Kurt Menliff
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Rimettendo in ordine degli scritti, ho trovato una specie di diario, dove la mia ex moglie, riportava i suoi trascorsi amorosi, prima di mettersi con me. Siamo ormai divisi da quattro anni e lei è andata al di là dell’oceano. Mi capita, a volte, di ricordarne la troiaggine, oltre al suo fascino. Per questo ho pensato di postare qualche fatto, come raccontato da lei. Ditemi come vi sembrano. Innanzitutto Lory è una splendida donna, 36 anni, di altezza media, ma molto intrigante e con un viso ed un corpo perfetto, gambe lunghe, 3^ di seno, un culo da favola; sempre allegra e disponibile. All’epoca aveva 23 anni.
….Mi avevano avvertita che la sera ci sarebbe stata una piccola cena e sarebbe venuto anche lui, dovevamo andare giù alla Vecchia Cascina, fuori dal paese.
Tuttavia, quando verso le otto siamo arrivate noi ragazze, già c’erano alcuni della compagnia e c’era anche lui, bellissimo, come al solito, che era stato tutto il giorno a pescare insieme a Marco. Era infatti del tutto abbronzato, il viso rosso e lo sguardo un po’ stanco. Anzi, aveva detto di non stare molto bene e che sarebbe andato via presto. Mi ha salutato con il suo splendido sorriso, ma non è stato molto espansivo, anzi, mi ha dato l’impressione di essere piuttosto annoiato e non molto contento di vedermi: mi sarei aspettato che mi abbracciasse e mi facesse festa, invece c’è stato solo un ciao svogliato. E’ rimase a parlare con i maschi, ignorando noi ragazze e specialmente me. Noi, le donne ci sedemmo intorno al tavolo e lui era dalla parte opposta a dove mi ero seduta e ci scambiai poche parole. Verso le dieci e mezza, disse che era stanchissimo e che se ne sarebbe andato a casa, non era in forma e ci salutò tutti con un arrivederci a domani.
La serata è continuata tra scherzi, risate e battute varie. Io non ero molto su di giri, anzi ero arrabbiata e triste; mi aspettavo una serata splendida e, invece, lui non mi aveva quasi preso in considerazione e dopo se ne era andato. Volevo andare via anche io, delle mie ansie nessuno se ne era accorto, solo lo sguardo di Marco, ogni tanto si rivolgeva a me, ma poi le chiacchiere riprendevano il corso generale. Finito di cenare, mentre qualcuno sparecchiava, eravamo usciti fuori nella notte nella campagna. Chi fumava, molti chiacchieravano ed io mi ero spostata fino a dove avevo parcheggiata la macchina lungo il viottolo a fianco della roggia. Mentre ero lì, Marco si avvicinato e ha attaccato discorso:
”Triste” mi fa.” Guarda, aggiunse, non è che ti trascura, ma oggi ha preso troppo sole, aveva mal di testa e perciò è andato via, vedrai sabato pomeriggio ci si vede ancora e tornerà tutto come prima”.
Io ero triste, ma non sapevo cosa dire e se dirlo a Marco. E’ vero lo conoscevo da anni, avevamo fatto parte delle stessa compagnia quando eravamo ragazzi, si andava e ballare, alle feste e così via. Lui non era il mio tipo, almeno lo pensavo. Era famoso perché alle feste quando si ballava, lui si stringeva sempre e spingeva per farti sentire cosa aveva sotto. Ma nessuna ragazza se l’era mai presa, sembrava quasi un vezzo, uno scherzo. Però per il resto era sempre stato un simpatico amico, ma nulla di più. Adesso tuttavia, preferivo parlare con lui che conosceva la cosa, piuttosto che con quelle oche delle mie amiche o con gli altri che ridevano e facevano solo chiasso. Mi ero appoggiata alla macchina, con le spalle contro lo sportello del passeggero, così avevo la macchina posta tra me e gli altri oltre la roggia, lui mi è venuto vicino, si è messo di fronte a me e ha cominciato a parlare di me, della mia storia, di lui stesso, della sua donna con cui non andava molto d’accordo e di come dell’intera compagnia solo lui aveva capito la sbandata che avevo preso per questo amore, che si rivelava così difficile da gestire. Sapeva parlare bene, era convincente e dava l’idea di fare tifo per me. Ogni tanto sorrideva e mi aveva fatto un paio di carezze sul viso, con complicità ed un senso si amicizia, poi mi aveva messo le mani sopra i fianchi. Era bella la sensazione che provavo. A dir la verità , una paio di volte ha spinto avanti il bacino contro me, come faceva quando ballavamo e si sentiva il duro del suo uccello, ma poi l’ ha ritirato e si è messo a parlare di nuovo. Parlavamo e parlavamo, mentre gli altri cominciavano ad andare via, ognuno prendeva la sua macchina e andava via dopo aver salutato. Come per sottrarci alle chiacchiere di chi era rimasto, ci siamo allontanati dalle macchine e ci siamo incamminati lungo il viottolo verso la vallata, parlando nel buio, che non era assoluto, anzi una luna molto luminosa rendeva chiara e limpida la notte.
