Esperienza reale Relazioni pericolose

OP
timassaggio

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Mi scuso con tutti se non ho più postato nulla ma alcuni episodi accaduti qui mi hanno spinto a riconsiderare un po' le cose.
Non vi nascondo che ho tirato i remi in barca e interrotto la stesura di questo racconto.
Non so se la riprenderò.
Per scusarmi, vi ho postato un breve racconto, La figlia del portiere, uno dei miei più antichi ricordi relativi alle mie primissime esperienze sessuali, quelle che possono essere definite a livello de "La prima volta".
Spero che l'apprezziate.

Saluti
 

mb640

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Mi scuso con tutti se non ho più postato nulla ma alcuni episodi accaduti qui mi hanno spinto a riconsiderare un po' le cose.
Non vi nascondo che ho tirato i remi in barca e interrotto la stesura di questo racconto.
Non so se la riprenderò.
Per scusarmi, vi ho postato un breve racconto, La figlia del portiere, uno dei miei più antichi ricordi relativi alle mie primissime esperienze sessuali, quelle che possono essere definite a livello de "La prima volta".
Spero che l'apprezziate.

Saluti
mi sono perso gli avvenimenti, e mi spiace perdere i racconti del miglior autore del sito (ma non solo.. mai pensato ad un libro? andrebbe a ruba).
Vado a leggere la tua ultima perla! e come disse Dante tramite la voce di Virgilio nella divina, "Non ragioniam di loro, ma guarda e passa"
 

Grandel

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Mi scuso con tutti se non ho più postato nulla ma alcuni episodi accaduti qui mi hanno spinto a riconsiderare un po' le cose.
Non vi nascondo che ho tirato i remi in barca e interrotto la stesura di questo racconto.
Non so se la riprenderò.
Per scusarmi, vi ho postato un breve racconto, La figlia del portiere, uno dei miei più antichi ricordi relativi alle mie primissime esperienze sessuali, quelle che possono essere definite a livello de "La prima volta".
Spero che l'apprezziate.

Saluti
Non so a cosa ti riferisci ma spero nulla di serio o preoccupante. Grazie come sempre per quello che scrivi e come lo scrivi
 

yankulosky

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Mi scuso con tutti se non ho più postato nulla ma alcuni episodi accaduti qui mi hanno spinto a riconsiderare un po' le cose.
Non vi nascondo che ho tirato i remi in barca e interrotto la stesura di questo racconto.
Non so se la riprenderò.
Per scusarmi, vi ho postato un breve racconto, La figlia del portiere, uno dei miei più antichi ricordi relativi alle mie primissime esperienze sessuali, quelle che possono essere definite a livello de "La prima volta".
Spero che l'apprezziate.

Saluti
Mi spiace.... spero riprenderai a breve.
 

the ghost

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peccato smettere. scrittura, descrizioni e tutto il resto rendono i tuoi racconti tra i migliori da leggere qui dentro e non solo.
uno stile impeccabile, per dei racconti di una vita decisamente movimentata ed interessante.
siamo a livelli di buoni romanzi, quelli che li finischi in poche ore dal momento in cui leggi la prima pagina.
 

Mikyelino

Banned
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Ecco il secondo capitolo del racconto.
Buona lettura
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Una cena particolare​

