Alex666
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Qualche tempo fa mi è preso un tarlo, e cioè che la mia compagna mi tradisca.
Ne parlo con un amico, il quale mi chiede di esporgli i motivi per cui avessi questa convinzione.
Me ne rendo conto, non sono solidissimi: me la dà un po’ meno del solito (ma comunque almeno una volta alla settimana), spesso riceve messaggi di cui non so nulla (ma anche io ricevo messaggi di cui non la rendo partecipe, ma sono di solito delle stupidaggini e nessuno di questi potrebbe minare la nostra relazione), e spesso torna tardi dal lavoro (ma questo è sempre successo).
Mi fa notare appunto che nulla di tutto questo indica che mi stia tradendo e quindi mi chiede di raccontargli un po’ di lei, e ascoltato il profilo se ne esce con questa frase (lui è inglese):
“Once a whore, always a whore”.
E’ una frase che mi fa pensare, però è anche vero che si tratta della singola opinione di una persona che neppure la conosce, quindi vorrei provare a chiedere a voi (che neppure voi la conoscete, ma almeno sento qualcun altro).
Paradossalmente quello che mi condiziona è il fatto che, sebbene stiamo assieme da soli tre anni, di fatto ci conosciamo da una vita, visto che andavamo a scuola assieme, ed è proprio da lì che nasce la prima parte della frase, once a whore.
Partiamo dalle motivazioni, perché sono sempre importanti: da ragazza si sentiva brutta.
Badate bene, ho scritto “si sentiva”, perché secondo me non lo era assolutamente, ma purtroppo per lei aveva due problemi che da adolescente ti possono condizionare: una forte miopia che la obbligava a portare degli occhiali spessi, e i denti storti che la costringevano all’apparecchio fisso.
Ora, a distanza di venticinque anni la miopia è stata corretta con il laser e l’apparecchio ha fatto il suo dovere, ma è noto che le esperienze vissute in età adolescenziale spesso ti segnano anche negli anni futuri, anche quando una persona è molto cambiata.
Non aiutava il fatto di avere una sorella gemella: erano identiche, di conseguenza avevano gli stessi problemi, e quindi spesso erano bersagliate da battute e frecciatine, crudeli come solo gli adolescenti sanno esserlo.
Mi raccontava che talvolta in autobus per andare a scuola sentivano battutine di gente che le chiamava “le Mariangele”, alludendo alla terrificante figlia di Fantozzi, certamente non famosa per la bellezza.
Per fortuna si accorse presto che, se il viso era deturpato da occhiali e apparecchio, il suo corpo non era sgradevole alla vista altrui, e per reazione puntò su quello.
Aveva soprattutto delle belle tette, e la cosa tra noi amici non passò inosservata.
Spesso non portava il reggiseno, e tra noi usavamo richiamare l’attenzione urlando “chiodi!” quando i capezzoli - vuoi per il freddo, vuoi per altro - erano eretti e si vedevano attraverso la t-shirt.
Se doveva chinarsi e magari aveva una camicetta scollata lo faceva senza problemi, e le sue furono le prime tette nude che vidi dal vivo, proprio una volta che si chinò a raccogliere qualcosa.
Per completezza va detto che il padre - i genitori erano separati - aveva una casa in Costa Azzurra dove usavano passare l’estate: lì il topless era molto in voga e anche le due ragazze vi si adeguarono, abituandosi così sia a stare senza reggiseno, sia ad avere sguardi altrui sulle loro tette.
Ricordo almeno un paio di giornate passate al mare tutti assieme durante le quali si era tolta il reggiseno, attirando sguardi di odio da parte delle compagne che non avevano il coraggio di fare altrettanto e di desiderio da parte di noi ragazzi.
Sguardi ed erezioni, a dirla tutta.
Mi viene in mente anche quando tre compagni andarono a trovarla per studiare assieme matematica e li ricevette in biancheria intima perché “faceva caldo”, e solo dopo un rimprovero della sorella si rivestì, ma solo dopo una mezz’ora, fornendo ai tre amici motivo di seghe per parecchi giorni a venire.
Non credo che volesse essere violentata come sostenne un mio amico (per qualche motivo che non comprendo c’è il luogo comune secondo il quale le ragazze brutte accetterebbero di buon grado una violenza), penso più che altro volesse attirare sguardi e attenzioni.
Aveva tuttavia un ragazzo, quello per bene che piace molto ai genitori, il quale le fece elegantemente capire che aveva solo da ringraziare il cielo se lui stava con lei che era brutta e che quindi doveva dargliela o lui avrebbe trovato di meglio.
Lo fece, ma questo paradossalmente la sbloccò anche su altri fronti, tanto che poco si concesse senza grossi patemi a quattro compagni di classe (tra i quali non c’ero io) e ad un altro che conosceva per altre vie.
Al mare praticamente sempre in topless, si tolse il reggiseno anche una volta in campagna durante una piccola vacanza con gli amici.
Dopo un istante si trovò circondata da ragazzi che molto generosamente si offrirono di spalmarle la crema solare, approfittando per toccarla ovunque.