Dopo un paio di curve eravamo lontani dalla cascina e dal resto della compagnia. Io tacevo, lui continuava a parlare e spiegarmi come la cosa era semplice e come non dovessi pensare che tutto era finito, ma in ogni caso, dovevo essere sempre autonoma e imparare a condurre il gioco e a cercare le mie soddisfazioni. Ad un tratto ha chiesto di sederci lungo il bordo della roggia, un po’ lontano dal viottolo, L’erba era stata tagliata e non c’era ancora la rugiada e ci si poteva sedere bene. Ci siamo seduti guardando la roggia, che scorreva con un leggero mormorio d’acqua, l’uno a fianco dell’altra e abbiamo continuat a parlare. Cominciavo a sentirmi meglio: non avevo più il cuore gonfio di dolore, anzi mi sembrava di trasognare alquanto. Marco aveva preso una mano e me l’aveva posta sulle spalle e mi aveva tratto un po’ a sé. Sentivo l’odore di sigaretta e di colonia che emanava, un odore di buono, anche piuttosto intrigante. Ho abbassato la testa e l’ho posata sulla sua spalla. Era bello stare così, era un modo di riprendere il controllo dei miei sentimenti e delle frustrazioni. Ad un certo punto ha girato la testa verso di me e mi ha dato un bacio leggero sulla guancia, un gesto di familiarità e di simpatia. Mi era piaciuto, non sembrava avere altri fini che trasmettere solidarietà e simpatia. Poi, ci ha riprovato ancora cercando però la mia bocca ed io l’ho girata verso di lui e l’ho baciato con trasporto. Ecco come al solito, quando ero vicino ad un maschio non riuscivo più a controllarmi. Il bacio è stato lungo e le lingue si frugavano in bocca per un bel po. Poi lui ha spostato una mano sul mio seno e ha cominciato e soppesarlo, cercando con le dita i capezzoli e facendoli venire duri. Io ho cominciato a bagnarmi. Certo da sopra la camicetta non era molto agevole.
Io mi stringevo a lui come ad un’ancora di salvezza, gustavo il sapore dei suoi baci e mi piacevano le sue mani che mi frugavano, adesso non solo nella camicetta, ma anche nei jeans. Avevo posto la mano sul suo inguine e sentivo il duro ed il grosso della sua virilità . Siamo andati avanti per un bel po’, poi mi sono ricomposta per riprendere un po’ il fiato. Lui mi guardava con adorazione, uno sguardo pieno di affetto e di complicità , non era l’amico che ci provava con la donna del suo amico, ma eravamo due assenti, presi dalla loro gioia e dal proprio piacere, che non facevano nulla contro nessuno e si davano solo una forza reciproca.
