Esperienza reale Relazioni pericolose

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119

Relazioni pericolose​

Prefazione​

Caveat lector!
Questo è il mio quinto racconto. Non pensavo di essere capace di scrivere tanto in così poco tempo. Mi rendo conto che ho ancora tanto da raccontare, e che man mano che scrivo mi vengono in mente episodi, fatti, situazioni che avevo pressoché rimosso. Probabilmente aveva ragione chi mi accusava di averne fatte più di Carlo in Francia…

Questo racconto è pieno di cenni autobiografici. La struttura del racconto fa riferimento a situazioni reali, verificatesi oltre trent’anni fa. Francesca è la mia prima moglie. Ritornano Adriano e Dede che vi ho presentato nel racconto “Quell’estate in Grecia”, coppia di amici che Francesca ed io frequentavamo in quel periodo. I personaggi sono reali anche se sono stati cambiati nomi, location, aspetti, ecc. Anche alcuni luoghi e siti sono reali, anche se magari oggi non esistono più. Alcuni accadimenti sono frutto della mia personale rielaborazione di analoghe esperienze vissute a Roma ed a Cesenatico intorno alla fine degli anni ’80, decontestualizzate. E per chi si ponesse la domanda, a Roma non esiste (e non è mai esistito) un ristorante “Svizzerotta”. È però esistito qualcosa di analogo che offriva a selezionatissimi clienti servizi analoghi a quelli descritti.


Però, per essere sicuro di non rischiare, asserisco:I fatti narrati sono frutto della mia fantasia. Tutti i riferimenti a persone e/o situazioni sono casuali e non voluti”.

E chi vuol capir, capisca.
Mi auguro che mi facciate capire se il racconto è gradito o se è meglio che dedichi i miei sforzi ad altro.
Mi piacerebbe, ad esempio, sapere se è preferibile spezzare i vari capitoli in tanti capitoletti di un paio di paginette o mantenere la struttura uniblock
.

Ah, ultima cosa.
Non ci sono foto, né di Francesca né delle altre persone coinvolte. Potrei sottoporvi foto originali, mai apparse su internet, e dire “Questa era Francesca, questa era Caia e questa Semproniasenzamutande”.
Non lo farò.
Mai!
Non è una foto che garantisce l’autenticità di una storia.
Se volete credermi, bene. Altrimenti, padroni di non farlo e amici come prima.

Buona lettura.




Antefatto​

Era la fine di marzo del 1989. Era stata una primavera fredda perché ricordo ancora la nevicata che mi aveva bloccato per due giorni in montagna giusto la settimana precedente.
Mi stavo recando a prendere un caffè con il collega Michele quando il mio capo, Donato, mi fermò e mi apostrofò: “Bell’amico, Paolo. Chi prende il caffè da solo si strozza. Te e quel figlio di buona donna di Michele, con rispetto per quella santa di sua madre, donna Livia!”. Eh sì, perché Michele era stato il testimone di nozze di Donato e le loro famiglie erano amiche da lunghissima data.

Feci una risata e risposi: “Allora accomodati, sei il benvenuto. Prendi il portafoglio, però!”.
“Paolo, ti devo parlare”, tono immediatamente serio.
“Dimmi, Donato.” Il mio capo era anche uno dei miei più cari amici, mio testimone di nozze, ci eravamo conosciuti in occasione della mia prima esperienza lavorativa e da quel momento, avevamo formato un team – assieme a Michele e a pochi altri – di assoluto spessore, passato già in blocco per un paio di aziende. [1]
“Ho bisogno di chiederti un grosso aiuto ed un grosso sacrificio” mi disse con tono serio.

Non mi meravigliai più di tanto, ero uno dei senior nonostante la relativamente giovane età, ed ero già in rampa di lancio per divenire dirigente nella Big Company di cui al momento ero uno dei più giovani quadri aziendali; ciò comportava l’essere coinvolto nella quasi totalità dei progetti critici anche al solo titolo di consulenza.
“Di che si tratta?”
“Ti ricordi quel progetto che hai fatto per quell’organizzazione ortofrutticola?” Faceva riferimento ad un progetto di un sistema automatizzato di supporto decisionale – oggi parleremmo di AI e di sistemi esperti – ai produttori. Era un’iniziativa lungimirante che avrebbe dovuto, nelle intenzioni, fornire informazioni contestualizzate e utili alla decisione sul tipo di colture da impiantare su un certo tipo di terreno/area sulla base della concorrenza, dell’accesso ai mercati, ecc. Forse troppo innovativo. Ma io lavoravo per una Azienda che aveva sempre fatto dell’innovazione, quella vera, la propria bandiera.
“Certo che si. Ci sono novità?” chiesi.
“Si e no. O meglio, una novità ci sarebbe. Il sottosegretario XY ha detto che quel progetto è molto interessante e merita un approfondimento, ma che dobbiamo trovare appoggi tra i produttori.”
“Scusa, Donato, ma chi meglio del Ministro può trovare appoggi?” replicai.
“Paolo, non fare lo stupido. Lo sai che il Ministro sta con la concorrenza e con la Lega COOP. Noi stiamo con gli altri”. Eh già, anche a quei tempi c’era il ministro di un partito, supportato dalle sue organizzazioni di categoria, la cui influenza era sempre bilanciata da uno o più sottosegretari dell’altra (o delle altre) parte con i relativi appoggi (e traffici di influenze). La prima repubblica funzionava così, inutile nasconderlo; è storia.

“Devi preparare una presentazione del progetto per il sottosegretario e per l’organizzazione dei produttori.
È importante. Molla tutto e fai solo questo per i prossimi quindici giorni”.
Roba grossa. Di solito, i miei impegni consulenziali non erano mai più lunghi di due o tre giorni di fila.
“Ah, prendi Daniela e uno dei ragazzi. E tutto quello che ti serve.”
Daniela era una delle segretarie di direzione, molto brava nella dattilografia [2] e nella impaginazione grafica dei testi e delle immagini. Aveva un occhio fantastico nel posizionare le immagini riquadrandole con il relativo testo a occhio. Era anche molto carina e disponibile ed essendo la più giovane del gruppo delle segretarie, era anche quella che doveva “scoppiare”, quasi vessata soprattutto dall’arcigna Signora Marina, detta la nazista, per cui l’idea di stare lontana da quell’arpia sarebbe stata di certo molto gradita.

Andammo comunque a prendere il caffè, poi tornammo e gli chiesi ulteriori informazioni.
“Vogliamo fare la classica pubblicazione che nessuno leggerà accompagnata da una brochure, o vogliamo buttarci su qualcosa di più impattante?” gli chiesi.
“Impattante in che senso?” Donato mi conosceva bene, e sapeva che avevo già un’idea che gli sarebbe costata un bel po’ ma che sarebbe stata probabilmente un successo.
“Facciamo una presentazione animata che proiettiamo su una parete di display” gli risposi.
“Eh ma ci vuole tempo! Deve essere pronta tra quindici giorni, e tra preparazione dei testi, riprese, sviluppo, film…”
“Ma che stai a di’?” lo blocco. “Guarda che sto parlando di altre cose. Altri sistemi. Ed un po’ di software lo abbiamo in casa, altro dobbiamo comprarlo ma credo di rimediarne una copia finché non otteniamo la licenza originale” dissi. Sarei andato la domenica successiva a Porta Portese, ero certo di rimediare due copie di Storyboard Plus e Harward Graphics utili alle mie necessità.

“Intanto scrivo i testi, seleziono qualche figura e butto giù la bozza del documento. Tu invece rimediami la roba che ci servirà.” gli dissi.
“Che roba?” chiese
“Un videowall, un proiettore SuperVGA, casse, microfoni, una matrice di commutazione video, un mixer audio. I computer li abbiamo. Prendiamo il mio M28 ed il nuovo prototipo M280. Tanto Daniela ha il suo. Comunque ti scrivo la lista” gli dissi.
“Se si tratta di pezzi di ferro, non darli a me, dalli a Silvio (il responsabile tecnico) che ci pensa lui con gli acquisti” mi rispose.

“A me serve un grafico, bravo, sveglio e che sappia possibilmente usare il computer. Non ne abbiamo, ma magari qualche nostro partner…”
Donato prese il telefono e premette un pulsante. “Marina, mi chiami per favore il dott. Rocca” e riattiaccò.
Dopo trenta secondi risquillò e prese il microfono
“Dottore, il dott. Rocca per lei” sentii al microfono
“Me lo passi!” rispose.
“Reginaldo carissimo, ho bisogno del tuo aiuto. Mi serve una risorsa urgente per due settimane. Come dici? Da quando? Mahm, direi da lunedì prossimo. Si, qui da me. Ora ti passo Paolo Sforza Cesarani che ti spiega cosa ci serve” e mi passò il microfono.
“Dott. Rocca buongiorno!” salutai il mio interlocutore.
“Si, mi serve una persona esperta di grafica.”
“Beh, deve aiutarmi a creare una presentazione, soprattutto degli schemi”
“Si, deve essere un grafico, ovviamente. Però deve saper usare strumenti informatici”
“Si, certamente, può lavorare da noi, anzi, deve lavorare da noi”
“Gli strumenti? Beh, noi abbiamo qualcosa qui, poi se la sua persona preferisce usare i propri, vedremo come fare.”
“Si, ho dei PC, si, si… di ottima configurazione. Il top!” risposi alle sue obiezioni.
Il mio interlocutore mi stava spiegando che avrebbe potuto mettermi a disposizione un architetto molto giovane e bravo, che era anche molto esperto nella grafica computerizzata e nel disegno, ma che avrebbe avuto necessità dei propri strumenti. A quei tempi i grafici avevano già abbracciato la fede Apple Macintosh adottandolo come strumento di computer graphics e desktop publishing per antonomasia.
“No, per i Mac nulla da fare. Noi usiamo Olivetti, ricorda?” gli spiegai.
Comunque, presi appuntamento per il successivo lunedì. Era giovedì, avrei avuto giusto il tempo di scrivere una traccia del documento da realizzare
Spiegai al mio capo i punti che avrei voluto toccare. Lui mi rispose “Fai quello che vuoi, basta che non sia troppo lunga, la gente si stufa.”
“Lunga quanto?” chiesi
“Diciamo dieci minuti”
“Vada per dieci minuti” e me ne andai.
Andai a trovare Daniela, le dissi che dovevo parlarle e che era meglio se andavamo nella mia stanza. Avevo un buchetto ricavato in quello che era uno sgabuzzino con finestra, dove entrava solo la mia scrivania, tre poltroncine, la mia cassettiera ed un armadio. Per aprire un cassetto dovevo alzarmi e spostare la sedia, per quanto era risicato lo spazio a disposizione. In compenso godevo di una splendida vista su Castel Sant’Angelo.

Feci accomodare Daniela sulla poltroncina di fronte alla scrivania e mi sedetti dalla parte opposta.
Mi accesi una sigaretta e le spiegai le mie necessità e ciò che pensavo di fare.
Le mostrai uno schizzo al volo di ciò che avevo in mente, le descrissi a grandi linee quel che volevo produrre e le chiesi di prepararmi un riassunto – abstract della proposta tecnico-commerciale che avevamo fatto al Cliente per quel progetto mai partito. Sarebbe stato utile avere pronti i numeri se e quando qualcuno avesse chiesto “Bello, ma quanto costa?”.
Le raccomandai di non parlare con nessuno di questa cosa e di dire alla sua kapò di parlare con l’amministratore delegato se avesse avuto problemi.
Ci demmo appuntamento per il giorno dopo per fare un primo punto della situazione.
La mattina successiva Daniela si presentò da me con un paio di fascicoli di documenti, alcune riviste ed un estratto del documento di offerta che avevamo preparato al tempo. Mi mostrò alcune pagine tratte dalla Rivista Olivetti che avevo consultato e da alcune altre riviste tipo la Rivista IBM e quella Notizie IRI[3], dalle quali voleva trarre spunto ed usare alcune immagini di uditorio, persone, cose.
Aprimmo il documento ed iniziai a estrarre le informazioni da mettere sulla presentazione. Mi ero dato una regola: un concetto, poche frasi semplici per ciascun foglio. Grazie al suo aiuto, in un paio d’ore ebbi tutte le informazioni necessarie pronte per essere trasferite.

“Paolo, se ti serve altro, fammi sapere. Due ore di lavoro ininterrotto con te sono molto meno faticose di dieci minuti con Marina!” mi disse la segretaria congedandosi.
La ringraziai e mi misi a scrivere i testi della presentazione, non prima di aver notato che aveva veramente un bel culo e che la minigonna molto corta che indossava le stava proprio bene.

Passai la settimana successiva a fare avanti e indietro tra la sede, lo stampatore che doveva comunque preparare la brochure da distribuire al convegno, il grafico che alla fine aveva preferito rimanere a lavorare in sede da lei e l’azienda di servizi che avrebbe messo a disposizione l’attrezzatura per il videowall ed il proiettore. Daniela mi accompagnò spesso, ed ebbi modo di ammirare più da vicino le sue gambe, sempre più scoperte. Inoltre, quella settimana il tempo era stato particolarmente clemente e soleggiato e chi conosce Roma sa che quando la primavera sboccia, le donne escono dal grigiore invernale e si scoprono. E Daniela non faceva torto a questa consuetudine.

Arrivai al 7 di aprile con le cose quasi tutte pronte. La presentazione era completata al 90%, mancavano alcune parti grafiche che avrebbe dovuto consegnare l’architetto entro la giornata o al massimo il lunedì successivo, le animazioni che avevo disegnato giravano abbastanza bene ma andavano un po‘ affinate nella transizione da una slide all’altra, i test di integrazione tra computer e sistema di videoproiezione erano stati conclusi mentre mancava il cavo definitivo per collegare il PC alla matrice video del sistema videowall. Il test era ok anche questa componente ma era stato fatto con un cavo volante da un metro mentre ne serviva uno da almeno 8 metri.

Daniela era sempre più insostituibile e passava tutto il suo tempo con me a ordinare le carte, rispondere al telefono, contattare le persone e, soprattutto, calmare quel senso d’ansia che mi stava prendendo per la paura che qualcosa dovesse andare per storto.

“Paolo, cosa vuoi che succeda, scusa?” mi chiese.
“Metti caso che il cavo non arriva?” risposi.
“Lo faremo fare dal laboratorio di elettronica qui sotto” disse. “Ho già preso contatto. Mi ha detto di dargli la piedinatura e lui lo fa. Gli ho chiesto che cosa fosse questa piedinatura e me lo ha spiegato. Allora ho chiamato quello del videowall e gli ho chiesto se aveva lo schema dei piedini così vedevo se a Milano ne avevamo uno e lui me lo ha mandato per fax. Sono scesa, gliel’ho portato e ha detto che ha già tutto il materiale e che no deve comprare nulla. Gli diciamo di farlo e lui in tre ore ce lo consegna. Ah, gliel’ho chiesto lungo il massimo possibile senza che ci siano problemi. Sono 15 metri. E costa solo 75.000 lire.”
Mi alzai in piedi di scatto, presi il viso di Daniela e la baciai sulla guancia, poi la abbracciai.

Rimasi così per qualche secondo, poi mi resi conto che forse stavo esagerando, mi distaccai e le chiesi scusa.
“Scusa di che?” ribattè.
“Di averti baciato!” risposi.
“Per così poco!!! Allora, per punizione stasera mi porti a cena” disse così, d'emblée.
“Certo! Decidi tu e prenota tu dove vuoi!” risposi senza pensarci.
“Eh no, caro. Il premio è mio e me lo devi dare tu. Decidi tu e fai tu. Io scendo. Ciao!!!” mi disse girandosi verso la porta, per poi rigirarsi verso di me mentre usciva per farmi un marameo con la mano. Hai capito la signora!!!

CAZZO!!!! MIA MOGLIE” pensai. Era tutto il giorno che non ci sentivamo. Tornai al telefono e premetti il tasto di composizione breve di casa. Mi rispose la donna filippina a ore a cui chiesi notizie di mia moglie.

Signora non c’è. Uscita stamattina con valigia e non tornata. Tu tornare casa cena stasera?
E dove caspita era andata? Provo a chiamare in clinica. “La dottoressa non c’è oggi, è ad un congresso, torna lunedì. Deve lasciar detto qualcosa?”. Congresso? Non mi aveva detto nulla. Richiamai casa. “Ma mia moglie ti ha detto nulla? Ha lasciato una busta, un foglio?” le chiesi.
Detto solo che lei parte e torna domenica sera per congresso tu sa tutto io cucinare pe’ tte tu mangia stasera no?”. La folgorazione!!! Mi aveva detto che sarebbe andata al congresso di medicina estetica assieme all’amica Dede ma avevo dimenticato. Chiamo il marito di Dede, Adriano. “Adriano, ma Dede è poi andata con Francesca?” gli chiedo.
A’ Paolo, ma che te sei rincoglionito? Sono partite assieme stamattina in macchina. Francesca ha preso macchina tua…ma ‘ndo stai co’lla testa?” mi rispose.
Vabbè. È grave.
“Adriano, io non ho con me l’indirizzo ed il telefono dell’albergo, devo dire una cosa importante a Fra.”
Dai, ti mando il foglio con i recapiti e gli orari per fax. Se chiami subito la trovi in intervallo”.
Attesi il fax e chiamai l’albergo. Alla reception provarono a passarmi la sala ma non rispose nessuno. Lasciai un messaggio in segreteria.
Chiamai quindi Daniela. “Allora, ok per stasera. Andiamo qui vicino?” le dissi.
“Non potremmo fare vicino da me? Così sposto la macchina e parcheggio sotto casa e poi mi riaccompagni tu” mi suggerì.
“Va bene, non so dove abiti però!” le dissi.
“Sulla via Laurentina, all’EUR!” rispose.
“Un altro po’ più lontano no?” dissi con una battuta.
“AHHHGHHH” urlai.
“Che c’è?”
“Sono in motorino. La mia macchina l’ha presa mia moglie. Devo andare a casa a prendere la sua. Speriamo non si sia portata via le chiavi!” dissi.
“Allora facciamo così: andiamo con la mia” disse Daniela.
“Ma io vengo in motorino!” risposi.
“Hai lo scafandro?” mi chiese.
“Come lo scafandro?”
“Diluvia. Non la senti?”

Ero talmente preso dalle mie cose che non mi ero reso conto che l’acquerugiola che scendeva fino a poco prima era diventata un acquazzone in piena regola. Veniva giù martellante, alternando scrosci torrenziali a pioggia battente fitta fitta. Sarebbe stato impossibile andare in motorino. Mi avrebbero dovuto appendere ad asciugare con le mollette se ci avessi provato.
“Senti, io devo andare a fare delle compere qui sotto l’ufficio a via Cola di Rienzo. Rientro verso le sette e tre quarti. Andiamo verso le otto qui vicino. Ce la fai?” mi disse.
“Si, certo. Non ti accompagno ma direi che va bene così. Ora chiamo da Giovanni per un tavolo.”
“Giovanni è chiuso. Oggi è venerdì. Riapre domani.”
“Allora la Svizzerotta a via Dionigi”.
“Ok per la Svizzerotta. Quando prenoti chiedi Tavolo12” mi disse.
“Tavolo 12?” chiesi con tono sorpreso.
“Dammi retta. Di che ti mando io” mi rispose.
Chiamai e chiesi del maitre. “Vorrei prenotare il tavolo 12. Mi manda Daniela!” dissi, con tono indeciso.
“Tavolo 12? Daniela? Vedo cosa posso fare. Per che ora?” mi chiese
“Diciamo per le 20:15?” timidamente.
“Non prima delle 20:30” mi rispose.
“Omaggi alla signora Daniela” mi disse.
“Viene stasera con me” aggiunsi.
“Allora il tavolo sarà pronto per voi all’ora che le ho detto” e chiuse la comunicazione.

Mi rimisi a lavorare.
Verso le sette squillò il telefono e risposi. Era mia moglie Francesca.
“Mica mi ricordavo che andavi ad un congresso. Ma quando me lo hai detto?”
“La settimana scorsa. E poi anche l’altro ieri. E pure ieri. E stamattina quando ti ho detto che avrei preso la macchina tua e che non potevi prendere la mia perché si era scaricata la batteria. L’hai chiamato il meccanico?” mi rispose.
Cazzo!!!! Il meccanico! È vero, me lo aveva detto. Ma dove cazzo avevo la testa in quei giorni?
“Fra, scusa. È che questo progetto mi sta massacrando”.
“Me ne sono accorta. Pensi solo al lavoro. Solo a quel che dice Donato. Non esiste altro, per te. Ah, tanto per fartelo sapere, magari ti interessa. Sono incinta.” disse seccamente.
“INCINTA??? E come è possibile? Intendo: non prendevi la pillola? E poi, ti sembra questo il modo di dirmelo? Da quando lo sai? Chi te lo ha detto? INSOMMA CAZZO! MI VUOI FAR SAPERE LE COSE O VUOI TENERE TUTTO PER TE?” le dissi quasi urlando.
“E QUANDO CAZZO TE LE DICO LE COSE SE TU NON CI STAI MAI E STAI SEMPRE A PENSARE SOLO AL LAVORO?” mi rispose alzando la voce. “E comunque, me lo hanno detto oggi, mi ha chiamato la biologa della clinica per dirmelo di persona. Sono di cinque settimane e mezzo, quasi sei. Nascerà intorno al 3/5 novembre, se ho fatto bene i conti.”
“Dove sei ora?” le chiesi.
“Sono in camera. Ho le nausee. Sono andata a vomitare. Sto aspettando che Dede si vesta e poi andiamo a cena” mi rispose con una voce stanca e un po’ preoccupata.
“E comunque, tornando a noi, si, prendevo la pillola e ho continuato a prenderla fino a due settimane fa. Ora devo chiamare il ginecologo e chiedergli che cosa può essere successo perché francamente non lo so nemmeno io. E speriamo che le pillole che ho preso non facciano male al bambino.”
“Alla bambina!” dissi con un tono che non ammetteva repliche. “Bambina. Sarà femmina. Me lo sento” confermai. Sembrava che stessi vaticinando.
“Non fumare, non bere, non fare cazzate. Mangia poco, stai lontana da quelli che fumano” le dissi tutto assieme.
“SAPRÒ QUEL CHE DEVO FARE O NO? TRA NOI DUE, CHI È IL MEDICO?” rispose alzando la voce. “Se devi rompere in questo modo, vaffanculo. Ci sentiamo. Ciao” e attaccò.
Provai immediatamente a richiamarla e chiesi alla centralinista di passarmi la camera. Il telefono squillò a lungo ma non rispose nessuno. Richiamai, chiesi alla centralinista di passarmi il salone del banchetto. Mi rispose un cameriere che mi disse di richiamare più tardi. Stavano arrivando i primi ospiti e non poteva stare al telefono.
Chiamai per la terza volta il centralino e chiesi di passarmi la stanza di Dede. Mi risposero che non avevano alcuna Dede tra i loro ospiti. Ma come? Poi ricordai il suo vero nome: Domitilla! Mi passò un altro interno che squillò per qualche secondo fino a che sentii la voce di Dede rispondere.
“Paolo, dimmi, che succede?” mi disse.
“Che succede lo chiedo a te! Che sta succedendo? Possibile che venga a sapere solo oggi che Francesca è incinta? Tu lo sapevi? E perché non me lo hai detto? Potevi dirmelo, no? Bell’amica che sei. Eh già, ma tu non sei amica mia, tu sei solo amica di Francesca. A te degli altri non te ne frega nulla. Bell’amica, si si …” le vomitai addosso tutta la rabbia che avevo accumulato in quei minuti.
“Ti calmi?” mi rispose con calma serafica.
“Si” le dissi con un filo di voce.
“Allora: che Fra sia incinta lo sento ora da te. Mi aveva detto che aveva un po’ di nausee, ma mi ha anche detto che prendeva la pillola, per cui pensava che fosse una forma influenzale” ribattè. “E ora che me lo dici, due cose” aggiunse. “La prima: AUGURI!!!!!” urlò al telefono…
“E la seconda?” chiesi.
“SARO ZIA!!!” urlò. “Ora vado a cercarla. Baci e abbracci. Anzi. Baci al pupo!” disse scherzando.
“Alla pupa. Femmina. Sarà femmina!” dissi alla cornetta diventata muta.
Ero stravolto. Non riuscivo ancora a capacitarmi della novità. Sarei diventato padre.

Il telefono squillò di nuovo.
“Fra, amore, sei tu?” risposi senza nemmeno dire pronto.
“No, sono Daniela, Paolo. Sei pronto?” mi chiese.
“Ah Daniela, ciao. Scusa. Sali su un momento? Anzi, no, scendo giù io. Dammi un minuto.” Attaccai il telefono.
Richiamai un’altra volta l’albergo e lasciai un altro messaggio per Francesca. Poi chiamai casa sperando di trovare la filippina. Guardai l’ora: impossibile, se ne era andata da mezz’ora. La roba l’avrei rimessa dentro in frigo al mio ritorno.
Scesi di corsa le scale fino al piano terra.



[1] Per chi non lo sapesse o non ricordasse, in quegli anni la mobilità nelle aziende IT era altissima. Talvolta erano interi gruppi di lavoro, formati e rodati, che erano acquisiti in blocco a determinare il successo di una nuova azienda.
[2] A quei tempi, i personal computers erano ancora poco diffusi e la documentazione veniva prima manoscritta poi dattiloscritta. Il copia & incolla era fatto con fotocopie, forbici e coccoina. Solo nel 1988/1989 iniziò l’adozione massiva di strumenti di informatica individuale tipo Wordstar, Lotus 1-2-3, ecc.
[3] A quei tempi, la comunicazione aziendale era affidata a riviste e periodici di tiratura non trascurabile, con articoli firmati da penne famose, dai contenuti non necessariamente istituzionali e sovente particolarmente curate nella parte grafica. Ricordo perfettamente la Rivista IBM, la Rivista Olivetti, la rivista Notizie IRI, Dimensione Energia di ENEL ed altre analoghe.
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119
Ecco il secondo capitolo del racconto.
Buona lettura
=====================================================================================================

Una cena particolare​

Daniela era davanti alla reception dell’ufficio e si era cambiata. La minigonna di jeans indossata con una camicetta aveva lasciato spazio ad un raffinato vestito corto, molto accollato davanti ma con una profonda scollatura dietro. Indossava calze fumé velatissime ed un paio di décolleté nere con tacco moderatamente alto, circa 8 cm.
Teneva in mano un cappottino color cammello di panno di cachemire con revers in colore più scuro.
Mi prese un colpo. Era meravigliosa. Così vestita non l’avrei riconosciuta al primo sguardo, talmente diversa era dalla sua immagine standard.
“Ti ho sorpreso così tanto da rimanere a bocca aperta, Paolo?” mi disse sorridendo.
“Beh, sinceramente stai benissimo. Non ti avevo riconosciuta” le dissi. “Come mai questo cambio d’abito?” le chiesi.
“Vado a cena con il mio capo temporaneo, è venerdì sera, sono da sola, il mio capo temporaneo è da solo. Perché no?” disse sorridendo.
Non sapeva che avevo appena saputo che la mia vita sarebbe cambiata radicalmente dal giorno successivo.
La presi sottobraccio e l’accompagnai fuori. Aveva smesso di piovere, per fortuna.
“Vogliamo andare a piedi o prendiamo la macchina?” le chiesi.
“Dovesse ripiovere, meglio prendere la macchina. Guida tu per favore” mi disse porgendomi le chiavi.
“Va bene. Ma dove parcheggiamo?” le chiesi aprendole lo sportello per farla entrare.
“Oh, semplice, lasciamo la macchina al ragazzo del ristorante che ci pensa lui. Hai prenotato con Tavolo12?” chiese.
“Il tavolo 12, si. Come mi hai detto tu!” le risposi chiudendo lo sportello della sua Y10 grigio metallizzato.
“No, non hai prenotato il tavolo 12. Hai prenotato con un codice, Tavolo12 per l’appunto, che è un codice che prevede la fornitura di un certo numero di servizi tra i quali il valet per l’auto” spiegò.
“E quali sarebbero questi servizi, oltre al parcheggio della macchina?” chiesi.
“Lo scoprirai presto” mi rispose mentre con le mani cercava di far salire la calza sulla gamba sinistra scoprendo per un poco la balza dell’autoreggente, subito ricoperta con un rapido gesto di ricomposizione del bordo del vestito, così rapido e naturale come solo le donne cacciatrici sanno fare.

Dopo qualche svolta destra-sinistra-dritto-sinistra-dritto-destra-sinistra-dritto per seguire la serie di sensi unici delle stradine di Prati dietro piazza Cavour, arrivammo di fronte alla Svizzerotta. Ovviamente, non c’era un parcheggio nemmeno a pagarlo oro.
“Accosta qui, dai” mi disse Daniela indicando un pezzo di marciapiede libero ma presidiato da un ragazzetto con un berrettino da baseball con la croce svizzera ed una giacca a vento rossa con la croce bianca sulla spalla. Si avvicinò allo sportello, lo aprì e dette la mano a Daniela per aiutarla a scendere, poi venne di corsa da me e fece lo stesso.
“Lasci pure le chiavi al quadro. Ci penso io. Si accomodi, dottore!” mi disse con tono deferente.

Feci il giro della macchina e presi Daniela sottobraccio per accompagnarla dentro al ristorante. Un sussiegoso garçon ci aprì la porta del locale ove, proprio all’ingresso ci attendeva il maître de salle. Riconobbe immediatamente Daniela, si inchinò e la salutò. “Bonsoir madame, siamo felici di averla qui questa sera” le disse quasi sottovoce. “Dottore, la prego di seguirmi. Permettetemi di accompagnarvi al vostro tavolo”. Ci condusse attraverso un portoncino in un corridoio illuminato da applique alle pareti ricoperte di carta da parati a strisce nella parte alta e da una boiserie nella parte bassa. Il corridoio terminava allargandosi in un ingresso sul quale davano tre porte. Ci aprì la porta a destra, entrò e la tenne aperta pregandoci di entrare.

Credevo che avremmo mangiato in un salone assieme ad altri commensali ed invece ci fece accomodare in una sorta di salottino, arredato lussuosamente con un divano chaise longue, una bergère ed un tavolino apparecchiato per due.

“I signori gradiscono un po’ di prosecco?” chiese il maitre. Quindi schioccò le dita ed una porta dissimulata nella parete si aprì silenziosamente. Ne uscì un cameriere in smoking che recava un vassoio con due flutes ed un secchiello entro cui era una bottiglia di Bartolomiol millesimato, uno dei migliori prosecchi esistenti. Stappò con mano ferma la bottiglia e ne versò due dita in ciascun bicchiere. Poi prese il vassoio e ci servì.
Presi il bicchiere e lo porsi a Daniela, poi presi il mio e toccai con il bordo il suo.
“A che brindiamo?” mi chiese.
“Uh… diciamo che avrei tanti motivi per brindare…ma stasera non mi va di parlarne. Brindiamo a noi!” dissi tagliando corto.



La notizia della mia prossima paternità non mi aveva reso felice. Non era una novità che Francesca ed io fossimo in crisi già da qualche mese. Le gioie del matrimonio erano durate solo poco dopo il rientro dal viaggio di nozze. La presenza di Dede da divertente era divenuta immanente e quasi imbarazzante. Certe volte mi chiedevo se avevo sposato Francesca o Francesca & Dede. E altrettanto si chiedeva Adriano, suo marito.
Ed il fatto di sapere che Francesca aspettasse un figlio da me proprio nel momento del massimo scazzo tra noi, non era una cosa che mi riempisse di gioia o di felicità.
Avevo sinceramente pensato di separarmi per un po’, di tornare a casa dei miei pe disintossicarmi da una vita che non mi apparteneva.
Francesca in un primo tempo mi trascinò tutte le sere fuori. Una volta era un vernissage, un’altra il concerto di pianoforte e quartetto d’archi delle sue amiche di scuola, un’altra volta la conferenza sulla filosofia orientale tenuta dal suo santone, oppure uno dei mille mila eventi della cerchia di amicizie di Dede, una corte di gay efebici, lesbiche con bicipiti da camionista, improbabili esperti di moda che giravano con un maltese toy sotto braccio ed il rossetto sulle labbra. Poi fortunatamente un giorno Donato mi chiamò, mi fece sedere sulla poltrona davanti alla scrivania, si mise a sedere sull’altra e mi disse: “Paolo, la vacanza è finita. Io ho bisogno del vecchio Paolo. Quello di prima del matrimonio, cazzuto, il genio. Di questo, non so che farmene. Anzi, te lo dico con sincerità. L’azienda non sa che farsene. Ma poiché l’Azienda, cioè noi, sa che tu sei una persona eccezionale, vuole che tu torni ad essere quello che eri prima. E ti dà un’altra opportunità. Ma è l’ultima. Poi è finita. Non ti licenzierà, perché non hai fatto nulla di male. Ma un conto è essere nella shortlist di quelli da chiamare a decidere sul futuro, ed un conto è essere nella lista di coloro che il futuro lo subiscono. Tu in che lista vuoi stare?”. Mi dette una pacca sulla coscia, si alzò, tornò dietro la scrivania, si sedette sulla poltrona buttandosi indietro con la schiena, accese una sigaretta con il suo Dupont d’oro, mi guardò ancora una volta e: “Salutami Francesca. Dille che le auguriamo una bella carriera come chirurgo estetico”.

Ricordo che tornai a casa distrutto, il morale sotto terra. Affrontai la sera stessa la cosa con mia moglie.
Le raccontai la spiacevole discussione a cui avevo partecipato. Le dissi dei miei timori, la pregai di cambiare modo di vivere.
Ma cosa sto facendo di male, scusa?” mi chiese.
Mi resi conto che non aveva capito nulla di quello che le avevo raccontato. Era come se avessi parlato al muro.
Promisi allora a me stesso che avrei recuperato al massimo le posizioni perdute. Non lo facevo solo per me. Lo avrei fatto anche per i miei eventuali, futuri figli. Mi rigettai a capo basso nel lavoro. Entravo in ufficio alle 7:30, 7:45, quasi sempre il primo, ed ero sempre l’ultimo ad andare via. Il venerdì sera, per quanto presto facessi, tornavo a casa alle 10 di sera. Negli altri giorni, difficilmente prima delle 23. I risultati non tardarono a tornare. Vincemmo un mucchio di trattative, la mia documentazione tecnica era ineccepibile, i miei progetti brillanti, le invenzioni geniali.
Certo, dal lato opposto avevo in parte perso Francesca che si era ancor di più legata a Dede.
Ne parlai ad Adriano.
“Ma Dede che problema ha?” gli chiesi un giorno a brutto muso.
“Giuro, Pa’, non la capisco manco io” mi rispose alzando le braccia. “Non lo so. So solo che spende un sacco di soldi e sta tutto il giorno fuori di casa. Io mi spacco il culo da mane a sera, lei la sera vuole uscire, divertirsi, non le basta quello che fa durante il giorno. Io sono distrutto dalla stanchezza e lei vuole uscire!”
“Dobbiamo fare qualcosa per calmarle, altrimenti queste ci mandano ai matti!” aggiunse.
“Si, mettiamole incinte!” dissi scherzando. Peccato che avessi appena vaticinato il mio futuro.



