scollato: e infatti quando salì in macchina cercò di coprirsi le gambe senza riuscirci, tanto che mi fece anche vedere gli slip neri, e mettendosi la cintura se la fece passare proprio tra le zucche facendole uscire ancora di più.
Lo fece apposta, ne ebbi la certezza quando con la coda dell’occhio la vidi sorridere dopo avermi “beccato” a spiarla.
“Sono un po' abbondante…” ammise, “faccio fatica a coprirmi…” ridacchiò.
Non so cosa mi trattenne dal risponderle, magari offendendola, ma feci di peggio.
“Beh, non sei mica una brutta cosa da vedere…” le dissi strappandole un sorrisetto malizioso, ma subito dopo tornò a schernirsi dicendo che non c’era proprio niente di bello e tutto il resto, aspettandosi che le rispondessi che non era vero (cosa che ovviamente feci).
Ricordo benissimo una cosa, che nonostante il panorama poco… incoraggiante era perfettamente depilata, sia sulle gambe che sotto le ascelle (che vidi molto bene perché continuava a tirarsi su i capelli): Erika non era così attenta, anzi, ero io che spesso e volentieri la… sollecitavo a prendersene cura.
Parlammo del più e del meno, ridemmo alternando anche lunghissimi silenzi, e una volta usciti dalla tangenziale ed imboccando vie a lei abituali cominciò a dirmi dove passare e quali vie invece evitare, dicendomi che preferiva non essere vista: capivo benissimo e non me la presi, anche se Alessia continuò a ringraziarmi per la pazienza.
La zona era bellissima, era parecchio che non ci andavo più, e tra una svolta e l’altra e tra una scorciatoia e l’altra ancora arrivammo sotto casa sua.
Viveva in una specie di cascinale mezzo ristrutturato e metà no (la metà “rustica” era vuota), mi fece mettere la macchina dietro casa e dopo essersi guardata attorno con attenzione nonostante fossimo in pieno deserto scese per prima e mi portò dentro, all’ombra freschissima di un pergolato di edera mista ad uva del Canada, oltre la quale c’era la piscina tutt’altro che piccola completamente riparata tanto da essere invisibile all’esterno.
“Accomodati, vieni…” mi disse aprendo la porta d’ingresso e disattivando l’allarme, “fa come se fossi a casa tua, io devo andare a fare una pipì urgente…” aggiunse ridacchiando a cosce strette.
Curiosai con attenzione le foto d’epoca esposte in soggiorno e quando mi raggiunse dopo aver fatto quel che doveva mi illustrò il percorso immaginario che aveva voluto creare, e riuscendoci perfettamente.
Poi ci accomodammo sul divano, mi portò una birra della sua scorta (in macchina ne avevamo parlato parecchio di birre) e lì ricominciammo a parlare aprendoci ancora molto: e fu proprio lì che cominciò tutto…
Si passò una mano sulla gamba e subito la ritrasse chiudendo gli occhi per poi fare una risatina.
“Non mi sono depilata le gambe…” mi disse spiegandomi tutto, “è che non mi aspettavo ospiti…”
“Se vuoi posso…” le dissi pronto a fare dell’ironia sul fatto che potevo anche andarmene ma lei, come sempre faceva, anche sul lavoro, finì la frase per me credendo che volessi dire proprio quello.
“Puoi aiutarmi a depilarmi?” buttò lì ridendo, ma con quel tono… indagatore che conoscevo bene.
Non la feci cadere, non a quel punto.
“Esatto” le risposi, guardandola negli occhi mantenendo anche il mio di sorrisetto.
Si lasciò scappare una risatina quasi infantile, continuò a tartassarsi una ciocca di capelli e a lisciarsi la gonna del vestito scendendo con le mani sulla pelle delle gambe, poi finalmente disse “Ma dai, non sono poi così pelosa…”
“N-no…” le risposi un po’ a disagio ma ostentando comunque sicurezza, e senza chiederle il permesso allungai la mano e le accarezzai la pelle dello stinco sentendo qualcosa di ispido ma veramente poca cosa.
“Direi proprio di no…” le dissi mentre ancora lei mi guardava negli occhi, che sembravano ancora più scuri e profondi, come quelli di un rapace.
Per un istante mi sentii in trappola.
“Mi sono depilata domenica” mi confessò, “di solito duro una settimana…” aggiunse e cominciò a parlami di prodotti, di ceretta, di irritazioni e di altre cose tipicamente femminili, poi ancora una volta sembrò valutare se dirlo o no e alla fine lo fece.
“Però non mi depilo proprio tutta” disse, lanciando la bomba, che scoppiasse oppure facesse cilecca, andava come andava.