Io poi mi sono sdraiata supina, ho chiuso gli occhi, ma sentivo il suo corpo vicino e il suo sguardo sopra di me. Piano piano mi ha aperto la camicetta. Ha slacciato il reggiseno e ha baciato le mie tette che ergevano ritti i capezzoli. Ho riaperto gli occhi ho visto la sua faccia sopra di me, un sorriso intrigante e un po’ sardonico. Poi si è risieduto e si è tolto la camicia e la canottiera e si è riabbassato su di me. Era pelosissimo, sentivo i peli che sfregavano sul corpo, il suo alito caldo, le mani che mi frugavano. Ansimavo, non capivo più niente, non sapevo come ne saremmo venuti fuori. Poi mi ha sbottonato i jeans e me li ha tolti, così come mi ha tolti gli slip- Sentivo il fresco della notte sul mio corpo, poi in un attimo si è tolto tutti i vestiti anche lui e si è in ginocchiato tra le mie gambe allargate. Lo vedevo alto davanti a me, con il pene ritto che ondeggiava e mi puntava contro. Era gigantesco. Avrei voluto andare via, ma ero bloccata e volevo anche restare per vedere cosa mi avrebbe fatto quel randello che ondeggiava. Poi lui ha preso una mia mano e l’ha portata intorno al suo cazzo: la pelle era morbida, mentre la mazza era dura come il muro. Le dita lo circondavano a fatica. Ansimavo e restavo abbacinata dallo spettacolo. Ero bagnatissima, colavo e colavo. Lui si è abbassato, le braccia a fianco delle mie, l’uccello messo vicino alla figa bagnata e vogliosa, ed io allora l’ho preso con una mano e me lo sono infilata dentro. Che bello, era grosso, lungo, duro e mi riempiva tutta. Lui piano piano si muoveva con ritmo e con sapienza, avvertivo ondate di piacere che si irradiavano dal ventre e si diffondevano per tutto il corpo. Il respiro era difficile, senza controllo, stavo quasi per gridare. Lui si è abbassato e mi ha schiacciato con il corpo, mentre con la bocca chiudeva la mia per impedirmi di fare troppo chiasso. Mi sembrava di perdere la cognizione del tempo, solo volevo che non finisse mai. Non so per quanto tempo è andato avanti, con spinte decise, forti e poi dolci, affrettandosi o rallentando, mentre io non capivo più niente. Poi ho sentito il suo respiro farsi veloce e lui tremare un po’ e poi accasciarsi, abbandonandosi sopra di me. Poi si è messo supino con il respiro affannato. Ho allungato una mano e glielo ho cercato e l’ho stretto nelle mani, era morbido, tenero, non era più minaccioso, ma complice e innocente. Siamo rimasti un po’ così per riprendere le forze. Lui mi ha baciato, poi quando mi sono tirata su a sedere e l’ho guardato, ho visto il suo sorriso, da conquista, mi ha preso la testa e piano piano l’ha portata sopra il suo cazzo che si stava di nuovo indurendo.
“ Dai leccalo, lo saprai fare benissimo”.
Mi ha un po’ offeso, ma mi sono abbassata e glielo ho preso in bocca. Aveva un sapore buono, la consistenza era piacevole e mentre cresceva ho cominciato a ciucciarglielo con foga fino a quando è diventato di nuovo duro. Si è sdraiato sulle spalle e mi ha detto di cavalcarlo. Mi sono messa a cavalcioni, poi con la mano l’ho preso e l’ho infilato dentro, mentre lui allargava le piccole labbra. Di nuovo è stato bellissimo, era grandioso comandare il gioco, sentire la sua profondità come mi portavo in fondo o mi ritiravo. L’ho baciato poi mi sollevavo e lui mi baciava i seni, oppure me li pastrugnava con piacere. Siamo andati avanti per un bel po’, fino a quando lui si è inarcato e mi sono sentita dentro gli schizzi di sperma che si sbattevano via contro il collo dell’utero e l’intera vagina. Poi mi sono adagiata sul suo petto, il volto contro i peli del petto, duri e scurissimi. Sentivo poi il pene che si ritirava fino ad uscire fuori dalla mia figa. Ci siamo puliti senza parlare, entrambi stanchi e appagati. Poi ci siamo rivestiti e lui alzatosi mi ha teso la mano per farmi alzare a mia volta e poi mi ha abbracciato e mi ha baciato con profondità . Ci siamo riavviati verso dove erano rimaste le macchine. Ha detto, sorridendomi ” questo è un nostro segreto, solo nostro, nessuno mai saprà nulla.” Mano nella mano siamo tornati davanti alla cascina. Non c’era più nessuno. Un ultimo bacio, lungo e appassionato, un saluto ed un sorriso, poi ognuno è risalito in macchina e siamo partiti. Avevo il volto in fiamme, ero un po’ vergognosa, ma molto soddisfatta. Sarebbe stato un segreto che avrei conservato sempre in me. Se fossi stata infelice, quella camporellata sarebbe stato un felice ricordo.