“Allora brindiamo a noi!” disse Daniela, levando il calice.
“Paolo? Ci sei?” mi richiamò Daniela.
“Come? Si, scusa. Si, a noi e… prima che me lo dimentichi, grazie mille Daniela per quel che hai fatto e che stai facendo”.
Per un attimo mi sembrò di vedere un senso di delusione stagliarsi nettamente sul viso di Daniela, come se avessi detto qualcosa, o omesso di dire qualcosa, che l’aveva disillusa. Ma fu questione di un attimo perché subito sorridendo si avvicinò ancor di più e: “Ti piace come mi sono vestita?” mi chiese muovendosi come una gatta.
“Se mi piace? Sei fantastica. Bellissimo il vestito, mi piace da morire. E poi, hai una schiena talmente bella che questa scollatura la esalta” le dissi guardandola negli occhi mentre però indicavo con la mano che reggeva il bicchiere la sua schiena.
“Ti piace davvero?” rispose mentre si girava verso di me, girando la testa cercando di osservare da sopra la sua spalla la profondissima scollatura posteriore.
“Sai che ho dovuto per forza mettere le autoreggenti perché tutti i collant che ho provato uscivano dalla scollatura, e pure gli slip mi hanno dato un sacco di problemi. Però il vestito mi piace così tanto!” aggiunse guardando un punto nel vuoto, buttando questo argomento con la massima nonchalance.
Ebbi per un attimo un blocco della respirazione e sentii nel contempo una fitta all’inguine. Non mi aspettavo un attacco così rapido ed immediato, almeno, non prima di aver mangiato e bevuto abbastanza da avere la scusa di aver perso la ragione.
Mi chiese se potevo prenderle le sigarette dentro la borsa che stava poggiata sul divano.
Per prenderle ero obbligato a passarle di dietro, non potevo fare altrimenti. Mi ritrovai ad osservarle la schiena e notai che la sua scollatura era talmente profonda che, da seduta, il vestito si era un po’ scostato dal corpo ed aveva evidenziato il fatto che Daniela non portava slip, mostrando due buone dita di solco dei glutei.
Inutile dire che mi ritrovai immediatamente con un’erezione che non ricordavo di aver avuto da lungo tempo. Comunque, le aprii il pacchetto, le offrii una delle sue sigarette, presi il mio Dupont “Punta Diamante” d’argento e gliel’accesi. “Permettimi di darti fuoco!” le dissi ridendo. Era una battuta buttata lì per cercare di smorzare la palpabile tensione che si avvertiva tra noi.
“Oh, se è per questo, sono già tutta un fuoco!” disse sorridendo mentre sbuffava il fumo e si mordicchiava le labbra, le gambe accavallate e due buone dita di balza di pizzo delle calze in mostra.

Altra scarica di adrenalina e di ormoni. I nostri recettori erano ormai saturi dei feromoni che entrambi emettevamo e mandavano fuori scala i dosatori della dopamina: detto in parole povere, l’eccitazione sessuale era a mille. Sentivo l’afrore uscire dalle mie ascelle ed un umido calore emergere dal mio inguine. Parimenti, vedevo la pelle sopra il labbro superiore, sotto il naso, quella degli zigomi e della fronte di Daniela lucida di trasudo, l’odore del sesso mescolato all’essenza delicatamente speziata di ylang ylang e gelsomino di Calèche di Hermes.
Ovviamente, questo si traduceva in me in una vistosa e quasi dolorosa erezione.
Un ding di un campanello richiamò la nostra attenzione. Si aprì la porticina dissimulata ed entrarono due camerieri con un carrello portavivande. Aprirono uno ad uno i coperchi rotanti e mostrarono le pietanze destinate alla nostra cena: ostriche di Cancale, farfalle alla puttanesca, filetto al pepe verde, mousse di cioccolato al peperoncino, accompagnati da varie bottiglie. Prosecco per le ostriche, Sagrantino per il pasto, Zibibbo per il dessert.
Ci accomodammo al tavolo e iniziammo a mangiare le ostriche. Daniela ne prese una, la bagnò con il limone e la leccò con voluttà, poi la succhiò e la prese in bocca facendola scivolare tra le labbra, la lingua a guidarla dentro. Ne prese quindi un’altra e me la mostrò. Era la rappresentazione fedele di una vulva, le grandi labbra aperte, le piccole labbra dischiuse, il peduncolo a simulare il clitoride. Spruzzò un po’ di limone e poi mi imboccò, facendomi succhiare il mollusco e le sue dita che lo sorreggevano. Quindi prese il guscio, lo leccò a sua volta, quindi prese le dita che mi aveva infilato in bocca e le succhiò una ad una. La testa mi pulsava, sentivo il battito del cuore accelerato ad almeno 130 colpi, un tump in testa, un tump in gola, un tump nelle orecchie. Ero certo di non aver mai provato un’eccitazione così forte.
“Paolo, mi è caduto il tovagliolo, puoi cortesemente raccogliermelo?” mi chiese tenendo le dita della mano sinistra sollevate mentre con la destra stringeva ancora una valva vuota.
“Certamente, dove ti è caduto?” le chiesi mentre mi alzavo.
“Proprio qui sotto le mie gambe!” rispose con voce innocente.
Mi chinai sotto al tavolo per essere accolto dalle sue gambe completamente spalancate, il vestito tirato su fin quasi ai fianchi, il suo sesso del tutto simile all’ostrica che mi aveva appena mostrato. Una corta peluria le incoronava il clitoride mentre il resto sembrava liscio come la pelle di un neonato. Si allargò quindi con una mano le labbra per mostrare la vagina stillante umori luccicanti e filamentosi.
“Ti prego, leccami!” mi chiese quasi implorandomi.

Mi chinai ulteriormente, mi avvicinai e le infilai la lingua tra le gambe, suggendo quella sorta di mollusco come avevo fatto in precedenza con l’ostrica. Mi dedicai quindi al suo clitoride, massaggiandolo, picchiettandolo, titillandolo con la lingua fino a che non sbocciò tra le piccole labbra assumendo le dimensioni di un pisello, un pisellino rosa su un’ostrica rosa. Mi aiutai con due dita che le infilai nella vagina scavando la sua intimità accogliente. Rovesciai quindi le dita verso l’alto cercando il bottone spugnoso del suo punto G, lo trovai ed iniziai a massaggiarlo con foga mentre la lingua continuava a torturare il suo bocciolo.
Daniela inarcò la schiena e divaricò ancor di più le gambe, emettendo un sordo grugnito di piacere.
“Ti prego, continua! Sto per venire!” sussurrò.
Continuai ad entrare ed uscire con le dita, ogni volta cercando di andare più a fondo. Ora aumentavo il ritmo, ora frenavo; mi fermai per dedicarmi al clitoride che ora si ergeva rosso, quasi pulsante. Dense strisce di umore stillante dalla sua vagina le stavano colando lungo le cosce. Poi, una serie di violente contrazioni accompagnate da un’abbondante secrezione quasi bianca, densa come lo sperma.
Si fermò, chiedendomi di interrompere la masturbazione, stringendomi la mano tra le sue cosce. Le sue guance erano diventare rosse, i capezzoli spingevano il leggero tessuto disegnando le ciliegine su due cupcakes. Si abbandonò con la schiena sulla sedia, ancora con il fiatone per l’orgasmo che l’aveva svuotata.

“Era…una…vita…che…non…venivo…così” mi disse tra un respiro affannato e l’altro.
Mi alzai e mi rimisi seduto, cercando di pulirmi la mano e la bocca dalle sue secrezioni.
“Vieni qui da me, per favore!” mi chiese.

Mi rialzai e mi riavvicinai a lei, poggiando una mano sulla spalliera della sua sedia e l’altra sul tavolo. Lei mi prese per la cravatta, mi tirò a se e mi leccò il viso attorno alla bocca pulendomi dal suo nettare. “Mmmm, buonissimo!” disse, prima di infilarmi la lingua in bocca sempre trattenendomi. A quel punto mi lasciai un po’ andare e partecipai attivamente al suo bacio prendendole la testa per la nuca mentre con la mano destra le accarezzavo il seno attraverso il vestito.

Daniela si alzò in piedi e si diresse verso il divano dicendomi “Non ho fame, adesso. O meglio, ho fame, ma di altro” e mi tirò a sé.
Fece scivolare il vestito dalle spalle rimanendo nuda con le sole autoreggenti. Aveva un seno fantastico, piccolo, sodo, con due capezzoli reattivi piantati al centro di due areole appena più grandi del capezzolo, rosa tenuemente più scuro della pelle. La vita era sottilissima, il ventre piatto con l’ombelico perfettamente incastonato al suo centro. Un palmo più in basso, il pube curatissimo, solo una striscia ad evidenziare la sua magrezza e ad indicare la sua fonte del piacere.

Aprì le braccia ad accogliermi. Mi fermai accanto al divano, indeciso sul da farsi. Cazzo, avevo appena saputo che mia moglie era incinta del nostro primo figlio, ed io stavo lì pronto a sbattermi la segretaria più fica dell’ufficio, molto probabilmente terreno di caccia privata dell’amministratore delegato. Mentre pensavo sfogliando mentalmente la margherita “Scopo o non scopo?”, Daniela mi prese e mi sbottonò i pantaloni e calò i miei boxer tirando fuori il mio pisello che era già da tempo in piena, potente erezione.

“Ah, ma qui siamo messi benissimo! Bello grosso, lungo e duro, come piace a me!” e si avventò con la bocca sulla cappella mentre con una mano mi masturbava e con l’altra mi massaggiava le palle. Fece per un po’ su e giù con la bocca sull’asta, leccandomi ogni centimetro.

“Che bello, sei depilato! La tua pelle è liscissima! Sembra seta!” mi disse mentre mi accarezzava tra una slinguata e l’altra.
Poi mi tirò a sé, mi fece stendere su di lei, prese con la mano il mio membro e lo portò verso la sua fica.
“Ti prego, spingi ed entra dentro di me!” chiese implorando.
Non riuscii a trattenermi. Entrai ed iniziai a scoparla violentemente, sbattendo il mio pube contro il suo.

Sentivo che stavo arrivando con la punta fino alla sua cervice e ciò le provocava fastidi, evidenziato da smorfie di dolore inframezzate da gridolini. “È che sei troppo lungo per me! Io non sono abituata a certi calibri. E poi sei pure bello grosso! Fortunata chi ti scopa!” mi disse ansimando.

La girai a pecorina e la infilai di nuovo con decisione.
Lei iniziò ad ansimare e a mugolare di piacere. Ogni colpo che le infliggevo era un ansimo, un gridolino di piacere misto a dolore, forse perché arrivavo ben dentro la sua intimità.
Ad un certo momento iniziai a stantuffare forte, talmente forte che talvolta uscivo dalla sua vagina, ormai un lago di secrezioni dense e scivolose. Poi lo rimettevo dentro al volo e seguitavo ad entrare ed uscire con intensità quasi al limite del violento.

Daniela venne un’altra volta. Il suo orgasmo la squassò, le ginocchia le cedettero, i muscoli della vagina si strinsero più volte attorno alla mia asta piantata dentro di lei. Uscii, ancora lontano dal mio culmine, lasciando la sua fica aperta e gocciolante. Si mise con le spalle appoggiate al bracciolo del divano, prese con le mani i glutei e li divaricò. “Ora, ti prego, mettimelo nel culo!” mi chiese, quasi supplicandomi.
Infilai le dita dentro la sua vagina ancora fradicia e me le bagnai di quell’umore trasparente, filamentoso, che spalmai abbondantemente sullo sfintere prima di infilarvi prima uno e poi due dita. Non ci fu resistenza, le dita entrarono come un dito nel budino.

Appoggiai allora la cappella al suo forellino e premetti aspettandomi un minimo di resistenza, vista la differenza di dimensioni, ma la ragazza mi accettò come se nulla fosse. Mi ritrovai tutto dentro, il retto disteso come una guaina, lo sfintere a massaggiare la base del cazzo come un anello fallico.
Iniziai ad andare su e giù, su e giù sempre più velocemente. Daniela sembrava soffrisse, per cui mi fermai.

“Tutto bene? Ti sto facendo male?” le chiesi.
“Ma quale male e male! Dai, spingi, fammi sentire quanto sei grosso. Un cazzo come il tuo non l’ho mai preso e, giuro, mi stai facendo godere come mai! SPINGI!” rispose affannata.
Continuai a scoparle il culo con veemenza, tirando fuori il pisello ogni tanto per fargli prendere aria e raffreddarlo un po’, per poi rimetterlo dentro in quella cavità che rimaneva sfacciatamente aperta al centro del culo come la bocca de “L’urlo di Munch”, le sue mani come le mani del protagonista, le fossette al posto degli occhi. Anche quel culo era effettivamente un capolavoro.

Alla fine stavo per venire e glielo comunicai. “Sto per venire, Daniela!”.
Lei si sfilò, sorprendendomi, si girò, prese il cazzo in mano e mi masturbò portandoselo all’altezza del viso. Venni copiosamente, grossi schizzi le colpirono il naso, la bocca, gli occhi, i capelli. Poi me lo prese in bocca e lo succhiò ingoiando le ultime stille; si ripulì il viso con le dita che rimise in bocca, succhiandole e nettandole.
“Uhm, buono, dolce come mi piace!” disse gustando quel che per lei era un nettare.
Inutile dire che quella sera mangiammo veramente poco. Passammo gran parte del tempo a fare sesso in tutte le posizioni, le penetrai tutti gli orifizi, bevvi il suo nettare, lei mi succhiò come un cannolicchio e letteralmente mi prosciugò.

Per fortuna nostra, verso l’una di notte decidemmo che era abbastanza. Daniela ed io ci rassettammo, ci ricomponemmo alla meglio e suonammo il campanello per avvisare che eravamo pronti.

Venne un cameriere che, evitando di guardarci negli occhi, ci porse i nostri soprabiti. Aiutai Daniela ad infilare il suo, misi il mio e poi, ringraziando, allungai 10.000 lire di mancia al ragazzo.
Ci scortò di nuovo lungo il corridoio e ci accompagnò alla porta ove il maître ci attendeva compìto.

“Spero che sia andato tutto bene, signori. La cena era di vostro gradimento?” chiese.
“Ottima cena, piacevole compagnia, servizio ineccepibile ed accuratissimo” dissi celiando, riferendomi al servizio ricevuto da Daniela.
Portai la mano al portafoglio per prendere la carta di credito ma il maître mi bloccò alzando la mano “Il conto è stato già pagato, dottore” mi disse.
Guardai Daniela con sguardo interrogativo ma lei mi fece cenno di tacere e soprassedere.

Uscimmo e mentre aspettavamo che il valet portasse la macchina di Daniela, pensai che non me la sentivo di portarla a casa mia, ma non mi andava nemmeno di lasciarla lì, arrivederci e grazie.
Le chiesi pertanto se avesse piacere di essere accompagnata a casa, al che mi rispose: “E poi come fai a tornare indietro?”
“Io pensavo di dormire da te e di tornare in ufficio con te, domattina” le risposi con malcelata speranza.
“Paolo, non è possibile. A parte che domani è sabato… e poi, non sono da sola a casa. Se avessi potuto, ti avrei invitato a cena da me e allora saremmo stati assieme tutta la notte!” rispose.
Giusto. L’indomani era sabato e Francesca sarebbe di certo rientrata, soprattutto vista la notizia che mi aveva dato al telefono.

Stavo per dirlo a Daniela quando realizzai che avrei fatto un errore a parlarne. Preferii tacere, mi avvicinai, le presi il viso tra le mani e la baciai delicatamente sulle labbra.
“Grazie Daniela. Non hai idea quanto mi abbia fatto bene questa sera” le dissi con sincerità.
“Non hai idea tu quanto abbia fatto bene a me!” mi rispose invece ammiccando ed alludendo al piacere che ci eravamo vicendevolmente regalato.
Ci salutammo, io mi incamminai verso l’ufficio a riprendere il motorino ma, arrivato a piazza Cavour, decisi che sarebbe stato meglio prendere un tassì.

Scesi dopo poco sotto casa, salii, entrai, mi spogliai al volo e mi buttai sotto la doccia. Volevo cancellare gli odori che ancora mi permeavano le narici ed assieme a loro, i sensi di colpa.
Poi, cercando di annullare ogni minima traccia di Daniela, versai del vino rosso sulla camicia e la misi in ammollo in acqua saponata. Presi i boxer ed calzettoni e li chiusi in una busta che nascosi in balcone nell’armadietto degli attrezzi assieme agli stracci da lavoro. Non contento, versai altro vino sui pantaloni, un po’ all’altezza della patta e del cavallo ed un po’ sulla coscia destra; li misi quindi tra la roba da lavare, pronto a giustificare il tutto con la mia distrazione.

Mi buttai quindi a letto, cercando di addormentarmi.
===========================================================================================
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119
Un altro capitolo della mia storia.

Discussioni​

Il mattino successivo mi svegliai tardi, al suono del telefono sul comodino.
“Pronto” risposi con la voce impastata dal sonno.
“Paolo?” dall’altro capo del telefono. Era Francesca.
“Ciao Fra. Buongiorno.”
“Ma stai ancora a letto? Ma ti sei svegliato adesso?” mi chiese.
“Si, sono ancora a letto. Mi hai svegliato tu” risposi. “Ma che ore sono?” chiesi.
“Sono le undici e tre quarti. Noi abbiamo quasi finito qui. Aspetto l’intervento di chiusura del Professore e poi partiamo. Le valigie sono già in macchina” mi rispose.
“Okay, vieni piano. Non correre, come tuo solito” le dissi.
“Guarda che se c’è qualcuno che corre, in macchina, sei tu, non io di certo!” rispose piccata.
“Già, ma ora sei incinta, porti una creatura in grembo. Pensa anche a lei” replicai.
“Di questo parleremo quando torno” mi disse con un gelo inspiegabile.
“Beh, non mi pare di certo un argomento da trattare al telefono. Ma mi pare di capire che non sei felice!” insinuai.
“Felice io? Come una pasqua!” rispose ironicamente. “Soprattutto nelle mie attuali condizioni” aggiunse.
“Intendi le nausee?”
“Le nausee, il fatto che sfascerò il mio corpo, il fatto che tra un po’ dovrò smettere di lavorare e tutte le altre squinzie del Prof. approfitteranno della mia impossibilità ad essere presente per farmi le scarpe!” si lamentò.
“Non ti credere: mi hai fatto un bel regalo, mettendomi incinta. Proprio un bel regalo. Ero riuscita ad entrare nelle grazie del Prof. e a dimostrargli che ero la migliore, che potevo diventare la sua assistente n.1 e puntare ad essere il suo aiuto, e ora invece? Buttato due anni di carriera nel cesso!” fu il suo sfogo.
“Non dire cazzate, Fra’. Stai parlando di un figlio, cazzo, non di una cena o di una bevuta. UN FIGLIO!!!” mi lamentai urlando al telefono. Niente, mi aveva fatto incazzare. Sbattei giù il microfono senza salutare. Ero troppo incazzato, e non ero in condizione di essere lucido ed obbiettivo.

Risquillò il telefono. Presi il microfono e lo portai all’orecchio senza fiatare.
“NON TI PERMETTERE MAI PIÙ DI ATTACCARMI IL TELEFONO IN FACCIA. ALLA PROSSIMA LO PRENDO E TE LO FICCO NEL CULO!” mi urlò contro, talmente forte che dovetti allontanare il microfono dall’orecchio.
“tu tu tu tu..” il segnale di comunicazione chiusa dall’altra parte.

Non potevo richiamarla, non avevo il numero e l’organizzazione del congresso non mi era parsa molto all’altezza, almeno nella gestione delle chiamate. Rimandai pertanto al ritorno di Francesca il chiarimento.

Decisi di chiamare Daniela.
“Ciao!” mi rispose.
“Pensavo avessi dimenticato che esisto!” aggiunse.
“Oh, Daniè, non ti ci mettere pure te, eh?” le risposi piccato. “Oggi non è giornata!” dissi.
“Allora, se oggi non è giornata, lasciamo stare. Ci sentiamo più tardi, domani, oppure ci vediamo lunedi in ufficio, capo…” ed attaccò.

E due.
Beh, oggi con le donne era un successone.
Chiamai mia mamma, sperando in un invito a pranzo.
“Mamma, come stai? Che mi prepari di buono?” le chiesi dopo aver fatto il numero ed atteso che rispondesse.
“Oggi? Nulla, figlio mio. Stiamo uscendo con papà e stiamo andando a Pescasseroli, dagli amici. Mi spiace!” mi disse.
Augurai loro buon viaggio e ci salutammo. E tre!

Mi alzai, preparai il caffè e mi misi sul divano a leggere una rivista che avevo portato dall’ufficio e che non avevo ancora guardato. Mentre sorseggiavo la mia tazzina, mi venne in mente di chiamare Adriano per chiedergli se aveva parlato con Dede.

“Adriano, ciao! Disturbo?” fu il mio saluto.
Gli raccontai brevemente la burrascosa chiamata con Francesca e gli chiesi se per caso Dede gli avesse accennato qualcosa.
“In realtà mi ha raccontato solo che Francesca ha scoperto di essere incinta. Per inciso, potevi chiamarmi e dirmelo tu. Sei uno stronzo!” mi rispose.
“Scusa Adriano, è che ieri ho fatto tardi in ufficio e non avevo proprio voglia di parlare con nessuno”.
“Non dire cazzate! Ti ho cercato sia in stanza che in laboratorio software dove di solito ti rinchiudi e mi ha risposto uno dicendomi che ti aveva visto uscire con la segretaria!”.
Azz… sputtanato!
“Adriano, si, è vero. Sono andato a cena fuori. Sono stato invitato dalla mia segretaria temporanea. Beh, avrei dovuto farlo io, ma lei mi ha anticipato ed ha organizzato tutto…” dissi con il tono più naturale e contrito possibile.
“E?”
“E cosa?”
“E che cosa hai fatto? Come si è conclusa la serata?” mi chiese.
“Ognuno a casa sua!” risposi. Era la verità, in fin dei conti.

Non mi andava di sputtanarmi con il mio amico. Volevo averlo dalla mia parte in un eventuale contesa tra Francesca e me. Evitai pertanto di raccontargli della mia follia e della situazione incredibile che si era creata. Dubitavo che mi avrebbe creduto, se gli avessi raccontato della Svizzerotta e del Tavolo 12. Era troppo da film di spionaggio.
“Vuoi dirmi che sei uscito con un tocco di fica imperiale come Daniela, che si vede che c’ha fame di cazzo da un chilometro di distanza e mi dici che non te la sei scopata?” mi stuzzicò.
“Ma perché, la conosci, scusa?” gli chiesi.
“Ma sei cretino o che? Certo che la conosco. Era la mia ex, prima di Dede! E so di certo che è una che se ti piglia ti spolpa. Ti prende come un ossobuco, ti succhia tutto e lascia solo l’osso vuoto. Ci siamo lasciati perché ambiva ad altri …calibri, la stronza!” mi disse.
“Ma dai, non è stronza. Non con me, almeno!” ribattei.
“Vabbè. Te la sei scopata o no?” chiese.
“No. Assolutamente no. Con quelle dell’ufficio MAI!” affermai con un tono che non lasciava fraintendimenti.

“Se se… come se non si fosse passata tutti i dirigenti del tuo ufficio… Dai, Paolo, apri gli occhi! Quella fa carriera perché sa gestire bene ciò che ha in mezzo alle gambe e grazie alla sua agenda. Si è scopata mezza Roma che conta, e l’altra metà è in lista d’attesa. E si fa pure le mogli, soprattutto se sono bone. Strano che non ti abbia chiesto di uscire assieme a Francesca!” mi disse.

Avevo sentito alcune chiacchiere in ufficio sull’atteggiamento libertino di Daniela e alcuni mi avevano giurato che era stata vista fare un pompino all’Amministratore Delegato attraverso la finestra della sua stanza, ma avevo derubricato la cosa ad una mera diceria figlia dell’invidia.
La discussione con Adriano mi aveva aperto gli occhi da un lato e messo in allarme dall’altro.
Dovevo pensare ad una linea di comportamento che non provocasse eventuali ripicche.
E se era vero che il mio boss se l’era trombata, se ne fosse venuto a conoscenza sarebbero stati augelli senza zucchero.
Ma per il momento, dovevo concentrarmi sulla notizia che mi avrebbe cambiato la vita da lì a breve: la mia prossima paternità.

A metà pomeriggio arrivò Francesca. Suonò al citofono pregandomi di scendere giù ad aiutarla con la valigia, aveva la nausea e non riusciva a fare sforzi.
Andai immediatamente in suo soccorso e presi le due sacche pesantissime e le misi vicino all’ascensore. Poi dissi a Francesca di salire e di lasciare tutto com’era, che avrei pensato io a mettere la macchina nel box e a portare su le sacche.

Feci manovra con la macchina protestando tra me e me per il fatto che Francesca aveva spostato il sedile praticamente attaccato al volante, poi richiamai l’ascensore e infilai con un certo sforzo quei due macigni da trenta chili l’uno nella cabina, cercando di metterli in modo che si potessero chiudere le porte.
Trascinai quindi quelle due salme in camera e le misi sul letto ove si era distesa mia moglie, bianca come un cencio.

“Fra, ma ti senti male?” le chiesi.
“Nooo, sto benissimo. Ho solo vomitato l’anima, mi sento lo stomaco in gola e come penso a qualsiasi cosa che sia edibile ho un conato. Non mi reggo dritta e sono incazzata nera con te. A parte queste sciocchezze, sto benissimo. Una MERDAVIGLIA!” mi rispose con un tono incazzato, sarcastico e cattivo.
“Incazzata con me? E per quale motivo, scusa?” le chiesi.
“Lo sai perché” rispose.
“No, non lo so. Non ne ho idea. Se pensi di addossarmi la colpa di essere incinta, bella, ti sbagli. I figli si fanno in due. Mi sembra che a te piaccia scopare almeno quanto piace a me. E non ti sei mai tirata indietro, da quando …” e mi tacitai.
“Da quando?” chiese.
“Da quando… da quando siamo stati in Grecia.”
“Lo vedi? Colpa tua. Chi è che voleva fare le cose strane, fare l’esibizionista, farmi prendere il sole nuda, farmi girare senza intimo?”
“Si, certo, io. Ma se non ti fosse andato a genio, non lo avresti fatto. Così come non ti saresti fatta scopare da me e da Adriano assieme, se non lo avessi voluto tu!”
“Eh già. Lui si, poteva scoparsi tutte, io no. Solo quello che dice lui!”
“Ma guarda che io non ho scopato nessuna prima!”
“Prima no, ma dopo? Non ti ricordi nulla di quell’ultimo giorno? Ti sei scopato Dede, da solo e con Adriano, ti sei scopato Federica, ti sei scopato Patrizia, ti sei fatto spompinare da tutte. Tra un po’ ti scopavi anche quella del locale! E io dovevo stare lì a fare la cornuta e abbozzare? No, caro!”
“Avevamo detto però che avremmo sepolto questa storia e non ci saremmo torniti più sopra. Era successo, era finita. Basta. Invece questo tuo lamento mi fa capire che per te la storia non è finita ed hai ancora un conto aperto con me!”
“Conto aperto? E ti pare normale che sei mesi prima di sposarci abbiamo fatto un’orgia? E non una volta, ma tutta una settimana! E ora pretendi che io dimentichi tutto con uno schiocco di dita, così!” e schioccò pollice e medio producendo un rumore secco.
“A parte che all'orgia, come la chiami, hai partecipato anche tu e, se non ricordo male, non mi pareva che ti fossi tirata indietro, anzi... Ma poi, vabbè, scusa, ma che c’entra questo con il fatto che sei incinta? E poi, non prendevi la pillola? Non avevamo detto che avremmo aspettato un po’ prima di fare dei figli? Cara mia, tu lo sai che io lo so, che la pillola è scura al 100% ma se ne salti una sola, sono cazzi. Non è che ne hai saltata una?” le chiesi, accusandola di poca attenzione.
“IO NON HO MAI SALTATO UN GIORNO!” mi rispose urlando.
Mi calmai. Non era il caso di esagerare.
Mi sedetti accanto a lei sul letto e con tono il più calmo possibile le dissi: “Fra, magari hai vomitato, oppure avevi forte acidità e non ha fatto effetto. Cerca di ricordare!”
Francesca stette per qualche secondo in silenzio, concentrata sui ricordi recenti.

“In effetti, venti giorni fa sono stata molto male, ricordi? Abbiamo mangiato quella cosa che ci ha fatto male al ristorante assieme a Dede e Adriano.”
“Quale Frà? Non ricordo”
“Ma si, la peperonata, in quel ristorante a viale Parioli, la Stufetta, ricordi? Che quando sono tornata a casa avevo preso un bicchiere di citrosodina per cercare di digerire.”
“Embè? La pillola l’avevi presa la mattina, mica la sera.”
“Si, ma la mattina dopo avevo ancora tanta acidità. E poi, avevo preso il caffè perché dovevo andare in clinica ad assistere il Prof. in quella mammoplastica a quella (riferendosi ad una nota attrice italiana). Ricordo che ho avuto un rigurgito e ho sputato della saliva mista a acido. Ma non c’era la pillola. L’avevo presa appena sveglia”
“Sta di fatto che, guarda caso, abbiamo fatto l’amore la sera, ti ricordi? Avevamo iniziato a scherzare sulle tue tette, che il prof voleva sistemartele, e poi siamo arrivati alla plastica alle piccole labbra, che io ti ho osservato da molto, molto vicino… ricordi?” le dissi.
Francesca annuì sorridendo. Ma subito un ombra le attraversò lo sguardo e il malumore si rimpossessò di lei.
“Tu con la tua mania di venirmi dentro!”
“E tu con il tuo rifiuto a ingoiare!”

“Fra, così non andiamo da nessuna parte. Non è accusandoci a vicenda che risolviamo il problema” dissi dopo qualche istante di silenzio.
“Dobbiamo decidere se vuoi portare avanti la gravidanza o vuoi interromperla.”
“VUOI? E che è una decisione mia?”
“In un certo senso, si. È una tua decisione. Io ho il diritto di esprimere la mia opinione, ma l’ultima parola la avrai tu. Sei tu che porti la creatura in grembo. Sei tu che soffrirai per mesi, che avrai i problemi di digestione, le gambe gonfie, il caldo, il peso, la schiena, e poi i dolori del travaglio, il parto, e poi l’allattamento, lo svezzamento… insomma, la madre sei tu e nessuno può sostituirti. Io posso solo darti una mano, ma sai che alla fine, è tutto in capo a te!” le dissi con la massima franchezza.
“Per cui, te lo richiedo: cosa vuoi fare?” le dissi.
“Dimmi cosa ne pensi tu” mi rispose a voce bassa.
“Io penso…” e feci una pausa, cercando di essere sicuro del pensiero che nel frattempo avevo formulato. “Io penso che dobbiamo tenerlo. Anzi. TenerlA, perché è femmina.”
“E che ne sai tu se è maschio o femmina? Non lo sapremo fino a che non faremo l’ecografia alla quindicesima settimana. Prima, è praticamente impossibile. E non è detto che si riesca, perché se il cordone ombelicale è in mezzo alle gambe ed il feto non è in posizione, con la sonda rischi di vedere poco o di confonderti. Dovrei fare una villocentesi ma è un accertamento sperimentale e troppo pericoloso. Io non ho malattie ereditarie né storie familiari tali da consigliarmelo. Domani lo chiedo a mamma. E tu, invece?” mi chiese.
“Io? Non credo di avere storie familiari di problemi genetici di alcun tipo. Almeno che io sappia. Chiederò anch’io”. Comunque, sono certo che è femmina, me lo sento” dissi con tono sicuro.
“Tu cosa vorresti?” le chiesi.
“Innanzitutto non so ancora se lo voglio, un figlio. Secondo poi, per me basta che sia sano. Se ha preso i geni miei, sarà bellissimo o bellissima. Se ha preso i tuoi, sarà una egoista, egocentrica rompipalle. Con dei begl’occhi, però. Ed una bella bocca” si sollevò e mi baciò.
“Scusa, amore. Cerca di capirmi. Sono confusa. Non so, non ero pronta, non sono pronta.”
“E tu pensi che io lo sia?”
“No. Anche tu non lo sei, lo so. E scusa per ieri, lo so che se lavori tanto è per noi, per il nostro futuro. Ho parlato con Adriano, sai, e mi ha detto tutto quello che ti ha detto Michele. Per inciso, bell’amico! Io uno che mi ricatta e mi minaccia non lo considero un amico, ma un figlio di puttana!” mi disse, rivangando la storia delle minacce di demansionamento e di messa in panchina in caso non avessi ripreso a lavorare con i ritmi ed i risultati consoni a cui avevo abituato i miei manager.
“Allora capirai perché sono costretto a fare questa vita.”
“Cambia lavoro, allora. Se sei tanto bravo, manda il curriculum in giro!”
“Come se fosse facile. E giacché nel nostro mondo tutti sanno che io faccio parte di una certa cordata, e che questa cordata è ammanicata con Tizio e Caio, secondo te, mi prendono per fare un dispetto che poi viene riportato a Sempronio che coordina Tizio e Caio? No, non è possibile. Non ancora, almeno. A meno che non decida di cambiare lavoro, attività, mercati” risposi alla provocazione di mia moglie.
“Allora, visto che ci siamo, perché non cambi TU ambiente? Non mi piace che tu sia così disponibile con quel …professore” le dissi mimando le virgolette attorno alla parola “professore” con le dita. “Mi sta sul cazzo, lo trovo viscido e secondo me ti sfrutta. Sfrutta la tua bellezza naturale e ti tratta come se fossi una sua creatura per far credere che sia stato lui a farti così” le dissi.
“Ma chi cazzo ti mette in mente queste stronzate, scusa?” rispose.
“Nessuno. Sono miei pensieri” insistetti.
“Pensieri del cazzo. Allora, ripeto, pensa a cambiare lavoro che a me quel tuo caro Michele mi sta sul cazzo e non mi piace. Per me si sta facendo bello con il tuo lavoro” scimmiottò il mio discorso di poco prima.
“Sai che c’è? Non ho proprio voglia di parlare con te. Mi hai fatto incazzare. Vado a fare un giro a piedi. Anzi, vado a recuperare il motorino che ho lasciato in ufficio” dissi.
“E perché avresti lasciato il motorino in ufficio, di grazia?” mi chiese con aria polemica.
“Perché mentre tu stavi beatamente leccando il culo al tuo professore, io stavo chiuso in ufficio a lavorare e quando sono uscito diluviava, per cui sono venuto in tassi” risposi seccato. Stavo cercando rogna.
“NON TI HO DETTO COTICA! RISPONDI PER BENE PERCHÉ NON TI HO DETTO NULLA DI OFFENSIVO E NON C’È BISOGNO CHE TU MI OFFENDA!” rispose ad alta voce Francesca.
Non so perché lo feci, ma mi alzai di scatto, presi la giacca, le chiavi di casa ed uscii senza salutare, sbattei la porta e me ne andai.

Scesi le scale di corsa e mi avviai a passo svelto verso Prati. Certo, non erano due passi, da Vigna Stelluti erano almeno un’ora a piedi. Arrivato a Corso Francia, attesi il passaggio del primo autobus che mi portava a Piazzale Flaminio. Dopo qualche minuto passò il primo autobus, il 2. Lo presi, vidimai il biglietto che portavo sempre appresso e mi misi a sedere. Roma di sabato ha un’atmosfera particolare, e all’inizio della primavera è sempre stupenda e quel giorno non era differente; aria tersa e un tiepido sole di la rendevano se possibile ancora più bella.