“No?” le chiesi, sorseggiando l’ultimo goccio di birra.
“No… qualcosa lo tengo…” ridacchiò.
“Tu cosa ne pensi?” volle sapere, “So che ci sono diverse correnti di pensiero tra voi maschietti…”
Alzai le spalle.
“Io sono per… la piazza pulita” ammisi candidamente.
“Ti piace la figa pelata?” sentenziò ridendo (e facendomi ridere nervosamente).
“La prediligo” confessai, “ma non è che se non è così non mi interessa…”
Mi disse che Luca invece preferiva i peli, e che anche lei sotto sotto preferiva avere qualcosa, obiettai e ridemmo come due scemi pronti ad incolpare la birra (che nel frattempo consumavamo allegramente).
Ridemmo per sdrammatizzare, alla quarta birra sentivo la testa piacevolmente “leggera” mentre Alessia sembrava sempre uguale quando all’improvviso si alzò.
“Allora, lo vogliamo fare un tuffo o no?” mi chiese, mettendosi proprio davanti a me, con le mani sui fianchi e le tettone che lottavano per uscire.
“S-sì…” le risposi, “ma ho un piccolo problema…”
“Se devi andare in bagno…” mi disse pensando a quel problema ma scuotendo la testa la bloccai.
“Non ho il costume…” le dissi.
Silenzio, silenzio pesante.
Avrebbe magari potuto “prestarmi” un costume di Luca, ma non lo fece.
“Beh, non ce le hai le mutande?” mi chiese, “Usi quelle come costume…”
Non c’era altro da dire, ma feci comunque “il vergognoso” e tentennai facendola sbuffare.
“Senti, per me puoi anche fare il bagno nudo” mi disse, “o vestito, come preferisci, se sei in imbarazzo…” aggiunse fermandosi un istante sempre per… valutare le parole, “se sei in imbarazzo non lo metto neanche io il costume e faccio il bagno in mutandine e reggiseno, così non ti imbarazzi…”
E senza aggiungere altro, davanti ai miei occhi sbigottiti, si sfilò il vestito da sopra la testa e restò davvero in mutandine nere e reggiseno grigio (spaiato, che mi fece capire quanto quella cosa fosse improvvisata e non programmata).
Aveva due tettone esagerate, sicuramente quinta abbondante, così come aveva la pancia abbondante e il culo super abbondante, con due chiappone che avevano fatto finire gli slip dentro il solco dei glutei come se fosse un perizoma.
Non se ne curò minimamente e restò davanti a me aspettando che mi spogliassi, e allora non la delusi né persi altro tempo, mi liberai delle scarpe poi della camicia e infine dei jeans restando con i boxer.
Era l’estate dei miei quarantadue anni, da tre avevo smesso di giocare a calcetto e frequentavo ogni tanto la palestra e il mio bel fisico si era per così dire “ammorbidito” pur restando abbastanza… gradevole, e la mia amica Alessia sembrò apprezzare, anzi, apprezzò e me lo disse.
“Ti mantieni bene, eh?” buttò lì, “Palestra, corsetta al mattino, dieta bilanciata?” aggiunse quasi prendendomi in giro.
Non le risposi limitandomi a sorridere e un minuto dopo eravamo davanti alla piscina, indecisi su cosa fare.
Guardai dentro, sporgendomi, le chiesi “Quanto è prof…” ma non riuscii a finire la frase perché stavo volando…
Caddi dentro come un sacco di… patate, e mentre riemergevo la vidi entrare in acqua tenendosi tappato il naso fino a sprofondare sotto per poi riemergere, annaspando per guadagnare il bordo.
“Cazzo se è fredda…” mugugnò con gli occhi spalancati, e allora la raggiunsi fermandomi a meno di un metro da lei, tenendomi al bordo e restando con solo la testa fuori dall’acqua.
“Allora?” mi chiese dopo aver recuperato, “Bello?”
“Eccome…” le risposi, “se ce l’avessi io sarei dentro tutti i giorni, tornato dal lavoro… giù in piscina…”
Non mi disse nulla, mi guardò negli occhi e poi distolse lo sguardo, ma alla fine si lasciò andare.
“Beh, puoi venire quando ti pare…” disse, con un tono di voce molto “dimesso”, “sono sola a casa fino alla fine di agosto, e come vedi… non c’è un cazzo di nessuno qui in giro…”
“Mmm…” mugolai, lasciandomi andare a fare il morto, “non tentarmi… non riuscirei a dirti di no…”
“E allora non dirmelo” buttò lì, rude come sempre, esattamente come al lavoro, ma subito si riprese e tornò più conciliante aggiungendo un “se non hai niente di meglio da fare…”
Ricominciammo a parlare del posto, degli immobili, degli investimenti e dell’immancabile crisi, poi Alessia si immerse riemergendo con la fronte per tirarsi indietro i capelli e mi disse che sarebbe uscita, aveva due telefonate da fare e poi avrebbe ordinato la pizza.