….Mi avevano avvertita che la sera ci sarebbe stata una piccola cena e sarebbe venuto anche lui, dovevamo andare giù alla Vecchia Cascina, fuori dal paese.
Tuttavia, quando verso le otto siamo arrivate noi ragazze, già c’erano alcuni della compagnia e c’era anche lui, bellissimo, come al solito, che era stato tutto il giorno a pescare insieme a Marco. Era infatti del tutto abbronzato, il viso rosso e lo sguardo un po’ stanco. Anzi, aveva detto di non stare molto bene e che sarebbe andato via presto. Mi ha salutato con il suo splendido sorriso, ma non è stato molto espansivo, anzi, mi ha dato l’impressione di essere piuttosto annoiato e non molto contento di vedermi: mi sarei aspettato che mi abbracciasse e mi facesse festa, invece c’è stato solo un ciao svogliato. E’ rimase a parlare con i maschi, ignorando noi ragazze e specialmente me. Noi, le donne ci sedemmo intorno al tavolo e lui era dalla parte opposta a dove mi ero seduta e ci scambiai poche parole. Verso le dieci e mezza, disse che era stanchissimo e che se ne sarebbe andato a casa, non era in forma e ci salutò tutti con un arrivederci a domani.
La serata è continuata tra scherzi, risate e battute varie. Io non ero molto su di giri, anzi ero arrabbiata e triste; mi aspettavo una serata splendida e, invece, lui non mi aveva quasi preso in considerazione e dopo se ne era andato. Volevo andare via anche io, delle mie ansie nessuno se ne era accorto, solo lo sguardo di Marco, ogni tanto si rivolgeva a me, ma poi le chiacchiere riprendevano il corso generale. Finito di cenare, mentre qualcuno sparecchiava, eravamo usciti fuori nella notte nella campagna. Chi fumava, molti chiacchieravano ed io mi ero spostata fino a dove avevo parcheggiata la macchina lungo il viottolo a fianco della roggia. Mentre ero lì, Marco si avvicinato e ha attaccato discorso:
”Triste” mi fa.” Guarda, aggiunse, non è che ti trascura, ma oggi ha preso troppo sole, aveva mal di testa e perciò è andato via, vedrai sabato pomeriggio ci si vede ancora e tornerà tutto come prima”.
Io ero triste, ma non sapevo cosa dire e se dirlo a Marco. E’ vero lo conoscevo da anni, avevamo fatto parte delle stessa compagnia quando eravamo ragazzi, si andava e ballare, alle feste e così via. Lui non era il mio tipo, almeno lo pensavo. Era famoso perché alle feste quando si ballava, lui si stringeva sempre e spingeva per farti sentire cosa aveva sotto. Ma nessuna ragazza se l’era mai presa, sembrava quasi un vezzo, uno scherzo. Però per il resto era sempre stato un simpatico amico, ma nulla di più. Adesso tuttavia, preferivo parlare con lui che conosceva la cosa, piuttosto che con quelle oche delle mie amiche o con gli altri che ridevano e facevano solo chiasso. Mi ero appoggiata alla macchina, con le spalle contro lo sportello del passeggero, così avevo la macchina posta tra me e gli altri oltre la roggia, lui mi è venuto vicino, si è messo di fronte a me e ha cominciato a parlare di me, della mia storia, di lui stesso, della sua donna con cui non andava molto d’accordo e di come dell’intera compagnia solo lui aveva capito la sbandata che avevo preso per questo amore, che si rivelava così difficile da gestire. Sapeva parlare bene, era convincente e dava l’idea di fare tifo per me. Ogni tanto sorrideva e mi aveva fatto un paio di carezze sul viso, con complicità ed un senso si amicizia, poi mi aveva messo le mani sopra i fianchi. Era bella la sensazione che provavo. A dir la verità , una paio di volte ha spinto avanti il bacino contro me, come faceva quando ballavamo e si sentiva il duro del suo uccello, ma poi l’ ha ritirato e si è messo a parlare di nuovo. Parlavamo e parlavamo, mentre gli altri cominciavano ad andare via, ognuno prendeva la sua macchina e andava via dopo aver salutato. Come per sottrarci alle chiacchiere di chi era rimasto, ci siamo allontanati dalle macchine e ci siamo incamminati lungo il viottolo verso la vallata, parlando nel buio, che non era assoluto, anzi una luna molto luminosa rendeva chiara e limpida la notte.