Daniela era davanti alla reception dell’ufficio e si era cambiata. La minigonna di jeans indossata con una camicetta aveva lasciato spazio ad un raffinato vestito corto, molto accollato davanti ma con una profonda scollatura dietro. Indossava calze fumé velatissime ed un paio di décolleté nere con tacco moderatamente alto, circa 8 cm.
Teneva in mano un cappottino color cammello di panno di cachemire con revers in colore più scuro.
Mi prese un colpo. Era meravigliosa. Così vestita non l’avrei riconosciuta al primo sguardo, talmente diversa era dalla sua immagine standard.
“Ti ho sorpreso così tanto da rimanere a bocca aperta, Paolo?” mi disse sorridendo.
“Beh, sinceramente stai benissimo. Non ti avevo riconosciuta” le dissi. “Come mai questo cambio d’abito?” le chiesi.
“Vado a cena con il mio capo temporaneo, è venerdì sera, sono da sola, il mio capo temporaneo è da solo. Perché no?” disse sorridendo.
Non sapeva che avevo appena saputo che la mia vita sarebbe cambiata radicalmente dal giorno successivo.
La presi sottobraccio e l’accompagnai fuori. Aveva smesso di piovere, per fortuna.
“Vogliamo andare a piedi o prendiamo la macchina?” le chiesi.
“Dovesse ripiovere, meglio prendere la macchina. Guida tu per favore” mi disse porgendomi le chiavi.
“Va bene. Ma dove parcheggiamo?” le chiesi aprendole lo sportello per farla entrare.
“Oh, semplice, lasciamo la macchina al ragazzo del ristorante che ci pensa lui. Hai prenotato con Tavolo12?” chiese.
“Il tavolo 12, si. Come mi hai detto tu!” le risposi chiudendo lo sportello della sua Y10 grigio metallizzato.
“No, non hai prenotato il tavolo 12. Hai prenotato con un codice, Tavolo12 per l’appunto, che è un codice che prevede la fornitura di un certo numero di servizi tra i quali il valet per l’auto” spiegò.
“E quali sarebbero questi servizi, oltre al parcheggio della macchina?” chiesi.
“Lo scoprirai presto” mi rispose mentre con le mani cercava di far salire la calza sulla gamba sinistra scoprendo per un poco la balza dell’autoreggente, subito ricoperta con un rapido gesto di ricomposizione del bordo del vestito, così rapido e naturale come solo le donne cacciatrici sanno fare.

Dopo qualche svolta destra-sinistra-dritto-sinistra-dritto-destra-sinistra-dritto per seguire la serie di sensi unici delle stradine di Prati dietro piazza Cavour, arrivammo di fronte alla Svizzerotta. Ovviamente, non c’era un parcheggio nemmeno a pagarlo oro.
“Accosta qui, dai” mi disse Daniela indicando un pezzo di marciapiede libero ma presidiato da un ragazzetto con un berrettino da baseball con la croce svizzera ed una giacca a vento rossa con la croce bianca sulla spalla. Si avvicinò allo sportello, lo aprì e dette la mano a Daniela per aiutarla a scendere, poi venne di corsa da me e fece lo stesso.
“Lasci pure le chiavi al quadro. Ci penso io. Si accomodi, dottore!” mi disse con tono deferente.

Feci il giro della macchina e presi Daniela sottobraccio per accompagnarla dentro al ristorante. Un sussiegoso garçon ci aprì la porta del locale ove, proprio all’ingresso ci attendeva il maître de salle. Riconobbe immediatamente Daniela, si inchinò e la salutò. “Bonsoir madame, siamo felici di averla qui questa sera” le disse quasi sottovoce. “Dottore, la prego di seguirmi. Permettetemi di accompagnarvi al vostro tavolo”. Ci condusse attraverso un portoncino in un corridoio illuminato da applique alle pareti ricoperte di carta da parati a strisce nella parte alta e da una boiserie nella parte bassa. Il corridoio terminava allargandosi in un ingresso sul quale davano tre porte. Ci aprì la porta a destra, entrò e la tenne aperta pregandoci di entrare.

Credevo che avremmo mangiato in un salone assieme ad altri commensali ed invece ci fece accomodare in una sorta di salottino, arredato lussuosamente con un divano chaise longue, una bergère ed un tavolino apparecchiato per due.

“I signori gradiscono un po’ di prosecco?” chiese il maitre. Quindi schioccò le dita ed una porta dissimulata nella parete si aprì silenziosamente. Ne uscì un cameriere in smoking che recava un vassoio con due flutes ed un secchiello entro cui era una bottiglia di Bartolomiol millesimato, uno dei migliori prosecchi esistenti. Stappò con mano ferma la bottiglia e ne versò due dita in ciascun bicchiere. Poi prese il vassoio e ci servì.
Presi il bicchiere e lo porsi a Daniela, poi presi il mio e toccai con il bordo il suo.
“A che brindiamo?” mi chiese.
“Uh… diciamo che avrei tanti motivi per brindare…ma stasera non mi va di parlarne. Brindiamo a noi!” dissi tagliando corto.



