leo62
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cari amici, ripropongo due miei racconti che tempo fa avevo postato qui ma che sono andati perduti perduti in non so quale incendio informatico. Se troverò lettori interessati e curiosi inserirò l'ultima parte del racconto, la più lunga, che ho scritto la scorsa estate. Altrimenti niente. grazie della Vostra attenzione, Leo62
Signora Play
Lei lo disse pacata e assecondando col culo il sondare impudico del mio dito. Lì suo marito la impiastricciava di burro e la forzava, appena il tempo per far coincidere l'inizio con la fine. A nulla valeva la preventiva doppia protezione nella speranza dell'effetto ritardante. Lui la lasciava prona e unta a disattendere le aspettative. Per l'igiene di lui sarebbero dovuti passare almeno tre giorni di astinenza prima del prossimo tentativo.
Da qui la sua meraviglia quando davanti allo specchio del bagno, dopo ore di baci, strofinii e lente stantuffate in fica, mentre si sistemava i capelli prima di andare via, la sorpresi da dietro sollecitando un ultimo refrain del nostro primo pomeriggio. Tirati giù i pantaloni, piegandosi, lei stessa scostò lo slip, e stretta per i fianchi, ancora umida, me ne saziai di più, lasciando l'indice, di tanto in tanto, sortire alla rosetta.
Ero pronto ad avvertire un suo fastidio, ad obbedire ad ogni sua richiesta di sviare i propositi, invece, con i suoi movimenti e con la storia del marito dimostrò di gustare l'attenzione. Tutt'al più non avrebbe sopportato di rimanere imburrata per niente. Disse proprio così. Imburrata. Ed io sentii montare dolce e schizzai fuori, su le sue chiappe. Non si asciugò né si pulì le natiche, perché si mantenesse il ricordo, disse.
Per due settimane fu il mio pensiero fisso. Poi una mattina ci rivedemmo. A casa sua. Nel soggiorno lei mi aveva sfibbiato la cinta, sbottonato i pantaloni e, senza perdere altro tempo, aveva dato bocca all'attrezzo. Non era brava ma Diciamo che la sua schietta disposizione e il tepore orale… sboccai subito. Tossì, sputò in un posacenere, e si ripulì le labbra con un fazzoletto che le trovai. Non se lo aspettava. Io nemmeno. Un po' scocciato, le dissi che poteva avvertirmi che non le andava. Lei ad occhi bassi mi rispose che nessuno lo aveva fatto prima d'ora. Eravamo già scombinatissimi e sudati.
Mi portò nella stanza da letto. Era buia, linee di luce filtravano dalla serranda. Accese il condizionatore d'aria, suo marito lo aveva fatto istallare giorni prima, e finì di togliermi i pantaloni e la camicia. Rimasi in mutande, lei quel giorno sotto la gonna non ne indossava. Aveva ventisette anni e un corpo da ragazzina. Gambe secche e sottili, ventre piatto, glutei piccoli e sodi. Il seno abbondante, un po' cadente. Le smagliature dell'allattamento, giustificò senza che avessi fatto alcun commento. Continuai a guardarla. Occhi verdi, zigomi alti e riccetti biondi. Sorrise.