Dopo un paio di curve eravamo lontani dalla cascina e dal resto della compagnia. Io tacevo, lui continuava a parlare e spiegarmi come la cosa era semplice e come non dovessi pensare che tutto era finito, ma in ogni caso, dovevo essere sempre autonoma e imparare a condurre il gioco e a cercare le mie soddisfazioni. Ad un tratto ha chiesto di sederci lungo il bordo della roggia, un po’ lontano dal viottolo, L’erba era stata tagliata e non c’era ancora la rugiada e ci si poteva sedere bene. Ci siamo seduti guardando la roggia, che scorreva con un leggero mormorio d’acqua, l’uno a fianco dell’altra e abbiamo continuat a parlare. Cominciavo a sentirmi meglio: non avevo più il cuore gonfio di dolore, anzi mi sembrava di trasognare alquanto. Marco aveva preso una mano e me l’aveva posta sulle spalle e mi aveva tratto un po’ a sé. Sentivo l’odore di sigaretta e di colonia che emanava, un odore di buono, anche piuttosto intrigante. Ho abbassato la testa e l’ho posata sulla sua spalla. Era bello stare così, era un modo di riprendere il controllo dei miei sentimenti e delle frustrazioni. Ad un certo punto ha girato la testa verso di me e mi ha dato un bacio leggero sulla guancia, un gesto di familiarità e di simpatia. Mi era piaciuto, non sembrava avere altri fini che trasmettere solidarietà e simpatia. Poi, ci ha riprovato ancora cercando però la mia bocca ed io l’ho girata verso di lui e l’ho baciato con trasporto. Ecco come al solito, quando ero vicino ad un maschio non riuscivo più a controllarmi. Il bacio è stato lungo e le lingue si frugavano in bocca per un bel po. Poi lui ha spostato una mano sul mio seno e ha cominciato e soppesarlo, cercando con le dita i capezzoli e facendoli venire duri. Io ho cominciato a bagnarmi. Certo da sopra la camicetta non era molto agevole.
Io mi stringevo a lui come ad un’ancora di salvezza, gustavo il sapore dei suoi baci e mi piacevano le sue mani che mi frugavano, adesso non solo nella camicetta, ma anche nei jeans. Avevo posto la mano sul suo inguine e sentivo il duro ed il grosso della sua virilità . Siamo andati avanti per un bel po’, poi mi sono ricomposta per riprendere un po’ il fiato. Lui mi guardava con adorazione, uno sguardo pieno di affetto e di complicità , non era l’amico che ci provava con la donna del suo amico, ma eravamo due assenti, presi dalla loro gioia e dal proprio piacere, che non facevano nulla contro nessuno e si davano solo una forza reciproca.