La notizia della mia prossima paternità non mi aveva reso felice. Non era una novità che Francesca ed io fossimo in crisi già da qualche mese. Le gioie del matrimonio erano durate solo poco dopo il rientro dal viaggio di nozze. La presenza di Dede da divertente era divenuta immanente e quasi imbarazzante. Certe volte mi chiedevo se avevo sposato Francesca o Francesca & Dede. E altrettanto si chiedeva Adriano, suo marito.
Ed il fatto di sapere che Francesca aspettasse un figlio da me proprio nel momento del massimo scazzo tra noi, non era una cosa che mi riempisse di gioia o di felicità.
Avevo sinceramente pensato di separarmi per un po’, di tornare a casa dei miei pe disintossicarmi da una vita che non mi apparteneva.
Francesca in un primo tempo mi trascinò tutte le sere fuori. Una volta era un vernissage, un’altra il concerto di pianoforte e quartetto d’archi delle sue amiche di scuola, un’altra volta la conferenza sulla filosofia orientale tenuta dal suo santone, oppure uno dei mille mila eventi della cerchia di amicizie di Dede, una corte di gay efebici, lesbiche con bicipiti da camionista, improbabili esperti di moda che giravano con un maltese toy sotto braccio ed il rossetto sulle labbra. Poi fortunatamente un giorno Donato mi chiamò, mi fece sedere sulla poltrona davanti alla scrivania, si mise a sedere sull’altra e mi disse: “Paolo, la vacanza è finita. Io ho bisogno del vecchio Paolo. Quello di prima del matrimonio, cazzuto, il genio. Di questo, non so che farmene. Anzi, te lo dico con sincerità. L’azienda non sa che farsene. Ma poiché l’Azienda, cioè noi, sa che tu sei una persona eccezionale, vuole che tu torni ad essere quello che eri prima. E ti dà un’altra opportunità. Ma è l’ultima. Poi è finita. Non ti licenzierà, perché non hai fatto nulla di male. Ma un conto è essere nella shortlist di quelli da chiamare a decidere sul futuro, ed un conto è essere nella lista di coloro che il futuro lo subiscono. Tu in che lista vuoi stare?”. Mi dette una pacca sulla coscia, si alzò, tornò dietro la scrivania, si sedette sulla poltrona buttandosi indietro con la schiena, accese una sigaretta con il suo Dupont d’oro, mi guardò ancora una volta e: “Salutami Francesca. Dille che le auguriamo una bella carriera come chirurgo estetico”.

Ricordo che tornai a casa distrutto, il morale sotto terra. Affrontai la sera stessa la cosa con mia moglie.
Le raccontai la spiacevole discussione a cui avevo partecipato. Le dissi dei miei timori, la pregai di cambiare modo di vivere.
Ma cosa sto facendo di male, scusa?” mi chiese.
Mi resi conto che non aveva capito nulla di quello che le avevo raccontato. Era come se avessi parlato al muro.
Promisi allora a me stesso che avrei recuperato al massimo le posizioni perdute. Non lo facevo solo per me. Lo avrei fatto anche per i miei eventuali, futuri figli. Mi rigettai a capo basso nel lavoro. Entravo in ufficio alle 7:30, 7:45, quasi sempre il primo, ed ero sempre l’ultimo ad andare via. Il venerdì sera, per quanto presto facessi, tornavo a casa alle 10 di sera. Negli altri giorni, difficilmente prima delle 23. I risultati non tardarono a tornare. Vincemmo un mucchio di trattative, la mia documentazione tecnica era ineccepibile, i miei progetti brillanti, le invenzioni geniali.
Certo, dal lato opposto avevo in parte perso Francesca che si era ancor di più legata a Dede.
Ne parlai ad Adriano.
“Ma Dede che problema ha?” gli chiesi un giorno a brutto muso.
“Giuro, Pa’, non la capisco manco io” mi rispose alzando le braccia. “Non lo so. So solo che spende un sacco di soldi e sta tutto il giorno fuori di casa. Io mi spacco il culo da mane a sera, lei la sera vuole uscire, divertirsi, non le basta quello che fa durante il giorno. Io sono distrutto dalla stanchezza e lei vuole uscire!”
“Dobbiamo fare qualcosa per calmarle, altrimenti queste ci mandano ai matti!” aggiunse.
“Si, mettiamole incinte!” dissi scherzando. Peccato che avessi appena vaticinato il mio futuro.



