IL CLUB DEGLI AMICI (Capitolo II – L’idea del sito)

suntopless

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Di seguito il secondo capitolo (di sedici) de "Il Club degli Amici".

Per il nostro primo rapporto a tre oppure a quattro, ancora non lo sapevamo, pensavamo di coinvolgere un estraneo, una persona che non conoscevamo. Ma anche in questo caso avevamo grossi dubbi. Andare in un locale per scambisti ci sembrava troppo freddo. Avevamo anche paura di incontrare gente che ci forzasse mentre noi volevamo poterci fermare quando volevamo, anche all’ultimo istante, se non fossimo stati del tutto convinti di quello che stavamo facendo. Pensammo ad internet. Ma anche lì, frequentando alcuni siti, alcuni forum, ci rendemmo conto che le chiacchiere erano tante, ma i fatti non tantissimi. E comunque anche lì non trovavamo quelle risposte adatte alle nostre esigenze.
Riflettendo più volte sul come potere attuare il nostro piano, soprattutto in tranquillità e sicurezza, mi venne infine un’idea. La riferii a Yoko che ne fu entusiasta e con la quale studiammo ogni minimo dettaglio per la realizzazione.
L’idea era semplice e complessa allo stesso tempo. Avremmo creato un sito tutto nostro che ovviamente avremmo pubblicizzato sui vari siti, blog e forum che avevamo conosciuto in precedenza. In questo sito avremmo spiegato cosa volevamo fare. Ma cosa volevamo fare? Semplice, volevamo creare un club. Ma non un club come quelli esistenti di scambisti e situazioni analoghe. Volevamo un circolo aperto ai soli soci, dove potersi incontrare in forma assolutamente anonima, disciplinato da delle regole ferree circa la possibilità di associarsi, rispettoso delle più elementari regole di riservatezza, pulizia e perché no anche di sicurezza medica. Il club avrebbe avuto una sua sede, un suo regolamento, un numero chiuso di soci, un sito come punto di apertura verso eventuali nuovi soci ed al suo interno un’area riservata quale punto di incontro ed informazione per i soli associati. Lì, all’interno del circolo, ogni socio avrebbe potuto tradurre in realtà ogni fantasia sessuale, rispettando la libertà altrui e delle semplici regole di educazione ed igiene. Ogni inibizione sarebbe dovuta rimanere all’esterno del club. Sembrava facile a dirsi il nostro progetto, ma vi assicuro che non fu assolutamente agevole organizzare il tutto. Non fu semplice creare il sito, promozionarlo in giro, spiegare in modo conciso e chiaro, sia sul sito che via e-mail a tutti coloro i quali ci scrivevano per chiedere maggiori informazioni, tutto quello che volevamo costruire. Ma dopo un bel po’ di tempo, di impegno, di fatica, riuscimmo a creare una cerchia di probabili soci che sembravano avere tutte le carte in regola per far parte del nostro club. Fra gli altri requisiti, ovviamente ce n’era uno indispensabile: quello della zona di residenza. Gli aspiranti soci dovevano essere tutti residenti nella nostra provincia o quantomeno in una provincia confinante. Non avrebbe avuto alcun senso dar vita ad un club con dei soci talmente lontani da non riuscire a frequentare regolarmente gli incontri che si sarebbero organizzati in futuro!
Riuscii addirittura a prendere i contatti con una agenzia per affittare una bella villetta, mica tanto piccola poi, poco fuori città quale sede del club. Feci un piccolo preventivo delle spese di gestione: affitto, arredamenti, gestione del sito, almeno una collaboratrice per le serate degli incontri nonché per le pulizie, per i materiali vari di consumo etc. Scambiammo via e-mail tutte le informazioni possibili, accogliendo anche diversi suggerimenti che ci giungevano dagli aspiranti soci, e quando ci ritenemmo pronti per partire cominciai personalmente con l’avvio dell’operazione.
Affittai la villa, procurai con l’aiuto di Yoko i diversi arredamenti e sempre con il suo aiuto riuscii anche a trovare una persona di fiducia, Maria, alla quale affidare l’incarico della gestione materiale del club. Lei sarebbe stata incaricata delle pulizie nei giorni di chiusura del club, ma soprattutto nei giorni degli incontri sarebbe stata incaricata di aprire i cancelli della villa solo e soltanto ai soci che si sarebbero fatti riconoscere mediante una parola d’ordine diversa per ciascuna coppia associata.