L'attraversai più volte con la lingua. Le succhiai il succhiabile. Provai il grilletto con le labbra, appena con i denti e la punta della lingua. Apprezzò, mi tolse le mutande e riabboccò. La fermai in tempo. Tornai generoso e lungo, assestando i colpi e svicolando con le dita verso il centro delle sue chiappe. Ritmava stupore e voglia in sintonia. Le dissi che l'avrei presa lì. Scattò prona a testa in giù col sedere proteso bene in alto. Le accarezzai i capelli. Mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai che sarebbe stato carino se me lo avesse chiesto lei. Esitò. L'incoraggiai. Cercai i suoi capezzoli. Prima uno e poi l'altro, lasciai che giocassero di gravità sul palmo della mano. Li pizzicai appena. Ancora le chiesi di essere carina. E col pollice della sinistra tastai il bersaglio. Disse: -Voglio essere inculata.- così, due volte. E poi ancora, come l'inizio di una cantilena e dondolandosi. Per farla smettere la baciai sulle labbra. La distesi sul fianco. Col palmo della mano la allargai. Dovevo prepararla con qualcosa ma non volevo ripetere le abitudini alimentari di suo marito. Mi indicò l'armadietto del bagno. Lì la luce era abbagliante. Trovai latte detergente, balsamo di non so cosa, baby olio e una scatola tonda con una crema alla glicerina. Scelsi quella. Lei approvò ma rifiutò categoricamente di schiudere e tenersi aperte le chiappe. Lo feci io con la sinistra mentre con la destra le spalmai l'unguento. Sospirò. La provai un paio di volte. La sentii stringere senza convinzione. Indice e medio entrarono e uscirono con facilità. Mi distesi dietro e le puntai l'atteso in sede. Si aprì. Lo spinsi dentro, chiuse e lo fece scivolare fuori. Mugolò. Mi misurai con altri tre piccoli colpi consecutivi e decisi. Si aprì alla punta, scivolai dentro, chiuse, riaprì. Mi risucchiò. Torcendosi riprese a cantilenare. Iniziai a carrellare. Implorò l'incomprensibile. Ero in un morbido manicotto senza fondo. Accelerai lentamente sino a raggiungere un ritmo profittevole. Si allontanava, ritornava, si tratteneva appena rollando, si allontanava e rinculava ancora. Concluse con un paio di scosse, palpitando nel ventre e gridando. Cercai di pizzicarle un capezzolo ma mi allontanò la mano con sdegno. Ansimava. Le accarezzai il ventre e rinserrò le cosce. Affondai senza ritegno e il ritmo risalì. La sentii, grata e piena. Ci presi gusto a trattenermi, oltretutto non sentivo l'urgenza di svuotarmi. La posizione laterale, di fianco, favoriva il riposo. Fu come una scarrozzata estiva, una gita in calesse in un borgo di periferia, proprio per far contento nonno e nonna alle rovine etrusche o agli scavi di Pompei o a Fiesole o in qualche raro boschetto siciliano o a Hammamet, si, si a mare tra le onde… Venni con quanto mi era rimasto e sgusciai via. Lei si ricompose a pancia sotto ed io verificai il mio operato. Era un bocciolo appena dischiuso e umido. Mi chiese cosa stessi guardando. Non risposi. insistette e le diedi due schiaffetti sulle chiappe. Accennò a sculettare, ma ero già alzato e mi avviavo verso il bagno. Sentii due piccoli peti alla mie spalle appena superata la porta, nella luce decisa prepotente e tiepida.
Signora Play
Lei lo disse pacata e assecondando col culo il sondare impudico del mio dito. Lì suo marito la impiastricciava di burro e la forzava, appena il tempo per far coincidere l'inizio con la fine. A nulla valeva la preventiva doppia protezione nella speranza dell'effetto ritardante. Lui la lasciava prona e unta a disattendere le aspettative. Per l'igiene di lui sarebbero dovuti passare almeno tre giorni di astinenza prima del prossimo tentativo.
Da qui la sua meraviglia quando davanti allo specchio del bagno, dopo ore di baci, strofinii e lente stantuffate in fica, mentre si sistemava i capelli prima di andare via, la sorpresi da dietro sollecitando un ultimo refrain del nostro primo pomeriggio. Tirati giù i pantaloni, piegandosi, lei stessa scostò lo slip, e stretta per i fianchi, ancora umida, me ne saziai di più, lasciando l'indice, di tanto in tanto, sortire alla rosetta.
Ero pronto ad avvertire un suo fastidio, ad obbedire ad ogni sua richiesta di sviare i propositi, invece, con i suoi movimenti e con la storia del marito dimostrò di gustare l'attenzione. Tutt'al più non avrebbe sopportato di rimanere imburrata per niente. Disse proprio così. Imburrata. Ed io sentii montare dolce e schizzai fuori, su le sue chiappe. Non si asciugò né si pulì le natiche, perché si mantenesse il ricordo, disse.
Per due settimane fu il mio pensiero fisso. Poi una mattina ci rivedemmo. A casa sua. Nel soggiorno lei mi aveva sfibbiato la cinta, sbottonato i pantaloni e, senza perdere altro tempo, aveva dato bocca all'attrezzo. Non era brava ma Diciamo che la sua schietta disposizione e il tepore orale… sboccai subito. Tossì, sputò in un posacenere, e si ripulì le labbra con un fazzoletto che le trovai. Non se lo aspettava. Io nemmeno. Un po' scocciato, le dissi che poteva avvertirmi che non le andava. Lei ad occhi bassi mi rispose che nessuno lo aveva fatto prima d'ora. Eravamo già scombinatissimi e sudati.