La cosa dopo poco andò oltre, e si ritrovò senza mutandine di fronte a tutti.
Quando andava in montagna con la sorella aveva trovato un laghetto piuttosto isolato sulle cui rive si cimentarono a prendere il sole completamente nude.
Non c’era praticamente mai nessuno, anche se una volta videro un tizio che con un teleobiettivo le stava fotografando dall’altra sponda del laghetto e un’altra volta vennero notate da un gruppo di motociclisti.
All’università ebbe tre storie con altrettanti colleghi - sempre stando con il medesimo fidanzato, che a quel punto aveva sempre più le sembianze del cervo - e con una collega, con la quale imbastì una vera relazione.
Il rapporto bisex non durò molto, solo sei mesi, giusto il tempo di illudersi di aver trovato una sua dimensione, convinzione che la spinse a lasciare finalmente il cervo di cui sopra.
Terminata l’esperienza si trovò single (ebbe la decenza di non tornare con il vecchio ragazzo, che pure se la sarebbe ripresa) e ne approfittò per divertirsi, anche forte di una maggiore sicurezza data dagli anni (ne aveva circa venticinque a quel punto) e dal fatto di non portare più l’apparecchio ai denti.
Si scopò altri sei/ sette individui - tra i quali un amico del padre conosciuto ad un matrimonio - poi conobbe quello che sarebbe diventato suo marito.
Si impose serietà e rimase incinta, ma i buoni propositi durarono poco; nel frattempo aveva cominciato a lavorare come infermiera.
Lasciando stare i luoghi comuni e i film con Lino Banfi, è però vero che quello dell’ospedale è un ambiente molto promiscuo - agevolato anche dalla facilità di appartarsi e dai turni di notte - e difatti sul posto di lavoro furono otto a conoscerla bene, sette uomini e una donna.
A questo punto arrivo io, o meglio, ritorno: cominciamo a frequentarci, lei racconta al marito che il lavoro la occupa più del solito per poter stare con me (quello che sta dicendo a me ora, e capite quindi il mio allarme), finché non decide di lasciarlo per mettersi stabilmente con me, e tutti vissero felici e contenti.
Felici e contenti fino a poco fa, quando appunto ho cominciato a chiedermi se aver da parte sua troieggiato a lungo non possa aver condizionato la sua personalità, perché di fatto sono molto più gli anni in cui si è comportata da zoccola che quelli in cui è stata una moglie irreprensibile.
Sul lavoro si ferma sempre a lungo, i turni di notte continuano ad esserci e molto spesso quando la chiamo non risponde.
Tutto normale, ma con un passato del genere faccio male a dubitare?
Ne parlo con un amico, il quale mi chiede di esporgli i motivi per cui avessi questa convinzione.
Me ne rendo conto, non sono solidissimi: me la dà un po’ meno del solito (ma comunque almeno una volta alla settimana), spesso riceve messaggi di cui non so nulla (ma anche io ricevo messaggi di cui non la rendo partecipe, ma sono di solito delle stupidaggini e nessuno di questi potrebbe minare la nostra relazione), e spesso torna tardi dal lavoro (ma questo è sempre successo).
Mi fa notare appunto che nulla di tutto questo indica che mi stia tradendo e quindi mi chiede di raccontargli un po’ di lei, e ascoltato il profilo se ne esce con questa frase (lui è inglese):
“Once a whore, always a whore”.
E’ una frase che mi fa pensare, però è anche vero che si tratta della singola opinione di una persona che neppure la conosce, quindi vorrei provare a chiedere a voi (che neppure voi la conoscete, ma almeno sento qualcun altro).
Paradossalmente quello che mi condiziona è il fatto che, sebbene stiamo assieme da soli tre anni, di fatto ci conosciamo da una vita, visto che andavamo a scuola assieme, ed è proprio da lì che nasce la prima parte della frase, once a whore.
Partiamo dalle motivazioni, perché sono sempre importanti: da ragazza si sentiva brutta.
Badate bene, ho scritto “si sentiva”, perché secondo me non lo era assolutamente, ma purtroppo per lei aveva due problemi che da adolescente ti possono condizionare: una forte miopia che la obbligava a portare degli occhiali spessi, e i denti storti che la costringevano all’apparecchio fisso.
Ora, a distanza di venticinque anni la miopia è stata corretta con il laser e l’apparecchio ha fatto il suo dovere, ma è noto che le esperienze vissute in età adolescenziale spesso ti segnano anche negli anni futuri, anche quando una persona è molto cambiata.
Non aiutava il fatto di avere una sorella gemella: erano identiche, di conseguenza avevano gli stessi problemi, e quindi spesso erano bersagliate da battute e frecciatine, crudeli come solo gli adolescenti sanno esserlo.
Mi raccontava che talvolta in autobus per andare a scuola sentivano battutine di gente che le chiamava “le Mariangele”, alludendo alla terrificante figlia di Fantozzi, certamente non famosa per la bellezza.
Per fortuna si accorse presto che, se il viso era deturpato da occhiali e apparecchio, il suo corpo non era sgradevole alla vista altrui, e per reazione puntò su quello.