“Allora brindiamo a noi!” disse Daniela, levando il calice.
“Paolo? Ci sei?” mi richiamò Daniela.
“Come? Si, scusa. Si, a noi e… prima che me lo dimentichi, grazie mille Daniela per quel che hai fatto e che stai facendo”.
Per un attimo mi sembrò di vedere un senso di delusione stagliarsi nettamente sul viso di Daniela, come se avessi detto qualcosa, o omesso di dire qualcosa, che l’aveva disillusa. Ma fu questione di un attimo perché subito sorridendo si avvicinò ancor di più e: “Ti piace come mi sono vestita?” mi chiese muovendosi come una gatta.
“Se mi piace? Sei fantastica. Bellissimo il vestito, mi piace da morire. E poi, hai una schiena talmente bella che questa scollatura la esalta” le dissi guardandola negli occhi mentre però indicavo con la mano che reggeva il bicchiere la sua schiena.
“Ti piace davvero?” rispose mentre si girava verso di me, girando la testa cercando di osservare da sopra la sua spalla la profondissima scollatura posteriore.
“Sai che ho dovuto per forza mettere le autoreggenti perché tutti i collant che ho provato uscivano dalla scollatura, e pure gli slip mi hanno dato un sacco di problemi. Però il vestito mi piace così tanto!” aggiunse guardando un punto nel vuoto, buttando questo argomento con la massima nonchalance.
Ebbi per un attimo un blocco della respirazione e sentii nel contempo una fitta all’inguine. Non mi aspettavo un attacco così rapido ed immediato, almeno, non prima di aver mangiato e bevuto abbastanza da avere la scusa di aver perso la ragione.
Mi chiese se potevo prenderle le sigarette dentro la borsa che stava poggiata sul divano.
Per prenderle ero obbligato a passarle di dietro, non potevo fare altrimenti. Mi ritrovai ad osservarle la schiena e notai che la sua scollatura era talmente profonda che, da seduta, il vestito si era un po’ scostato dal corpo ed aveva evidenziato il fatto che Daniela non portava slip, mostrando due buone dita di solco dei glutei.
Inutile dire che mi ritrovai immediatamente con un’erezione che non ricordavo di aver avuto da lungo tempo. Comunque, le aprii il pacchetto, le offrii una delle sue sigarette, presi il mio Dupont “Punta Diamante” d’argento e gliel’accesi. “Permettimi di darti fuoco!” le dissi ridendo. Era una battuta buttata lì per cercare di smorzare la palpabile tensione che si avvertiva tra noi.
“Oh, se è per questo, sono già tutta un fuoco!” disse sorridendo mentre sbuffava il fumo e si mordicchiava le labbra, le gambe accavallate e due buone dita di balza di pizzo delle calze in mostra.

Altra scarica di adrenalina e di ormoni. I nostri recettori erano ormai saturi dei feromoni che entrambi emettevamo e mandavano fuori scala i dosatori della dopamina: detto in parole povere, l’eccitazione sessuale era a mille. Sentivo l’afrore uscire dalle mie ascelle ed un umido calore emergere dal mio inguine. Parimenti, vedevo la pelle sopra il labbro superiore, sotto il naso, quella degli zigomi e della fronte di Daniela lucida di trasudo, l’odore del sesso mescolato all’essenza delicatamente speziata di ylang ylang e gelsomino di Calèche di Hermes.
Ovviamente, questo si traduceva in me in una vistosa e quasi dolorosa erezione.
Un ding di un campanello richiamò la nostra attenzione. Si aprì la porticina dissimulata ed entrarono due camerieri con un carrello portavivande. Aprirono uno ad uno i coperchi rotanti e mostrarono le pietanze destinate alla nostra cena: ostriche di Cancale, farfalle alla puttanesca, filetto al pepe verde, mousse di cioccolato al peperoncino, accompagnati da varie bottiglie. Prosecco per le ostriche, Sagrantino per il pasto, Zibibbo per il dessert.
Ci accomodammo al tavolo e iniziammo a mangiare le ostriche. Daniela ne prese una, la bagnò con il limone e la leccò con voluttà, poi la succhiò e la prese in bocca facendola scivolare tra le labbra, la lingua a guidarla dentro. Ne prese quindi un’altra e me la mostrò. Era la rappresentazione fedele di una vulva, le grandi labbra aperte, le piccole labbra dischiuse, il peduncolo a simulare il clitoride. Spruzzò un po’ di limone e poi mi imboccò, facendomi succhiare il mollusco e le sue dita che lo sorreggevano. Quindi prese il guscio, lo leccò a sua volta, quindi prese le dita che mi aveva infilato in bocca e le succhiò una ad una. La testa mi pulsava, sentivo il battito del cuore accelerato ad almeno 130 colpi, un tump in testa, un tump in gola, un tump nelle orecchie. Ero certo di non aver mai provato un’eccitazione così forte.
“Paolo, mi è caduto il tovagliolo, puoi cortesemente raccogliermelo?” mi chiese tenendo le dita della mano sinistra sollevate mentre con la destra stringeva ancora una valva vuota.
“Certamente, dove ti è caduto?” le chiesi mentre mi alzavo.
“Proprio qui sotto le mie gambe!” rispose con voce innocente.
Mi chinai sotto al tavolo per essere accolto dalle sue gambe completamente spalancate, il vestito tirato su fin quasi ai fianchi, il suo sesso del tutto simile all’ostrica che mi aveva appena mostrato. Una corta peluria le incoronava il clitoride mentre il resto sembrava liscio come la pelle di un neonato. Si allargò quindi con una mano le labbra per mostrare la vagina stillante umori luccicanti e filamentosi.
“Ti prego, leccami!” mi chiese quasi implorandomi.