Mi portò nella stanza da letto. Era buia, linee di luce filtravano dalla serranda. Accese il condizionatore d'aria, suo marito lo aveva fatto istallare giorni prima, e finì di togliermi i pantaloni e la camicia. Rimasi in mutande, lei quel giorno sotto la gonna non ne indossava. Aveva ventisette anni e un corpo da ragazzina. Gambe secche e sottili, ventre piatto, glutei piccoli e sodi. Il seno abbondante, un po' cadente. Le smagliature dell'allattamento, giustificò senza che avessi fatto alcun commento. Continuai a guardarla. Occhi verdi, zigomi alti e riccetti biondi. Sorrise.
L'attraversai più volte con la lingua. Le succhiai il succhiabile. Provai il grilletto con le labbra, appena con i denti e la punta della lingua. Apprezzò, mi tolse le mutande e riabboccò. La fermai in tempo. Tornai generoso e lungo, assestando i colpi e svicolando con le dita verso il centro delle sue chiappe. Ritmava stupore e voglia in sintonia. Le dissi che l'avrei presa lì. Scattò prona a testa in giù col sedere proteso bene in alto. Le accarezzai i capelli. Mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai che sarebbe stato carino se me lo avesse chiesto lei. Esitò. L'incoraggiai. Cercai i suoi capezzoli. Prima uno e poi l'altro, lasciai che giocassero di gravità sul palmo della mano. Li pizzicai appena. Ancora le chiesi di essere carina. E col pollice della sinistra tastai il bersaglio. Disse: -Voglio essere inculata.- così, due volte. E poi ancora, come l'inizio di una cantilena e dondolandosi. Per farla smettere la baciai sulle labbra. La distesi sul fianco. Col palmo della mano la allargai. Dovevo prepararla con qualcosa ma non volevo ripetere le abitudini alimentari di suo marito. Mi indicò l'armadietto del bagno. Lì la luce era abbagliante. Trovai latte detergente, balsamo di non so cosa, baby olio e una scatola tonda con una crema alla glicerina. Scelsi quella. Lei approvò ma rifiutò categoricamente di schiudere e tenersi aperte le chiappe. Lo feci io con la sinistra mentre con la destra le spalmai l'unguento. Sospirò. La provai un paio di volte. La sentii stringere senza convinzione. Indice e medio entrarono e uscirono con facilità. Mi distesi dietro e le puntai l'atteso in sede. Si aprì. Lo spinsi dentro, chiuse e lo fece scivolare fuori. Mugolò. Mi misurai con altri tre piccoli colpi consecutivi e decisi. Si aprì alla punta, scivolai dentro, chiuse, riaprì. Mi risucchiò. Torcendosi riprese a cantilenare. Iniziai a carrellare. Implorò l'incomprensibile. Ero in un morbido manicotto senza fondo. Accelerai lentamente sino a raggiungere un ritmo profittevole. Si allontanava, ritornava, si tratteneva appena rollando, si allontanava e rinculava ancora. Concluse con un paio di scosse, palpitando nel ventre e gridando. Cercai di pizzicarle un capezzolo ma mi allontanò la mano con sdegno. Ansimava. Le accarezzai il ventre e rinserrò le cosce. Affondai senza ritegno e il ritmo risalì. La sentii, grata e piena. Ci presi gusto a trattenermi, oltretutto non sentivo l'urgenza di svuotarmi. La posizione laterale, di fianco, favoriva il riposo. Fu come una scarrozzata estiva, una gita in calesse in un borgo di periferia, proprio per far contento nonno e nonna alle rovine etrusche o agli scavi di Pompei o a Fiesole o in qualche raro boschetto siciliano o a Hammamet, si, si a mare tra le onde… Venni con quanto mi era rimasto e sgusciai via. Lei si ricompose a pancia sotto ed io verificai il mio operato. Era un bocciolo appena dischiuso e umido. Mi chiese cosa stessi guardando. Non risposi. insistette e le diedi due schiaffetti sulle chiappe. Accennò a sculettare, ma ero già alzato e mi avviavo verso il bagno. Sentii due piccoli peti alla mie spalle appena superata la porta, nella luce decisa prepotente e tiepida.