Arrivai relativamente presto al capolinea, scesi dall’autobus e mi diressi di buon passo verso lungotevere e piazza della Libertà, girai a sinistra per via Cesi e all’incrocio con via Belli girai ancora a destra. Attraversai via Cicerone e proseguii per via Cassiodoro.
Entrai in ufficio per prendere le chiavi del motorino che avevo lasciato sulla scrivania. Prima di prendere le scale per salire in stanza buttai un occhio verso la direzione per vedere se c’era qualcuno. La porta dell’ufficio dell’AD era stranamente chiusa e la luce in segreteria era accesa. Volevo entrare ma preferii salire in stanza.
Mi misi a sedere alla scrivania e con un gesto meccanico accesi il computer. Mi ricordai che avevo lasciato a metà un lavoro sulla presentazione e pensai che, visto che a casa era meglio non rientrare subito, avrei potuto impiegare meglio il tempo terminandolo.
Mi misi pertanto al lavoro ed in effetti, privo di distrazioni mi concentrai e portai a termine le animazioni che avevo previsto di applicare ad una certa pagina in un paio d‘ore.
Lo squillo del telefono mi sorprese e mi riscosse dall’isolamento in cui mi ero calato.

“Paolo? MA DOVE CAZZO STAI? SEI ANCORA IN UFFICIO? PERCHÉ STAI IN UFFICIO? CHI C’È LÌ CON TE?”. Era Francesca, inviperita per essere stata lasciata da sola e per il fatto che me ne ero andato via di casa senza dirle nulla.
“Sono in ufficio, dove mi hai chiamato. Come vedi, ti ho risposto. Sono alla mia scrivania. Sto lavorando e gradirei non essere disturbato. Sono da solo, è sabato e la gente di solito il sabato non lavora, quindi si, sono da solo. E sto benissimo. Cosa vuoi?” risposi con tono secco ed incazzato.
“Non è vero che sei da solo. Mi ha risposto Daniela e mi ha detto che non sapeva che ci fossi e che avrebbe provato a passarmi l’interno!”
“E come vedi sto al mio interno e non sapevo che ci fosse Daniela. Immagino sia qui con l’amministratore delegato. In fin dei conti è la sua segretaria!” dissi, più a me stesso che a lei. Ma sapevo già che cosa era successo in quella stanza con la porta chiusa. “Quindi per favore, falla finita e dimmi che cosa vuoi” proseguii, sempre con un tono seccato.
“Vorrei che rientrassi a casa. Ti prego!” e scoppiò a piangere. Non era decisamente la Francesca a cui ero abituato. Sinceramente, provai una stretta al cuore.
“Non mi lasciare da sola! Per favore” singhiozzò.

Chiusi il computer, presi le chiavi del motorino e scesi al piano terra.
La porta dell’ufficio dell’AD era aperta, bussai alla porta e mi annunciai.

“Volevo salutarti, non mi aspettavo di trovarti in ufficio di sabato” gli dissi.
“Vedo che anche tu sei di sabato in ufficio. Come mai?” mi chiese.
“Bah, avevo lasciato ieri sera una cosa incompiuta e ho preferito tornare e chiuderla” risposi, senza fornire ulteriori giustificazioni o dover raccontare i fatti miei.
In quel momento entrò Daniela che mi salutò affettuosamente, baci e abbracci.

“Paolo, qual buon vento? Ha chiamato tua moglie poco fa, ma non sapevo che fossi in ufficio. Ho provato a passarle l’interno, c’hai parlato?” mi disse con un tono che indicava un interesse diverso.
“Si si, tutto a posto, Mi chiedeva di comprarle un po’ di antinevralgico, ha un po’ di emicrania” dissi evasivo. Non volevo dare al capo l’impressione che ci fosse stato qualcosa tra me e Daniela.
“Sai Boss, ieri Paolo mi ha portato a cena fuori per ringraziarmi!” squittì provocando in me un improvviso blocco del battito cardiaco ed un istantaneo, fulminante attacco di panico.
“Beh, si…insomma, io …” balbettai non sapendo cosa rispondere.
“Hai fatto bene, Paolo. So che Daniela ti sta aiutando in quel progetto. Guarda che ci tengo molto, per questo ho accettato di privarmi di lei per un po’ ed accontentarmi di Marina!” mi disse l’AD facendomi l’occhiolino. “Anzi, mi raccomando, metti in nota spese, eh? Voglio che queste cene di lavoro siano pagate dall’azienda, soprattutto quando sono tra i miei migliori e più fedeli collaboratori!” aggiunse.
Il sudore mi scendeva a rivoli lungo la schiena: possibile che Daniela gli avesse parlato? O magari era una sua mossa per farmi sbottonare e capire come stava andando con mia moglie, secondo lui causa del peggioramento della mia performance lavorativa?

“Senz’altro, lo farò senz’altro, grazie. Chiederò a Michele di avvisare Marina che controlla le mie note spese che ho la tua autorizzazione! Grazie ancora!” e rinculai verso la porta.
“Io dovrei andare. Per stasera ho finito. Buon fine settimana a tutti e due!” dissi al capo e a Daniela.
“Aspetta Paolo, devo dirti una cosa. Dai, ti accompagno al motorino!” mi bloccò la segretaria.
“Dai Daniela, che vado di fretta!” le dissi ad alta voce.
Appena girato l’angolo, mi prese per il bavero e mi disse a brutto muso: “Non ti permettere di trattarmi come una pezza da piedi o te la faccio pagare. Tu hai capito esattamente chi comanda qui, giusto? E sai in che rapporti sono con chi comanda. Ora ne hai la prova. Il Capo sa perfettamente che significa Tavolo12 alla Svizzerotta, e tu sei troppo intelligente per non aver capito che tipo di rapporti ho con lui. Quindi, se domani dovessi chiamarti e chiederti di fare qualcosa, tu prendi la macchina e mi raggiungi dove ti dico di venire, senza se o senza ma. Spero che sia chiaro. Giusto?” mi disse, sorridendo beffarda.
“Ora torna dalla tua mogliettina e fai quello che ti chiede, anzi, scopala per bene pensando che ci sia io al posto suo, sono certo che riuscirai a farla godere come hai fatto godere me. E chissà che la prossima volta non andiamo a cena assieme tutti e tre, magari con un bel Tavolo12!” aggiunse, accarezzandomi con un dito le labbra. Quindi, mi prese il viso tra le sue mani e mi baciò sulla bocca, infilandomi la lingua fino in gola o quasi, poi staccò una delle mani e scese a stringere il pacco che nel frattempo si era ingrossato per l’eccitazione. Si staccò da me, mi dette ancora una pacca sul sedere e se ne andò sculettando, girandosi prima di rientrare nel portone e puntandomi contro un dito intendendo uno “stai in campana”.

Montai sul motorino che avevo appena acceso e partii in direzione di casa.
La situazione si stava decisamente ingarbugliando e rischiava di sfuggire al mio controllo. Al momento, però, dovevo concentrarmi su Francesca e sulla sua gravidanza. Non avevo ancora capito cosa volesse fare, sapevo solamente che era molto, molto preoccupata.

Mi fermai veramente in farmacia, ma per prendere delle gocce di Lexotan perché ero certo che Francesca avrebbe avuto un attacco di panico.

Paolo
 
Ultima modifica:
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119
Un altro episodio dei primi anni di matrimonio con la mia prima moglie.
Situazione prodromica a nuovi, successivi episodi che mi mostrarono una nuova Francesca.
================================================================

Perché quando una donna è incinta si dice che è in stato interessante?​

Rientrai a casa con un vassoio di paste ed un mazzo di fiori per mia moglie. I miei sensi di colpa mi avevano spinto a pensare a lei ed a cancellare tutto il risentimento che provavo a causa dei suoi capricci che mi avevano portato ad un passo dalla catastrofe lavorativa. In più, il fatto di aver ricevuto la notizia che sarei diventato padre mi aveva sconvolto. Non che avessi ancora metabolizzato la cosa, né ero certo che Francesca avrebbe accettato la situazione, ma ritenevo corretto usare gentilezza e un po’ di amore verso quella donna che avrebbe potuto darmi la più grande responsabilità per un uomo, la paternità.

Aprii la porta di casa e mi recai in cucina cercando di non fare rumore. Misi le paste su un vassoio assieme ai tovaglioli di carta ed una bottiglia di spumante che avevo già in fresco.
Presi il vassoio e mi recai in soggiorno ove credevo di trovare Francesca, stesa sul divano. Non c’era.
Andai in camera da letto e non c’era, ma sul letto c’erano le sue cose, i suoi vestiti, il reggiseno. Le scarpe erano accanto al letto e più avanti gettate per terra c’erano i suoi slip. Andai verso la porta del bagno. Poggiai il vassoio sul letto e bussai: nessuna risposta.

Provai ad entrare in bagno ma la porta era chiusa a chiave. Bussai più volte ma senza risposta. Avvicinai l’orecchio alla porta e sentii chiaramente l’acqua della doccia che scorreva. Bussai allora più forte chiamando Francesca a gran voce. Iniziai a preoccuparmi, mi chinai per vedere se la chiave era nella toppa e vidi che non era bloccata. Corsi di là a prendere un giravite e cercai di spingere la chiave fuori. Dopo qualche tentativo, sentii il tintinnio della chiave che cadeva a terra. Corsi a prendere la chiave passe-partout che avevo dentro al cassetto del mio comodino ed aprii la porta. Trovai Francesca seduta sotto l’acqua, rannicchiata nella doccia, che singhiozzava. Chiusi il rubinetto, mi chinai a sollevarla e mentre la tenevo con un braccio presi il suo accappatoio e la coprii per asciugarla. Poi la strinsi al mio petto e la baciai più volte sulla fronte, sulle labbra, sul viso fino a che non iniziai io stesso a piangere dal dolore e dalla commozione.
“Amore mio, perché piangi?” le dissi.
“Perché ho paura!” confessò.

Mi si strinse il cuore. In fin dei conti, anch’io avevo paura. E non solo della paternità, ma del fatto che il nostro rapporto, inutile negarlo, da qualche mese non era più soddisfacente.
Ero profondamente innamorato di Francesca, ci eravamo fidanzati solo due anni prima di sposarci, la nostra relazione era una cosa seria, tra adulti consenzienti e consci che non si poteva giocare con i sentimenti degli altri.
Certo, fino alla Grecia, l’ultima vacanza da fidanzati, mi ero lamentato spesso per la scarsa attitudine al piacere di mia moglie. Non è che non le andasse o non godesse, ma aveva sempre dato l’impressione che il sesso per lei era un optional, un accessorio gradevole non indispensabile. Poi, quella vacanza la fece ricredere. Fu come se avesse aperto un cassetto pieno di sorprese e ne avesse goduto tirandone fuori una dopo l’altra in un crescendo di godimento.
Non so cosa avevo in testa quella volta, ma il ricordo di Francesca che era scopata da un altro e che mi chiedeva di farlo anche con me mentre l’amica la baciava e la leccava ancora oggi mi sembrava talmente assurdo che non riuscivo a capacitarmi del fatto di aver accettato tutto questo senza fiatare.

E non è che dopo il matrimonio le cose fossero cambiate molto, almeno nell’approccio. Francesca aveva sviluppato un appetito sessuale spaventoso. Mi chiedeva sempre lei di essere scopata, cercava di svegliarmi e di eccitarmi con leccate, masturbazioni, strusciamenti a letto e fuori, accompagnati da improvvisi attacchi in luoghi pubblici come quella volta all’Auditorium di via della Conciliazione quando mi chiese di accompagnarla all’intervallo in bagno, mi trascinò nel bagno delle donne, mi slacciò i pantaloni e mi fece un pompino nell’antibagno mentre la gente bussava da fuori chiedendo di aprire la porta. “Mia moglie si è sentita male e ho dovuto aiutarla con il vestito” risposi inventando una balla a chi mi chiedeva come mai fossi nel bagno delle signore. O tipo quella volta al cinema quando prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe per farmi sentire che non portava gli slip, per poi farsi masturbare ed avere un orgasmo squirting che bagnò completamente la poltroncina davanti a lei mancando di poco la testa della signora davanti a lei ma schizzando la persona due file più avanti…

Insomma, Francesca in quelle condizioni mi faceva tenerezza, mostrando una fragilità che sembrava non appartenerle, soprattutto dopo il matrimonio e dopo la Grecia. Mi accostai ancor di più a lei per cercare di smontare quella sovrastruttura di astio reciproco che avevamo eretto tra noi più o meno inconsciamente negli ultimi tempi. Allora la presi tra le mie braccia e la baciai sulle labbra. In un primo momento mia moglie si ritrasse, poi però si lasciò andare, aprendo la bocca alla mia lingua ed iniziando a mulinare la sua. Aprii l’accappatoio ed infilai le mani a cercare il suo seno, i suoi capezzoli. Lei rispose favorendomi ed inarcando il busto verso di me. Ci alzammo, ma Francesca mi bloccò: “Spogliati, ti lavo io!” ed iniziò a slacciarmi la camicia. Preso da una profondissima ed intensa eccitazione l’aiutai togliendomi al volo le scarpe ed i pantaloni, mentre lei passava a sfilarmi i boxer.
Mi sfilai saltellando i calzettoni e nudo come un verme ma con una vistosa erezione entrai nella doccia sotto il getto che nel frattempo Francesca aveva aperto e regolato. Poi lei si tolse l’accappatoio ed entrò con me; prese la spugna, il sapone liquido ed iniziò ad insaponarmi tutto il corpo indugiando di più sul pene, sullo scroto, sui glutei mentre mi abbracciava e mi baciava, talora mordicchiandomi le labbra, talora succhiandomi la bocca.
Iniziò a torturarmi i capezzoli con le dita. Non ricordavo di essere così sensibile alle sue carezze da quelle parti ma Franci, non contenta, si chinò e ne prese uno in bocca mentre continuava ad insaponarmi il pisello in quella che era diventata di fatto una sega celestiale. Ad un certo punto mi spostò sotto il getto dell’acqua e mi sciacquò dal sapone, sempre continuando in quella lenta masturbazione, fino a che non fu tutto pulito
Si chinò allora in ginocchio e me lo prese in bocca, prima gustando la sola cappella, poi scorrendo tutta l’asta con la lingua fino alla base ed infine prendendolo tutto in bocca riempiendosi la gola e iniziando di fatto a scoparmi con la sua bocca in quello che era uno dei suoi migliori deep-throath mai fatti.
Stavo per venire e glielo feci capire; lei interruppe il pompino, uscì dalla doccia dopo aver chiuso l’acqua, prese il mio accappatoio e me lo infilò. Poi prese il suo e fece altrettanto. Ci abbracciammo e ci asciugammo, mi prese per mano e mi condusse al nostro letto. Si distese, aprì l’accappatoio, allargò le gambe e tendendomi le braccia mi disse “Ti prego, fammi tua, fammi sentire che mi ami ancora!”.

Come avrei potuto rifiutarmi? Come avrei potuto sopravvivere ai sensi di colpa vedendo mia moglie che mi desiderava e voleva fare la pace a tutti i costi nel modo più incruento possibile e più bello in assoluto?
Mi stesi su di lei, con la mia mano cercai la sua fessura e vi introdussi il mio membro. Fu una sensazione stupenda. Tutti i neurorecettori erano sintonizzati su di lei, mi sembrava di vedermi da fuori mentre scopavo mia moglie lentamente, appassionatamente, intensamente.

Francesca rispose abbandonandosi al piacere, ansimando, aprendo le gambe e accogliendomi sempre più profondamente nella sua intimità bagnata. Mi chiese dopo un po’ di girarmi sulla schiena, si mise a cavalcioni e mi prese il cazzo con la mano strusciandolo sulla sua vulva avanti ed indietro, poi titillando con la cappella il suo clitoride, poi ancora avanti ed indietro sulla vagina. Quindi, con un movimento deciso, lo prese e lo spostò sullo sfintere, ci si appoggiò sopra, attese che il culo si dilatasse e poi mi accolse fino in fondo. Iniziò quindi a fare su e giù mentre io le massaggiavo il clitoride e le inserivo un paio di dita dentro la sua fica grondante.

La stimolazione fu intensa, il piacere fluì nelle sue viscere fino a che venne con un potente schizzo che mi bagnò tutta la pancia, il petto, fino al viso. Continuò però a sbattersi su di me, incurante o quasi del fatto che lo stava prendendo completamente in culo.
“Fra, sto per venire!” le dissi.

“Si, amore, si, vieni, fammi sentire come vieni dentro di me, ti prego! Riempimi, schizzami dentro, dai!” mi sussurrò.
Mi lasciai andare e venni con un potente getto dentro di lei una, due, tre volte. Poi tirai fuori l’uccello e andai in bagno a lavarmi.
“Perché lo hai fatto?” mi chiese.
“Perché …era sporco!” risposi
“Non è mica la prima volta!” ribattè.
“Amore, nelle tue condizioni, da ora è meglio stare un po’ più attenti, non credi?”
Non lo avessi mai detto! Francesca si rabbuiò, chiuse con un gesto stizzoso l’accappatoio e scappò in bagno sbattendo la porta dietro di sé.

La raggiunsi di nuovo in bagno, mi sedetti accanto a lei e cercai di raccoglierle i capelli bagnati. Mi chinai a baciarla sul collo e dietro le orecchie ma mi dette uno spintone. Piangeva singhiozzando. Possibile che la gravidanza le stesse generando tutti questi scompensi?
Non demorsi e mi riavvicinai di nuovo, questa volta accarezzandole la schiena da sopra l’accappatoio.

“Fra’, amore, scusami. Ti sei arrabbiata con me ma credo di capire che sei preoccupata per la tua situazione. Volevo tranquillizzarti: se fosse stata così dura, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e, soprattutto, oggi non ci sarebbero tante donne che lavorano. Credo quindi che tu ti stia preoccupando un po’ troppo. Però io sono qui con te, vicino a te. Ti prego, guardami! Girati, dai!” e cercai di girarla verso di me.
Francesca cedette e ruotò il busto verso di me. La abbracciai stretta stretta e la baciai con dolcezza sul collo, sulle orecchie, poi sulle labbra ed infine cercai la sua bocca. Lei rispose all’abbraccio e ad al bacio, cercando anche lei la mia lingua.
La riportai in camera e la adagiai di nuovo sul letto; le presi il viso tra le mani, obbligandola a guardarmi negli occhi.
“Ascoltami, sei una donna intelligente, colta, bella. Hai una laurea in medicina e la specializzazione in chirurgia estetica. Hai un corpo statuario, lineamenti morbidi e graziosi. Sei un modello per i medici tuoi colleghi che vogliono studiarti per poter migliorare le loro pazienti. Di cosa hai paura? Del fatto che con il parto ingrasserai? Non è detto, e non è necessario. E comunque, sono certo che il tuo ginecologo saprà gestire la tua fame ed il tuo peso. Hai paura delle smagliature? Sei giovane, esistono creme e trattamenti che eliminano del tutto il rischio, me lo hai spiegato tu. Hai il terrore che ti si slabbri la patatina? Prima di dire, vediamo se sarai in grado di fare un parto naturale o cesareo. Se dovessero operarti, lo sai perfettamente che la cicatrice è minima e poi, manco si vede. E comunque, puoi sempre farti una plastica localizzata, dopo.
Il seno? Ti crescerà che ti sembrerà di avere due tettone, allatterai, si sgonfierà e poi, con ginnastica e altre creme, tornerà meglio di prima. E allora di cosa hai paura?” le dissi tutto di un fiato.

“E se non ti dovessi piacere più? E se durante la gravidanza non ti piacesse più fare sesso con me?”
“Con quel culo? Dubito che possa rifiutarmi a fartelo ogni volta che melo chiederai!”
“DEFICIENTE!” e tentò di darmi uno scappellotto con una mano. Gliela bloccai. Cercò quindi di darmene un altro con l’altra mano. Le bloccai pure quella. Allora la avvicinai a me con uno strattone e la baciai di nuovo, questa volta di forza. Poi le liberai le mani, le slacciai l’accappatoio, lo aprii e mi inginocchiai in mezzo alle gambe. Le leccai con passione il clitoride, le grandi labbra, le infilai la lingua nella vagina. Francesca era molto più reattiva del solito e partecipò visibilmente. Entrai dentro di lei senza alcun tipo di preparazione. Mi appoggiai, spinsi un attimo e fui lì, a stantuffarla. Questa volta durò poco. Venne copiosamente un’altra volta con uno schizzo caldo e violento che mi bagnò tutto il pube. Mi tirai indietro al volo per consentirle di schizzare ancora, poi ripresi a scoparla. Altri cinque minuti e venne di nuovo, urlando di piacere. Durò una mezz’ora durante la quale Francesca squirtò in tutto sei volte: ma dove aveva tutto quel liquido? Aveva schizzato fuori forse mezzo litro, se non di più, visto come erano ridotti il pavimento e la sovracoperta del letto.

Ci abbandonammo al riposo. Francesca si addormentò quasi subito profondamente ed io approfittai per distenderla sul letto e coprirle il corpo. Le misi inoltre un asciugamano in testa per non farle prendere aria con i capelli bagnati e mi misi ad osservarla.
Aveva qualcosa di diverso. Come se qualcuno l’avesse magistralmente truccata per dare risalto alla compattezza ed al colore della pelle. Come se il suo viso fosse leggermente più gonfio all’altezza degli zigomi, una cosa quasi impercettibile, ma apprezzabile. Come se il suo incarnato emettesse una sorta di luminescenza, un alone di bellezza.
Il famoso “stato interessante”.

Ripensai a quanto avvenuto negli ultimi tre giorni e mi si gelò il sangue al pensiero che ero stato con un’altra donna appena saputo che mia moglie era incinta. E che l’altra donna avrebbe potuto ricattarmi, facendomi pagare cara questa scappatella.

A meno che…



Quel week end Francesca ed io avevamo deciso di fare vita casalinga.
Uscimmo giusto per fare un po’ di spesa e visto che mia moglie aveva avuto un po’ di nausea, la domenica pomeriggio mi fermai in pizzeria per prendere un po’ di pizza rossa ed un paio di pezzi di pizza bianca. Arrivati a casa, sistemai io la spesa mentre Francesca si spogliava e si metteva un po’ sul letto. Accesi il forno e infilai la pizza a scaldare, misi del prosciutto e del formaggio sul piatto da portata e preparai il vassoio. Poi tagliai la pizza a quadratini e la misi su un altro piatto. Aprii una bottiglia di coca cola e presi una bottiglia d’acqua. Misi tutto sul carrello da portata ed andai in camera.
Francesca era sdraiata sul letto in camicia da notte, solo i piedi coperti dalla sovracoperta.

“Amore, hai voglia di un pezzetto di pizza bianca con prosciutto? O vuoi quella rossa?” le chiesi.
Lei mi rispose con un conato di vomito a secco. Si alzò di corsa per andare a vomitare in bagno ma tornò dopo pochissimo in stanza senza aver rigettato nulla. Capii l’antifona, presi tutti e portai via di nuovo in cucina. Le portai solo un bicchiere di acqua e citrosodina, l’unica cosa che sapevo le avrebbe dato giovamento anche se era null’altro che un palliativo. Prese il bicchiere, ne sentì l’odore e lo scolò in pochi sorsi. Mi ripassò il bicchiere vuoto con un sorriso di gratitudine.
Misi un film in VHS pirata preso da un giro di amici, “Compagni di scuola” di Verdone e tornai in cucina, mi strozzai un paio di pezzi di pizza ed un bicchiere di coca e ritornai in camera, accoccolandomi accanto a lei.
Dopo mezz’ora, cadde addormentata. La infilai sotto le coperte e mi spogliai, mettendomi a letto accanto a lei con un libro in mano.

Non riuscii a leggere molto, avevo in mente il dito di Daniela che mi puntava contro ricordandomi che ero sotto scacco. Poi, in uno di quei momenti di trapasso dalla veglia al sonno, quando il pensiero viaggia leggero e veloce, ebbi l’illuminazione.
Mi addormentai, avendo intravisto una via d’uscita.
==========================================================================
Paolo
 

Grandel

"Level 7"
Élite Fase 1
Messaggi
9,097
Punteggio reazione
9,190
Punti
119
Posizione
Jerusalem’s Lot
Un altro episodio dei primi anni di matrimonio con la mia prima moglie.
Situazione prodromica a nuovi, successivi episodi che mi mostrarono una nuova Francesca.
================================================================

Perché quando una donna è incinta si dice che è in stato interessante?​

Rientrai a casa con un vassoio di paste ed un mazzo di fiori per mia moglie. I miei sensi di colpa mi avevano spinto a pensare a lei ed a cancellare tutto il risentimento che provavo a causa dei suoi capricci che mi avevano portato ad un passo dalla catastrofe lavorativa. In più, il fatto di aver ricevuto la notizia che sarei diventato padre mi aveva sconvolto. Non che avessi ancora metabolizzato la cosa, né ero certo che Francesca avrebbe accettato la situazione, ma ritenevo corretto usare gentilezza e un po’ di amore verso quella donna che avrebbe potuto darmi la più grande responsabilità per un uomo, la paternità.

Aprii la porta di casa e mi recai in cucina cercando di non fare rumore. Misi le paste su un vassoio assieme ai tovaglioli di carta ed una bottiglia di spumante che avevo già in fresco.
Presi il vassoio e mi recai in soggiorno ove credevo di trovare Francesca, stesa sul divano. Non c’era.
Andai in camera da letto e non c’era, ma sul letto c’erano le sue cose, i suoi vestiti, il reggiseno. Le scarpe erano accanto al letto e più avanti gettate per terra c’erano i suoi slip. Andai verso la porta del bagno. Poggiai il vassoio sul letto e bussai: nessuna risposta.

Provai ad entrare in bagno ma la porta era chiusa a chiave. Bussai più volte ma senza risposta. Avvicinai l’orecchio alla porta e sentii chiaramente l’acqua della doccia che scorreva. Bussai allora più forte chiamando Francesca a gran voce. Iniziai a preoccuparmi, mi chinai per vedere se la chiave era nella toppa e vidi che non era bloccata. Corsi di là a prendere un giravite e cercai di spingere la chiave fuori. Dopo qualche tentativo, sentii il tintinnio della chiave che cadeva a terra. Corsi a prendere la chiave passe-partout che avevo dentro al cassetto del mio comodino ed aprii la porta. Trovai Francesca seduta sotto l’acqua, rannicchiata nella doccia, che singhiozzava. Chiusi il rubinetto, mi chinai a sollevarla e mentre la tenevo con un braccio presi il suo accappatoio e la coprii per asciugarla. Poi la strinsi al mio petto e la baciai più volte sulla fronte, sulle labbra, sul viso fino a che non iniziai io stesso a piangere dal dolore e dalla commozione.
“Amore mio, perché piangi?” le dissi.
“Perché ho paura!” confessò.

Mi si strinse il cuore. In fin dei conti, anch’io avevo paura. E non solo della paternità, ma del fatto che il nostro rapporto, inutile negarlo, da qualche mese non era più soddisfacente.
Ero profondamente innamorato di Francesca, ci eravamo fidanzati solo due anni prima di sposarci, la nostra relazione era una cosa seria, tra adulti consenzienti e consci che non si poteva giocare con i sentimenti degli altri.
Certo, fino alla Grecia, l’ultima vacanza da fidanzati, mi ero lamentato spesso per la scarsa attitudine al piacere di mia moglie. Non è che non le andasse o non godesse, ma aveva sempre dato l’impressione che il sesso per lei era un optional, un accessorio gradevole non indispensabile. Poi, quella vacanza la fece ricredere. Fu come se avesse aperto un cassetto pieno di sorprese e ne avesse goduto tirandone fuori una dopo l’altra in un crescendo di godimento.
Non so cosa avevo in testa quella volta, ma il ricordo di Francesca che era scopata da un altro e che mi chiedeva di farlo anche con me mentre l’amica la baciava e la leccava ancora oggi mi sembrava talmente assurdo che non riuscivo a capacitarmi del fatto di aver accettato tutto questo senza fiatare.

E non è che dopo il matrimonio le cose fossero cambiate molto, almeno nell’approccio. Francesca aveva sviluppato un appetito sessuale spaventoso. Mi chiedeva sempre lei di essere scopata, cercava di svegliarmi e di eccitarmi con leccate, masturbazioni, strusciamenti a letto e fuori, accompagnati da improvvisi attacchi in luoghi pubblici come quella volta all’Auditorium di via della Conciliazione quando mi chiese di accompagnarla all’intervallo in bagno, mi trascinò nel bagno delle donne, mi slacciò i pantaloni e mi fece un pompino nell’antibagno mentre la gente bussava da fuori chiedendo di aprire la porta. “Mia moglie si è sentita male e ho dovuto aiutarla con il vestito” risposi inventando una balla a chi mi chiedeva come mai fossi nel bagno delle signore. O tipo quella volta al cinema quando prese la mia mano e se la passò in mezzo alle gambe per farmi sentire che non portava gli slip, per poi farsi masturbare ed avere un orgasmo squirting che bagnò completamente la poltroncina davanti a lei mancando di poco la testa della signora davanti a lei ma schizzando la persona due file più avanti…

Insomma, Francesca in quelle condizioni mi faceva tenerezza, mostrando una fragilità che sembrava non appartenerle, soprattutto dopo il matrimonio e dopo la Grecia. Mi accostai ancor di più a lei per cercare di smontare quella sovrastruttura di astio reciproco che avevamo eretto tra noi più o meno inconsciamente negli ultimi tempi. Allora la presi tra le mie braccia e la baciai sulle labbra. In un primo momento mia moglie si ritrasse, poi però si lasciò andare, aprendo la bocca alla mia lingua ed iniziando a mulinare la sua. Aprii l’accappatoio ed infilai le mani a cercare il suo seno, i suoi capezzoli. Lei rispose favorendomi ed inarcando il busto verso di me. Ci alzammo, ma Francesca mi bloccò: “Spogliati, ti lavo io!” ed iniziò a slacciarmi la camicia. Preso da una profondissima ed intensa eccitazione l’aiutai togliendomi al volo le scarpe ed i pantaloni, mentre lei passava a sfilarmi i boxer.
Mi sfilai saltellando i calzettoni e nudo come un verme ma con una vistosa erezione entrai nella doccia sotto il getto che nel frattempo Francesca aveva aperto e regolato. Poi lei si tolse l’accappatoio ed entrò con me; prese la spugna, il sapone liquido ed iniziò ad insaponarmi tutto il corpo indugiando di più sul pene, sullo scroto, sui glutei mentre mi abbracciava e mi baciava, talora mordicchiandomi le labbra, talora succhiandomi la bocca.
Iniziò a torturarmi i capezzoli con le dita. Non ricordavo di essere così sensibile alle sue carezze da quelle parti ma Franci, non contenta, si chinò e ne prese uno in bocca mentre continuava ad insaponarmi il pisello in quella che era diventata di fatto una sega celestiale. Ad un certo punto mi spostò sotto il getto dell’acqua e mi sciacquò dal sapone, sempre continuando in quella lenta masturbazione, fino a che non fu tutto pulito
Si chinò allora in ginocchio e me lo prese in bocca, prima gustando la sola cappella, poi scorrendo tutta l’asta con la lingua fino alla base ed infine prendendolo tutto in bocca riempiendosi la gola e iniziando di fatto a scoparmi con la sua bocca in quello che era uno dei suoi migliori deep-throath mai fatti.
Stavo per venire e glielo feci capire; lei interruppe il pompino, uscì dalla doccia dopo aver chiuso l’acqua, prese il mio accappatoio e me lo infilò. Poi prese il suo e fece altrettanto. Ci abbracciammo e ci asciugammo, mi prese per mano e mi condusse al nostro letto. Si distese, aprì l’accappatoio, allargò le gambe e tendendomi le braccia mi disse “Ti prego, fammi tua, fammi sentire che mi ami ancora!”.

Come avrei potuto rifiutarmi? Come avrei potuto sopravvivere ai sensi di colpa vedendo mia moglie che mi desiderava e voleva fare la pace a tutti i costi nel modo più incruento possibile e più bello in assoluto?
Mi stesi su di lei, con la mia mano cercai la sua fessura e vi introdussi il mio membro. Fu una sensazione stupenda. Tutti i neurorecettori erano sintonizzati su di lei, mi sembrava di vedermi da fuori mentre scopavo mia moglie lentamente, appassionatamente, intensamente.

Francesca rispose abbandonandosi al piacere, ansimando, aprendo le gambe e accogliendomi sempre più profondamente nella sua intimità bagnata. Mi chiese dopo un po’ di girarmi sulla schiena, si mise a cavalcioni e mi prese il cazzo con la mano strusciandolo sulla sua vulva avanti ed indietro, poi titillando con la cappella il suo clitoride, poi ancora avanti ed indietro sulla vagina. Quindi, con un movimento deciso, lo prese e lo spostò sullo sfintere, ci si appoggiò sopra, attese che il culo si dilatasse e poi mi accolse fino in fondo. Iniziò quindi a fare su e giù mentre io le massaggiavo il clitoride e le inserivo un paio di dita dentro la sua fica grondante.

La stimolazione fu intensa, il piacere fluì nelle sue viscere fino a che venne con un potente schizzo che mi bagnò tutta la pancia, il petto, fino al viso. Continuò però a sbattersi su di me, incurante o quasi del fatto che lo stava prendendo completamente in culo.
“Fra, sto per venire!” le dissi.

“Si, amore, si, vieni, fammi sentire come vieni dentro di me, ti prego! Riempimi, schizzami dentro, dai!” mi sussurrò.
Mi lasciai andare e venni con un potente getto dentro di lei una, due, tre volte. Poi tirai fuori l’uccello e andai in bagno a lavarmi.
“Perché lo hai fatto?” mi chiese.
“Perché …era sporco!” risposi
“Non è mica la prima volta!” ribattè.
“Amore, nelle tue condizioni, da ora è meglio stare un po’ più attenti, non credi?”
Non lo avessi mai detto! Francesca si rabbuiò, chiuse con un gesto stizzoso l’accappatoio e scappò in bagno sbattendo la porta dietro di sé.

La raggiunsi di nuovo in bagno, mi sedetti accanto a lei e cercai di raccoglierle i capelli bagnati. Mi chinai a baciarla sul collo e dietro le orecchie ma mi dette uno spintone. Piangeva singhiozzando. Possibile che la gravidanza le stesse generando tutti questi scompensi?
Non demorsi e mi riavvicinai di nuovo, questa volta accarezzandole la schiena da sopra l’accappatoio.

“Fra’, amore, scusami. Ti sei arrabbiata con me ma credo di capire che sei preoccupata per la tua situazione. Volevo tranquillizzarti: se fosse stata così dura, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e, soprattutto, oggi non ci sarebbero tante donne che lavorano. Credo quindi che tu ti stia preoccupando un po’ troppo. Però io sono qui con te, vicino a te. Ti prego, guardami! Girati, dai!” e cercai di girarla verso di me.
Francesca cedette e ruotò il busto verso di me. La abbracciai stretta stretta e la baciai con dolcezza sul collo, sulle orecchie, poi sulle labbra ed infine cercai la sua bocca. Lei rispose all’abbraccio e ad al bacio, cercando anche lei la mia lingua.
La riportai in camera e la adagiai di nuovo sul letto; le presi il viso tra le mani, obbligandola a guardarmi negli occhi.
“Ascoltami, sei una donna intelligente, colta, bella. Hai una laurea in medicina e la specializzazione in chirurgia estetica. Hai un corpo statuario, lineamenti morbidi e graziosi. Sei un modello per i medici tuoi colleghi che vogliono studiarti per poter migliorare le loro pazienti. Di cosa hai paura? Del fatto che con il parto ingrasserai? Non è detto, e non è necessario. E comunque, sono certo che il tuo ginecologo saprà gestire la tua fame ed il tuo peso. Hai paura delle smagliature? Sei giovane, esistono creme e trattamenti che eliminano del tutto il rischio, me lo hai spiegato tu. Hai il terrore che ti si slabbri la patatina? Prima di dire, vediamo se sarai in grado di fare un parto naturale o cesareo. Se dovessero operarti, lo sai perfettamente che la cicatrice è minima e poi, manco si vede. E comunque, puoi sempre farti una plastica localizzata, dopo.
Il seno? Ti crescerà che ti sembrerà di avere due tettone, allatterai, si sgonfierà e poi, con ginnastica e altre creme, tornerà meglio di prima. E allora di cosa hai paura?” le dissi tutto di un fiato.