Mi chinai ulteriormente, mi avvicinai e le infilai la lingua tra le gambe, suggendo quella sorta di mollusco come avevo fatto in precedenza con l’ostrica. Mi dedicai quindi al suo clitoride, massaggiandolo, picchiettandolo, titillandolo con la lingua fino a che non sbocciò tra le piccole labbra assumendo le dimensioni di un pisello, un pisellino rosa su un’ostrica rosa. Mi aiutai con due dita che le infilai nella vagina scavando la sua intimità accogliente. Rovesciai quindi le dita verso l’alto cercando il bottone spugnoso del suo punto G, lo trovai ed iniziai a massaggiarlo con foga mentre la lingua continuava a torturare il suo bocciolo.
Daniela inarcò la schiena e divaricò ancor di più le gambe, emettendo un sordo grugnito di piacere.
“Ti prego, continua! Sto per venire!” sussurrò.
Continuai ad entrare ed uscire con le dita, ogni volta cercando di andare più a fondo. Ora aumentavo il ritmo, ora frenavo; mi fermai per dedicarmi al clitoride che ora si ergeva rosso, quasi pulsante. Dense strisce di umore stillante dalla sua vagina le stavano colando lungo le cosce. Poi, una serie di violente contrazioni accompagnate da un’abbondante secrezione quasi bianca, densa come lo sperma.
Si fermò, chiedendomi di interrompere la masturbazione, stringendomi la mano tra le sue cosce. Le sue guance erano diventare rosse, i capezzoli spingevano il leggero tessuto disegnando le ciliegine su due cupcakes. Si abbandonò con la schiena sulla sedia, ancora con il fiatone per l’orgasmo che l’aveva svuotata.

“Era…una…vita…che…non…venivo…così” mi disse tra un respiro affannato e l’altro.
Mi alzai e mi rimisi seduto, cercando di pulirmi la mano e la bocca dalle sue secrezioni.
“Vieni qui da me, per favore!” mi chiese.

Mi rialzai e mi riavvicinai a lei, poggiando una mano sulla spalliera della sua sedia e l’altra sul tavolo. Lei mi prese per la cravatta, mi tirò a se e mi leccò il viso attorno alla bocca pulendomi dal suo nettare. “Mmmm, buonissimo!” disse, prima di infilarmi la lingua in bocca sempre trattenendomi. A quel punto mi lasciai un po’ andare e partecipai attivamente al suo bacio prendendole la testa per la nuca mentre con la mano destra le accarezzavo il seno attraverso il vestito.

Daniela si alzò in piedi e si diresse verso il divano dicendomi “Non ho fame, adesso. O meglio, ho fame, ma di altro” e mi tirò a sé.
Fece scivolare il vestito dalle spalle rimanendo nuda con le sole autoreggenti. Aveva un seno fantastico, piccolo, sodo, con due capezzoli reattivi piantati al centro di due areole appena più grandi del capezzolo, rosa tenuemente più scuro della pelle. La vita era sottilissima, il ventre piatto con l’ombelico perfettamente incastonato al suo centro. Un palmo più in basso, il pube curatissimo, solo una striscia ad evidenziare la sua magrezza e ad indicare la sua fonte del piacere.