Si diresse verso la scaletta e la risalì mettendomi davanti il culone (tondo, ma senza i buchi della cellulite, la pelle era tesa e all’apparenza elastica e non flaccida), per correttezza voltai lo sguardo ma capii anche che non era quello che voleva perché indugiò parecchio sulla scaletta tanto che da sotto vidi anche la patonza gonfia e pelosa a malapena trattenuta dalla tela degli slip, che non riuscivano a trattenere i peli dagli elastici laterali.
Risalimmo e ci mettemmo seduti sui lettini a bordo piscina, sull’erba rigorosamente sintetica, Alessia tornò dentro e uscì con altra birra, patatine e noccioline.
Parlammo liberamente, in mutande, e ancora una volta arrivammo al sesso.
Sesso, esperienze, esperienze azzardate, esperienze “sporche”: l’alcool faceva effetto, eccome se lo faceva, Lusia rideva piegandosi in sue facendo quasi uscire le tettone (le areole scure ormai erano sempre fuori, così come i grossi capezzoli), e proprio in quel frangente cominciò tutto a girare vorticosamente.
Ridemmo e parlammo volgare, di fighe pelose e cazzi molli, e inevitabilmente, davvero inevitabilmente, parlammo della sua figa pelosa.
“Io non sarei neanche capace di rasarmela” mi disse ormai fuori controllo, tra una sorsata “a canna” e l’altra di Heineken, “avrei bisogno di un aiuto…” sghignazzò sputacchiando birra senza nemmeno accorgersene e bagnandosi il mento.
Non rispondevo, timoroso di fare (e dire) cazzate, ma Alessia era un fiume in piena.
Rise a crepapelle e recuperando a fatica disse qualcosa come “è la prima volta che usciamo insieme e parliamo della mia figa pelosa”, tornando improvvisamente seria come se si fosse dimenticata di qualcosa.
“Ma non dovevi telefonare?” le dissi per spezzare la tensione, ma lei si limitò ad alzare le spalle dicendo “manderò un messaggio…”
Finii credo la decima bottiglia e mi distesi sul lettino socchiudendo gli occhi (sotto il suo sguardo costante), non sapevo bene come muovermi, se tentare di ottenere il massimo da quella serata pazza e surreale o se fare il bravo ragazzo, cosa che mi aveva sempre portato bene, decisi per quest’ultima opzione ma sbagliai e lo capii dal suo di atteggiamento.
Continuò a parlare sporco (magari esagerando, dando colpa all’alcool) e facendo frequenti allusioni di natura sessuale, e soprattutto continuando a toccarmi la spalla ad ogni battuta, cercando il contatto (o era solo un modo di fare? Tanti amici lo facevano, innervosendomi non poco tra l’altro), e complice la birra buttata giù il caldo, l’umidità e una buona dose di astinenza decisi di lasciare andare il freno a mano e di vivere il momento.
Non mi aveva di certo portato a casa sua per poi sputtanarmi o cercare qualcosa in cambio da me, non era il tipo, di quello ne ero certo, ma non sapevo fin dove voleva spingersi… proprio non lo capivo.
Restammo in silenzio per forse un paio di minuti, stesi sul lettini, e con un soffio improvviso si alzò l’aria della sera, facendomi venire i brividi.
Ero sudato sul collo e sulla schiena, dov’ero a contatto con il lettino di plastica, e con i boxer erano ancora bagnati, quella ventata improvvisa mi fece venire la pelle d’oca.
“Cazzo che freddo…” ridacchiò tenendosi le braccia sulle tettone, “adesso si sta meglio in acqua che fuori…”
Si alzò e si stiracchiò, guardò la piscina e poi me e visto che non reagivo mi disse “Allora? Vieni o no?”
Mi tirai su ormai allegro (era ufficiale, ormai, vedevo doppio!) e le dissi che se facevo il bagno non mi si sarebbero più asciugati i boxer, sembrò ancora una volta pensarci su e poi semplicemente mi disse “Togliteli…”
“Li metti lì sulla pietra e in un attimo si asciugano…” aggiunse, quasi a recuperare una frase infelice.
“Mmm…” mugugnai poco convinto, “che faccio giro nudo per casa tua?”