“E se non ti dovessi piacere più? E se durante la gravidanza non ti piacesse più fare sesso con me?”
“Con quel culo? Dubito che possa rifiutarmi a fartelo ogni volta che melo chiederai!”
“DEFICIENTE!” e tentò di darmi uno scappellotto con una mano. Gliela bloccai. Cercò quindi di darmene un altro con l’altra mano. Le bloccai pure quella. Allora la avvicinai a me con uno strattone e la baciai di nuovo, questa volta di forza. Poi le liberai le mani, le slacciai l’accappatoio, lo aprii e mi inginocchiai in mezzo alle gambe. Le leccai con passione il clitoride, le grandi labbra, le infilai la lingua nella vagina. Francesca era molto più reattiva del solito e partecipò visibilmente. Entrai dentro di lei senza alcun tipo di preparazione. Mi appoggiai, spinsi un attimo e fui lì, a stantuffarla. Questa volta durò poco. Venne copiosamente un’altra volta con uno schizzo caldo e violento che mi bagnò tutto il pube. Mi tirai indietro al volo per consentirle di schizzare ancora, poi ripresi a scoparla. Altri cinque minuti e venne di nuovo, urlando di piacere. Durò una mezz’ora durante la quale Francesca squirtò in tutto sei volte: ma dove aveva tutto quel liquido? Aveva schizzato fuori forse mezzo litro, se non di più, visto come erano ridotti il pavimento e la sovracoperta del letto.

Ci abbandonammo al riposo. Francesca si addormentò quasi subito profondamente ed io approfittai per distenderla sul letto e coprirle il corpo. Le misi inoltre un asciugamano in testa per non farle prendere aria con i capelli bagnati e mi misi ad osservarla.
Aveva qualcosa di diverso. Come se qualcuno l’avesse magistralmente truccata per dare risalto alla compattezza ed al colore della pelle. Come se il suo viso fosse leggermente più gonfio all’altezza degli zigomi, una cosa quasi impercettibile, ma apprezzabile. Come se il suo incarnato emettesse una sorta di luminescenza, un alone di bellezza.
Il famoso “stato interessante”.

Ripensai a quanto avvenuto negli ultimi tre giorni e mi si gelò il sangue al pensiero che ero stato con un’altra donna appena saputo che mia moglie era incinta. E che l’altra donna avrebbe potuto ricattarmi, facendomi pagare cara questa scappatella.

A meno che…



Quel week end Francesca ed io avevamo deciso di fare vita casalinga.
Uscimmo giusto per fare un po’ di spesa e visto che mia moglie aveva avuto un po’ di nausea, la domenica pomeriggio mi fermai in pizzeria per prendere un po’ di pizza rossa ed un paio di pezzi di pizza bianca. Arrivati a casa, sistemai io la spesa mentre Francesca si spogliava e si metteva un po’ sul letto. Accesi il forno e infilai la pizza a scaldare, misi del prosciutto e del formaggio sul piatto da portata e preparai il vassoio. Poi tagliai la pizza a quadratini e la misi su un altro piatto. Aprii una bottiglia di coca cola e presi una bottiglia d’acqua. Misi tutto sul carrello da portata ed andai in camera.
Francesca era sdraiata sul letto in camicia da notte, solo i piedi coperti dalla sovracoperta.

“Amore, hai voglia di un pezzetto di pizza bianca con prosciutto? O vuoi quella rossa?” le chiesi.
Lei mi rispose con un conato di vomito a secco. Si alzò di corsa per andare a vomitare in bagno ma tornò dopo pochissimo in stanza senza aver rigettato nulla. Capii l’antifona, presi tutti e portai via di nuovo in cucina. Le portai solo un bicchiere di acqua e citrosodina, l’unica cosa che sapevo le avrebbe dato giovamento anche se era null’altro che un palliativo. Prese il bicchiere, ne sentì l’odore e lo scolò in pochi sorsi. Mi ripassò il bicchiere vuoto con un sorriso di gratitudine.
Misi un film in VHS pirata preso da un giro di amici, “Compagni di scuola” di Verdone e tornai in cucina, mi strozzai un paio di pezzi di pizza ed un bicchiere di coca e ritornai in camera, accoccolandomi accanto a lei.
Dopo mezz’ora, cadde addormentata. La infilai sotto le coperte e mi spogliai, mettendomi a letto accanto a lei con un libro in mano.

Non riuscii a leggere molto, avevo in mente il dito di Daniela che mi puntava contro ricordandomi che ero sotto scacco. Poi, in uno di quei momenti di trapasso dalla veglia al sonno, quando il pensiero viaggia leggero e veloce, ebbi l’illuminazione.
Mi addormentai, avendo intravisto una via d’uscita.
==========================================================================
Paolo
Bello come sempre. UN vero piacere leggere e leggerti.
 

AmanteMI

"Level 5"
Élite Fase 1
Messaggi
8,138
Punteggio reazione
1,208
Punti
119
Posizione
Milano
Un altro episodio dei primi anni di matrimonio con la mia prima moglie.
Situazione prodromica a nuovi, successivi episodi che mi mostrarono una nuova Francesca.


Paolo

bellissimo racconto!!

grazie ancora per la condivisione e sono molto curioso di leggere come si svilupperanno gli eventi!
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119
Ai miei lettori.
Ritorno dopo qualche giorno con un nuovo episodio della mia vita con la mia prima moglie.
Alcuni eventi che si sono verificati hanno un po' fatto scemare la voglia di scrivere e di postare, ma giacché ho preso una sorta di impegno con voi aprendo questo thread, mi sento in dovere di completarlo.
Devo dire che la mancanza di ritorni mi sta un po' frenando, ma so che alla fine è colpa mia che non scrivo cose interessanti.
Ne prendo atto.
Mi domando però: è meglio spezzettare i capitoli (che spesso raggiungono o superano la dozzina di pagine word) in parti da una paginetta o mantenerli uniti in un unico post?
In attesa di vostre indicazioni e suggerimenti, proseguo normalmente.

========================================================================================

Complotti e magheggi​

La mattina successiva mi svegliai stranamente lucido. Ricordavo perfettamente cosa avevo pensato (o sognato?) e mi trovai a mettere in fila i vari pezzi del mosaico che avevo visualizzato in mente per un attimo la sera prima.
Mi alzai, preparai la colazione a mia moglie (the e fette biscottate con marmellata d’arancia amara), le lasciai un bliglietto con su scritto “Questa è la colazione per te. Mangia qualcosa. Ci sentiamo per telefono. Resta a letto. Ti amo” ed uscii.

Arrivai in ufficio e mi detti immediatamente da fare per terminare il lavoro ed organizzare la presentazione del nuovo sistema esperto al MacFrut. Avevo però bisogno di Daniela per curare la parte ospitality. Doveva organizzare il rinfresco ed il pranzo riservato tra sottosegretario (e la sua segretaria particolare), il mio AD ed il presidente dell’Unione Produttori nonché segretario nazionale di una famosa cooperativa bianca. Ovviamente non avrei partecipato ma avrei lasciato il posto alla segretaria particolare dell’AD, di certo molto più esperta di me.
La chiamai pertanto al telefono.
“Daniela buongiorno! Quando puoi, potresti cortesemente fare un salto da me per vedere tutte le cose per la Fiera?” le dissi con tono gioviale e cortese.

“Buongiorno Paolo! Ben arrivato! Facciamo così: tu mi inviti a prendere il caffè ed io poi salgo con te così ti dico” mi rispose con un tono un po’ meno amichevole. Purtroppo non potevo non accettare, ed ero curioso di vedere le sue carte in mano di quella lunga partita che avevamo appena iniziato a giocare. Si, avevo pianificato le cose in modo tale che, se fossero andate bene, avrei potuto togliermi parecchie soddisfazioni. Ma avevo bisogno dell’aiuto di mia moglie.

Scesi al piano terra, entrai in segreteria e salutai per prima Marina, l’arcigna capo della segreteria, la tenutaria dei segreti aziendali.
“Buongiorno Marina! Buon inizio settimana! Passato bene il week-end?” le chiesi più per posa che per interesse; sapevo perfettamente che Marina era una zitella acida, una gattara, che usciva di casa solo lo stretto indispensabile. Peraltro abitava in campagna verso Riano, in un casale sperduto ed isolato. La leggenda narrava che una notte fosse stato assaltato da alcuni zingari in cerca di soldi e di argenteria i quali, vista la proprietaria con i bigodini in testa armata di mattarello, fuggirono via spaventati e preoccupati. I più cattivi raccontano che invece li avesse colti in flagranza e che, alla sua richiesta di essere violentata, questi fossero scappati urlando. Restava il fatto che era temuta ed odiata. Personalmente non avevo nulla contro di lei, mi chiedeva sempre notizie di mia moglie da quando le avevo portato la bomboniera. Credo che fosse però più interessata al fatto che fosse un chirurgo estetico che ad altro.
“Quando sono lontano da voi, sto bene. Quando torno qui, sto male, soprattutto quando vedo certa gente” disse ammiccando nemmeno tanto velatamente a Daniela. Si odiavano, ma Marina era intoccabile. Si dice che fosse stata assunta direttamente dal Mega-Presidente in persona e che conoscesse talmente tanti segreti che nessuno aveva il coraggio di romperle le scatole. E comunque, sapeva fare bene il suo lavoro.

Daniela mi tirò un’occhiataccia sbuffando. “Va bene, se vuoi fare salotto con Marina, fai pure, io vado a prendere il caffè”.
“Vai, vai pure, cara. Tanto, che tu ci sia o non ci sia, è assolutamente uguale. Buon caffè!” disse polemicamente la virago.
“Ah, dott. Paolo, potrebbe cortesemente portarmi un caffè quando torna?” mi chiese quindi, sapendo che non avrei potuto dirle di no.
“Certamente Marina, è un piacere. Gradisce anche un cornetto?” le chiesi con sincero interesse, provocando un’ulteriore occhiataccia di Daniela, che mi fece poi pesare la mia proposta.
“Era necessario che tu le dicessi di si a quell’arpia?” mi chiese con tono acido.
“Daniela, l’educazione non è un optional. Lo sai come la penso al riguardo. Non ho simpatia per Marina, la trovo antipatica, indisponente, talmente scostante che prima di chiederle qualcosa è meglio leggere l’oroscopo e consultare le previsioni del tempo! Però, se una persona ti chiede qualcosa con cortesia, perché rifiutarsi?” ribattei. Su questo non transigevo. Non ero disposto a sconti, e adesso, Daniela era passata nella mia lista delle persone da tenere d’occhio e controllare.

“Allora, Daniela, oggi dovremmo fare il punto della situazione e fare il check di tutto qui da noi prima che tu ti trasferisca a Cesena, la prossima settimana!” le dissi mentre ci recavamo al bar per il caffè.
“Come «mi trasferisco a Cesena»?” interloquì fermandosi di colpo e guardandomi in tralice.
“Si, bisogna che tu vada lì prima per organizzare il dopo evento. C’è da prenotare il ristorante, vedere l’albergo, selezionare le hostess, l’accompagnatrice del Capo di Gabinetto del Ministro...tutte cose che devi fare tu, mica io…O credi che sia il caso di parlarne con il Boss?” le risposi, imbruttendola.
“No, no… hai ragione. Ma tanto devi venire anche tu su con me, no? Andiamo assieme, no?” rispose, anche lei imbruttendomi.
“Ma, se vuoi venire con noi, io mi porto Francesca, ha bisogno di me in questo momento, si prende una settimana di vacanza e abbiamo deciso di stare assieme” ribadii, certo di averle inferto un bel colpo.
“Ma dai! Viene Francesca? Si, bellissimo! Sono molto contenta. Si, ottimo, vengo su con te e lei. Hai prenotato l’albergo? No, non ti preoccupare, penso a tutto io!” mi disse con fare sospetto. Ebbi immediatamente la sensazione che la mia mossa avrebbe provocato altre situazioni rischiose. Evitai tuttavia di interloquire ulteriormente: meno parlavo, in questo caso, e meglio sarebbe stato.

Rientrammo in ufficio e salimmo direttamente nella mia stanza. Andai alla lavagna di ardesia (unica concessione personale che avevo richiesto direttamente a Michele ed Antonio) e scorsi la checklist che aveva quasi tutte le voci con un segno di spunta positivo, mentre ne rimanevano con un punto interrogativo solo tre: prova generale sul posto, logistica personale e logistica ospiti. Della prima ero il diretto responsabile, delle altre due ne aveva l’onere Daniela. E nessuno avrebbe potuto imputare a me eventuali suoi fallimenti o distrazioni, visto che era il suo lavoro, il suo ambito operativo in cui aveva sempre dimostrato grandi capacità e competenze. Sempre.

“Allora, la fiera inizia la prossima settimana, martedì. Noi dobbiamo approntare lo stand per lunedì, quindi giovedì pomeriggio partiamo in modo da essere lì venerdì e poter seguire tutto l’attrezzaggio. Io porto con me un computer, per sicurezza. Quindi, se vuoi venire con noi (e rimarcai il noi affinché non se ne dimenticasse), ricordati che non avrò molto spazio in macchina per i bagagli. E giacché viene Francesca che è una che non conosce il significato del concetto viaggiare leggeri, immagino che avrò il bagagliaio pieno tra baule suo, sacca mia e computer. Inoltre, sappi che io stesso devo portarmi almeno un paio di vestiti, visto che stiamo fuori una settimana abbondante”.
“Hai ragione. Non ci avevo pensato. Ma ho io la soluzione. Mandiamo su il tuo computer, il monitor, tutto quello che ti serve con i ragazzi che allestiranno lo stand. Tanto, partono con il furgone giovedì mattina, ed è giusto che lo gestiscano loro. Non è questo computer, no?” indicando il pc sulla mia scrivania.
“No. È quello che sta giù in laboratorio”.
“Ottimo. Allora dopo vado giù e lo etichetto. Poi chiamo i ragazzi e lo faccio imballare per bene. Tranquillo, sarà tutto fatto benissimo. C’è altro che dobbiamo mandare su giovedì mattina oltre ai depliant, all’allestimento dello stand e al tuo computer?” mi chiese.
“Beh, ricordati che dobbiamo comunque mandare su altri due computer per la registrazione dei visitatori allo stand. Ah, ricorda di selezionare due ragazze carine come standiste. Una potrebbe essere …come si chiama la ragazza bionda che sta nella stanza di sviluppo delle applicazioni su CPS32? Monica? Monia? Mi pare molto sveglia oltre che molto carina” le dissi, buttandole lì un osso da mordere.
“Monia? Mah… non so se sia indicata. Troppo seria. Serve una che sia…partecipativa.”
“In che senso partecipativa?”
Nel senso che… lascia perdere, so io chi coinvolgere. È una delle tue. Quella che lavora come sistemista in Guardia di Finanza.”
“Ma chi? Cristina? Scordatelo, quella è matta scocciata. È … uff… se trova uno che le va a genio, è capace di mollare tutto e farselo lì sui due piedi!” dissi preoccupato delle conseguenze.
“Appunto. È la persona giusta. Hai presente che significa avere uno stand in una mostra piena di contadini arrapati?” rispose. “E me ne serve pure un’altra come lei.”
“Daniela, non credi che sia quanto meno inappropriato?” le dissi
“Paolo, io penso alle cose mie, tu pensa alle tue” mi rispose seccata con un tono che non ammetteva repliche. “Tua moglie è a casa?” mi chiese quindi.
“Si. dovrebbe essere a casa. Perché?”
“Perché voglio parlarle. Perché ho bisogno di lei” mi rispose.
“E per cosa?”
“Tu non ti preoccupare!”
“Ma è mia moglie!”
“Solo quando ti fa comodo, eh? Però quando scopi con le altre, ti dimentichi che è tua moglie!” insinuò.
Rabbrividii e credo sbiancai al pensiero di essere anche velatamente oggetto di pressioni indebite.
“Prova a fare qualcosa di solo simile al ricatto ed io ti distruggo. Io posso mandare a puttane il mio matrimonio, peraltro già compromesso, posso perdere la mia posizione qui in azienda, ma di aziende ne esistono tante ed io sono maledettamente bravo nel mio lavoro. Però, se ti sputtano, e sai che posso farlo, tu sei fuori. Puoi solo cambiare lavoro, ma chi darà un posto di responsabilità all’ex amante dell’Amministratore delegato che se l’è fatta, per gioco o per dovere, con un suo sottoposto, raccontandogli una serie di aneddoti piccanti sul suo capo e sulle sue avventure?” dissi con tono velenoso.
“Io non ti ho raccontato nulla. Tu non sai nulla!” rispose veementemente.
“Basta che io metta in giro il sospetto. Ricorda, la calunnia è un venticello…” le dissi ricordando il brano de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. “A nulla serviranno le tue smentite. Sarà la paura che tu ti sia fatta sfuggire qualcosa che ti condannerà. E la mia piena confessione al capo di averti scopato ed inculato in tutte le posizioni, riempito tutti i tuoi orifizi e fatto bere tutto il mio sperma. Secondo te, chi che ci rimette di più?” ribattei con cattiveria.

Ricordo che Daniela trasalì e, fatto inusuale, tacque. Avevo sicuramente fatto centro a mia insaputa. Si era resa conto che la sua posizione non era di vantaggio, ma era traballante almeno quanto la mia.
Dopo qualche istante di silenzio, disse, con voce bassa, quasi esile “Suppongo che tu abbia ragione” concluse con un singulto, quasi mandando giù un rospo non tanto metaforico.
“Paolo, ascolta!” mi disse.
“Stai zitta. Non voglio sentirti. Credevi di potermi gestire, trattare come un bimbetto, il tuo giocattolino, uno sgabellino su cui salire per poter arrivare al ripiano più in alto, vero? Beh, hai sbagliato i tuoi conti”.
“Ascoltami, ti prego. Devo spiegarti. Tu credi di essere al sicuro, ma non è così. Il Boss ha deciso di metterti alla prova, con questo progetto. Lui non ci crede, dice che non porterà a nulla e quando sarà chiaro il fallimento, avrà in mano le armi per far fuori te, Antonio e Michele per sostituirli con i suoi protetti, e tu sai di chi parlo” mi disse prendendomi per il braccio e girandomi verso di lei. In effetti, conoscevo i protetti del Boss, ed era gente che veniva da un’altra azienda, gente che non stimavo ma che era tenuta in grande considerazione dal top management, molto ammanicata con un certo partito e con il relativo milieu milanese.
“E con ciò?” le dissi con un certo disprezzo. Quella gente era nella mia lista nera da sempre, non li sopportavo, non avevano il minimo senso etico, per loro l’importante era raggiungere l’obiettivo a qualsiasi prezzo, anche a costo di vendere la propria madre. O la propria moglie.
“Se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico”. Toccò a Daniela fare una citazione dotta, attribuita a Caio Giulio detto il Cesare, un politico sopraffino oltre che ad uno dei più grandi strateghi militari di tutti i tempi.
“Cioè? Tu proponi di coalizzarci contro il Boss per farlo fuori? Ti rendi conto di quanto sia ridicola la cosa?” le dissi.
“No, non per fare fuori il Boss. Per fare fuori i suoi. Non ti credere, ho milleuno motivi per avercela con loro; non ultimo, un Tavolo12 in quattro. Io e loro tre. Tu, in confronto, sei stato un piacevole diversivo!” mi disse.
Ora capivo il motivo del suo bluff e del fatto che avesse provato a sfruttarmi per ottenere un vantaggio personale.
“Ok. Va bene. Vediamo se ho capito. Tu avevi il compito di non fare andare a buon fine la presentazione, o meglio, l’incontro con il Sottosegretario per poter poi addossare la colpa addosso a me, Michele e Antonio. Con il tuo aiuto, il Boss avrebbe fatto fuori noi tre, mettendoci in condizione di dover andare via, ed il nostro posto sarebbe stato preso dai tre desperados. Tu avevi però bisogno di mia moglie per mettermi in ulteriore difficoltà e costringermi a distrarmi per farmi sbagliare, corretto?”
“Una cosa del genere” annuì.
“E tu, magari, ne avresti approfittato per stringere amicizia con Francesca per sfruttarne le conoscenze del mondo del suo Professore, ovvero, le mogli della maggior parte dei pezzi grossi romani, politici, imprenditori, dirigenti, banchieri, eccetera. È così?” conclusi il mio ragionamento.
“Sapevo che sarebbe stata dura. Il Boss secondo me ti ha sottovalutato!”, così Daniela annuendo confermò la validità del mio ragionamento.
“E ora vuoi cambiare squadra in corsa perché ti sei resa conto che saresti troppo ricattabile da parte dei tre… si, il Bello, il Brutto ed il Cattivo. E vuoi che Sartana esca fuori allo scoperto” le dissi citando alcuni noti film western di vent’anni prima dei quali avevo appena visto una retrospettiva assieme a Francesca in un cinema d’essai a Roma.
Daniela annuì silenziosamente.
Volevo però capire il motivo per cui voleva coinvolgere Francesca
“Mi spieghi perché vuoi parlare con Francesca?” le chiesi. “Cosa devi chiederle? Cosa hai in mente?”
“Ho bisogno di aiuto. Se vuoi sopravvivere anche tu, dobbiamo stare dalla stessa parte. E tua moglie potrebbe essere di grande aiuto.”
“In che senso?”
“Ho bisogno del suo charme e della sua bellezza per distrarre le bestie mentre io mi gestisco l’Onorevole sottosegretario.” mi rispose.
“E sai cosa intendo” aggiunse.
“Distrarre in che senso, scusa?” le chiesi.
“Se stesse con me allo stand mentre ci sono le bestie, sarebbe poi facile per me allontanarmi e fare quel che devo fare. Anzi, tocca a noi fare quel che dobbiamo fare. E lei tiene a bada i tre, visto che comunque, non si permetterebbero mai di fare nulla con lei in tua presenza o sapendo che comunque sei dietro l’angolo. Sono bestie, ma vigliacchi” concluse.
“Scusa, ma io che c’entro?” chiesi incuriosito.
“Dovrai aiutarmi con la segretaria dell’Onorevole. Non vorrai che io ce l’abbia in mezzo ai piedi mentre…” e fece un verso eloquente con il viso e con le mani.
“Ok, ma non pensare che mi vado a scopare una mai vista e conosciuta per farti un piacere. Non me ne può fregare di meno del sottosegretario e della sua assistente, in questo momento” dissi un po’ piccato.
“A parte che ti piacerebbe, perché l’assistente è stata Miss Cinema qualcosa nel 1980 ed è una splendida ragazza, e poi non devi scoparti nessuno. Basta che la inviti a pranzo, che me la distrai. E qui serve Francesca, col fatto che è un chirurgo estetico, andiamo a dama!” spiegò.

Iniziavo a farmi un quadro un po’ più ampio della situazione. I dettagli ancora mi sfuggivano, ma una cosa era certa: Daniela era una donna molto pericolosa, ed il Boss aveva commesso un grave errore a sottovalutarla.
“Mai sottovalutare la donna che hai tradito: al momento opportuno, ti farà passare la sete con l’osso del prosciutto” recitava il mio Nostromo di bordo quando da giovane guardiamarina prestavo servizio a bordo di Nave Lupo. E l’osso del prosciutto di Daniela era grosso, nodoso e molto, molto salato.

Capii che dovevo assecondarla ed aiutarla, se possibile.
Francesca mi avrebbe supportato, di certo. Ma non so come avrebbe preso la cosa. Sapere di essere usati per scopi non del tutto edificanti non fa mai piacere. E soprattutto, essere appena entrati nel secondo mese di gravidanza non facilita le cose, né fisicamente né tantomeno psicologicamente. Decisi pertanto di far spendere tempo e risorse a Daniela. Che ci pensasse lei.
“Daniela, Francesca la coinvolgi tu. Chiamala tu, parlaci, invitala a pranzo, a cena, al the, fai quel che ti pare.”
“Quel che mi pare?” mi chiese alzando un sopracciglio.
“Beh, nei limiti della decenza e del fatto che comunque è mia moglie!” risposi un po’ imbarazzato.
“Allora ci penso io. Ora dove sta?” mi chiese.
“Immagino stia in clinica. Oggi aveva due interventi come prima assistente del Professore. Mi ha detto che uno era una plastica per quell’attrice inglese, l’altro un’addominoplastica per la moglie del Senatore” le risposi. “Però credo che all’ora di pranzo sia libera. Se vuoi, chiama il centralino della clinica e chiedi di lei. Dì che sei la mia segretaria e che la stai cercando per conto mio, poi ci parli tu” le suggerii.

Daniela seguì il mio suggerimento e contattò Francesca all’ora di pranzo. Usò il mio telefono e chiamò di fronte a me.
“Francesca buongiorno, sono Daniela, la segretaria di Paolo, ti ricordi di me?” le disse.
“Certo Daniela, mi ricordo perfettamente. Quella sera al locale per la festa dello scorso Natale, giusto?” rispose mia moglie.
“Si, esatto. Pensa che ricordo perfettamente il tuo stupendo tubino nero di Versace. Solo tu potevi permettertelo, con quel corpo da favola che ti ritrovi” le disse.
“Cara mia, se c’è qualcuna che non ha bisogno dei miei servigi sei proprio tu!” le rispose Francesca.
“Senti, Franci, avrei bisogno di parlarti, avrei necessità del tuo aiuto. Per questo vorrei invitarti stasera a cena, in modo che ti spiego tutto. Magari facciamo venire anche Paolo” le disse con tono più serio.
“E che genere di aiuto ti serve? Non mi dire di chirurgia estetica perché non riuscirai mai a convincermi di usare il bisturi su di te!” ribatté mia moglie.
“No, no. Niente chirurgia, anche se un pensierino per rifarmi le tette ce lo avrei! Ma le voglio come le tue! Diciamo che mi servono il tuo savoir faire, la tua bellezza e la tua fama. E la tua testa, ovviamente. Ma ti spiego tutto stasera. Dimmi di si!”
“Mah, Daniela, non saprei. Devo sentire Paolo, e sinceramente non mi sento molto bene in questi giorni. Non riesco a mangiare, sono spossata e ho continue nausee!”
“Non sarai incinta? No, vero?”
“Senti Daniela, non so se ce la faccio. Ti prometto che ci proverò. Ora mi sento con Paolo e poi ti dico” concluse.
Vidi Daniela che stava per dire che ero lì, presente, e mi misi un dito davanti alla bocca per tacitarla. Non volevo proprio che Francesca sapesse che avevo assistito alla chiamata, perché mi avrebbe sicuramente accusato di averla messa in difficoltà, soprattutto con la storia della gravidanza.
“Va bene Francesca. Allora aspetto una tua chiamata. Vuoi che ti passo Paolo?” le disse con un tono molto più professionale e distaccato.
“No, grazie, non ti preoccupare. Finisco il frullato e poi lo chiamo. Tanto tra un po’ devo rientrare in sala operatoria per l’altro intervento” aggiunse. “Paolo lo chiamo io, tranquilla. Ti faccio sapere, allora. A più tardi!” e chiuse la chiamata.
“Che ne pensi?” mi chiese Daniela.
“Sinceramente non mi è sembrata interessata. Credo che dovrai spiegarle per bene come stanno le cose” le risposi. “Dove vuoi andare a cena, questa volta? Spero non alla Svizzerotta!” insinuai.
“No, stasera vi invito a casa mia. Senza problemi, ho la donna che può preparare la cena. Tanto sarà una cosa molto informale, se Francesca accetta”.
“Perché non glielo hai detto? Magari era più facile per lei accettare!”
“Non so, non mi è venuto in mente. Diglielo tu quando la senti. Poi mi dici. Ora vado giù a finire di controllare che sia tutto a posto” concluse alzandosi dalla poltroncina di fronte a me.
“Mi raccomando!” mi disse uscendo dalla mia stanza.

Squillò il telefono, presi la cornetta e risposi. Era Francesca.
“Ciao amore. Come ti senti?” chiesi.
“Potrei stare meglio. Oggi le nausee sono state più forti. Ho paura che qualcuno se ne accorga e mi chieda qualcosa. Lo sai che mi si è già ingrossato il seno? Ho il reggiseno che mi tira da morire. Mi sa che vado a togliermelo. Mi dà veramente fastidio! Tu come stai?”
“Preoccupato per te!”
“Per me? E per cosa? Lo hai detto tu: è solo una gravidanza, e se fosse stata una situazione così problematica, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e non sarebbe cresciuto così tanto in numero!” mi rispose, riprendendo la mia obiezione del giorno prima.
“Io non sono preoccupato per la gravidanza, ma per il tuo equilibrio psicofisico. Ieri mi hai impressionato. Per fortuna che alla fine sei tornata la mia Francesca. Non mi hai mai parlato di Dede. Come mai, piuttosto?” la sfrucugliai.
“Per un po’ vorrei stare lontana da Domitilla. Diciamo che non mi è piaciuta come ha preso la mia gravidanza. Prima «Che bello sarò zia» poi «Eh però ingrasserai, dovrai stare attenta! Io voglio la mia amichetta bona!». Ti dirò, mi ha fatto proprio incazzare” mi spiegò.
Non ho mai capito come facesse Adriano a stare con una moglie schizzata come Dede.

“Dimmi, avrei un po’ da fare”. Volevo che fosse lei a raccontarmi la telefonata di Daniela, anche se ero assurdamente curioso di come fosse andata la loro conversazione e ansioso di sapere cosa le avesse raccontato.
“Mi ha chiamato Daniela” iniziò.
“Daniela? Chi? La nostra segretaria?” le chiesi con tono incredulo.
“Si, lei” mi rispose.
“E cosa voleva da te? Un appuntamento con il Prof?”
“No, no, solo parlarmi di un problema che ha e per cui mi avrebbe chiesto di aiutarla. Ne sai nulla tu?” mi chiese a sua volta.
“Non ho idea di cosa stia parlando” mentii spudoratamente.
“Strano, perché mi ha detto che tu sapevi tutto!”. Eccaallà. Primo check: fail.
“Fra, se mi chiedi di sapere che cosa ti ha detto Daniela, posso solo fare l’indovino. In questo momento ha necessità di concentrarsi sull’organizzazione del convegno a cui sto lavorando da quindici giorni e sulla gestione di tutta una serie di attività… diciamo…collaterali” e chiusi lì, evitando di proseguire ma sapendo che avrei dovuto fornire delle spiegazioni.
“A me ha detto che mi avrebbe spiegato stasera ma che avrebbe bisogno del mio savoir faire e della mia bellezza. A me pare un po’ dissociata”.
“Per quanto concerne stasera, si, lo so. Mi ha chiamato prima per ringraziarmi di averle dato il tuo numero e che stasera ci aspetta a cena a casa sua. Il resto posso solo immaginarlo.”
“E cioè?”
“Che vorrà proporti di aiutarla nell’organizzazione della parte conviviale, il ricevimento, l’intrattenimento di certi politici, insomma, hai capito, no?” la buttai lì, cercando di dire senza dire.
“Paolo, o mi spieghi o non mi ti filo per niente e stasera da Daniela ci vai tu, da solo, ma poi non rientrare in casa, eh?” mi rispose seccamente.
“Fra, ho capito che c’è un po’ di bufera qui in azienda ed io ci sono coinvolto in qualche modo, soprattutto perché c’è una cordata di gente che mira a far fuori Michele e Antonio e, ovviamente, anche me che sono un loro uomo, in un certo senso. E tutto dipenderà dal successo di un certo evento, un convegno che si terrà la prossima settimana a Cesena ad una mostra di macchine agricole. Noi siamo lì con uno stand ma, soprattutto, con una mia idea che dovrebbe essere illustrata in questo convegno alla ricerca di un supporto politico. Però le cose non sono facili come te le sto raccontando. Noi abbiamo molti nemici e pochi amici in ambito politico, nel settore dell’agricoltura tutto è in mano alla concorrenza, per cui qualsiasi nostra iniziativa è vista come una invasione di campo inaccettabile. Inoltre, qualcuno che proviene da altre aziende è stato assunto da poco qui per portare buone influenze su certa parte politica, ma questi stanno giocando molto sporco con noi e dobbiamo capire come difenderci” cercai di spiegarle.
“Scusa, ma non posso raccontarti tutto, almeno non per telefono e non da qui” le dissi cercando di chiudere il discorso. Non so perché, ma in quel momento guardai l’apparecchio e mi ricordai delle targhette che erano attaccate ai telefoni al Ministero della Marina: “Il telefono è uno strumento di comunicazione non sicuro”, un modo burocratico per dire “Taci che il nemico t’ascolta”.
“Allora, Fra, ti passo a prendere a casa alle sette. Ce la fai? Non serve che ti vesti in maniera particolare: è una cena informale e saremo solo noi tre” le dissi sperando di prevenire il classico «Che mi metto?».
“Dove abita Daniela?” chiese.
“Di preciso non lo so, mi pare dalle parti dell’EUR, a te non ha detto nulla?”
“No, nulla. Allora, visto che l’Eur è dalla parte opposta, passo a prenderti io alle sette in ufficio, tanto da Monte Mario a Prati è un attimo e io posso farmi la doccia e cambiarmi qui in clinica, ho tutto, lo sai!” mi spiegò.
“In effetti è una buona idea. Io sono in motorino, magari ci fermiamo al ritorno per riprenderlo” le ricordai.
“Ok. Giurami che se sai qualcosa di più mi chiami. Soprattutto se vieni a sapere che non saremo da soli. Non mi va di farmi vedere vestita normale da altri”
Che palle! Possibile che le donne avessero solo questo pensiero?
“Ok amore, ti faccio sapere. A dopo” e chiusi la chiamata.

Mi dedicai a chiudere le attività ed a controllare che il materiale da spedire fosse tutto pronto, poi chiamai Daniela.

“Daniela, ricordati che quando viene il trasportatore voglio essere presente anch’io. Voglio controllare che la roba sia perfettamente stivata ed assicurarmi che non si possa rompere né prendere scossoni. I dischi fissi sono delicatissimi e anche se parcheggio le testine, il rischio che un urto me li possa rompere è alto” le dissi.
“Poi, per stasera come rimaniamo? A che ora dobbiamo venire Francesca ed io?”
“Direi per le otto e mezza, o anche alle otto, se vuoi. Prima non credo di farcela” mi rispose.
“No, no, prima delle otto è impossibile. Francesca ha detto che mi passa a prendere per le sette, ma conoscendo i suoi tempi e come gestiscono gli appuntamenti i medici., dubito che potremo essere lì prima delle otto, otto e un quarto”.
“Per me va benissimo!”
“Piuttosto, non mi ha dato l’indirizzo. Non so dove abiti, non conosco casa tua” le aggiunsi.
“Sono a viale della Musica, al numero 20. Viale della Musica è quella strada che parte da via Laurentina all’altezza del distributore Agip e arriva a Via dell’Arte di fronte al palazzo dei Congressi” mi spiegò per telefono. “Il numero 20 è sulla destra venendo dal Palazzo dei Congressi” completò l’informazione.
“Ok. A più tardi lì” ringraziai ed attaccai.
Richiamai in clinica mia moglie, attesi che me la passassero e mi rispose dopo pochissimo.
“Stavo per andare a prepararmi per l’intervento. Vado un po’ di fretta. Dimmi” mi rispose concitata.
“Volevo dirti un paio di cose. La prima è che l’appuntamento a cena è per le otto, otto e un quarto all’Eur, in pratica al laghetto. Mi fermo da Costantini a prendere una bottiglia di vino o una di prosecco?” le chiesi.
“Ma non so, prendi il prosecco, ma solo se è freddo. Se no prendi del rosso, si beve a temperatura ambiente. Scegli tu. Ovviamente non hai chiesto cosa c’è da mangiare, immagino!”
“Ovvio che no. Ok. Prendo del rosso non troppo corposo.”
“E la seconda?”
“La seconda? Che ti amo!”
“Io pure, e lo sai. Se fossi qui, te lo dimostrerei, tu sai come” mi sussurrò
“Anch’io avrei una mezza idea su come dimostrartelo!” le rispondo, intendendo chiaramente quale sia la mezza idea. “Ti aspetto più tardi qui” le dissi.