Io poi mi sono sdraiata supina, ho chiuso gli occhi, ma sentivo il suo corpo vicino e il suo sguardo sopra di me. Piano piano mi ha aperto la camicetta. Ha slacciato il reggiseno e ha baciato le mie tette che ergevano ritti i capezzoli. Ho riaperto gli occhi ho visto la sua faccia sopra di me, un sorriso intrigante e un po’ sardonico. Poi si è risieduto e si è tolto la camicia e la canottiera e si è riabbassato su di me. Era pelosissimo, sentivo i peli che sfregavano sul corpo, il suo alito caldo, le mani che mi frugavano. Ansimavo, non capivo più niente, non sapevo come ne saremmo venuti fuori. Poi mi ha sbottonato i jeans e me li ha tolti, così come mi ha tolti gli slip- Sentivo il fresco della notte sul mio corpo, poi in un attimo si è tolto tutti i vestiti anche lui e si è in ginocchiato tra le mie gambe allargate. Lo vedevo alto davanti a me, con il pene ritto che ondeggiava e mi puntava contro. Era gigantesco. Avrei voluto andare via, ma ero bloccata e volevo anche restare per vedere cosa mi avrebbe fatto quel randello che ondeggiava. Poi lui ha preso una mia mano e l’ha portata intorno al suo cazzo: la pelle era morbida, mentre la mazza era dura come il muro. Le dita lo circondavano a fatica. Ansimavo e restavo abbacinata dallo spettacolo. Ero bagnatissima, colavo e colavo. Lui si è abbassato, le braccia a fianco delle mie, l’uccello messo vicino alla figa bagnata e vogliosa, ed io allora l’ho preso con una mano e me lo sono infilata dentro. Che bello, era grosso, lungo, duro e mi riempiva tutta. Lui piano piano si muoveva con ritmo e con sapienza, avvertivo ondate di piacere che si irradiavano dal ventre e si diffondevano per tutto il corpo. Il respiro era difficile, senza controllo, stavo quasi per gridare. Lui si è abbassato e mi ha schiacciato con il corpo, mentre con la bocca chiudeva la mia per impedirmi di fare troppo chiasso. Mi sembrava di perdere la cognizione del tempo, solo volevo che non finisse mai. Non so per quanto tempo è andato avanti, con spinte decise, forti e poi dolci, affrettandosi o rallentando, mentre io non capivo più niente. Poi ho sentito il suo respiro farsi veloce e lui tremare un po’ e poi accasciarsi, abbandonandosi sopra di me. Poi si è messo supino con il respiro affannato. Ho allungato una mano e glielo ho cercato e l’ho stretto nelle mani, era morbido, tenero, non era più minaccioso, ma complice e innocente. Siamo rimasti un po’ così per riprendere le forze. Lui mi ha baciato, poi quando mi sono tirata su a sedere e l’ho guardato, ho visto il suo sorriso, da conquista, mi ha preso la testa e piano piano l’ha portata sopra il suo cazzo che si stava di nuovo indurendo.
“ Dai leccalo, lo saprai fare benissimo”.
Mi ha un po’ offeso, ma mi sono abbassata e glielo ho preso in bocca. Aveva un sapore buono, la consistenza era piacevole e mentre cresceva ho cominciato a ciucciarglielo con foga fino a quando è diventato di nuovo duro. Si è sdraiato sulle spalle e mi ha detto di cavalcarlo. Mi sono messa a cavalcioni, poi con la mano l’ho preso e l’ho infilato dentro, mentre lui allargava le piccole labbra. Di nuovo è stato bellissimo, era grandioso comandare il gioco, sentire la sua profondità come mi portavo in fondo o mi ritiravo. L’ho baciato poi mi sollevavo e lui mi baciava i seni, oppure me li pastrugnava con piacere. Siamo andati avanti per un bel po’, fino a quando lui si è inarcato e mi sono sentita dentro gli schizzi di sperma che si sbattevano via contro il collo dell’utero e l’intera vagina. Poi mi sono adagiata sul suo petto, il volto contro i peli del petto, duri e scurissimi. Sentivo poi il pene che si ritirava fino ad uscire fuori dalla mia figa. Ci siamo puliti senza parlare, entrambi stanchi e appagati. Poi ci siamo rivestiti e lui alzatosi mi ha teso la mano per farmi alzare a mia volta e poi mi ha abbracciato e mi ha baciato con profondità . Ci siamo riavviati verso dove erano rimaste le macchine. Ha detto, sorridendomi ” questo è un nostro segreto, solo nostro, nessuno mai saprà nulla.” Mano nella mano siamo tornati davanti alla cascina. Non c’era più nessuno. Un ultimo bacio, lungo e appassionato, un saluto ed un sorriso, poi ognuno è risalito in macchina e siamo partiti. Avevo il volto in fiamme, ero un po’ vergognosa, ma molto soddisfatta. Sarebbe stato un segreto che avrei conservato sempre in me. Se fossi stata infelice, quella camporellata sarebbe stato un felice ricordo.