Aveva soprattutto delle belle tette, e la cosa tra noi amici non passò inosservata.
Spesso non portava il reggiseno, e tra noi usavamo richiamare l’attenzione urlando “chiodi!” quando i capezzoli - vuoi per il freddo, vuoi per altro - erano eretti e si vedevano attraverso la t-shirt.
Se doveva chinarsi e magari aveva una camicetta scollata lo faceva senza problemi, e le sue furono le prime tette nude che vidi dal vivo, proprio una volta che si chinò a raccogliere qualcosa.
Per completezza va detto che il padre - i genitori erano separati - aveva una casa in Costa Azzurra dove usavano passare l’estate: lì il topless era molto in voga e anche le due ragazze vi si adeguarono, abituandosi così sia a stare senza reggiseno, sia ad avere sguardi altrui sulle loro tette.
Ricordo almeno un paio di giornate passate al mare tutti assieme durante le quali si era tolta il reggiseno, attirando sguardi di odio da parte delle compagne che non avevano il coraggio di fare altrettanto e di desiderio da parte di noi ragazzi.
Sguardi ed erezioni, a dirla tutta.
Mi viene in mente anche quando tre compagni andarono a trovarla per studiare assieme matematica e li ricevette in biancheria intima perché “faceva caldo”, e solo dopo un rimprovero della sorella si rivestì, ma solo dopo una mezz’ora, fornendo ai tre amici motivo di seghe per parecchi giorni a venire.
Non credo che volesse essere violentata come sostenne un mio amico (per qualche motivo che non comprendo c’è il luogo comune secondo il quale le ragazze brutte accetterebbero di buon grado una violenza), penso più che altro volesse attirare sguardi e attenzioni.
Aveva tuttavia un ragazzo, quello per bene che piace molto ai genitori, il quale le fece elegantemente capire che aveva solo da ringraziare il cielo se lui stava con lei che era brutta e che quindi doveva dargliela o lui avrebbe trovato di meglio.
Lo fece, ma questo paradossalmente la sbloccò anche su altri fronti, tanto che poco si concesse senza grossi patemi a quattro compagni di classe (tra i quali non c’ero io) e ad un altro che conosceva per altre vie.
Al mare praticamente sempre in topless, si tolse il reggiseno anche una volta in campagna durante una piccola vacanza con gli amici.
Dopo un istante si trovò circondata da ragazzi che molto generosamente si offrirono di spalmarle la crema solare, approfittando per toccarla ovunque.
La cosa dopo poco andò oltre, e si ritrovò senza mutandine di fronte a tutti.
Quando andava in montagna con la sorella aveva trovato un laghetto piuttosto isolato sulle cui rive si cimentarono a prendere il sole completamente nude.
Non c’era praticamente mai nessuno, anche se una volta videro un tizio che con un teleobiettivo le stava fotografando dall’altra sponda del laghetto e un’altra volta vennero notate da un gruppo di motociclisti.
All’università ebbe tre storie con altrettanti colleghi - sempre stando con il medesimo fidanzato, che a quel punto aveva sempre più le sembianze del cervo - e con una collega, con la quale imbastì una vera relazione.
Il rapporto bisex non durò molto, solo sei mesi, giusto il tempo di illudersi di aver trovato una sua dimensione, convinzione che la spinse a lasciare finalmente il cervo di cui sopra.
Terminata l’esperienza si trovò single (ebbe la decenza di non tornare con il vecchio ragazzo, che pure se la sarebbe ripresa) e ne approfittò per divertirsi, anche forte di una maggiore sicurezza data dagli anni (ne aveva circa venticinque a quel punto) e dal fatto di non portare più l’apparecchio ai denti.
Si scopò altri sei/ sette individui - tra i quali un amico del padre conosciuto ad un matrimonio - poi conobbe quello che sarebbe diventato suo marito.
Si impose serietà e rimase incinta, ma i buoni propositi durarono poco; nel frattempo aveva cominciato a lavorare come infermiera.
Lasciando stare i luoghi comuni e i film con Lino Banfi, è però vero che quello dell’ospedale è un ambiente molto promiscuo - agevolato anche dalla facilità di appartarsi e dai turni di notte - e difatti sul posto di lavoro furono otto a conoscerla bene, sette uomini e una donna.
A questo punto arrivo io, o meglio, ritorno: cominciamo a frequentarci, lei racconta al marito che il lavoro la occupa più del solito per poter stare con me (quello che sta dicendo a me ora, e capite quindi il mio allarme), finché non decide di lasciarlo per mettersi stabilmente con me, e tutti vissero felici e contenti.
Felici e contenti fino a poco fa, quando appunto ho cominciato a chiedermi se aver da parte sua troieggiato a lungo non possa aver condizionato la sua personalità, perché di fatto sono molto più gli anni in cui si è comportata da zoccola che quelli in cui è stata una moglie irreprensibile.
Sul lavoro si ferma sempre a lungo, i turni di notte continuano ad esserci e molto spesso quando la chiamo non risponde.
Tutto normale, ma con un passato del genere faccio male a dubitare?