Dopo un po’ mi recai in enoteca a Piazza Cavour e, consigliato da Costantini in persona, presi due bottiglie di Negroamaro di una cantina a me sconosciuta ma di garantita bontà e qualità. “Vino da donne, dotto’. Si lasci servire!” mi disse mentre incartava le bottiglie e mi dava il resto di una banconota da 50.000 lire.
Presi la busta e mi recai di nuovo in ufficio. Avevo da controllare ancora un paio di cosette sulla presentazione perché, si sa, sicuramente c’è sempre qualcosa che non hai verificato che, al momento meno opportuno, provocherà un problema. Si, perché le leggi di Murphy, soprattutto la terza «se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che può arrecare il danno maggiore sarà la prima a farlo» sono sempre lì a ricordare come, per quanto ci si sforzi di pensare a come evitare i problemi, esiste sempre qualcosa di non preventivato che “ti manda in vacca la festa”.

Verso le cinque del pomeriggio feci una chiamata in clinica da Francesca. Mi rispose la caposala del reparto che mi disse: “la dottoressa sta per terminare l’intervento; entro una mezz’ora sarà fuori dalla sala operatoria e la faccio richiamare. Lei è il marito no?”.
“Si sono il marito. Usi la cortesia di farmi richiamare. Sono in ufficio al mio diretto” le risposi. Immaginai il viso arcigno di una vecchia infermiera che faceva smorfie al telefono al mio indirizzo, reo di aver osato disturbare la dottoressa, per quanto mia moglie. Immaginai che non sapeva della prossima maternità, perché altrimenti un cenno di complimento lo avrebbe fatto.
Le chiesi io, invece: “Ma mia moglie sta bene? Intendo, lei sa se ha avuto problemi?”
“Che tipo di problemi, scusi?”
“Mah, problemi di stomaco, di digestione” dissi senza voler far intendere nulla.
“No, non mi pare, almeno non da quando sono di turno io. Anzi, se mi permette, ho visto sua moglie in ottima forma, quasi radiosa. Forse ha preso mezzo chilo di peso che le sta benissimo!” aggiunse.
Ringraziai e la pregai di farmi richiamare.

Decisi all’improvviso di raggiungere Francesca in clinica.
Richiamai immediatamente e chiesi questa volta direttamente della caposala. Questa volta il suo tono fu un po’ più conciliante.
“Potrebbe invece dire a mia moglie che… anzi, mi aiuti. Vorrei farle una sorpresa. Esco ora dall’ufficio e vengo lì in clinica. Lei la trattenga con una scusa e la faccia aspettare. Tanto io sono in Prati e entro venti minuti sono lì, giusto il tempo di arrivare a Piazza Cavour a prendere il tassì” e così feci.
Presi di corsa tutta la mia roba e corsi fino al parcheggio dei tassì. Per fortuna ce ne erano tre in attesa. Salii sul primo e gli detti l’indirizzo.
“Per favore, in fretta. Ce la facciamo ad arrivare in un quarto d’ora?” gli chiesi.
Dottò, stia tranquillo, non lo famo nasce prima che lei sia lì. Volo!” mi rispose. Aveva immaginato che stessi andando al parto di mia moglie. In effetti, la clinica era molto famosa per l’ostetricia, meno per la chirurgia estetica.
Dottò, pe’ nna’ de corsa dovemo fa’ la direttissima. Si nun me vomita in machina, famo in un lampo.
Per i non romani, la direttissima era il nomignolo affibbiato alla strada che scalava Monte Mario da Piazzale Clodio, tutta curve a raggio variabile che stringevano all’improvviso, spesso portandoti a sbattere contro i muretti o i guardrail, e con un asfalto liscio che bastava un po’ di pioggia per diventare scivoloso quanto il ghiaccio.
“Ok, ma facciamo presto, per favore!” gli risposi, per nulla preoccupato.

Corse come un pazzo raggiungendo Piazzale Clodio da Via della Giuliana, bruciando almeno tre semafori rossi. Non contento, fece una svolta proibita a sinistra per imboccare la famigerata Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto, per l’appunto, la direttissima, che percorse come un forsennato sbandando a destra e a sinistra. Quando arrivammo in cima alla salita, passò con il rosso il semaforo all’incrocio con la Trionfale nella quale si immise andando a tavoletta. Fortunatamente, la clinica era lì a pochi metri. Si fermò con gran stridore di gomme davanti all’ingresso “So’ venticinquemila, dotto’”. Tirai fuori dalla tasca la molla ferma soldi e gli passai tre banconote da dieci. “Il resto mancia, no? Grazie dotto’”. ‘Tacci sua, un’altra curva e vomitavo sul serio. Credevo di avere in viso un colorito giallo più intenso di quello del tassì.

Entrai in clinica con la busta delle bottiglie in mano, mi avvicinai alla reception e chiesi di mia moglie. Una cortese signorina con la cuffia da telefonista mi chiese chi la cercasse e le risposi “Il marito”. Lei molto gentilmente chiamò il reparto, si mise in contatto con la capo sala e mi disse poi di raggiungere il reparto stesso.
“La caposala l’aspetta” mi disse.
Mi recai all’ascensore, premetti il piano e attesi che si fermasse al giusto pianerottolo. Uscii e proprio di fronte all’ingresso c’era la stanza della caposala. Bussai alla porta e dissi: “Sono il marito della dott.ssa Francesca” ma non feci in tempo a terminare che la caposala, contrariamente alla mia immaginazione persona molto gradevole e gentile, mi fece accomodare e mi disse: “Lei è molto fortunato, sa? Sua moglie è molto forte, ma non mi frega. E le nausee in gravidanza possono essere veramente fastidiose!” mi sussurrò.
Sbiancai. Ero certo che Francesca non volesse far sapere del suo stato: nelle sue condizioni, la gravidanza avrebbe potuto significare notevoli problemi lavorativi, soprattutto tra medici, ove il maschilismo era imperante.
“Mah, per favore, eviti di dirlo in giro!” le risposi a bassa voce.
“Ma non c’è bisogno di dirlo. La dottoressa al termine dell’intervento, mentre si stava cambiando, è svenuta. Per fortuna c’era la ferrista accanto a lei, che mi ha chiamato immediatamente. Tranquillo, sta benissimo. Solo uno svenimento da fame. Ha confessato di non mangiare da quasi una settimana a causa delle nausee, ed era molto debole. Le abbiamo dato acqua e zucchero e misurato la pressione. Ora sta benissimo, ma mi raccomando, non la faccia strapazzare! Noi ci teniamo, è la nostra mascotte. E poi, secondo noi è più brava del Prof. Ha veramente le mani d’oro. Lo sa che già qualcuno inizia a chiedere di essere operata direttamente da lei? Dicono che le sue cicatrici sono quasi invisibili!” aggiunse.

Ero molto orgoglioso di mia moglie, ma non vedevo l’ora di abbracciarla.
“Posso vederla?” chiesi timidamente.
“Certo, ma ora credo si stia facendo la doccia. Sua moglie non sa che lei sta qui, ma sono contenta che lei sia venuto, così potrà portarla lei via da qui, magari a mangiare qualcosa. Mi raccomando, la faccia mangiare. E dica a sua moglie di chiamarmi per qualsiasi cosa: io, prima di tutto, sono un’ostetrica. E so già che vostra figlia sarà femmina. E io c’azzecco sempre!” concluse.
“Lo sa che me lo sentivo? Io glie l’ho detto già sabato, che mi sentivo che sarà femmina!” risposi, entusiasta della notizia e contento per aver trovato una brava persona che si sarebbe comunque presa cura di Francesca durante la gravidanza.
“Ora, dottore, si metta lì in sala d’attesa. La chiamo io quando sua moglie esce dalla doccia e potrà andare a farle una sorpresa” mi disse indicandomi la stanza accanto a quella di fronte, ove entrai e mi misi a sedere.

Tempo qualche minuto, la caposala mi chiamò e mi fece strada verso lo spogliatoio dei medici ove trovai mia moglie in procinto di vestirsi, ancora con il telo attorno al corpo e l’asciugamano a mo’ di turbante in testa.
“Ciao amore!” e corsi a baciarla.
Lei fu sorpresa di vedermi, glielo lessi negli occhi ma, soprattutto, non si scompose quando per abbracciarmi le cadde il telo a terra lasciandola totalmente nuda. Mi chinai a raccoglierglielo e glielo rimisi attorno al corpo per salvare un minimo le apparenze.
La ribaciai di nuovo e le dissi “Non riuscivo ad aspettarti in ufficio, così ho preso un tassì e sono venuto da te. Contenta?”
La sua risposta fu un altro bacio sulla mia bocca. Le sue labbra erano morbidissime e avrei voluto mangiargliele, ma già l’erezione premeva contro i pantaloni e contro il suo pube e non era assolutamente né il luogo né il momento. Anche Francesca se ne accorse e mi disse in un orecchio “Se non sapessi che tra un po’ arrivano dei colleghi, ti spoglierei e ti scoperei per un paio d’ore, qui e subito anzi, come piace a te, hic et nunc” mentre con la mano mi accarezzava il basso ventre.

Mi staccai da lei a fatica mentre ammiravo il suo vestirello. Infilò con calma un perizoma, poi le calze autoreggenti, le scarpe con il tacco alto ed infine, un vestito di tessuto leggero a fiori a chemisier strizzato in vita da una cinta. Si sciolse il turbante, prese la spazzola e si spazzolò i capelli lunghi fino alle spalle; infine prese la trousse del trucco, si mise davanti allo specchio per abbellire l’occhio e marcare un po’ lo zigomo.

Dopo qualche minuto apparve la caposala che si rivolse a mia moglie “Francesca, mi fai la cortesia di mangiare stasera qualcosa? Prendi della pasta, della carne, possibilmente al sangue, un po’ di verdura ed anche un po’ di frutta. Se vuoi bere, limitati ad un bicchiere di vino e per favore, non fumare!” le disse.
“Me lo prometti?” aggiunse mentre le sistemava una ciocca di capelli.
Mia moglie le rispose abbracciandola e dicendole “Te lo prometto. Grazie di tutto!”
“Sappi tesoro che non dirò nulla. Per adesso, è il nostro segreto. Ma ricordati che, a prescindere dal tuo ginecologo, voglio che tu mi ascolti. Ti prego, fatti aiutare. Sei troppo bella e brava per finire nelle grinfie di un presuntuoso medico che dice ad una collega quel che deve fare. Questo è un compito da donne. Ed io, prima di essere una ostetrica, sono stata madre. Mi credi?”
“Certo che ti credo, Alessandra. E tranquilla, di te mi fido ciecamente” e le dette un bacio sulle guance per ringraziarla e salutarla.

Salutai anch’io la caposala e la ringraziai per l’aiuto. “Si ricordi” mi disse “che la salute di sua moglie e sua figlia dipendono anche da lei e da quanto le farà contente. E si ricordi anche che una donna incinta ha bisogno di coccole ed attenzioni sia a casa che a letto!” e mi fece l’occhiolino.
“Su quello non c’è rischio!” rispose mia moglie ridacchiando.
“Meglio così” ribatté Alessandra, salutandoci ed accomiatandosi.

Presi Francesca sottobraccio ed andai alla sua macchina.
Le aprii la porta – cosa che raramente facevo – e la feci salire; poi mi misi alla guida e ci incamminammo verso l’EUR.
====================================================================
 

chega

"Level 5"
Messaggi
583
Punteggio reazione
1,893
Punti
99
Ai miei lettori.
Ritorno dopo qualche giorno con un nuovo episodio della mia vita con la mia prima moglie.
Alcuni eventi che si sono verificati hanno un po' fatto scemare la voglia di scrivere e di postare, ma giacché ho preso una sorta di impegno con voi aprendo questo thread, mi sento in dovere di completarlo.
Devo dire che la mancanza di ritorni mi sta un po' frenando, ma so che alla fine è colpa mia che non scrivo cose interessanti.
Ne prendo atto.
Mi domando però: è meglio spezzettare i capitoli (che spesso raggiungono o superano la dozzina di pagine word) in parti da una paginetta o mantenerli uniti in un unico post?
In attesa di vostre indicazioni e suggerimenti, proseguo normalmente.

========================================================================================

Complotti e magheggi​

La mattina successiva mi svegliai stranamente lucido. Ricordavo perfettamente cosa avevo pensato (o sognato?) e mi trovai a mettere in fila i vari pezzi del mosaico che avevo visualizzato in mente per un attimo la sera prima.
Mi alzai, preparai la colazione a mia moglie (the e fette biscottate con marmellata d’arancia amara), le lasciai un bliglietto con su scritto “Questa è la colazione per te. Mangia qualcosa. Ci sentiamo per telefono. Resta a letto. Ti amo” ed uscii.

Arrivai in ufficio e mi detti immediatamente da fare per terminare il lavoro ed organizzare la presentazione del nuovo sistema esperto al MacFrut. Avevo però bisogno di Daniela per curare la parte ospitality. Doveva organizzare il rinfresco ed il pranzo riservato tra sottosegretario (e la sua segretaria particolare), il mio AD ed il presidente dell’Unione Produttori nonché segretario nazionale di una famosa cooperativa bianca. Ovviamente non avrei partecipato ma avrei lasciato il posto alla segretaria particolare dell’AD, di certo molto più esperta di me.
La chiamai pertanto al telefono.
“Daniela buongiorno! Quando puoi, potresti cortesemente fare un salto da me per vedere tutte le cose per la Fiera?” le dissi con tono gioviale e cortese.

“Buongiorno Paolo! Ben arrivato! Facciamo così: tu mi inviti a prendere il caffè ed io poi salgo con te così ti dico” mi rispose con un tono un po’ meno amichevole. Purtroppo non potevo non accettare, ed ero curioso di vedere le sue carte in mano di quella lunga partita che avevamo appena iniziato a giocare. Si, avevo pianificato le cose in modo tale che, se fossero andate bene, avrei potuto togliermi parecchie soddisfazioni. Ma avevo bisogno dell’aiuto di mia moglie.

Scesi al piano terra, entrai in segreteria e salutai per prima Marina, l’arcigna capo della segreteria, la tenutaria dei segreti aziendali.
“Buongiorno Marina! Buon inizio settimana! Passato bene il week-end?” le chiesi più per posa che per interesse; sapevo perfettamente che Marina era una zitella acida, una gattara, che usciva di casa solo lo stretto indispensabile. Peraltro abitava in campagna verso Riano, in un casale sperduto ed isolato. La leggenda narrava che una notte fosse stato assaltato da alcuni zingari in cerca di soldi e di argenteria i quali, vista la proprietaria con i bigodini in testa armata di mattarello, fuggirono via spaventati e preoccupati. I più cattivi raccontano che invece li avesse colti in flagranza e che, alla sua richiesta di essere violentata, questi fossero scappati urlando. Restava il fatto che era temuta ed odiata. Personalmente non avevo nulla contro di lei, mi chiedeva sempre notizie di mia moglie da quando le avevo portato la bomboniera. Credo che fosse però più interessata al fatto che fosse un chirurgo estetico che ad altro.
“Quando sono lontano da voi, sto bene. Quando torno qui, sto male, soprattutto quando vedo certa gente” disse ammiccando nemmeno tanto velatamente a Daniela. Si odiavano, ma Marina era intoccabile. Si dice che fosse stata assunta direttamente dal Mega-Presidente in persona e che conoscesse talmente tanti segreti che nessuno aveva il coraggio di romperle le scatole. E comunque, sapeva fare bene il suo lavoro.

Daniela mi tirò un’occhiataccia sbuffando. “Va bene, se vuoi fare salotto con Marina, fai pure, io vado a prendere il caffè”.
“Vai, vai pure, cara. Tanto, che tu ci sia o non ci sia, è assolutamente uguale. Buon caffè!” disse polemicamente la virago.
“Ah, dott. Paolo, potrebbe cortesemente portarmi un caffè quando torna?” mi chiese quindi, sapendo che non avrei potuto dirle di no.
“Certamente Marina, è un piacere. Gradisce anche un cornetto?” le chiesi con sincero interesse, provocando un’ulteriore occhiataccia di Daniela, che mi fece poi pesare la mia proposta.
“Era necessario che tu le dicessi di si a quell’arpia?” mi chiese con tono acido.
“Daniela, l’educazione non è un optional. Lo sai come la penso al riguardo. Non ho simpatia per Marina, la trovo antipatica, indisponente, talmente scostante che prima di chiederle qualcosa è meglio leggere l’oroscopo e consultare le previsioni del tempo! Però, se una persona ti chiede qualcosa con cortesia, perché rifiutarsi?” ribattei. Su questo non transigevo. Non ero disposto a sconti, e adesso, Daniela era passata nella mia lista delle persone da tenere d’occhio e controllare.

“Allora, Daniela, oggi dovremmo fare il punto della situazione e fare il check di tutto qui da noi prima che tu ti trasferisca a Cesena, la prossima settimana!” le dissi mentre ci recavamo al bar per il caffè.
“Come «mi trasferisco a Cesena»?” interloquì fermandosi di colpo e guardandomi in tralice.
“Si, bisogna che tu vada lì prima per organizzare il dopo evento. C’è da prenotare il ristorante, vedere l’albergo, selezionare le hostess, l’accompagnatrice del Capo di Gabinetto del Ministro...tutte cose che devi fare tu, mica io…O credi che sia il caso di parlarne con il Boss?” le risposi, imbruttendola.
“No, no… hai ragione. Ma tanto devi venire anche tu su con me, no? Andiamo assieme, no?” rispose, anche lei imbruttendomi.
“Ma, se vuoi venire con noi, io mi porto Francesca, ha bisogno di me in questo momento, si prende una settimana di vacanza e abbiamo deciso di stare assieme” ribadii, certo di averle inferto un bel colpo.
“Ma dai! Viene Francesca? Si, bellissimo! Sono molto contenta. Si, ottimo, vengo su con te e lei. Hai prenotato l’albergo? No, non ti preoccupare, penso a tutto io!” mi disse con fare sospetto. Ebbi immediatamente la sensazione che la mia mossa avrebbe provocato altre situazioni rischiose. Evitai tuttavia di interloquire ulteriormente: meno parlavo, in questo caso, e meglio sarebbe stato.

Rientrammo in ufficio e salimmo direttamente nella mia stanza. Andai alla lavagna di ardesia (unica concessione personale che avevo richiesto direttamente a Michele ed Antonio) e scorsi la checklist che aveva quasi tutte le voci con un segno di spunta positivo, mentre ne rimanevano con un punto interrogativo solo tre: prova generale sul posto, logistica personale e logistica ospiti. Della prima ero il diretto responsabile, delle altre due ne aveva l’onere Daniela. E nessuno avrebbe potuto imputare a me eventuali suoi fallimenti o distrazioni, visto che era il suo lavoro, il suo ambito operativo in cui aveva sempre dimostrato grandi capacità e competenze. Sempre.

“Allora, la fiera inizia la prossima settimana, martedì. Noi dobbiamo approntare lo stand per lunedì, quindi giovedì pomeriggio partiamo in modo da essere lì venerdì e poter seguire tutto l’attrezzaggio. Io porto con me un computer, per sicurezza. Quindi, se vuoi venire con noi (e rimarcai il noi affinché non se ne dimenticasse), ricordati che non avrò molto spazio in macchina per i bagagli. E giacché viene Francesca che è una che non conosce il significato del concetto viaggiare leggeri, immagino che avrò il bagagliaio pieno tra baule suo, sacca mia e computer. Inoltre, sappi che io stesso devo portarmi almeno un paio di vestiti, visto che stiamo fuori una settimana abbondante”.
“Hai ragione. Non ci avevo pensato. Ma ho io la soluzione. Mandiamo su il tuo computer, il monitor, tutto quello che ti serve con i ragazzi che allestiranno lo stand. Tanto, partono con il furgone giovedì mattina, ed è giusto che lo gestiscano loro. Non è questo computer, no?” indicando il pc sulla mia scrivania.
“No. È quello che sta giù in laboratorio”.
“Ottimo. Allora dopo vado giù e lo etichetto. Poi chiamo i ragazzi e lo faccio imballare per bene. Tranquillo, sarà tutto fatto benissimo. C’è altro che dobbiamo mandare su giovedì mattina oltre ai depliant, all’allestimento dello stand e al tuo computer?” mi chiese.
“Beh, ricordati che dobbiamo comunque mandare su altri due computer per la registrazione dei visitatori allo stand. Ah, ricorda di selezionare due ragazze carine come standiste. Una potrebbe essere …come si chiama la ragazza bionda che sta nella stanza di sviluppo delle applicazioni su CPS32? Monica? Monia? Mi pare molto sveglia oltre che molto carina” le dissi, buttandole lì un osso da mordere.
“Monia? Mah… non so se sia indicata. Troppo seria. Serve una che sia…partecipativa.”
“In che senso partecipativa?”
Nel senso che… lascia perdere, so io chi coinvolgere. È una delle tue. Quella che lavora come sistemista in Guardia di Finanza.”
“Ma chi? Cristina? Scordatelo, quella è matta scocciata. È … uff… se trova uno che le va a genio, è capace di mollare tutto e farselo lì sui due piedi!” dissi preoccupato delle conseguenze.
“Appunto. È la persona giusta. Hai presente che significa avere uno stand in una mostra piena di contadini arrapati?” rispose. “E me ne serve pure un’altra come lei.”
“Daniela, non credi che sia quanto meno inappropriato?” le dissi
“Paolo, io penso alle cose mie, tu pensa alle tue” mi rispose seccata con un tono che non ammetteva repliche. “Tua moglie è a casa?” mi chiese quindi.
“Si. dovrebbe essere a casa. Perché?”
“Perché voglio parlarle. Perché ho bisogno di lei” mi rispose.
“E per cosa?”
“Tu non ti preoccupare!”
“Ma è mia moglie!”
“Solo quando ti fa comodo, eh? Però quando scopi con le altre, ti dimentichi che è tua moglie!” insinuò.
Rabbrividii e credo sbiancai al pensiero di essere anche velatamente oggetto di pressioni indebite.
“Prova a fare qualcosa di solo simile al ricatto ed io ti distruggo. Io posso mandare a puttane il mio matrimonio, peraltro già compromesso, posso perdere la mia posizione qui in azienda, ma di aziende ne esistono tante ed io sono maledettamente bravo nel mio lavoro. Però, se ti sputtano, e sai che posso farlo, tu sei fuori. Puoi solo cambiare lavoro, ma chi darà un posto di responsabilità all’ex amante dell’Amministratore delegato che se l’è fatta, per gioco o per dovere, con un suo sottoposto, raccontandogli una serie di aneddoti piccanti sul suo capo e sulle sue avventure?” dissi con tono velenoso.
“Io non ti ho raccontato nulla. Tu non sai nulla!” rispose veementemente.
“Basta che io metta in giro il sospetto. Ricorda, la calunnia è un venticello…” le dissi ricordando il brano de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. “A nulla serviranno le tue smentite. Sarà la paura che tu ti sia fatta sfuggire qualcosa che ti condannerà. E la mia piena confessione al capo di averti scopato ed inculato in tutte le posizioni, riempito tutti i tuoi orifizi e fatto bere tutto il mio sperma. Secondo te, chi che ci rimette di più?” ribattei con cattiveria.

Ricordo che Daniela trasalì e, fatto inusuale, tacque. Avevo sicuramente fatto centro a mia insaputa. Si era resa conto che la sua posizione non era di vantaggio, ma era traballante almeno quanto la mia.
Dopo qualche istante di silenzio, disse, con voce bassa, quasi esile “Suppongo che tu abbia ragione” concluse con un singulto, quasi mandando giù un rospo non tanto metaforico.
“Paolo, ascolta!” mi disse.
“Stai zitta. Non voglio sentirti. Credevi di potermi gestire, trattare come un bimbetto, il tuo giocattolino, uno sgabellino su cui salire per poter arrivare al ripiano più in alto, vero? Beh, hai sbagliato i tuoi conti”.
“Ascoltami, ti prego. Devo spiegarti. Tu credi di essere al sicuro, ma non è così. Il Boss ha deciso di metterti alla prova, con questo progetto. Lui non ci crede, dice che non porterà a nulla e quando sarà chiaro il fallimento, avrà in mano le armi per far fuori te, Antonio e Michele per sostituirli con i suoi protetti, e tu sai di chi parlo” mi disse prendendomi per il braccio e girandomi verso di lei. In effetti, conoscevo i protetti del Boss, ed era gente che veniva da un’altra azienda, gente che non stimavo ma che era tenuta in grande considerazione dal top management, molto ammanicata con un certo partito e con il relativo milieu milanese.
“E con ciò?” le dissi con un certo disprezzo. Quella gente era nella mia lista nera da sempre, non li sopportavo, non avevano il minimo senso etico, per loro l’importante era raggiungere l’obiettivo a qualsiasi prezzo, anche a costo di vendere la propria madre. O la propria moglie.
“Se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico”. Toccò a Daniela fare una citazione dotta, attribuita a Caio Giulio detto il Cesare, un politico sopraffino oltre che ad uno dei più grandi strateghi militari di tutti i tempi.
“Cioè? Tu proponi di coalizzarci contro il Boss per farlo fuori? Ti rendi conto di quanto sia ridicola la cosa?” le dissi.
“No, non per fare fuori il Boss. Per fare fuori i suoi. Non ti credere, ho milleuno motivi per avercela con loro; non ultimo, un Tavolo12 in quattro. Io e loro tre. Tu, in confronto, sei stato un piacevole diversivo!” mi disse.
Ora capivo il motivo del suo bluff e del fatto che avesse provato a sfruttarmi per ottenere un vantaggio personale.
“Ok. Va bene. Vediamo se ho capito. Tu avevi il compito di non fare andare a buon fine la presentazione, o meglio, l’incontro con il Sottosegretario per poter poi addossare la colpa addosso a me, Michele e Antonio. Con il tuo aiuto, il Boss avrebbe fatto fuori noi tre, mettendoci in condizione di dover andare via, ed il nostro posto sarebbe stato preso dai tre desperados. Tu avevi però bisogno di mia moglie per mettermi in ulteriore difficoltà e costringermi a distrarmi per farmi sbagliare, corretto?”
“Una cosa del genere” annuì.
“E tu, magari, ne avresti approfittato per stringere amicizia con Francesca per sfruttarne le conoscenze del mondo del suo Professore, ovvero, le mogli della maggior parte dei pezzi grossi romani, politici, imprenditori, dirigenti, banchieri, eccetera. È così?” conclusi il mio ragionamento.
“Sapevo che sarebbe stata dura. Il Boss secondo me ti ha sottovalutato!”, così Daniela annuendo confermò la validità del mio ragionamento.
“E ora vuoi cambiare squadra in corsa perché ti sei resa conto che saresti troppo ricattabile da parte dei tre… si, il Bello, il Brutto ed il Cattivo. E vuoi che Sartana esca fuori allo scoperto” le dissi citando alcuni noti film western di vent’anni prima dei quali avevo appena visto una retrospettiva assieme a Francesca in un cinema d’essai a Roma.
Daniela annuì silenziosamente.
Volevo però capire il motivo per cui voleva coinvolgere Francesca
“Mi spieghi perché vuoi parlare con Francesca?” le chiesi. “Cosa devi chiederle? Cosa hai in mente?”
“Ho bisogno di aiuto. Se vuoi sopravvivere anche tu, dobbiamo stare dalla stessa parte. E tua moglie potrebbe essere di grande aiuto.”
“In che senso?”
“Ho bisogno del suo charme e della sua bellezza per distrarre le bestie mentre io mi gestisco l’Onorevole sottosegretario.” mi rispose.
“E sai cosa intendo” aggiunse.
“Distrarre in che senso, scusa?” le chiesi.
“Se stesse con me allo stand mentre ci sono le bestie, sarebbe poi facile per me allontanarmi e fare quel che devo fare. Anzi, tocca a noi fare quel che dobbiamo fare. E lei tiene a bada i tre, visto che comunque, non si permetterebbero mai di fare nulla con lei in tua presenza o sapendo che comunque sei dietro l’angolo. Sono bestie, ma vigliacchi” concluse.
“Scusa, ma io che c’entro?” chiesi incuriosito.
“Dovrai aiutarmi con la segretaria dell’Onorevole. Non vorrai che io ce l’abbia in mezzo ai piedi mentre…” e fece un verso eloquente con il viso e con le mani.
“Ok, ma non pensare che mi vado a scopare una mai vista e conosciuta per farti un piacere. Non me ne può fregare di meno del sottosegretario e della sua assistente, in questo momento” dissi un po’ piccato.
“A parte che ti piacerebbe, perché l’assistente è stata Miss Cinema qualcosa nel 1980 ed è una splendida ragazza, e poi non devi scoparti nessuno. Basta che la inviti a pranzo, che me la distrai. E qui serve Francesca, col fatto che è un chirurgo estetico, andiamo a dama!” spiegò.

Iniziavo a farmi un quadro un po’ più ampio della situazione. I dettagli ancora mi sfuggivano, ma una cosa era certa: Daniela era una donna molto pericolosa, ed il Boss aveva commesso un grave errore a sottovalutarla.
“Mai sottovalutare la donna che hai tradito: al momento opportuno, ti farà passare la sete con l’osso del prosciutto” recitava il mio Nostromo di bordo quando da giovane guardiamarina prestavo servizio a bordo di Nave Lupo. E l’osso del prosciutto di Daniela era grosso, nodoso e molto, molto salato.

Capii che dovevo assecondarla ed aiutarla, se possibile.
Francesca mi avrebbe supportato, di certo. Ma non so come avrebbe preso la cosa. Sapere di essere usati per scopi non del tutto edificanti non fa mai piacere. E soprattutto, essere appena entrati nel secondo mese di gravidanza non facilita le cose, né fisicamente né tantomeno psicologicamente. Decisi pertanto di far spendere tempo e risorse a Daniela. Che ci pensasse lei.
“Daniela, Francesca la coinvolgi tu. Chiamala tu, parlaci, invitala a pranzo, a cena, al the, fai quel che ti pare.”
“Quel che mi pare?” mi chiese alzando un sopracciglio.
“Beh, nei limiti della decenza e del fatto che comunque è mia moglie!” risposi un po’ imbarazzato.
“Allora ci penso io. Ora dove sta?” mi chiese.
“Immagino stia in clinica. Oggi aveva due interventi come prima assistente del Professore. Mi ha detto che uno era una plastica per quell’attrice inglese, l’altro un’addominoplastica per la moglie del Senatore” le risposi. “Però credo che all’ora di pranzo sia libera. Se vuoi, chiama il centralino della clinica e chiedi di lei. Dì che sei la mia segretaria e che la stai cercando per conto mio, poi ci parli tu” le suggerii.

Daniela seguì il mio suggerimento e contattò Francesca all’ora di pranzo. Usò il mio telefono e chiamò di fronte a me.
“Francesca buongiorno, sono Daniela, la segretaria di Paolo, ti ricordi di me?” le disse.
“Certo Daniela, mi ricordo perfettamente. Quella sera al locale per la festa dello scorso Natale, giusto?” rispose mia moglie.
“Si, esatto. Pensa che ricordo perfettamente il tuo stupendo tubino nero di Versace. Solo tu potevi permettertelo, con quel corpo da favola che ti ritrovi” le disse.
“Cara mia, se c’è qualcuna che non ha bisogno dei miei servigi sei proprio tu!” le rispose Francesca.
“Senti, Franci, avrei bisogno di parlarti, avrei necessità del tuo aiuto. Per questo vorrei invitarti stasera a cena, in modo che ti spiego tutto. Magari facciamo venire anche Paolo” le disse con tono più serio.
“E che genere di aiuto ti serve? Non mi dire di chirurgia estetica perché non riuscirai mai a convincermi di usare il bisturi su di te!” ribatté mia moglie.
“No, no. Niente chirurgia, anche se un pensierino per rifarmi le tette ce lo avrei! Ma le voglio come le tue! Diciamo che mi servono il tuo savoir faire, la tua bellezza e la tua fama. E la tua testa, ovviamente. Ma ti spiego tutto stasera. Dimmi di si!”
“Mah, Daniela, non saprei. Devo sentire Paolo, e sinceramente non mi sento molto bene in questi giorni. Non riesco a mangiare, sono spossata e ho continue nausee!”
“Non sarai incinta? No, vero?”
“Senti Daniela, non so se ce la faccio. Ti prometto che ci proverò. Ora mi sento con Paolo e poi ti dico” concluse.
Vidi Daniela che stava per dire che ero lì, presente, e mi misi un dito davanti alla bocca per tacitarla. Non volevo proprio che Francesca sapesse che avevo assistito alla chiamata, perché mi avrebbe sicuramente accusato di averla messa in difficoltà, soprattutto con la storia della gravidanza.
“Va bene Francesca. Allora aspetto una tua chiamata. Vuoi che ti passo Paolo?” le disse con un tono molto più professionale e distaccato.
“No, grazie, non ti preoccupare. Finisco il frullato e poi lo chiamo. Tanto tra un po’ devo rientrare in sala operatoria per l’altro intervento” aggiunse. “Paolo lo chiamo io, tranquilla. Ti faccio sapere, allora. A più tardi!” e chiuse la chiamata.
“Che ne pensi?” mi chiese Daniela.
“Sinceramente non mi è sembrata interessata. Credo che dovrai spiegarle per bene come stanno le cose” le risposi. “Dove vuoi andare a cena, questa volta? Spero non alla Svizzerotta!” insinuai.
“No, stasera vi invito a casa mia. Senza problemi, ho la donna che può preparare la cena. Tanto sarà una cosa molto informale, se Francesca accetta”.
“Perché non glielo hai detto? Magari era più facile per lei accettare!”
“Non so, non mi è venuto in mente. Diglielo tu quando la senti. Poi mi dici. Ora vado giù a finire di controllare che sia tutto a posto” concluse alzandosi dalla poltroncina di fronte a me.
“Mi raccomando!” mi disse uscendo dalla mia stanza.