Si fece un’altra risatina e con una mezza smorfia buttò lì qualcosa del tipo “Fai quel cazzo che vuoi…” che non capii bene.
“Sarei un po’ in imbarazzo…” le risposi, al che Alessia roteò gli occhi e con estrema naturalezza si mise le mani dietro la schiena e si sbarazzò del reggiseno, facendo uscire due bombe esagerate che le si posarono (quasi) sulla pancia, e ormai sullo slancio “alcolico” si mise due dita negli elastici degli slip e si piegò in avanti portandoseli alle caviglie, e dopo esserseli sfilati si mostrò completamente nuda davanti ai miei occhi, con le tettone di fuori, la pancia con un rotolo in vita e la famosa figa pelosa nera come il carbone (ma comunque curata).
Si voltò mostrandomi il culone, fece due passi verso la piscina prendendo la rincorsa e ci si buttò dentro a bomba (nel vero senso della parola…), e riemergendo mi incitò a gesti ma anche a parole a non fare la fighetta ed entrare.
Che potevo fare? Tanto avevo già deciso di lasciare i freni…
Mi feci trascinare e mi tuffai in buono stile, riemergendo dalla parte opposta quasi picchiando la testa sul fondo che lì era piuttosto basso e mi permetteva di toccare con i piedi restando fuori dalle spalle in su, e quando mi voltai me la trovai praticamente addosso, che annaspava.
L’afferrai per un braccio e ovviamente le tastai una tetta senza che smettesse di ridere, la feci appoggiare al bordo e ancora una volta cercai di caprie che cosa dovevo fare.
Un po’ mi vergogno della mia… indecisione, Alessia a giochi fatti me lo fece anche notare con la sua ruvidezza, ma alla fine la decisione la prese lei.
Allungò la mano e mi prese il cazzo, stringendomelo nel pugno cercando di scappellarmelo, e senza molto riguardo mi disse “La prima mossa la faccio io perché se aspetto te…”
Mi appoggiai al bordo della piscina con la schiena allargando le braccia e lasciandole tutto a disposizione, Alessia in poche mosse su e giù se lo trovò in mano duro e tonico (forse) come lo voleva fin dal primo momento.
Continuò a menarmelo tastandomi anche le palle (forse con un po’ troppa veemenza) ma poi volle la sua parte.
Mi venne addosso schiacciandomi le tettone sul petto e cominciò a strusciarsi orizzontalmente fino a che mi costrinse ad una reazione, così lasciai andare il bordo e me la trovai in braccio, con le mani che la sorreggevano per il culone e con la pancia solleticata dai suoi peli pubici.
Ero quasi sul punto di metterle la lingua in bocca ma una specie di sesto senso mi fece fermare, e forse fu un bene perché non era quello che voleva.
Ridacchiò senza motivo e finalmente mi disse “Ti danno fastidio?” riferendosi ai suoi peli sulla mia pancia.
Scossi la testa senza che si fermasse nei suoi movimenti, e allora con le mani cominciai a darmi da fare palpandole il culone e aprendole le chiappe ma senza poter “esplorare” i suoi tesori perché c’era troppo materiale di mezzo…
Restammo in quella posizione piuttosto scomoda (per me) forse per tre o quattro minuti, poi Alessia si staccò e prendendomi la mano mi portò verso l’altra scaletta, dove l’acqua era più bassa, e ridacchiando la afferrò e salì facendomi vedere praticamente tutto: il buco del culo scuro, peloso e abbondantemente aperto, la figa altrettanto pelosa ma sorprendentemente “sigillata”, con le grandi labbra appena dischiuse, e due chiappe così grosse che per farne una delle sue ce ne volevano tre di Erika!
Si fece vedere esposta senza il minimo problema, attese che salissi anch’io e prendendomi nuovamente per mano mi portò dentro, incurante del fatto che stavamo bagnando dappertutto, e dopo aver chiuso la porta a vetri mi fece cenno di seguirla al piano di sotto.
Rideva come una scema, io invece ero così teso e pieno di dubbi che non riuscivo a godermi il momento.
C’era una stanza con dentro un letto e un paio di comodini e una specie di cassettiera, forse un abbozzo di camera per gli ospiti, e Alessia ormai senza più alcun timore si gettò sul letto rotolando… lussuriosamente, si mise in ginocchio con le tettone che le penzolavano sotto e si mise a ridere ricadendo a pancia in giù come un sacco di patate.

Fine prima parte.
Se piace, a breve posto la seconda...
Gran bel racconto, complimenti. Se vuoi aggiungi pure il seguito che la prima parte suscita tanta curiositĂ ...
 

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