Maria era una donna di una cinquantina d’anni un po’ bassa, un po’ in carne, con due tette enormi, sembrava avere una quinta di seno, evidentemente poco curata, ma che in passato probabilmente era stata una donna piacente. Sposata con un ometto grassoccio di qualche anno più grande di lei, aveva anche due figli ormai quasi adulti.
L’approccio, con mia grande sorpresa, fu tutta opera di Yoko che la contattò, la incontrò, le spiegò chiaramente senza nulla omettere (che faccia tosta!) i fini del club ed infine le offrì quel posto di lavoro. Maria, anche se sembrava una donna tutta d’un pezzo, magari un po’ all’antica, anche se un po’ sorpresa dapprima dalla strana finalità del club ma soprattutto dal fatto che una proposta del genere gliela stava facendo proprio Yoko, una donna che conosceva da anni e della quale non sospettava minimante questa seconda vita (che ancora doveva cominciare per la verità), quasi senza nessuna resistenza accettò il suo nuovo incarico.
Cominciai quindi le convocazioni. Convocai ogni coppia di aspiranti soci, una per volta, facendo presente che sarebbero state ammesse solo e soltanto le coppie regolarmente sposate. In questo momento ebbi qualche sorpresa: qualche uomo si presentò da solo, qualche altro con l’amante, qualcuno addirittura neanche si presentò. Ma misi tutto in chiaro e subito! Ogni volta ponevo davanti alla coppia il regolamento, lo leggevamo insieme, lo commentavamo, lo spiegavo nei minimi dettagli. Soprattutto mi soffermai sul fatto che si sarebbe trattato di un club dove sarebbero stati assolutamente esclusi i mercenari, dove per potersi associare occorreva presentare a me un regolare certificato di matrimonio unitamente ad una copia dei documenti personali nonché un certificato medico per ciascun componente la coppia dal quale si evincesse l’ottimo stato di salute, anche e soprattutto relativamente alle malattie sessualmente trasmissibili.
Spiegai che l’unico a conoscere le reali identità dei soci sarei stato soltanto io in qualità di amministratore del club. Ogni socio avrebbe avuto un nome, un semplice nome di battesimo, che poteva corrispondere con il reale nome, ma che poteva anche essere un nome di fantasia. Tutti gli altri soci lo avrebbero conosciuto solo e soltanto con quel nome.
Feci una sorta di intervista ad ognuno di loro: spiegai che in qualità di amministratore e responsabile sia del club che di ciascun associato dovevo sapere il più possibile di loro, sia della loro vita sociale che delle loro esperienze e delle loro preferenze, anche sessuali. Schedai tutto e tutti con una precisione maniacale.
Da ogni coppia mi feci firmare il regolamento e la domanda di iscrizione al club precisando che l’iscrizione si sarebbe perfezionata soltanto al ricevimento dei documenti e certificati medici precisati prima. In ultimo da ciascuno di loro mi feci consegnare un assegno, un sostanzioso assegno, quale quota di iscrizione annua. Su quest’ultimo punto ero stato abbastanza chiaro sin dalle prime e-mail: un’associazione di questo tipo avrebbe dovuto sostenere delle cifre importanti come spese, ma sembrava non essere un grande ostacolo per molte coppie. Per il piacere, soprattutto quello a sfondo sessuale, il denaro non sembrava essere un problema per la maggior parte delle coppie interessate al club.
Finito il primo giro di colloqui, tirai le somme e mi accorsi che tutto sommato la nascita del club era possibile: arrivavamo appena a coprire le spese, non saremmo riusciti a creare nessun piccolo fondo cassa per gli imprevisti, né per l’organizzazione di eventi particolari, ma intanto potevamo cominciare. Speravo che con l’andar del tempo si sarebbero uniti altri nuovi soci e con quei nuovi fondi avremmo potuto pensare a realizzare anche altre cose.

CONTINUA . . .

Capitolo III
 
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