Squillò il telefono, presi la cornetta e risposi. Era Francesca.
“Ciao amore. Come ti senti?” chiesi.
“Potrei stare meglio. Oggi le nausee sono state più forti. Ho paura che qualcuno se ne accorga e mi chieda qualcosa. Lo sai che mi si è già ingrossato il seno? Ho il reggiseno che mi tira da morire. Mi sa che vado a togliermelo. Mi dà veramente fastidio! Tu come stai?”
“Preoccupato per te!”
“Per me? E per cosa? Lo hai detto tu: è solo una gravidanza, e se fosse stata una situazione così problematica, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e non sarebbe cresciuto così tanto in numero!” mi rispose, riprendendo la mia obiezione del giorno prima.
“Io non sono preoccupato per la gravidanza, ma per il tuo equilibrio psicofisico. Ieri mi hai impressionato. Per fortuna che alla fine sei tornata la mia Francesca. Non mi hai mai parlato di Dede. Come mai, piuttosto?” la sfrucugliai.
“Per un po’ vorrei stare lontana da Domitilla. Diciamo che non mi è piaciuta come ha preso la mia gravidanza. Prima «Che bello sarò zia» poi «Eh però ingrasserai, dovrai stare attenta! Io voglio la mia amichetta bona!». Ti dirò, mi ha fatto proprio incazzare” mi spiegò.
Non ho mai capito come facesse Adriano a stare con una moglie schizzata come Dede.

“Dimmi, avrei un po’ da fare”. Volevo che fosse lei a raccontarmi la telefonata di Daniela, anche se ero assurdamente curioso di come fosse andata la loro conversazione e ansioso di sapere cosa le avesse raccontato.
“Mi ha chiamato Daniela” iniziò.
“Daniela? Chi? La nostra segretaria?” le chiesi con tono incredulo.
“Si, lei” mi rispose.
“E cosa voleva da te? Un appuntamento con il Prof?”
“No, no, solo parlarmi di un problema che ha e per cui mi avrebbe chiesto di aiutarla. Ne sai nulla tu?” mi chiese a sua volta.
“Non ho idea di cosa stia parlando” mentii spudoratamente.
“Strano, perché mi ha detto che tu sapevi tutto!”. Eccaallà. Primo check: fail.
“Fra, se mi chiedi di sapere che cosa ti ha detto Daniela, posso solo fare l’indovino. In questo momento ha necessità di concentrarsi sull’organizzazione del convegno a cui sto lavorando da quindici giorni e sulla gestione di tutta una serie di attività… diciamo…collaterali” e chiusi lì, evitando di proseguire ma sapendo che avrei dovuto fornire delle spiegazioni.
“A me ha detto che mi avrebbe spiegato stasera ma che avrebbe bisogno del mio savoir faire e della mia bellezza. A me pare un po’ dissociata”.
“Per quanto concerne stasera, si, lo so. Mi ha chiamato prima per ringraziarmi di averle dato il tuo numero e che stasera ci aspetta a cena a casa sua. Il resto posso solo immaginarlo.”
“E cioè?”
“Che vorrà proporti di aiutarla nell’organizzazione della parte conviviale, il ricevimento, l’intrattenimento di certi politici, insomma, hai capito, no?” la buttai lì, cercando di dire senza dire.
“Paolo, o mi spieghi o non mi ti filo per niente e stasera da Daniela ci vai tu, da solo, ma poi non rientrare in casa, eh?” mi rispose seccamente.
“Fra, ho capito che c’è un po’ di bufera qui in azienda ed io ci sono coinvolto in qualche modo, soprattutto perché c’è una cordata di gente che mira a far fuori Michele e Antonio e, ovviamente, anche me che sono un loro uomo, in un certo senso. E tutto dipenderà dal successo di un certo evento, un convegno che si terrà la prossima settimana a Cesena ad una mostra di macchine agricole. Noi siamo lì con uno stand ma, soprattutto, con una mia idea che dovrebbe essere illustrata in questo convegno alla ricerca di un supporto politico. Però le cose non sono facili come te le sto raccontando. Noi abbiamo molti nemici e pochi amici in ambito politico, nel settore dell’agricoltura tutto è in mano alla concorrenza, per cui qualsiasi nostra iniziativa è vista come una invasione di campo inaccettabile. Inoltre, qualcuno che proviene da altre aziende è stato assunto da poco qui per portare buone influenze su certa parte politica, ma questi stanno giocando molto sporco con noi e dobbiamo capire come difenderci” cercai di spiegarle.
“Scusa, ma non posso raccontarti tutto, almeno non per telefono e non da qui” le dissi cercando di chiudere il discorso. Non so perché, ma in quel momento guardai l’apparecchio e mi ricordai delle targhette che erano attaccate ai telefoni al Ministero della Marina: “Il telefono è uno strumento di comunicazione non sicuro”, un modo burocratico per dire “Taci che il nemico t’ascolta”.
“Allora, Fra, ti passo a prendere a casa alle sette. Ce la fai? Non serve che ti vesti in maniera particolare: è una cena informale e saremo solo noi tre” le dissi sperando di prevenire il classico «Che mi metto?».
“Dove abita Daniela?” chiese.
“Di preciso non lo so, mi pare dalle parti dell’EUR, a te non ha detto nulla?”
“No, nulla. Allora, visto che l’Eur è dalla parte opposta, passo a prenderti io alle sette in ufficio, tanto da Monte Mario a Prati è un attimo e io posso farmi la doccia e cambiarmi qui in clinica, ho tutto, lo sai!” mi spiegò.
“In effetti è una buona idea. Io sono in motorino, magari ci fermiamo al ritorno per riprenderlo” le ricordai.
“Ok. Giurami che se sai qualcosa di più mi chiami. Soprattutto se vieni a sapere che non saremo da soli. Non mi va di farmi vedere vestita normale da altri”
Che palle! Possibile che le donne avessero solo questo pensiero?
“Ok amore, ti faccio sapere. A dopo” e chiusi la chiamata.

Mi dedicai a chiudere le attività ed a controllare che il materiale da spedire fosse tutto pronto, poi chiamai Daniela.

“Daniela, ricordati che quando viene il trasportatore voglio essere presente anch’io. Voglio controllare che la roba sia perfettamente stivata ed assicurarmi che non si possa rompere né prendere scossoni. I dischi fissi sono delicatissimi e anche se parcheggio le testine, il rischio che un urto me li possa rompere è alto” le dissi.
“Poi, per stasera come rimaniamo? A che ora dobbiamo venire Francesca ed io?”
“Direi per le otto e mezza, o anche alle otto, se vuoi. Prima non credo di farcela” mi rispose.
“No, no, prima delle otto è impossibile. Francesca ha detto che mi passa a prendere per le sette, ma conoscendo i suoi tempi e come gestiscono gli appuntamenti i medici., dubito che potremo essere lì prima delle otto, otto e un quarto”.
“Per me va benissimo!”
“Piuttosto, non mi ha dato l’indirizzo. Non so dove abiti, non conosco casa tua” le aggiunsi.
“Sono a viale della Musica, al numero 20. Viale della Musica è quella strada che parte da via Laurentina all’altezza del distributore Agip e arriva a Via dell’Arte di fronte al palazzo dei Congressi” mi spiegò per telefono. “Il numero 20 è sulla destra venendo dal Palazzo dei Congressi” completò l’informazione.
“Ok. A più tardi lì” ringraziai ed attaccai.
Richiamai in clinica mia moglie, attesi che me la passassero e mi rispose dopo pochissimo.
“Stavo per andare a prepararmi per l’intervento. Vado un po’ di fretta. Dimmi” mi rispose concitata.
“Volevo dirti un paio di cose. La prima è che l’appuntamento a cena è per le otto, otto e un quarto all’Eur, in pratica al laghetto. Mi fermo da Costantini a prendere una bottiglia di vino o una di prosecco?” le chiesi.
“Ma non so, prendi il prosecco, ma solo se è freddo. Se no prendi del rosso, si beve a temperatura ambiente. Scegli tu. Ovviamente non hai chiesto cosa c’è da mangiare, immagino!”
“Ovvio che no. Ok. Prendo del rosso non troppo corposo.”
“E la seconda?”
“La seconda? Che ti amo!”
“Io pure, e lo sai. Se fossi qui, te lo dimostrerei, tu sai come” mi sussurrò
“Anch’io avrei una mezza idea su come dimostrartelo!” le rispondo, intendendo chiaramente quale sia la mezza idea. “Ti aspetto più tardi qui” le dissi.

Dopo un po’ mi recai in enoteca a Piazza Cavour e, consigliato da Costantini in persona, presi due bottiglie di Negroamaro di una cantina a me sconosciuta ma di garantita bontà e qualità. “Vino da donne, dotto’. Si lasci servire!” mi disse mentre incartava le bottiglie e mi dava il resto di una banconota da 50.000 lire.
Presi la busta e mi recai di nuovo in ufficio. Avevo da controllare ancora un paio di cosette sulla presentazione perché, si sa, sicuramente c’è sempre qualcosa che non hai verificato che, al momento meno opportuno, provocherà un problema. Si, perché le leggi di Murphy, soprattutto la terza «se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che può arrecare il danno maggiore sarà la prima a farlo» sono sempre lì a ricordare come, per quanto ci si sforzi di pensare a come evitare i problemi, esiste sempre qualcosa di non preventivato che “ti manda in vacca la festa”.

Verso le cinque del pomeriggio feci una chiamata in clinica da Francesca. Mi rispose la caposala del reparto che mi disse: “la dottoressa sta per terminare l’intervento; entro una mezz’ora sarà fuori dalla sala operatoria e la faccio richiamare. Lei è il marito no?”.
“Si sono il marito. Usi la cortesia di farmi richiamare. Sono in ufficio al mio diretto” le risposi. Immaginai il viso arcigno di una vecchia infermiera che faceva smorfie al telefono al mio indirizzo, reo di aver osato disturbare la dottoressa, per quanto mia moglie. Immaginai che non sapeva della prossima maternità, perché altrimenti un cenno di complimento lo avrebbe fatto.
Le chiesi io, invece: “Ma mia moglie sta bene? Intendo, lei sa se ha avuto problemi?”
“Che tipo di problemi, scusi?”
“Mah, problemi di stomaco, di digestione” dissi senza voler far intendere nulla.
“No, non mi pare, almeno non da quando sono di turno io. Anzi, se mi permette, ho visto sua moglie in ottima forma, quasi radiosa. Forse ha preso mezzo chilo di peso che le sta benissimo!” aggiunse.
Ringraziai e la pregai di farmi richiamare.

Decisi all’improvviso di raggiungere Francesca in clinica.
Richiamai immediatamente e chiesi questa volta direttamente della caposala. Questa volta il suo tono fu un po’ più conciliante.
“Potrebbe invece dire a mia moglie che… anzi, mi aiuti. Vorrei farle una sorpresa. Esco ora dall’ufficio e vengo lì in clinica. Lei la trattenga con una scusa e la faccia aspettare. Tanto io sono in Prati e entro venti minuti sono lì, giusto il tempo di arrivare a Piazza Cavour a prendere il tassì” e così feci.
Presi di corsa tutta la mia roba e corsi fino al parcheggio dei tassì. Per fortuna ce ne erano tre in attesa. Salii sul primo e gli detti l’indirizzo.
“Per favore, in fretta. Ce la facciamo ad arrivare in un quarto d’ora?” gli chiesi.
Dottò, stia tranquillo, non lo famo nasce prima che lei sia lì. Volo!” mi rispose. Aveva immaginato che stessi andando al parto di mia moglie. In effetti, la clinica era molto famosa per l’ostetricia, meno per la chirurgia estetica.
Dottò, pe’ nna’ de corsa dovemo fa’ la direttissima. Si nun me vomita in machina, famo in un lampo.
Per i non romani, la direttissima era il nomignolo affibbiato alla strada che scalava Monte Mario da Piazzale Clodio, tutta curve a raggio variabile che stringevano all’improvviso, spesso portandoti a sbattere contro i muretti o i guardrail, e con un asfalto liscio che bastava un po’ di pioggia per diventare scivoloso quanto il ghiaccio.
“Ok, ma facciamo presto, per favore!” gli risposi, per nulla preoccupato.

Corse come un pazzo raggiungendo Piazzale Clodio da Via della Giuliana, bruciando almeno tre semafori rossi. Non contento, fece una svolta proibita a sinistra per imboccare la famigerata Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto, per l’appunto, la direttissima, che percorse come un forsennato sbandando a destra e a sinistra. Quando arrivammo in cima alla salita, passò con il rosso il semaforo all’incrocio con la Trionfale nella quale si immise andando a tavoletta. Fortunatamente, la clinica era lì a pochi metri. Si fermò con gran stridore di gomme davanti all’ingresso “So’ venticinquemila, dotto’”. Tirai fuori dalla tasca la molla ferma soldi e gli passai tre banconote da dieci. “Il resto mancia, no? Grazie dotto’”. ‘Tacci sua, un’altra curva e vomitavo sul serio. Credevo di avere in viso un colorito giallo più intenso di quello del tassì.

Entrai in clinica con la busta delle bottiglie in mano, mi avvicinai alla reception e chiesi di mia moglie. Una cortese signorina con la cuffia da telefonista mi chiese chi la cercasse e le risposi “Il marito”. Lei molto gentilmente chiamò il reparto, si mise in contatto con la capo sala e mi disse poi di raggiungere il reparto stesso.
“La caposala l’aspetta” mi disse.
Mi recai all’ascensore, premetti il piano e attesi che si fermasse al giusto pianerottolo. Uscii e proprio di fronte all’ingresso c’era la stanza della caposala. Bussai alla porta e dissi: “Sono il marito della dott.ssa Francesca” ma non feci in tempo a terminare che la caposala, contrariamente alla mia immaginazione persona molto gradevole e gentile, mi fece accomodare e mi disse: “Lei è molto fortunato, sa? Sua moglie è molto forte, ma non mi frega. E le nausee in gravidanza possono essere veramente fastidiose!” mi sussurrò.
Sbiancai. Ero certo che Francesca non volesse far sapere del suo stato: nelle sue condizioni, la gravidanza avrebbe potuto significare notevoli problemi lavorativi, soprattutto tra medici, ove il maschilismo era imperante.
“Mah, per favore, eviti di dirlo in giro!” le risposi a bassa voce.
“Ma non c’è bisogno di dirlo. La dottoressa al termine dell’intervento, mentre si stava cambiando, è svenuta. Per fortuna c’era la ferrista accanto a lei, che mi ha chiamato immediatamente. Tranquillo, sta benissimo. Solo uno svenimento da fame. Ha confessato di non mangiare da quasi una settimana a causa delle nausee, ed era molto debole. Le abbiamo dato acqua e zucchero e misurato la pressione. Ora sta benissimo, ma mi raccomando, non la faccia strapazzare! Noi ci teniamo, è la nostra mascotte. E poi, secondo noi è più brava del Prof. Ha veramente le mani d’oro. Lo sa che già qualcuno inizia a chiedere di essere operata direttamente da lei? Dicono che le sue cicatrici sono quasi invisibili!” aggiunse.

Ero molto orgoglioso di mia moglie, ma non vedevo l’ora di abbracciarla.
“Posso vederla?” chiesi timidamente.
“Certo, ma ora credo si stia facendo la doccia. Sua moglie non sa che lei sta qui, ma sono contenta che lei sia venuto, così potrà portarla lei via da qui, magari a mangiare qualcosa. Mi raccomando, la faccia mangiare. E dica a sua moglie di chiamarmi per qualsiasi cosa: io, prima di tutto, sono un’ostetrica. E so già che vostra figlia sarà femmina. E io c’azzecco sempre!” concluse.
“Lo sa che me lo sentivo? Io glie l’ho detto già sabato, che mi sentivo che sarà femmina!” risposi, entusiasta della notizia e contento per aver trovato una brava persona che si sarebbe comunque presa cura di Francesca durante la gravidanza.
“Ora, dottore, si metta lì in sala d’attesa. La chiamo io quando sua moglie esce dalla doccia e potrà andare a farle una sorpresa” mi disse indicandomi la stanza accanto a quella di fronte, ove entrai e mi misi a sedere.

Tempo qualche minuto, la caposala mi chiamò e mi fece strada verso lo spogliatoio dei medici ove trovai mia moglie in procinto di vestirsi, ancora con il telo attorno al corpo e l’asciugamano a mo’ di turbante in testa.
“Ciao amore!” e corsi a baciarla.
Lei fu sorpresa di vedermi, glielo lessi negli occhi ma, soprattutto, non si scompose quando per abbracciarmi le cadde il telo a terra lasciandola totalmente nuda. Mi chinai a raccoglierglielo e glielo rimisi attorno al corpo per salvare un minimo le apparenze.
La ribaciai di nuovo e le dissi “Non riuscivo ad aspettarti in ufficio, così ho preso un tassì e sono venuto da te. Contenta?”
La sua risposta fu un altro bacio sulla mia bocca. Le sue labbra erano morbidissime e avrei voluto mangiargliele, ma già l’erezione premeva contro i pantaloni e contro il suo pube e non era assolutamente né il luogo né il momento. Anche Francesca se ne accorse e mi disse in un orecchio “Se non sapessi che tra un po’ arrivano dei colleghi, ti spoglierei e ti scoperei per un paio d’ore, qui e subito anzi, come piace a te, hic et nunc” mentre con la mano mi accarezzava il basso ventre.

Mi staccai da lei a fatica mentre ammiravo il suo vestirello. Infilò con calma un perizoma, poi le calze autoreggenti, le scarpe con il tacco alto ed infine, un vestito di tessuto leggero a fiori a chemisier strizzato in vita da una cinta. Si sciolse il turbante, prese la spazzola e si spazzolò i capelli lunghi fino alle spalle; infine prese la trousse del trucco, si mise davanti allo specchio per abbellire l’occhio e marcare un po’ lo zigomo.

Dopo qualche minuto apparve la caposala che si rivolse a mia moglie “Francesca, mi fai la cortesia di mangiare stasera qualcosa? Prendi della pasta, della carne, possibilmente al sangue, un po’ di verdura ed anche un po’ di frutta. Se vuoi bere, limitati ad un bicchiere di vino e per favore, non fumare!” le disse.
“Me lo prometti?” aggiunse mentre le sistemava una ciocca di capelli.
Mia moglie le rispose abbracciandola e dicendole “Te lo prometto. Grazie di tutto!”
“Sappi tesoro che non dirò nulla. Per adesso, è il nostro segreto. Ma ricordati che, a prescindere dal tuo ginecologo, voglio che tu mi ascolti. Ti prego, fatti aiutare. Sei troppo bella e brava per finire nelle grinfie di un presuntuoso medico che dice ad una collega quel che deve fare. Questo è un compito da donne. Ed io, prima di essere una ostetrica, sono stata madre. Mi credi?”
“Certo che ti credo, Alessandra. E tranquilla, di te mi fido ciecamente” e le dette un bacio sulle guance per ringraziarla e salutarla.

Salutai anch’io la caposala e la ringraziai per l’aiuto. “Si ricordi” mi disse “che la salute di sua moglie e sua figlia dipendono anche da lei e da quanto le farà contente. E si ricordi anche che una donna incinta ha bisogno di coccole ed attenzioni sia a casa che a letto!” e mi fece l’occhiolino.
“Su quello non c’è rischio!” rispose mia moglie ridacchiando.
“Meglio così” ribatté Alessandra, salutandoci ed accomiatandosi.

Presi Francesca sottobraccio ed andai alla sua macchina.
Le aprii la porta – cosa che raramente facevo – e la feci salire; poi mi misi alla guida e ci incamminammo verso l’EUR.
====================================================================
Ai miei lettori.
Ritorno dopo qualche giorno con un nuovo episodio della mia vita con la mia prima moglie.
Alcuni eventi che si sono verificati hanno un po' fatto scemare la voglia di scrivere e di postare, ma giacché ho preso una sorta di impegno con voi aprendo questo thread, mi sento in dovere di completarlo.
Devo dire che la mancanza di ritorni mi sta un po' frenando, ma so che alla fine è colpa mia che non scrivo cose interessanti.
Ne prendo atto.
Mi domando però: è meglio spezzettare i capitoli (che spesso raggiungono o superano la dozzina di pagine word) in parti da una paginetta o mantenerli uniti in un unico post?
In attesa di vostre indicazioni e suggerimenti, proseguo normalmente.

========================================================================================

Complotti e magheggi​

La mattina successiva mi svegliai stranamente lucido. Ricordavo perfettamente cosa avevo pensato (o sognato?) e mi trovai a mettere in fila i vari pezzi del mosaico che avevo visualizzato in mente per un attimo la sera prima.
Mi alzai, preparai la colazione a mia moglie (the e fette biscottate con marmellata d’arancia amara), le lasciai un bliglietto con su scritto “Questa è la colazione per te. Mangia qualcosa. Ci sentiamo per telefono. Resta a letto. Ti amo” ed uscii.

Arrivai in ufficio e mi detti immediatamente da fare per terminare il lavoro ed organizzare la presentazione del nuovo sistema esperto al MacFrut. Avevo però bisogno di Daniela per curare la parte ospitality. Doveva organizzare il rinfresco ed il pranzo riservato tra sottosegretario (e la sua segretaria particolare), il mio AD ed il presidente dell’Unione Produttori nonché segretario nazionale di una famosa cooperativa bianca. Ovviamente non avrei partecipato ma avrei lasciato il posto alla segretaria particolare dell’AD, di certo molto più esperta di me.
La chiamai pertanto al telefono.
“Daniela buongiorno! Quando puoi, potresti cortesemente fare un salto da me per vedere tutte le cose per la Fiera?” le dissi con tono gioviale e cortese.

“Buongiorno Paolo! Ben arrivato! Facciamo così: tu mi inviti a prendere il caffè ed io poi salgo con te così ti dico” mi rispose con un tono un po’ meno amichevole. Purtroppo non potevo non accettare, ed ero curioso di vedere le sue carte in mano di quella lunga partita che avevamo appena iniziato a giocare. Si, avevo pianificato le cose in modo tale che, se fossero andate bene, avrei potuto togliermi parecchie soddisfazioni. Ma avevo bisogno dell’aiuto di mia moglie.

Scesi al piano terra, entrai in segreteria e salutai per prima Marina, l’arcigna capo della segreteria, la tenutaria dei segreti aziendali.
“Buongiorno Marina! Buon inizio settimana! Passato bene il week-end?” le chiesi più per posa che per interesse; sapevo perfettamente che Marina era una zitella acida, una gattara, che usciva di casa solo lo stretto indispensabile. Peraltro abitava in campagna verso Riano, in un casale sperduto ed isolato. La leggenda narrava che una notte fosse stato assaltato da alcuni zingari in cerca di soldi e di argenteria i quali, vista la proprietaria con i bigodini in testa armata di mattarello, fuggirono via spaventati e preoccupati. I più cattivi raccontano che invece li avesse colti in flagranza e che, alla sua richiesta di essere violentata, questi fossero scappati urlando. Restava il fatto che era temuta ed odiata. Personalmente non avevo nulla contro di lei, mi chiedeva sempre notizie di mia moglie da quando le avevo portato la bomboniera. Credo che fosse però più interessata al fatto che fosse un chirurgo estetico che ad altro.
“Quando sono lontano da voi, sto bene. Quando torno qui, sto male, soprattutto quando vedo certa gente” disse ammiccando nemmeno tanto velatamente a Daniela. Si odiavano, ma Marina era intoccabile. Si dice che fosse stata assunta direttamente dal Mega-Presidente in persona e che conoscesse talmente tanti segreti che nessuno aveva il coraggio di romperle le scatole. E comunque, sapeva fare bene il suo lavoro.

Daniela mi tirò un’occhiataccia sbuffando. “Va bene, se vuoi fare salotto con Marina, fai pure, io vado a prendere il caffè”.
“Vai, vai pure, cara. Tanto, che tu ci sia o non ci sia, è assolutamente uguale. Buon caffè!” disse polemicamente la virago.
“Ah, dott. Paolo, potrebbe cortesemente portarmi un caffè quando torna?” mi chiese quindi, sapendo che non avrei potuto dirle di no.
“Certamente Marina, è un piacere. Gradisce anche un cornetto?” le chiesi con sincero interesse, provocando un’ulteriore occhiataccia di Daniela, che mi fece poi pesare la mia proposta.
“Era necessario che tu le dicessi di si a quell’arpia?” mi chiese con tono acido.
“Daniela, l’educazione non è un optional. Lo sai come la penso al riguardo. Non ho simpatia per Marina, la trovo antipatica, indisponente, talmente scostante che prima di chiederle qualcosa è meglio leggere l’oroscopo e consultare le previsioni del tempo! Però, se una persona ti chiede qualcosa con cortesia, perché rifiutarsi?” ribattei. Su questo non transigevo. Non ero disposto a sconti, e adesso, Daniela era passata nella mia lista delle persone da tenere d’occhio e controllare.

“Allora, Daniela, oggi dovremmo fare il punto della situazione e fare il check di tutto qui da noi prima che tu ti trasferisca a Cesena, la prossima settimana!” le dissi mentre ci recavamo al bar per il caffè.
“Come «mi trasferisco a Cesena»?” interloquì fermandosi di colpo e guardandomi in tralice.
“Si, bisogna che tu vada lì prima per organizzare il dopo evento. C’è da prenotare il ristorante, vedere l’albergo, selezionare le hostess, l’accompagnatrice del Capo di Gabinetto del Ministro...tutte cose che devi fare tu, mica io…O credi che sia il caso di parlarne con il Boss?” le risposi, imbruttendola.
“No, no… hai ragione. Ma tanto devi venire anche tu su con me, no? Andiamo assieme, no?” rispose, anche lei imbruttendomi.
“Ma, se vuoi venire con noi, io mi porto Francesca, ha bisogno di me in questo momento, si prende una settimana di vacanza e abbiamo deciso di stare assieme” ribadii, certo di averle inferto un bel colpo.
“Ma dai! Viene Francesca? Si, bellissimo! Sono molto contenta. Si, ottimo, vengo su con te e lei. Hai prenotato l’albergo? No, non ti preoccupare, penso a tutto io!” mi disse con fare sospetto. Ebbi immediatamente la sensazione che la mia mossa avrebbe provocato altre situazioni rischiose. Evitai tuttavia di interloquire ulteriormente: meno parlavo, in questo caso, e meglio sarebbe stato.

Rientrammo in ufficio e salimmo direttamente nella mia stanza. Andai alla lavagna di ardesia (unica concessione personale che avevo richiesto direttamente a Michele ed Antonio) e scorsi la checklist che aveva quasi tutte le voci con un segno di spunta positivo, mentre ne rimanevano con un punto interrogativo solo tre: prova generale sul posto, logistica personale e logistica ospiti. Della prima ero il diretto responsabile, delle altre due ne aveva l’onere Daniela. E nessuno avrebbe potuto imputare a me eventuali suoi fallimenti o distrazioni, visto che era il suo lavoro, il suo ambito operativo in cui aveva sempre dimostrato grandi capacità e competenze. Sempre.

“Allora, la fiera inizia la prossima settimana, martedì. Noi dobbiamo approntare lo stand per lunedì, quindi giovedì pomeriggio partiamo in modo da essere lì venerdì e poter seguire tutto l’attrezzaggio. Io porto con me un computer, per sicurezza. Quindi, se vuoi venire con noi (e rimarcai il noi affinché non se ne dimenticasse), ricordati che non avrò molto spazio in macchina per i bagagli. E giacché viene Francesca che è una che non conosce il significato del concetto viaggiare leggeri, immagino che avrò il bagagliaio pieno tra baule suo, sacca mia e computer. Inoltre, sappi che io stesso devo portarmi almeno un paio di vestiti, visto che stiamo fuori una settimana abbondante”.
“Hai ragione. Non ci avevo pensato. Ma ho io la soluzione. Mandiamo su il tuo computer, il monitor, tutto quello che ti serve con i ragazzi che allestiranno lo stand. Tanto, partono con il furgone giovedì mattina, ed è giusto che lo gestiscano loro. Non è questo computer, no?” indicando il pc sulla mia scrivania.
“No. È quello che sta giù in laboratorio”.
“Ottimo. Allora dopo vado giù e lo etichetto. Poi chiamo i ragazzi e lo faccio imballare per bene. Tranquillo, sarà tutto fatto benissimo. C’è altro che dobbiamo mandare su giovedì mattina oltre ai depliant, all’allestimento dello stand e al tuo computer?” mi chiese.
“Beh, ricordati che dobbiamo comunque mandare su altri due computer per la registrazione dei visitatori allo stand. Ah, ricorda di selezionare due ragazze carine come standiste. Una potrebbe essere …come si chiama la ragazza bionda che sta nella stanza di sviluppo delle applicazioni su CPS32? Monica? Monia? Mi pare molto sveglia oltre che molto carina” le dissi, buttandole lì un osso da mordere.
“Monia? Mah… non so se sia indicata. Troppo seria. Serve una che sia…partecipativa.”
“In che senso partecipativa?”
Nel senso che… lascia perdere, so io chi coinvolgere. È una delle tue. Quella che lavora come sistemista in Guardia di Finanza.”
“Ma chi? Cristina? Scordatelo, quella è matta scocciata. È … uff… se trova uno che le va a genio, è capace di mollare tutto e farselo lì sui due piedi!” dissi preoccupato delle conseguenze.
“Appunto. È la persona giusta. Hai presente che significa avere uno stand in una mostra piena di contadini arrapati?” rispose. “E me ne serve pure un’altra come lei.”
“Daniela, non credi che sia quanto meno inappropriato?” le dissi
“Paolo, io penso alle cose mie, tu pensa alle tue” mi rispose seccata con un tono che non ammetteva repliche. “Tua moglie è a casa?” mi chiese quindi.
“Si. dovrebbe essere a casa. Perché?”
“Perché voglio parlarle. Perché ho bisogno di lei” mi rispose.
“E per cosa?”
“Tu non ti preoccupare!”
“Ma è mia moglie!”
“Solo quando ti fa comodo, eh? Però quando scopi con le altre, ti dimentichi che è tua moglie!” insinuò.
Rabbrividii e credo sbiancai al pensiero di essere anche velatamente oggetto di pressioni indebite.
“Prova a fare qualcosa di solo simile al ricatto ed io ti distruggo. Io posso mandare a puttane il mio matrimonio, peraltro già compromesso, posso perdere la mia posizione qui in azienda, ma di aziende ne esistono tante ed io sono maledettamente bravo nel mio lavoro. Però, se ti sputtano, e sai che posso farlo, tu sei fuori. Puoi solo cambiare lavoro, ma chi darà un posto di responsabilità all’ex amante dell’Amministratore delegato che se l’è fatta, per gioco o per dovere, con un suo sottoposto, raccontandogli una serie di aneddoti piccanti sul suo capo e sulle sue avventure?” dissi con tono velenoso.
“Io non ti ho raccontato nulla. Tu non sai nulla!” rispose veementemente.
“Basta che io metta in giro il sospetto. Ricorda, la calunnia è un venticello…” le dissi ricordando il brano de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. “A nulla serviranno le tue smentite. Sarà la paura che tu ti sia fatta sfuggire qualcosa che ti condannerà. E la mia piena confessione al capo di averti scopato ed inculato in tutte le posizioni, riempito tutti i tuoi orifizi e fatto bere tutto il mio sperma. Secondo te, chi che ci rimette di più?” ribattei con cattiveria.

Ricordo che Daniela trasalì e, fatto inusuale, tacque. Avevo sicuramente fatto centro a mia insaputa. Si era resa conto che la sua posizione non era di vantaggio, ma era traballante almeno quanto la mia.
Dopo qualche istante di silenzio, disse, con voce bassa, quasi esile “Suppongo che tu abbia ragione” concluse con un singulto, quasi mandando giù un rospo non tanto metaforico.
“Paolo, ascolta!” mi disse.
“Stai zitta. Non voglio sentirti. Credevi di potermi gestire, trattare come un bimbetto, il tuo giocattolino, uno sgabellino su cui salire per poter arrivare al ripiano più in alto, vero? Beh, hai sbagliato i tuoi conti”.
“Ascoltami, ti prego. Devo spiegarti. Tu credi di essere al sicuro, ma non è così. Il Boss ha deciso di metterti alla prova, con questo progetto. Lui non ci crede, dice che non porterà a nulla e quando sarà chiaro il fallimento, avrà in mano le armi per far fuori te, Antonio e Michele per sostituirli con i suoi protetti, e tu sai di chi parlo” mi disse prendendomi per il braccio e girandomi verso di lei. In effetti, conoscevo i protetti del Boss, ed era gente che veniva da un’altra azienda, gente che non stimavo ma che era tenuta in grande considerazione dal top management, molto ammanicata con un certo partito e con il relativo milieu milanese.
“E con ciò?” le dissi con un certo disprezzo. Quella gente era nella mia lista nera da sempre, non li sopportavo, non avevano il minimo senso etico, per loro l’importante era raggiungere l’obiettivo a qualsiasi prezzo, anche a costo di vendere la propria madre. O la propria moglie.
“Se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico”. Toccò a Daniela fare una citazione dotta, attribuita a Caio Giulio detto il Cesare, un politico sopraffino oltre che ad uno dei più grandi strateghi militari di tutti i tempi.
“Cioè? Tu proponi di coalizzarci contro il Boss per farlo fuori? Ti rendi conto di quanto sia ridicola la cosa?” le dissi.
“No, non per fare fuori il Boss. Per fare fuori i suoi. Non ti credere, ho milleuno motivi per avercela con loro; non ultimo, un Tavolo12 in quattro. Io e loro tre. Tu, in confronto, sei stato un piacevole diversivo!” mi disse.
Ora capivo il motivo del suo bluff e del fatto che avesse provato a sfruttarmi per ottenere un vantaggio personale.
“Ok. Va bene. Vediamo se ho capito. Tu avevi il compito di non fare andare a buon fine la presentazione, o meglio, l’incontro con il Sottosegretario per poter poi addossare la colpa addosso a me, Michele e Antonio. Con il tuo aiuto, il Boss avrebbe fatto fuori noi tre, mettendoci in condizione di dover andare via, ed il nostro posto sarebbe stato preso dai tre desperados. Tu avevi però bisogno di mia moglie per mettermi in ulteriore difficoltà e costringermi a distrarmi per farmi sbagliare, corretto?”
“Una cosa del genere” annuì.
“E tu, magari, ne avresti approfittato per stringere amicizia con Francesca per sfruttarne le conoscenze del mondo del suo Professore, ovvero, le mogli della maggior parte dei pezzi grossi romani, politici, imprenditori, dirigenti, banchieri, eccetera. È così?” conclusi il mio ragionamento.
“Sapevo che sarebbe stata dura. Il Boss secondo me ti ha sottovalutato!”, così Daniela annuendo confermò la validità del mio ragionamento.
“E ora vuoi cambiare squadra in corsa perché ti sei resa conto che saresti troppo ricattabile da parte dei tre… si, il Bello, il Brutto ed il Cattivo. E vuoi che Sartana esca fuori allo scoperto” le dissi citando alcuni noti film western di vent’anni prima dei quali avevo appena visto una retrospettiva assieme a Francesca in un cinema d’essai a Roma.
Daniela annuì silenziosamente.
Volevo però capire il motivo per cui voleva coinvolgere Francesca
“Mi spieghi perché vuoi parlare con Francesca?” le chiesi. “Cosa devi chiederle? Cosa hai in mente?”
“Ho bisogno di aiuto. Se vuoi sopravvivere anche tu, dobbiamo stare dalla stessa parte. E tua moglie potrebbe essere di grande aiuto.”
“In che senso?”
“Ho bisogno del suo charme e della sua bellezza per distrarre le bestie mentre io mi gestisco l’Onorevole sottosegretario.” mi rispose.
“E sai cosa intendo” aggiunse.
“Distrarre in che senso, scusa?” le chiesi.
“Se stesse con me allo stand mentre ci sono le bestie, sarebbe poi facile per me allontanarmi e fare quel che devo fare. Anzi, tocca a noi fare quel che dobbiamo fare. E lei tiene a bada i tre, visto che comunque, non si permetterebbero mai di fare nulla con lei in tua presenza o sapendo che comunque sei dietro l’angolo. Sono bestie, ma vigliacchi” concluse.
“Scusa, ma io che c’entro?” chiesi incuriosito.
“Dovrai aiutarmi con la segretaria dell’Onorevole. Non vorrai che io ce l’abbia in mezzo ai piedi mentre…” e fece un verso eloquente con il viso e con le mani.
“Ok, ma non pensare che mi vado a scopare una mai vista e conosciuta per farti un piacere. Non me ne può fregare di meno del sottosegretario e della sua assistente, in questo momento” dissi un po’ piccato.
“A parte che ti piacerebbe, perché l’assistente è stata Miss Cinema qualcosa nel 1980 ed è una splendida ragazza, e poi non devi scoparti nessuno. Basta che la inviti a pranzo, che me la distrai. E qui serve Francesca, col fatto che è un chirurgo estetico, andiamo a dama!” spiegò.

Iniziavo a farmi un quadro un po’ più ampio della situazione. I dettagli ancora mi sfuggivano, ma una cosa era certa: Daniela era una donna molto pericolosa, ed il Boss aveva commesso un grave errore a sottovalutarla.
“Mai sottovalutare la donna che hai tradito: al momento opportuno, ti farà passare la sete con l’osso del prosciutto” recitava il mio Nostromo di bordo quando da giovane guardiamarina prestavo servizio a bordo di Nave Lupo. E l’osso del prosciutto di Daniela era grosso, nodoso e molto, molto salato.

Capii che dovevo assecondarla ed aiutarla, se possibile.
Francesca mi avrebbe supportato, di certo. Ma non so come avrebbe preso la cosa. Sapere di essere usati per scopi non del tutto edificanti non fa mai piacere. E soprattutto, essere appena entrati nel secondo mese di gravidanza non facilita le cose, né fisicamente né tantomeno psicologicamente. Decisi pertanto di far spendere tempo e risorse a Daniela. Che ci pensasse lei.
“Daniela, Francesca la coinvolgi tu. Chiamala tu, parlaci, invitala a pranzo, a cena, al the, fai quel che ti pare.”
“Quel che mi pare?” mi chiese alzando un sopracciglio.
“Beh, nei limiti della decenza e del fatto che comunque è mia moglie!” risposi un po’ imbarazzato.
“Allora ci penso io. Ora dove sta?” mi chiese.
“Immagino stia in clinica. Oggi aveva due interventi come prima assistente del Professore. Mi ha detto che uno era una plastica per quell’attrice inglese, l’altro un’addominoplastica per la moglie del Senatore” le risposi. “Però credo che all’ora di pranzo sia libera. Se vuoi, chiama il centralino della clinica e chiedi di lei. Dì che sei la mia segretaria e che la stai cercando per conto mio, poi ci parli tu” le suggerii.

Daniela seguì il mio suggerimento e contattò Francesca all’ora di pranzo. Usò il mio telefono e chiamò di fronte a me.
“Francesca buongiorno, sono Daniela, la segretaria di Paolo, ti ricordi di me?” le disse.
“Certo Daniela, mi ricordo perfettamente. Quella sera al locale per la festa dello scorso Natale, giusto?” rispose mia moglie.
“Si, esatto. Pensa che ricordo perfettamente il tuo stupendo tubino nero di Versace. Solo tu potevi permettertelo, con quel corpo da favola che ti ritrovi” le disse.
“Cara mia, se c’è qualcuna che non ha bisogno dei miei servigi sei proprio tu!” le rispose Francesca.
“Senti, Franci, avrei bisogno di parlarti, avrei necessità del tuo aiuto. Per questo vorrei invitarti stasera a cena, in modo che ti spiego tutto. Magari facciamo venire anche Paolo” le disse con tono più serio.
“E che genere di aiuto ti serve? Non mi dire di chirurgia estetica perché non riuscirai mai a convincermi di usare il bisturi su di te!” ribatté mia moglie.
“No, no. Niente chirurgia, anche se un pensierino per rifarmi le tette ce lo avrei! Ma le voglio come le tue! Diciamo che mi servono il tuo savoir faire, la tua bellezza e la tua fama. E la tua testa, ovviamente. Ma ti spiego tutto stasera. Dimmi di si!”
“Mah, Daniela, non saprei. Devo sentire Paolo, e sinceramente non mi sento molto bene in questi giorni. Non riesco a mangiare, sono spossata e ho continue nausee!”
“Non sarai incinta? No, vero?”
“Senti Daniela, non so se ce la faccio. Ti prometto che ci proverò. Ora mi sento con Paolo e poi ti dico” concluse.
Vidi Daniela che stava per dire che ero lì, presente, e mi misi un dito davanti alla bocca per tacitarla. Non volevo proprio che Francesca sapesse che avevo assistito alla chiamata, perché mi avrebbe sicuramente accusato di averla messa in difficoltà, soprattutto con la storia della gravidanza.
“Va bene Francesca. Allora aspetto una tua chiamata. Vuoi che ti passo Paolo?” le disse con un tono molto più professionale e distaccato.
“No, grazie, non ti preoccupare. Finisco il frullato e poi lo chiamo. Tanto tra un po’ devo rientrare in sala operatoria per l’altro intervento” aggiunse. “Paolo lo chiamo io, tranquilla. Ti faccio sapere, allora. A più tardi!” e chiuse la chiamata.
“Che ne pensi?” mi chiese Daniela.
“Sinceramente non mi è sembrata interessata. Credo che dovrai spiegarle per bene come stanno le cose” le risposi. “Dove vuoi andare a cena, questa volta? Spero non alla Svizzerotta!” insinuai.
“No, stasera vi invito a casa mia. Senza problemi, ho la donna che può preparare la cena. Tanto sarà una cosa molto informale, se Francesca accetta”.
“Perché non glielo hai detto? Magari era più facile per lei accettare!”
“Non so, non mi è venuto in mente. Diglielo tu quando la senti. Poi mi dici. Ora vado giù a finire di controllare che sia tutto a posto” concluse alzandosi dalla poltroncina di fronte a me.
“Mi raccomando!” mi disse uscendo dalla mia stanza.

Squillò il telefono, presi la cornetta e risposi. Era Francesca.
“Ciao amore. Come ti senti?” chiesi.
“Potrei stare meglio. Oggi le nausee sono state più forti. Ho paura che qualcuno se ne accorga e mi chieda qualcosa. Lo sai che mi si è già ingrossato il seno? Ho il reggiseno che mi tira da morire. Mi sa che vado a togliermelo. Mi dà veramente fastidio! Tu come stai?”
“Preoccupato per te!”
“Per me? E per cosa? Lo hai detto tu: è solo una gravidanza, e se fosse stata una situazione così problematica, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e non sarebbe cresciuto così tanto in numero!” mi rispose, riprendendo la mia obiezione del giorno prima.
“Io non sono preoccupato per la gravidanza, ma per il tuo equilibrio psicofisico. Ieri mi hai impressionato. Per fortuna che alla fine sei tornata la mia Francesca. Non mi hai mai parlato di Dede. Come mai, piuttosto?” la sfrucugliai.
“Per un po’ vorrei stare lontana da Domitilla. Diciamo che non mi è piaciuta come ha preso la mia gravidanza. Prima «Che bello sarò zia» poi «Eh però ingrasserai, dovrai stare attenta! Io voglio la mia amichetta bona!». Ti dirò, mi ha fatto proprio incazzare” mi spiegò.
Non ho mai capito come facesse Adriano a stare con una moglie schizzata come Dede.

“Dimmi, avrei un po’ da fare”. Volevo che fosse lei a raccontarmi la telefonata di Daniela, anche se ero assurdamente curioso di come fosse andata la loro conversazione e ansioso di sapere cosa le avesse raccontato.
“Mi ha chiamato Daniela” iniziò.
“Daniela? Chi? La nostra segretaria?” le chiesi con tono incredulo.
“Si, lei” mi rispose.
“E cosa voleva da te? Un appuntamento con il Prof?”
“No, no, solo parlarmi di un problema che ha e per cui mi avrebbe chiesto di aiutarla. Ne sai nulla tu?” mi chiese a sua volta.
“Non ho idea di cosa stia parlando” mentii spudoratamente.
“Strano, perché mi ha detto che tu sapevi tutto!”. Eccaallà. Primo check: fail.
“Fra, se mi chiedi di sapere che cosa ti ha detto Daniela, posso solo fare l’indovino. In questo momento ha necessità di concentrarsi sull’organizzazione del convegno a cui sto lavorando da quindici giorni e sulla gestione di tutta una serie di attività… diciamo…collaterali” e chiusi lì, evitando di proseguire ma sapendo che avrei dovuto fornire delle spiegazioni.
“A me ha detto che mi avrebbe spiegato stasera ma che avrebbe bisogno del mio savoir faire e della mia bellezza. A me pare un po’ dissociata”.
“Per quanto concerne stasera, si, lo so. Mi ha chiamato prima per ringraziarmi di averle dato il tuo numero e che stasera ci aspetta a cena a casa sua. Il resto posso solo immaginarlo.”
“E cioè?”
“Che vorrà proporti di aiutarla nell’organizzazione della parte conviviale, il ricevimento, l’intrattenimento di certi politici, insomma, hai capito, no?” la buttai lì, cercando di dire senza dire.
“Paolo, o mi spieghi o non mi ti filo per niente e stasera da Daniela ci vai tu, da solo, ma poi non rientrare in casa, eh?” mi rispose seccamente.
“Fra, ho capito che c’è un po’ di bufera qui in azienda ed io ci sono coinvolto in qualche modo, soprattutto perché c’è una cordata di gente che mira a far fuori Michele e Antonio e, ovviamente, anche me che sono un loro uomo, in un certo senso. E tutto dipenderà dal successo di un certo evento, un convegno che si terrà la prossima settimana a Cesena ad una mostra di macchine agricole. Noi siamo lì con uno stand ma, soprattutto, con una mia idea che dovrebbe essere illustrata in questo convegno alla ricerca di un supporto politico. Però le cose non sono facili come te le sto raccontando. Noi abbiamo molti nemici e pochi amici in ambito politico, nel settore dell’agricoltura tutto è in mano alla concorrenza, per cui qualsiasi nostra iniziativa è vista come una invasione di campo inaccettabile. Inoltre, qualcuno che proviene da altre aziende è stato assunto da poco qui per portare buone influenze su certa parte politica, ma questi stanno giocando molto sporco con noi e dobbiamo capire come difenderci” cercai di spiegarle.
“Scusa, ma non posso raccontarti tutto, almeno non per telefono e non da qui” le dissi cercando di chiudere il discorso. Non so perché, ma in quel momento guardai l’apparecchio e mi ricordai delle targhette che erano attaccate ai telefoni al Ministero della Marina: “Il telefono è uno strumento di comunicazione non sicuro”, un modo burocratico per dire “Taci che il nemico t’ascolta”.
“Allora, Fra, ti passo a prendere a casa alle sette. Ce la fai? Non serve che ti vesti in maniera particolare: è una cena informale e saremo solo noi tre” le dissi sperando di prevenire il classico «Che mi metto?».
“Dove abita Daniela?” chiese.
“Di preciso non lo so, mi pare dalle parti dell’EUR, a te non ha detto nulla?”
“No, nulla. Allora, visto che l’Eur è dalla parte opposta, passo a prenderti io alle sette in ufficio, tanto da Monte Mario a Prati è un attimo e io posso farmi la doccia e cambiarmi qui in clinica, ho tutto, lo sai!” mi spiegò.
“In effetti è una buona idea. Io sono in motorino, magari ci fermiamo al ritorno per riprenderlo” le ricordai.
“Ok. Giurami che se sai qualcosa di più mi chiami. Soprattutto se vieni a sapere che non saremo da soli. Non mi va di farmi vedere vestita normale da altri”
Che palle! Possibile che le donne avessero solo questo pensiero?
“Ok amore, ti faccio sapere. A dopo” e chiusi la chiamata.

Mi dedicai a chiudere le attività ed a controllare che il materiale da spedire fosse tutto pronto, poi chiamai Daniela.

“Daniela, ricordati che quando viene il trasportatore voglio essere presente anch’io. Voglio controllare che la roba sia perfettamente stivata ed assicurarmi che non si possa rompere né prendere scossoni. I dischi fissi sono delicatissimi e anche se parcheggio le testine, il rischio che un urto me li possa rompere è alto” le dissi.
“Poi, per stasera come rimaniamo? A che ora dobbiamo venire Francesca ed io?”
“Direi per le otto e mezza, o anche alle otto, se vuoi. Prima non credo di farcela” mi rispose.
“No, no, prima delle otto è impossibile. Francesca ha detto che mi passa a prendere per le sette, ma conoscendo i suoi tempi e come gestiscono gli appuntamenti i medici., dubito che potremo essere lì prima delle otto, otto e un quarto”.
“Per me va benissimo!”
“Piuttosto, non mi ha dato l’indirizzo. Non so dove abiti, non conosco casa tua” le aggiunsi.
“Sono a viale della Musica, al numero 20. Viale della Musica è quella strada che parte da via Laurentina all’altezza del distributore Agip e arriva a Via dell’Arte di fronte al palazzo dei Congressi” mi spiegò per telefono. “Il numero 20 è sulla destra venendo dal Palazzo dei Congressi” completò l’informazione.
“Ok. A più tardi lì” ringraziai ed attaccai.
Richiamai in clinica mia moglie, attesi che me la passassero e mi rispose dopo pochissimo.
“Stavo per andare a prepararmi per l’intervento. Vado un po’ di fretta. Dimmi” mi rispose concitata.
“Volevo dirti un paio di cose. La prima è che l’appuntamento a cena è per le otto, otto e un quarto all’Eur, in pratica al laghetto. Mi fermo da Costantini a prendere una bottiglia di vino o una di prosecco?” le chiesi.
“Ma non so, prendi il prosecco, ma solo se è freddo. Se no prendi del rosso, si beve a temperatura ambiente. Scegli tu. Ovviamente non hai chiesto cosa c’è da mangiare, immagino!”
“Ovvio che no. Ok. Prendo del rosso non troppo corposo.”
“E la seconda?”
“La seconda? Che ti amo!”
“Io pure, e lo sai. Se fossi qui, te lo dimostrerei, tu sai come” mi sussurrò
“Anch’io avrei una mezza idea su come dimostrartelo!” le rispondo, intendendo chiaramente quale sia la mezza idea. “Ti aspetto più tardi qui” le dissi.

Dopo un po’ mi recai in enoteca a Piazza Cavour e, consigliato da Costantini in persona, presi due bottiglie di Negroamaro di una cantina a me sconosciuta ma di garantita bontà e qualità. “Vino da donne, dotto’. Si lasci servire!” mi disse mentre incartava le bottiglie e mi dava il resto di una banconota da 50.000 lire.
Presi la busta e mi recai di nuovo in ufficio. Avevo da controllare ancora un paio di cosette sulla presentazione perché, si sa, sicuramente c’è sempre qualcosa che non hai verificato che, al momento meno opportuno, provocherà un problema. Si, perché le leggi di Murphy, soprattutto la terza «se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che può arrecare il danno maggiore sarà la prima a farlo» sono sempre lì a ricordare come, per quanto ci si sforzi di pensare a come evitare i problemi, esiste sempre qualcosa di non preventivato che “ti manda in vacca la festa”.

Verso le cinque del pomeriggio feci una chiamata in clinica da Francesca. Mi rispose la caposala del reparto che mi disse: “la dottoressa sta per terminare l’intervento; entro una mezz’ora sarà fuori dalla sala operatoria e la faccio richiamare. Lei è il marito no?”.
“Si sono il marito. Usi la cortesia di farmi richiamare. Sono in ufficio al mio diretto” le risposi. Immaginai il viso arcigno di una vecchia infermiera che faceva smorfie al telefono al mio indirizzo, reo di aver osato disturbare la dottoressa, per quanto mia moglie. Immaginai che non sapeva della prossima maternità, perché altrimenti un cenno di complimento lo avrebbe fatto.
Le chiesi io, invece: “Ma mia moglie sta bene? Intendo, lei sa se ha avuto problemi?”
“Che tipo di problemi, scusi?”
“Mah, problemi di stomaco, di digestione” dissi senza voler far intendere nulla.
“No, non mi pare, almeno non da quando sono di turno io. Anzi, se mi permette, ho visto sua moglie in ottima forma, quasi radiosa. Forse ha preso mezzo chilo di peso che le sta benissimo!” aggiunse.
Ringraziai e la pregai di farmi richiamare.

Decisi all’improvviso di raggiungere Francesca in clinica.
Richiamai immediatamente e chiesi questa volta direttamente della caposala. Questa volta il suo tono fu un po’ più conciliante.
“Potrebbe invece dire a mia moglie che… anzi, mi aiuti. Vorrei farle una sorpresa. Esco ora dall’ufficio e vengo lì in clinica. Lei la trattenga con una scusa e la faccia aspettare. Tanto io sono in Prati e entro venti minuti sono lì, giusto il tempo di arrivare a Piazza Cavour a prendere il tassì” e così feci.
Presi di corsa tutta la mia roba e corsi fino al parcheggio dei tassì. Per fortuna ce ne erano tre in attesa. Salii sul primo e gli detti l’indirizzo.
“Per favore, in fretta. Ce la facciamo ad arrivare in un quarto d’ora?” gli chiesi.
Dottò, stia tranquillo, non lo famo nasce prima che lei sia lì. Volo!” mi rispose. Aveva immaginato che stessi andando al parto di mia moglie. In effetti, la clinica era molto famosa per l’ostetricia, meno per la chirurgia estetica.
Dottò, pe’ nna’ de corsa dovemo fa’ la direttissima. Si nun me vomita in machina, famo in un lampo.
Per i non romani, la direttissima era il nomignolo affibbiato alla strada che scalava Monte Mario da Piazzale Clodio, tutta curve a raggio variabile che stringevano all’improvviso, spesso portandoti a sbattere contro i muretti o i guardrail, e con un asfalto liscio che bastava un po’ di pioggia per diventare scivoloso quanto il ghiaccio.
“Ok, ma facciamo presto, per favore!” gli risposi, per nulla preoccupato.

Corse come un pazzo raggiungendo Piazzale Clodio da Via della Giuliana, bruciando almeno tre semafori rossi. Non contento, fece una svolta proibita a sinistra per imboccare la famigerata Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto, per l’appunto, la direttissima, che percorse come un forsennato sbandando a destra e a sinistra. Quando arrivammo in cima alla salita, passò con il rosso il semaforo all’incrocio con la Trionfale nella quale si immise andando a tavoletta. Fortunatamente, la clinica era lì a pochi metri. Si fermò con gran stridore di gomme davanti all’ingresso “So’ venticinquemila, dotto’”. Tirai fuori dalla tasca la molla ferma soldi e gli passai tre banconote da dieci. “Il resto mancia, no? Grazie dotto’”. ‘Tacci sua, un’altra curva e vomitavo sul serio. Credevo di avere in viso un colorito giallo più intenso di quello del tassì.

Entrai in clinica con la busta delle bottiglie in mano, mi avvicinai alla reception e chiesi di mia moglie. Una cortese signorina con la cuffia da telefonista mi chiese chi la cercasse e le risposi “Il marito”. Lei molto gentilmente chiamò il reparto, si mise in contatto con la capo sala e mi disse poi di raggiungere il reparto stesso.
“La caposala l’aspetta” mi disse.
Mi recai all’ascensore, premetti il piano e attesi che si fermasse al giusto pianerottolo. Uscii e proprio di fronte all’ingresso c’era la stanza della caposala. Bussai alla porta e dissi: “Sono il marito della dott.ssa Francesca” ma non feci in tempo a terminare che la caposala, contrariamente alla mia immaginazione persona molto gradevole e gentile, mi fece accomodare e mi disse: “Lei è molto fortunato, sa? Sua moglie è molto forte, ma non mi frega. E le nausee in gravidanza possono essere veramente fastidiose!” mi sussurrò.
Sbiancai. Ero certo che Francesca non volesse far sapere del suo stato: nelle sue condizioni, la gravidanza avrebbe potuto significare notevoli problemi lavorativi, soprattutto tra medici, ove il maschilismo era imperante.
“Mah, per favore, eviti di dirlo in giro!” le risposi a bassa voce.
“Ma non c’è bisogno di dirlo. La dottoressa al termine dell’intervento, mentre si stava cambiando, è svenuta. Per fortuna c’era la ferrista accanto a lei, che mi ha chiamato immediatamente. Tranquillo, sta benissimo. Solo uno svenimento da fame. Ha confessato di non mangiare da quasi una settimana a causa delle nausee, ed era molto debole. Le abbiamo dato acqua e zucchero e misurato la pressione. Ora sta benissimo, ma mi raccomando, non la faccia strapazzare! Noi ci teniamo, è la nostra mascotte. E poi, secondo noi è più brava del Prof. Ha veramente le mani d’oro. Lo sa che già qualcuno inizia a chiedere di essere operata direttamente da lei? Dicono che le sue cicatrici sono quasi invisibili!” aggiunse.

Ero molto orgoglioso di mia moglie, ma non vedevo l’ora di abbracciarla.
“Posso vederla?” chiesi timidamente.
“Certo, ma ora credo si stia facendo la doccia. Sua moglie non sa che lei sta qui, ma sono contenta che lei sia venuto, così potrà portarla lei via da qui, magari a mangiare qualcosa. Mi raccomando, la faccia mangiare. E dica a sua moglie di chiamarmi per qualsiasi cosa: io, prima di tutto, sono un’ostetrica. E so già che vostra figlia sarà femmina. E io c’azzecco sempre!” concluse.
“Lo sa che me lo sentivo? Io glie l’ho detto già sabato, che mi sentivo che sarà femmina!” risposi, entusiasta della notizia e contento per aver trovato una brava persona che si sarebbe comunque presa cura di Francesca durante la gravidanza.
“Ora, dottore, si metta lì in sala d’attesa. La chiamo io quando sua moglie esce dalla doccia e potrà andare a farle una sorpresa” mi disse indicandomi la stanza accanto a quella di fronte, ove entrai e mi misi a sedere.

Tempo qualche minuto, la caposala mi chiamò e mi fece strada verso lo spogliatoio dei medici ove trovai mia moglie in procinto di vestirsi, ancora con il telo attorno al corpo e l’asciugamano a mo’ di turbante in testa.
“Ciao amore!” e corsi a baciarla.
Lei fu sorpresa di vedermi, glielo lessi negli occhi ma, soprattutto, non si scompose quando per abbracciarmi le cadde il telo a terra lasciandola totalmente nuda. Mi chinai a raccoglierglielo e glielo rimisi attorno al corpo per salvare un minimo le apparenze.
La ribaciai di nuovo e le dissi “Non riuscivo ad aspettarti in ufficio, così ho preso un tassì e sono venuto da te. Contenta?”
La sua risposta fu un altro bacio sulla mia bocca. Le sue labbra erano morbidissime e avrei voluto mangiargliele, ma già l’erezione premeva contro i pantaloni e contro il suo pube e non era assolutamente né il luogo né il momento. Anche Francesca se ne accorse e mi disse in un orecchio “Se non sapessi che tra un po’ arrivano dei colleghi, ti spoglierei e ti scoperei per un paio d’ore, qui e subito anzi, come piace a te, hic et nunc” mentre con la mano mi accarezzava il basso ventre.

Mi staccai da lei a fatica mentre ammiravo il suo vestirello. Infilò con calma un perizoma, poi le calze autoreggenti, le scarpe con il tacco alto ed infine, un vestito di tessuto leggero a fiori a chemisier strizzato in vita da una cinta. Si sciolse il turbante, prese la spazzola e si spazzolò i capelli lunghi fino alle spalle; infine prese la trousse del trucco, si mise davanti allo specchio per abbellire l’occhio e marcare un po’ lo zigomo.

Dopo qualche minuto apparve la caposala che si rivolse a mia moglie “Francesca, mi fai la cortesia di mangiare stasera qualcosa? Prendi della pasta, della carne, possibilmente al sangue, un po’ di verdura ed anche un po’ di frutta. Se vuoi bere, limitati ad un bicchiere di vino e per favore, non fumare!” le disse.
“Me lo prometti?” aggiunse mentre le sistemava una ciocca di capelli.
Mia moglie le rispose abbracciandola e dicendole “Te lo prometto. Grazie di tutto!”
“Sappi tesoro che non dirò nulla. Per adesso, è il nostro segreto. Ma ricordati che, a prescindere dal tuo ginecologo, voglio che tu mi ascolti. Ti prego, fatti aiutare. Sei troppo bella e brava per finire nelle grinfie di un presuntuoso medico che dice ad una collega quel che deve fare. Questo è un compito da donne. Ed io, prima di essere una ostetrica, sono stata madre. Mi credi?”
“Certo che ti credo, Alessandra. E tranquilla, di te mi fido ciecamente” e le dette un bacio sulle guance per ringraziarla e salutarla.

Salutai anch’io la caposala e la ringraziai per l’aiuto. “Si ricordi” mi disse “che la salute di sua moglie e sua figlia dipendono anche da lei e da quanto le farà contente. E si ricordi anche che una donna incinta ha bisogno di coccole ed attenzioni sia a casa che a letto!” e mi fece l’occhiolino.
“Su quello non c’è rischio!” rispose mia moglie ridacchiando.
“Meglio così” ribatté Alessandra, salutandoci ed accomiatandosi.

Presi Francesca sottobraccio ed andai alla sua macchina.
Le aprii la porta – cosa che raramente facevo – e la feci salire; poi mi misi alla guida e ci incamminammo verso l’EUR.
====================================================================
Sempre ben scritto, bravo.
 

mb640

"Level 5"
Da 10 Anni su Phica.net
Messaggi
1,281
Punteggio reazione
1,045
Punti
139
Posizione
MILANO
Devo dire che la mancanza di ritorni mi sta un po' frenando, ma so che alla fine è colpa mia che non scrivo cose interessanti.
Ne prendo atto.
Mi domando però: è meglio spezzettare i capitoli (che spesso raggiungono o superano la dozzina di pagine word) in parti da una paginetta o mantenerli uniti in un unico post?
In attesa di vostre indicazioni e suggerimenti, proseguo normalmente.
Mancanza di ritorni... è vero. Tu scrivi in modo superbo, fai sentire il lettore li con te a vivere le tue esperienze, che, come sempre nella vita REALE contengono sesso "normale". Su questo forum il lettore medio vuole vedere foto ginecologiche delle signorine e leggere le peggio cose narrate in un modo rozzo, grezzo e svilente per la donna. Sono convinto che il livello medio dei forumisti sia abbastanza basso (non me ne vogliano, ci sono anche ottime persone!), lo si capisce anche dagli orrori grammaticali nei commenti (ma usatelo sto correttore automatico!).
Tu sei semplicemente sopra al target del forum.
Per me sei mitico, i tuoi racconti sono sempre ben scritti, belli, piacevoli. Continua cosi, bravo!
 
OP
timassaggio

timassaggio

"Level 6"
1 Anno di Phica.net
Messaggi
1,024
Punteggio reazione
2,859
Punti
119
Mancanza di ritorni... è vero. Tu scrivi in modo superbo, fai sentire il lettore li con te a vivere le tue esperienze, che, come sempre nella vita REALE contengono sesso "normale". Su questo forum il lettore medio vuole vedere foto ginecologiche delle signorine e leggere le peggio cose narrate in un modo rozzo, grezzo e svilente per la donna. Sono convinto che il livello medio dei forumisti sia abbastanza basso (non me ne vogliano, ci sono anche ottime persone!), lo si capisce anche dagli orrori grammaticali nei commenti (ma usatelo sto correttore automatico!).
Tu sei semplicemente sopra al target del forum.
Per me sei mitico, i tuoi racconti sono sempre ben scritti, belli, piacevoli. Continua cosi, bravo!
Sempre un piacere leggerti.
la voglia del prossimo capitolo è tanta ;)
grazie!
Sempre ben scritto, bravo.
Che dire: grazie.
Abbiate pazienza.
Ho tanto da fare in questo periodo, la sera quando dovrei scrivere, sono morto.
Ma ce la farò...

Grazie,
 

poqueri

"Level 0"
Messaggi
31
Punteggio reazione
2
Punti
13
Ottimo ritorno. Spero che si risolvano i tuoi problemi. I capitoli lunghi vanno benissimo. Ottima scrittura come sempre! Continua così, aspetto il prosieguo! 👍👏
 

slap

"Level 7"
Messaggi
2,410
Punteggio reazione
7,000
Punti
124
Posizione
Sardegna
Ai miei lettori.
Ritorno dopo qualche giorno con un nuovo episodio della mia vita con la mia prima moglie.
Alcuni eventi che si sono verificati hanno un po' fatto scemare la voglia di scrivere e di postare, ma giacché ho preso una sorta di impegno con voi aprendo questo thread, mi sento in dovere di completarlo.
Devo dire che la mancanza di ritorni mi sta un po' frenando, ma so che alla fine è colpa mia che non scrivo cose interessanti.
Ne prendo atto.
Mi domando però: è meglio spezzettare i capitoli (che spesso raggiungono o superano la dozzina di pagine word) in parti da una paginetta o mantenerli uniti in un unico post?
In attesa di vostre indicazioni e suggerimenti, proseguo normalmente.

========================================================================================

Complotti e magheggi​

La mattina successiva mi svegliai stranamente lucido. Ricordavo perfettamente cosa avevo pensato (o sognato?) e mi trovai a mettere in fila i vari pezzi del mosaico che avevo visualizzato in mente per un attimo la sera prima.
Mi alzai, preparai la colazione a mia moglie (the e fette biscottate con marmellata d’arancia amara), le lasciai un bliglietto con su scritto “Questa è la colazione per te. Mangia qualcosa. Ci sentiamo per telefono. Resta a letto. Ti amo” ed uscii.

Arrivai in ufficio e mi detti immediatamente da fare per terminare il lavoro ed organizzare la presentazione del nuovo sistema esperto al MacFrut. Avevo però bisogno di Daniela per curare la parte ospitality. Doveva organizzare il rinfresco ed il pranzo riservato tra sottosegretario (e la sua segretaria particolare), il mio AD ed il presidente dell’Unione Produttori nonché segretario nazionale di una famosa cooperativa bianca. Ovviamente non avrei partecipato ma avrei lasciato il posto alla segretaria particolare dell’AD, di certo molto più esperta di me.
La chiamai pertanto al telefono.
“Daniela buongiorno! Quando puoi, potresti cortesemente fare un salto da me per vedere tutte le cose per la Fiera?” le dissi con tono gioviale e cortese.

“Buongiorno Paolo! Ben arrivato! Facciamo così: tu mi inviti a prendere il caffè ed io poi salgo con te così ti dico” mi rispose con un tono un po’ meno amichevole. Purtroppo non potevo non accettare, ed ero curioso di vedere le sue carte in mano di quella lunga partita che avevamo appena iniziato a giocare. Si, avevo pianificato le cose in modo tale che, se fossero andate bene, avrei potuto togliermi parecchie soddisfazioni. Ma avevo bisogno dell’aiuto di mia moglie.

Scesi al piano terra, entrai in segreteria e salutai per prima Marina, l’arcigna capo della segreteria, la tenutaria dei segreti aziendali.
“Buongiorno Marina! Buon inizio settimana! Passato bene il week-end?” le chiesi più per posa che per interesse; sapevo perfettamente che Marina era una zitella acida, una gattara, che usciva di casa solo lo stretto indispensabile. Peraltro abitava in campagna verso Riano, in un casale sperduto ed isolato. La leggenda narrava che una notte fosse stato assaltato da alcuni zingari in cerca di soldi e di argenteria i quali, vista la proprietaria con i bigodini in testa armata di mattarello, fuggirono via spaventati e preoccupati. I più cattivi raccontano che invece li avesse colti in flagranza e che, alla sua richiesta di essere violentata, questi fossero scappati urlando. Restava il fatto che era temuta ed odiata. Personalmente non avevo nulla contro di lei, mi chiedeva sempre notizie di mia moglie da quando le avevo portato la bomboniera. Credo che fosse però più interessata al fatto che fosse un chirurgo estetico che ad altro.
“Quando sono lontano da voi, sto bene. Quando torno qui, sto male, soprattutto quando vedo certa gente” disse ammiccando nemmeno tanto velatamente a Daniela. Si odiavano, ma Marina era intoccabile. Si dice che fosse stata assunta direttamente dal Mega-Presidente in persona e che conoscesse talmente tanti segreti che nessuno aveva il coraggio di romperle le scatole. E comunque, sapeva fare bene il suo lavoro.

Daniela mi tirò un’occhiataccia sbuffando. “Va bene, se vuoi fare salotto con Marina, fai pure, io vado a prendere il caffè”.
“Vai, vai pure, cara. Tanto, che tu ci sia o non ci sia, è assolutamente uguale. Buon caffè!” disse polemicamente la virago.
“Ah, dott. Paolo, potrebbe cortesemente portarmi un caffè quando torna?” mi chiese quindi, sapendo che non avrei potuto dirle di no.
“Certamente Marina, è un piacere. Gradisce anche un cornetto?” le chiesi con sincero interesse, provocando un’ulteriore occhiataccia di Daniela, che mi fece poi pesare la mia proposta.
“Era necessario che tu le dicessi di si a quell’arpia?” mi chiese con tono acido.
“Daniela, l’educazione non è un optional. Lo sai come la penso al riguardo. Non ho simpatia per Marina, la trovo antipatica, indisponente, talmente scostante che prima di chiederle qualcosa è meglio leggere l’oroscopo e consultare le previsioni del tempo! Però, se una persona ti chiede qualcosa con cortesia, perché rifiutarsi?” ribattei. Su questo non transigevo. Non ero disposto a sconti, e adesso, Daniela era passata nella mia lista delle persone da tenere d’occhio e controllare.

“Allora, Daniela, oggi dovremmo fare il punto della situazione e fare il check di tutto qui da noi prima che tu ti trasferisca a Cesena, la prossima settimana!” le dissi mentre ci recavamo al bar per il caffè.
“Come «mi trasferisco a Cesena»?” interloquì fermandosi di colpo e guardandomi in tralice.
“Si, bisogna che tu vada lì prima per organizzare il dopo evento. C’è da prenotare il ristorante, vedere l’albergo, selezionare le hostess, l’accompagnatrice del Capo di Gabinetto del Ministro...tutte cose che devi fare tu, mica io…O credi che sia il caso di parlarne con il Boss?” le risposi, imbruttendola.
“No, no… hai ragione. Ma tanto devi venire anche tu su con me, no? Andiamo assieme, no?” rispose, anche lei imbruttendomi.
“Ma, se vuoi venire con noi, io mi porto Francesca, ha bisogno di me in questo momento, si prende una settimana di vacanza e abbiamo deciso di stare assieme” ribadii, certo di averle inferto un bel colpo.
“Ma dai! Viene Francesca? Si, bellissimo! Sono molto contenta. Si, ottimo, vengo su con te e lei. Hai prenotato l’albergo? No, non ti preoccupare, penso a tutto io!” mi disse con fare sospetto. Ebbi immediatamente la sensazione che la mia mossa avrebbe provocato altre situazioni rischiose. Evitai tuttavia di interloquire ulteriormente: meno parlavo, in questo caso, e meglio sarebbe stato.

Rientrammo in ufficio e salimmo direttamente nella mia stanza. Andai alla lavagna di ardesia (unica concessione personale che avevo richiesto direttamente a Michele ed Antonio) e scorsi la checklist che aveva quasi tutte le voci con un segno di spunta positivo, mentre ne rimanevano con un punto interrogativo solo tre: prova generale sul posto, logistica personale e logistica ospiti. Della prima ero il diretto responsabile, delle altre due ne aveva l’onere Daniela. E nessuno avrebbe potuto imputare a me eventuali suoi fallimenti o distrazioni, visto che era il suo lavoro, il suo ambito operativo in cui aveva sempre dimostrato grandi capacità e competenze. Sempre.

“Allora, la fiera inizia la prossima settimana, martedì. Noi dobbiamo approntare lo stand per lunedì, quindi giovedì pomeriggio partiamo in modo da essere lì venerdì e poter seguire tutto l’attrezzaggio. Io porto con me un computer, per sicurezza. Quindi, se vuoi venire con noi (e rimarcai il noi affinché non se ne dimenticasse), ricordati che non avrò molto spazio in macchina per i bagagli. E giacché viene Francesca che è una che non conosce il significato del concetto viaggiare leggeri, immagino che avrò il bagagliaio pieno tra baule suo, sacca mia e computer. Inoltre, sappi che io stesso devo portarmi almeno un paio di vestiti, visto che stiamo fuori una settimana abbondante”.
“Hai ragione. Non ci avevo pensato. Ma ho io la soluzione. Mandiamo su il tuo computer, il monitor, tutto quello che ti serve con i ragazzi che allestiranno lo stand. Tanto, partono con il furgone giovedì mattina, ed è giusto che lo gestiscano loro. Non è questo computer, no?” indicando il pc sulla mia scrivania.
“No. È quello che sta giù in laboratorio”.
“Ottimo. Allora dopo vado giù e lo etichetto. Poi chiamo i ragazzi e lo faccio imballare per bene. Tranquillo, sarà tutto fatto benissimo. C’è altro che dobbiamo mandare su giovedì mattina oltre ai depliant, all’allestimento dello stand e al tuo computer?” mi chiese.
“Beh, ricordati che dobbiamo comunque mandare su altri due computer per la registrazione dei visitatori allo stand. Ah, ricorda di selezionare due ragazze carine come standiste. Una potrebbe essere …come si chiama la ragazza bionda che sta nella stanza di sviluppo delle applicazioni su CPS32? Monica? Monia? Mi pare molto sveglia oltre che molto carina” le dissi, buttandole lì un osso da mordere.
“Monia? Mah… non so se sia indicata. Troppo seria. Serve una che sia…partecipativa.”
“In che senso partecipativa?”
Nel senso che… lascia perdere, so io chi coinvolgere. È una delle tue. Quella che lavora come sistemista in Guardia di Finanza.”
“Ma chi? Cristina? Scordatelo, quella è matta scocciata. È … uff… se trova uno che le va a genio, è capace di mollare tutto e farselo lì sui due piedi!” dissi preoccupato delle conseguenze.
“Appunto. È la persona giusta. Hai presente che significa avere uno stand in una mostra piena di contadini arrapati?” rispose. “E me ne serve pure un’altra come lei.”
“Daniela, non credi che sia quanto meno inappropriato?” le dissi
“Paolo, io penso alle cose mie, tu pensa alle tue” mi rispose seccata con un tono che non ammetteva repliche. “Tua moglie è a casa?” mi chiese quindi.
“Si. dovrebbe essere a casa. Perché?”
“Perché voglio parlarle. Perché ho bisogno di lei” mi rispose.
“E per cosa?”
“Tu non ti preoccupare!”
“Ma è mia moglie!”
“Solo quando ti fa comodo, eh? Però quando scopi con le altre, ti dimentichi che è tua moglie!” insinuò.
Rabbrividii e credo sbiancai al pensiero di essere anche velatamente oggetto di pressioni indebite.
“Prova a fare qualcosa di solo simile al ricatto ed io ti distruggo. Io posso mandare a puttane il mio matrimonio, peraltro già compromesso, posso perdere la mia posizione qui in azienda, ma di aziende ne esistono tante ed io sono maledettamente bravo nel mio lavoro. Però, se ti sputtano, e sai che posso farlo, tu sei fuori. Puoi solo cambiare lavoro, ma chi darà un posto di responsabilità all’ex amante dell’Amministratore delegato che se l’è fatta, per gioco o per dovere, con un suo sottoposto, raccontandogli una serie di aneddoti piccanti sul suo capo e sulle sue avventure?” dissi con tono velenoso.
“Io non ti ho raccontato nulla. Tu non sai nulla!” rispose veementemente.
“Basta che io metta in giro il sospetto. Ricorda, la calunnia è un venticello…” le dissi ricordando il brano de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. “A nulla serviranno le tue smentite. Sarà la paura che tu ti sia fatta sfuggire qualcosa che ti condannerà. E la mia piena confessione al capo di averti scopato ed inculato in tutte le posizioni, riempito tutti i tuoi orifizi e fatto bere tutto il mio sperma. Secondo te, chi che ci rimette di più?” ribattei con cattiveria.

Ricordo che Daniela trasalì e, fatto inusuale, tacque. Avevo sicuramente fatto centro a mia insaputa. Si era resa conto che la sua posizione non era di vantaggio, ma era traballante almeno quanto la mia.
Dopo qualche istante di silenzio, disse, con voce bassa, quasi esile “Suppongo che tu abbia ragione” concluse con un singulto, quasi mandando giù un rospo non tanto metaforico.
“Paolo, ascolta!” mi disse.
“Stai zitta. Non voglio sentirti. Credevi di potermi gestire, trattare come un bimbetto, il tuo giocattolino, uno sgabellino su cui salire per poter arrivare al ripiano più in alto, vero? Beh, hai sbagliato i tuoi conti”.
“Ascoltami, ti prego. Devo spiegarti. Tu credi di essere al sicuro, ma non è così. Il Boss ha deciso di metterti alla prova, con questo progetto. Lui non ci crede, dice che non porterà a nulla e quando sarà chiaro il fallimento, avrà in mano le armi per far fuori te, Antonio e Michele per sostituirli con i suoi protetti, e tu sai di chi parlo” mi disse prendendomi per il braccio e girandomi verso di lei. In effetti, conoscevo i protetti del Boss, ed era gente che veniva da un’altra azienda, gente che non stimavo ma che era tenuta in grande considerazione dal top management, molto ammanicata con un certo partito e con il relativo milieu milanese.
“E con ciò?” le dissi con un certo disprezzo. Quella gente era nella mia lista nera da sempre, non li sopportavo, non avevano il minimo senso etico, per loro l’importante era raggiungere l’obiettivo a qualsiasi prezzo, anche a costo di vendere la propria madre. O la propria moglie.
“Se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico”. Toccò a Daniela fare una citazione dotta, attribuita a Caio Giulio detto il Cesare, un politico sopraffino oltre che ad uno dei più grandi strateghi militari di tutti i tempi.
“Cioè? Tu proponi di coalizzarci contro il Boss per farlo fuori? Ti rendi conto di quanto sia ridicola la cosa?” le dissi.
“No, non per fare fuori il Boss. Per fare fuori i suoi. Non ti credere, ho milleuno motivi per avercela con loro; non ultimo, un Tavolo12 in quattro. Io e loro tre. Tu, in confronto, sei stato un piacevole diversivo!” mi disse.
Ora capivo il motivo del suo bluff e del fatto che avesse provato a sfruttarmi per ottenere un vantaggio personale.
“Ok. Va bene. Vediamo se ho capito. Tu avevi il compito di non fare andare a buon fine la presentazione, o meglio, l’incontro con il Sottosegretario per poter poi addossare la colpa addosso a me, Michele e Antonio. Con il tuo aiuto, il Boss avrebbe fatto fuori noi tre, mettendoci in condizione di dover andare via, ed il nostro posto sarebbe stato preso dai tre desperados. Tu avevi però bisogno di mia moglie per mettermi in ulteriore difficoltà e costringermi a distrarmi per farmi sbagliare, corretto?”
“Una cosa del genere” annuì.
“E tu, magari, ne avresti approfittato per stringere amicizia con Francesca per sfruttarne le conoscenze del mondo del suo Professore, ovvero, le mogli della maggior parte dei pezzi grossi romani, politici, imprenditori, dirigenti, banchieri, eccetera. È così?” conclusi il mio ragionamento.
“Sapevo che sarebbe stata dura. Il Boss secondo me ti ha sottovalutato!”, così Daniela annuendo confermò la validità del mio ragionamento.
“E ora vuoi cambiare squadra in corsa perché ti sei resa conto che saresti troppo ricattabile da parte dei tre… si, il Bello, il Brutto ed il Cattivo. E vuoi che Sartana esca fuori allo scoperto” le dissi citando alcuni noti film western di vent’anni prima dei quali avevo appena visto una retrospettiva assieme a Francesca in un cinema d’essai a Roma.
Daniela annuì silenziosamente.
Volevo però capire il motivo per cui voleva coinvolgere Francesca
“Mi spieghi perché vuoi parlare con Francesca?” le chiesi. “Cosa devi chiederle? Cosa hai in mente?”
“Ho bisogno di aiuto. Se vuoi sopravvivere anche tu, dobbiamo stare dalla stessa parte. E tua moglie potrebbe essere di grande aiuto.”
“In che senso?”
“Ho bisogno del suo charme e della sua bellezza per distrarre le bestie mentre io mi gestisco l’Onorevole sottosegretario.” mi rispose.
“E sai cosa intendo” aggiunse.
“Distrarre in che senso, scusa?” le chiesi.
“Se stesse con me allo stand mentre ci sono le bestie, sarebbe poi facile per me allontanarmi e fare quel che devo fare. Anzi, tocca a noi fare quel che dobbiamo fare. E lei tiene a bada i tre, visto che comunque, non si permetterebbero mai di fare nulla con lei in tua presenza o sapendo che comunque sei dietro l’angolo. Sono bestie, ma vigliacchi” concluse.
“Scusa, ma io che c’entro?” chiesi incuriosito.
“Dovrai aiutarmi con la segretaria dell’Onorevole. Non vorrai che io ce l’abbia in mezzo ai piedi mentre…” e fece un verso eloquente con il viso e con le mani.
“Ok, ma non pensare che mi vado a scopare una mai vista e conosciuta per farti un piacere. Non me ne può fregare di meno del sottosegretario e della sua assistente, in questo momento” dissi un po’ piccato.
“A parte che ti piacerebbe, perché l’assistente è stata Miss Cinema qualcosa nel 1980 ed è una splendida ragazza, e poi non devi scoparti nessuno. Basta che la inviti a pranzo, che me la distrai. E qui serve Francesca, col fatto che è un chirurgo estetico, andiamo a dama!” spiegò.

Iniziavo a farmi un quadro un po’ più ampio della situazione. I dettagli ancora mi sfuggivano, ma una cosa era certa: Daniela era una donna molto pericolosa, ed il Boss aveva commesso un grave errore a sottovalutarla.
“Mai sottovalutare la donna che hai tradito: al momento opportuno, ti farà passare la sete con l’osso del prosciutto” recitava il mio Nostromo di bordo quando da giovane guardiamarina prestavo servizio a bordo di Nave Lupo. E l’osso del prosciutto di Daniela era grosso, nodoso e molto, molto salato.

Capii che dovevo assecondarla ed aiutarla, se possibile.
Francesca mi avrebbe supportato, di certo. Ma non so come avrebbe preso la cosa. Sapere di essere usati per scopi non del tutto edificanti non fa mai piacere. E soprattutto, essere appena entrati nel secondo mese di gravidanza non facilita le cose, né fisicamente né tantomeno psicologicamente. Decisi pertanto di far spendere tempo e risorse a Daniela. Che ci pensasse lei.
“Daniela, Francesca la coinvolgi tu. Chiamala tu, parlaci, invitala a pranzo, a cena, al the, fai quel che ti pare.”
“Quel che mi pare?” mi chiese alzando un sopracciglio.
“Beh, nei limiti della decenza e del fatto che comunque è mia moglie!” risposi un po’ imbarazzato.
“Allora ci penso io. Ora dove sta?” mi chiese.
“Immagino stia in clinica. Oggi aveva due interventi come prima assistente del Professore. Mi ha detto che uno era una plastica per quell’attrice inglese, l’altro un’addominoplastica per la moglie del Senatore” le risposi. “Però credo che all’ora di pranzo sia libera. Se vuoi, chiama il centralino della clinica e chiedi di lei. Dì che sei la mia segretaria e che la stai cercando per conto mio, poi ci parli tu” le suggerii.

Daniela seguì il mio suggerimento e contattò Francesca all’ora di pranzo. Usò il mio telefono e chiamò di fronte a me.
“Francesca buongiorno, sono Daniela, la segretaria di Paolo, ti ricordi di me?” le disse.
“Certo Daniela, mi ricordo perfettamente. Quella sera al locale per la festa dello scorso Natale, giusto?” rispose mia moglie.
“Si, esatto. Pensa che ricordo perfettamente il tuo stupendo tubino nero di Versace. Solo tu potevi permettertelo, con quel corpo da favola che ti ritrovi” le disse.
“Cara mia, se c’è qualcuna che non ha bisogno dei miei servigi sei proprio tu!” le rispose Francesca.
“Senti, Franci, avrei bisogno di parlarti, avrei necessità del tuo aiuto. Per questo vorrei invitarti stasera a cena, in modo che ti spiego tutto. Magari facciamo venire anche Paolo” le disse con tono più serio.
“E che genere di aiuto ti serve? Non mi dire di chirurgia estetica perché non riuscirai mai a convincermi di usare il bisturi su di te!” ribatté mia moglie.
“No, no. Niente chirurgia, anche se un pensierino per rifarmi le tette ce lo avrei! Ma le voglio come le tue! Diciamo che mi servono il tuo savoir faire, la tua bellezza e la tua fama. E la tua testa, ovviamente. Ma ti spiego tutto stasera. Dimmi di si!”
“Mah, Daniela, non saprei. Devo sentire Paolo, e sinceramente non mi sento molto bene in questi giorni. Non riesco a mangiare, sono spossata e ho continue nausee!”
“Non sarai incinta? No, vero?”
“Senti Daniela, non so se ce la faccio. Ti prometto che ci proverò. Ora mi sento con Paolo e poi ti dico” concluse.
Vidi Daniela che stava per dire che ero lì, presente, e mi misi un dito davanti alla bocca per tacitarla. Non volevo proprio che Francesca sapesse che avevo assistito alla chiamata, perché mi avrebbe sicuramente accusato di averla messa in difficoltà, soprattutto con la storia della gravidanza.
“Va bene Francesca. Allora aspetto una tua chiamata. Vuoi che ti passo Paolo?” le disse con un tono molto più professionale e distaccato.
“No, grazie, non ti preoccupare. Finisco il frullato e poi lo chiamo. Tanto tra un po’ devo rientrare in sala operatoria per l’altro intervento” aggiunse. “Paolo lo chiamo io, tranquilla. Ti faccio sapere, allora. A più tardi!” e chiuse la chiamata.
“Che ne pensi?” mi chiese Daniela.
“Sinceramente non mi è sembrata interessata. Credo che dovrai spiegarle per bene come stanno le cose” le risposi. “Dove vuoi andare a cena, questa volta? Spero non alla Svizzerotta!” insinuai.
“No, stasera vi invito a casa mia. Senza problemi, ho la donna che può preparare la cena. Tanto sarà una cosa molto informale, se Francesca accetta”.
“Perché non glielo hai detto? Magari era più facile per lei accettare!”
“Non so, non mi è venuto in mente. Diglielo tu quando la senti. Poi mi dici. Ora vado giù a finire di controllare che sia tutto a posto” concluse alzandosi dalla poltroncina di fronte a me.
“Mi raccomando!” mi disse uscendo dalla mia stanza.

Squillò il telefono, presi la cornetta e risposi. Era Francesca.
“Ciao amore. Come ti senti?” chiesi.
“Potrei stare meglio. Oggi le nausee sono state più forti. Ho paura che qualcuno se ne accorga e mi chieda qualcosa. Lo sai che mi si è già ingrossato il seno? Ho il reggiseno che mi tira da morire. Mi sa che vado a togliermelo. Mi dà veramente fastidio! Tu come stai?”
“Preoccupato per te!”
“Per me? E per cosa? Lo hai detto tu: è solo una gravidanza, e se fosse stata una situazione così problematica, il genere umano non sarebbe sopravvissuto e non sarebbe cresciuto così tanto in numero!” mi rispose, riprendendo la mia obiezione del giorno prima.
“Io non sono preoccupato per la gravidanza, ma per il tuo equilibrio psicofisico. Ieri mi hai impressionato. Per fortuna che alla fine sei tornata la mia Francesca. Non mi hai mai parlato di Dede. Come mai, piuttosto?” la sfrucugliai.
“Per un po’ vorrei stare lontana da Domitilla. Diciamo che non mi è piaciuta come ha preso la mia gravidanza. Prima «Che bello sarò zia» poi «Eh però ingrasserai, dovrai stare attenta! Io voglio la mia amichetta bona!». Ti dirò, mi ha fatto proprio incazzare” mi spiegò.
Non ho mai capito come facesse Adriano a stare con una moglie schizzata come Dede.

“Dimmi, avrei un po’ da fare”. Volevo che fosse lei a raccontarmi la telefonata di Daniela, anche se ero assurdamente curioso di come fosse andata la loro conversazione e ansioso di sapere cosa le avesse raccontato.
“Mi ha chiamato Daniela” iniziò.
“Daniela? Chi? La nostra segretaria?” le chiesi con tono incredulo.
“Si, lei” mi rispose.
“E cosa voleva da te? Un appuntamento con il Prof?”
“No, no, solo parlarmi di un problema che ha e per cui mi avrebbe chiesto di aiutarla. Ne sai nulla tu?” mi chiese a sua volta.
“Non ho idea di cosa stia parlando” mentii spudoratamente.
“Strano, perché mi ha detto che tu sapevi tutto!”. Eccaallà. Primo check: fail.
“Fra, se mi chiedi di sapere che cosa ti ha detto Daniela, posso solo fare l’indovino. In questo momento ha necessità di concentrarsi sull’organizzazione del convegno a cui sto lavorando da quindici giorni e sulla gestione di tutta una serie di attività… diciamo…collaterali” e chiusi lì, evitando di proseguire ma sapendo che avrei dovuto fornire delle spiegazioni.
“A me ha detto che mi avrebbe spiegato stasera ma che avrebbe bisogno del mio savoir faire e della mia bellezza. A me pare un po’ dissociata”.
“Per quanto concerne stasera, si, lo so. Mi ha chiamato prima per ringraziarmi di averle dato il tuo numero e che stasera ci aspetta a cena a casa sua. Il resto posso solo immaginarlo.”
“E cioè?”
“Che vorrà proporti di aiutarla nell’organizzazione della parte conviviale, il ricevimento, l’intrattenimento di certi politici, insomma, hai capito, no?” la buttai lì, cercando di dire senza dire.
“Paolo, o mi spieghi o non mi ti filo per niente e stasera da Daniela ci vai tu, da solo, ma poi non rientrare in casa, eh?” mi rispose seccamente.
“Fra, ho capito che c’è un po’ di bufera qui in azienda ed io ci sono coinvolto in qualche modo, soprattutto perché c’è una cordata di gente che mira a far fuori Michele e Antonio e, ovviamente, anche me che sono un loro uomo, in un certo senso. E tutto dipenderà dal successo di un certo evento, un convegno che si terrà la prossima settimana a Cesena ad una mostra di macchine agricole. Noi siamo lì con uno stand ma, soprattutto, con una mia idea che dovrebbe essere illustrata in questo convegno alla ricerca di un supporto politico. Però le cose non sono facili come te le sto raccontando. Noi abbiamo molti nemici e pochi amici in ambito politico, nel settore dell’agricoltura tutto è in mano alla concorrenza, per cui qualsiasi nostra iniziativa è vista come una invasione di campo inaccettabile. Inoltre, qualcuno che proviene da altre aziende è stato assunto da poco qui per portare buone influenze su certa parte politica, ma questi stanno giocando molto sporco con noi e dobbiamo capire come difenderci” cercai di spiegarle.
“Scusa, ma non posso raccontarti tutto, almeno non per telefono e non da qui” le dissi cercando di chiudere il discorso. Non so perché, ma in quel momento guardai l’apparecchio e mi ricordai delle targhette che erano attaccate ai telefoni al Ministero della Marina: “Il telefono è uno strumento di comunicazione non sicuro”, un modo burocratico per dire “Taci che il nemico t’ascolta”.
“Allora, Fra, ti passo a prendere a casa alle sette. Ce la fai? Non serve che ti vesti in maniera particolare: è una cena informale e saremo solo noi tre” le dissi sperando di prevenire il classico «Che mi metto?».
“Dove abita Daniela?” chiese.
“Di preciso non lo so, mi pare dalle parti dell’EUR, a te non ha detto nulla?”
“No, nulla. Allora, visto che l’Eur è dalla parte opposta, passo a prenderti io alle sette in ufficio, tanto da Monte Mario a Prati è un attimo e io posso farmi la doccia e cambiarmi qui in clinica, ho tutto, lo sai!” mi spiegò.
“In effetti è una buona idea. Io sono in motorino, magari ci fermiamo al ritorno per riprenderlo” le ricordai.
“Ok. Giurami che se sai qualcosa di più mi chiami. Soprattutto se vieni a sapere che non saremo da soli. Non mi va di farmi vedere vestita normale da altri”
Che palle! Possibile che le donne avessero solo questo pensiero?
“Ok amore, ti faccio sapere. A dopo” e chiusi la chiamata.

Mi dedicai a chiudere le attività ed a controllare che il materiale da spedire fosse tutto pronto, poi chiamai Daniela.

“Daniela, ricordati che quando viene il trasportatore voglio essere presente anch’io. Voglio controllare che la roba sia perfettamente stivata ed assicurarmi che non si possa rompere né prendere scossoni. I dischi fissi sono delicatissimi e anche se parcheggio le testine, il rischio che un urto me li possa rompere è alto” le dissi.
“Poi, per stasera come rimaniamo? A che ora dobbiamo venire Francesca ed io?”
“Direi per le otto e mezza, o anche alle otto, se vuoi. Prima non credo di farcela” mi rispose.
“No, no, prima delle otto è impossibile. Francesca ha detto che mi passa a prendere per le sette, ma conoscendo i suoi tempi e come gestiscono gli appuntamenti i medici., dubito che potremo essere lì prima delle otto, otto e un quarto”.
“Per me va benissimo!”
“Piuttosto, non mi ha dato l’indirizzo. Non so dove abiti, non conosco casa tua” le aggiunsi.
“Sono a viale della Musica, al numero 20. Viale della Musica è quella strada che parte da via Laurentina all’altezza del distributore Agip e arriva a Via dell’Arte di fronte al palazzo dei Congressi” mi spiegò per telefono. “Il numero 20 è sulla destra venendo dal Palazzo dei Congressi” completò l’informazione.
“Ok. A più tardi lì” ringraziai ed attaccai.
Richiamai in clinica mia moglie, attesi che me la passassero e mi rispose dopo pochissimo.
“Stavo per andare a prepararmi per l’intervento. Vado un po’ di fretta. Dimmi” mi rispose concitata.
“Volevo dirti un paio di cose. La prima è che l’appuntamento a cena è per le otto, otto e un quarto all’Eur, in pratica al laghetto. Mi fermo da Costantini a prendere una bottiglia di vino o una di prosecco?” le chiesi.
“Ma non so, prendi il prosecco, ma solo se è freddo. Se no prendi del rosso, si beve a temperatura ambiente. Scegli tu. Ovviamente non hai chiesto cosa c’è da mangiare, immagino!”
“Ovvio che no. Ok. Prendo del rosso non troppo corposo.”
“E la seconda?”
“La seconda? Che ti amo!”
“Io pure, e lo sai. Se fossi qui, te lo dimostrerei, tu sai come” mi sussurrò
“Anch’io avrei una mezza idea su come dimostrartelo!” le rispondo, intendendo chiaramente quale sia la mezza idea. “Ti aspetto più tardi qui” le dissi.

Dopo un po’ mi recai in enoteca a Piazza Cavour e, consigliato da Costantini in persona, presi due bottiglie di Negroamaro di una cantina a me sconosciuta ma di garantita bontà e qualità. “Vino da donne, dotto’. Si lasci servire!” mi disse mentre incartava le bottiglie e mi dava il resto di una banconota da 50.000 lire.
Presi la busta e mi recai di nuovo in ufficio. Avevo da controllare ancora un paio di cosette sulla presentazione perché, si sa, sicuramente c’è sempre qualcosa che non hai verificato che, al momento meno opportuno, provocherà un problema. Si, perché le leggi di Murphy, soprattutto la terza «se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che può arrecare il danno maggiore sarà la prima a farlo» sono sempre lì a ricordare come, per quanto ci si sforzi di pensare a come evitare i problemi, esiste sempre qualcosa di non preventivato che “ti manda in vacca la festa”.

Verso le cinque del pomeriggio feci una chiamata in clinica da Francesca. Mi rispose la caposala del reparto che mi disse: “la dottoressa sta per terminare l’intervento; entro una mezz’ora sarà fuori dalla sala operatoria e la faccio richiamare. Lei è il marito no?”.
“Si sono il marito. Usi la cortesia di farmi richiamare. Sono in ufficio al mio diretto” le risposi. Immaginai il viso arcigno di una vecchia infermiera che faceva smorfie al telefono al mio indirizzo, reo di aver osato disturbare la dottoressa, per quanto mia moglie. Immaginai che non sapeva della prossima maternità, perché altrimenti un cenno di complimento lo avrebbe fatto.
Le chiesi io, invece: “Ma mia moglie sta bene? Intendo, lei sa se ha avuto problemi?”
“Che tipo di problemi, scusi?”
“Mah, problemi di stomaco, di digestione” dissi senza voler far intendere nulla.
“No, non mi pare, almeno non da quando sono di turno io. Anzi, se mi permette, ho visto sua moglie in ottima forma, quasi radiosa. Forse ha preso mezzo chilo di peso che le sta benissimo!” aggiunse.
Ringraziai e la pregai di farmi richiamare.

Decisi all’improvviso di raggiungere Francesca in clinica.
Richiamai immediatamente e chiesi questa volta direttamente della caposala. Questa volta il suo tono fu un po’ più conciliante.
“Potrebbe invece dire a mia moglie che… anzi, mi aiuti. Vorrei farle una sorpresa. Esco ora dall’ufficio e vengo lì in clinica. Lei la trattenga con una scusa e la faccia aspettare. Tanto io sono in Prati e entro venti minuti sono lì, giusto il tempo di arrivare a Piazza Cavour a prendere il tassì” e così feci.
Presi di corsa tutta la mia roba e corsi fino al parcheggio dei tassì. Per fortuna ce ne erano tre in attesa. Salii sul primo e gli detti l’indirizzo.
“Per favore, in fretta. Ce la facciamo ad arrivare in un quarto d’ora?” gli chiesi.
Dottò, stia tranquillo, non lo famo nasce prima che lei sia lì. Volo!” mi rispose. Aveva immaginato che stessi andando al parto di mia moglie. In effetti, la clinica era molto famosa per l’ostetricia, meno per la chirurgia estetica.
Dottò, pe’ nna’ de corsa dovemo fa’ la direttissima. Si nun me vomita in machina, famo in un lampo.
Per i non romani, la direttissima era il nomignolo affibbiato alla strada che scalava Monte Mario da Piazzale Clodio, tutta curve a raggio variabile che stringevano all’improvviso, spesso portandoti a sbattere contro i muretti o i guardrail, e con un asfalto liscio che bastava un po’ di pioggia per diventare scivoloso quanto il ghiaccio.
“Ok, ma facciamo presto, per favore!” gli risposi, per nulla preoccupato.

Corse come un pazzo raggiungendo Piazzale Clodio da Via della Giuliana, bruciando almeno tre semafori rossi. Non contento, fece una svolta proibita a sinistra per imboccare la famigerata Via dei Cavalieri di Vittorio Veneto, per l’appunto, la direttissima, che percorse come un forsennato sbandando a destra e a sinistra. Quando arrivammo in cima alla salita, passò con il rosso il semaforo all’incrocio con la Trionfale nella quale si immise andando a tavoletta. Fortunatamente, la clinica era lì a pochi metri. Si fermò con gran stridore di gomme davanti all’ingresso “So’ venticinquemila, dotto’”. Tirai fuori dalla tasca la molla ferma soldi e gli passai tre banconote da dieci. “Il resto mancia, no? Grazie dotto’”. ‘Tacci sua, un’altra curva e vomitavo sul serio. Credevo di avere in viso un colorito giallo più intenso di quello del tassì.

Entrai in clinica con la busta delle bottiglie in mano, mi avvicinai alla reception e chiesi di mia moglie. Una cortese signorina con la cuffia da telefonista mi chiese chi la cercasse e le risposi “Il marito”. Lei molto gentilmente chiamò il reparto, si mise in contatto con la capo sala e mi disse poi di raggiungere il reparto stesso.
“La caposala l’aspetta” mi disse.
Mi recai all’ascensore, premetti il piano e attesi che si fermasse al giusto pianerottolo. Uscii e proprio di fronte all’ingresso c’era la stanza della caposala. Bussai alla porta e dissi: “Sono il marito della dott.ssa Francesca” ma non feci in tempo a terminare che la caposala, contrariamente alla mia immaginazione persona molto gradevole e gentile, mi fece accomodare e mi disse: “Lei è molto fortunato, sa? Sua moglie è molto forte, ma non mi frega. E le nausee in gravidanza possono essere veramente fastidiose!” mi sussurrò.
Sbiancai. Ero certo che Francesca non volesse far sapere del suo stato: nelle sue condizioni, la gravidanza avrebbe potuto significare notevoli problemi lavorativi, soprattutto tra medici, ove il maschilismo era imperante.
“Mah, per favore, eviti di dirlo in giro!” le risposi a bassa voce.
“Ma non c’è bisogno di dirlo. La dottoressa al termine dell’intervento, mentre si stava cambiando, è svenuta. Per fortuna c’era la ferrista accanto a lei, che mi ha chiamato immediatamente. Tranquillo, sta benissimo. Solo uno svenimento da fame. Ha confessato di non mangiare da quasi una settimana a causa delle nausee, ed era molto debole. Le abbiamo dato acqua e zucchero e misurato la pressione. Ora sta benissimo, ma mi raccomando, non la faccia strapazzare! Noi ci teniamo, è la nostra mascotte. E poi, secondo noi è più brava del Prof. Ha veramente le mani d’oro. Lo sa che già qualcuno inizia a chiedere di essere operata direttamente da lei? Dicono che le sue cicatrici sono quasi invisibili!” aggiunse.

Ero molto orgoglioso di mia moglie, ma non vedevo l’ora di abbracciarla.
“Posso vederla?” chiesi timidamente.
“Certo, ma ora credo si stia facendo la doccia. Sua moglie non sa che lei sta qui, ma sono contenta che lei sia venuto, così potrà portarla lei via da qui, magari a mangiare qualcosa. Mi raccomando, la faccia mangiare. E dica a sua moglie di chiamarmi per qualsiasi cosa: io, prima di tutto, sono un’ostetrica. E so già che vostra figlia sarà femmina. E io c’azzecco sempre!” concluse.
“Lo sa che me lo sentivo? Io glie l’ho detto già sabato, che mi sentivo che sarà femmina!” risposi, entusiasta della notizia e contento per aver trovato una brava persona che si sarebbe comunque presa cura di Francesca durante la gravidanza.
“Ora, dottore, si metta lì in sala d’attesa. La chiamo io quando sua moglie esce dalla doccia e potrà andare a farle una sorpresa” mi disse indicandomi la stanza accanto a quella di fronte, ove entrai e mi misi a sedere.

Tempo qualche minuto, la caposala mi chiamò e mi fece strada verso lo spogliatoio dei medici ove trovai mia moglie in procinto di vestirsi, ancora con il telo attorno al corpo e l’asciugamano a mo’ di turbante in testa.
“Ciao amore!” e corsi a baciarla.
Lei fu sorpresa di vedermi, glielo lessi negli occhi ma, soprattutto, non si scompose quando per abbracciarmi le cadde il telo a terra lasciandola totalmente nuda. Mi chinai a raccoglierglielo e glielo rimisi attorno al corpo per salvare un minimo le apparenze.
La ribaciai di nuovo e le dissi “Non riuscivo ad aspettarti in ufficio, così ho preso un tassì e sono venuto da te. Contenta?”
La sua risposta fu un altro bacio sulla mia bocca. Le sue labbra erano morbidissime e avrei voluto mangiargliele, ma già l’erezione premeva contro i pantaloni e contro il suo pube e non era assolutamente né il luogo né il momento. Anche Francesca se ne accorse e mi disse in un orecchio “Se non sapessi che tra un po’ arrivano dei colleghi, ti spoglierei e ti scoperei per un paio d’ore, qui e subito anzi, come piace a te, hic et nunc” mentre con la mano mi accarezzava il basso ventre.

Mi staccai da lei a fatica mentre ammiravo il suo vestirello. Infilò con calma un perizoma, poi le calze autoreggenti, le scarpe con il tacco alto ed infine, un vestito di tessuto leggero a fiori a chemisier strizzato in vita da una cinta. Si sciolse il turbante, prese la spazzola e si spazzolò i capelli lunghi fino alle spalle; infine prese la trousse del trucco, si mise davanti allo specchio per abbellire l’occhio e marcare un po’ lo zigomo.

Dopo qualche minuto apparve la caposala che si rivolse a mia moglie “Francesca, mi fai la cortesia di mangiare stasera qualcosa? Prendi della pasta, della carne, possibilmente al sangue, un po’ di verdura ed anche un po’ di frutta. Se vuoi bere, limitati ad un bicchiere di vino e per favore, non fumare!” le disse.
“Me lo prometti?” aggiunse mentre le sistemava una ciocca di capelli.
Mia moglie le rispose abbracciandola e dicendole “Te lo prometto. Grazie di tutto!”
“Sappi tesoro che non dirò nulla. Per adesso, è il nostro segreto. Ma ricordati che, a prescindere dal tuo ginecologo, voglio che tu mi ascolti. Ti prego, fatti aiutare. Sei troppo bella e brava per finire nelle grinfie di un presuntuoso medico che dice ad una collega quel che deve fare. Questo è un compito da donne. Ed io, prima di essere una ostetrica, sono stata madre. Mi credi?”
“Certo che ti credo, Alessandra. E tranquilla, di te mi fido ciecamente” e le dette un bacio sulle guance per ringraziarla e salutarla.

Salutai anch’io la caposala e la ringraziai per l’aiuto. “Si ricordi” mi disse “che la salute di sua moglie e sua figlia dipendono anche da lei e da quanto le farà contente. E si ricordi anche che una donna incinta ha bisogno di coccole ed attenzioni sia a casa che a letto!” e mi fece l’occhiolino.
“Su quello non c’è rischio!” rispose mia moglie ridacchiando.
“Meglio così” ribatté Alessandra, salutandoci ed accomiatandosi.

Presi Francesca sottobraccio ed andai alla sua macchina.
Le aprii la porta – cosa che raramente facevo – e la feci salire; poi mi misi alla guida e ci incamminammo verso l’EUR.
====================================================================
Non ti fermare!!! Io personalmente preferisco capitoli lunghi perche ' quando son di una sola paginetta....non mi soddisfano 💦 :) e infatti, come sai, apsetto a riunirne un po' in pdf o e-book e leggerli tutti assieme....detto questo...continuaaaaaaa!!! Ti aspetto!
 

Top Bottom