Aprì le braccia ad accogliermi. Mi fermai accanto al divano, indeciso sul da farsi. Cazzo, avevo appena saputo che mia moglie era incinta del nostro primo figlio, ed io stavo lì pronto a sbattermi la segretaria più fica dell’ufficio, molto probabilmente terreno di caccia privata dell’amministratore delegato. Mentre pensavo sfogliando mentalmente la margherita “Scopo o non scopo?”, Daniela mi prese e mi sbottonò i pantaloni e calò i miei boxer tirando fuori il mio pisello che era già da tempo in piena, potente erezione.

“Ah, ma qui siamo messi benissimo! Bello grosso, lungo e duro, come piace a me!” e si avventò con la bocca sulla cappella mentre con una mano mi masturbava e con l’altra mi massaggiava le palle. Fece per un po’ su e giù con la bocca sull’asta, leccandomi ogni centimetro.

“Che bello, sei depilato! La tua pelle è liscissima! Sembra seta!” mi disse mentre mi accarezzava tra una slinguata e l’altra.
Poi mi tirò a sé, mi fece stendere su di lei, prese con la mano il mio membro e lo portò verso la sua fica.
“Ti prego, spingi ed entra dentro di me!” chiese implorando.
Non riuscii a trattenermi. Entrai ed iniziai a scoparla violentemente, sbattendo il mio pube contro il suo.

Sentivo che stavo arrivando con la punta fino alla sua cervice e ciò le provocava fastidi, evidenziato da smorfie di dolore inframezzate da gridolini. “È che sei troppo lungo per me! Io non sono abituata a certi calibri. E poi sei pure bello grosso! Fortunata chi ti scopa!” mi disse ansimando.

La girai a pecorina e la infilai di nuovo con decisione.
Lei iniziò ad ansimare e a mugolare di piacere. Ogni colpo che le infliggevo era un ansimo, un gridolino di piacere misto a dolore, forse perché arrivavo ben dentro la sua intimità.
Ad un certo momento iniziai a stantuffare forte, talmente forte che talvolta uscivo dalla sua vagina, ormai un lago di secrezioni dense e scivolose. Poi lo rimettevo dentro al volo e seguitavo ad entrare ed uscire con intensità quasi al limite del violento.

Daniela venne un’altra volta. Il suo orgasmo la squassò, le ginocchia le cedettero, i muscoli della vagina si strinsero più volte attorno alla mia asta piantata dentro di lei. Uscii, ancora lontano dal mio culmine, lasciando la sua fica aperta e gocciolante. Si mise con le spalle appoggiate al bracciolo del divano, prese con le mani i glutei e li divaricò. “Ora, ti prego, mettimelo nel culo!” mi chiese, quasi supplicandomi.
Infilai le dita dentro la sua vagina ancora fradicia e me le bagnai di quell’umore trasparente, filamentoso, che spalmai abbondantemente sullo sfintere prima di infilarvi prima uno e poi due dita. Non ci fu resistenza, le dita entrarono come un dito nel budino.

Appoggiai allora la cappella al suo forellino e premetti aspettandomi un minimo di resistenza, vista la differenza di dimensioni, ma la ragazza mi accettò come se nulla fosse. Mi ritrovai tutto dentro, il retto disteso come una guaina, lo sfintere a massaggiare la base del cazzo come un anello fallico.
Iniziai ad andare su e giù, su e giù sempre più velocemente. Daniela sembrava soffrisse, per cui mi fermai.

“Tutto bene? Ti sto facendo male?” le chiesi.
“Ma quale male e male! Dai, spingi, fammi sentire quanto sei grosso. Un cazzo come il tuo non l’ho mai preso e, giuro, mi stai facendo godere come mai! SPINGI!” rispose affannata.
Continuai a scoparle il culo con veemenza, tirando fuori il pisello ogni tanto per fargli prendere aria e raffreddarlo un po’, per poi rimetterlo dentro in quella cavità che rimaneva sfacciatamente aperta al centro del culo come la bocca de “L’urlo di Munch”, le sue mani come le mani del protagonista, le fossette al posto degli occhi. Anche quel culo era effettivamente un capolavoro.

Alla fine stavo per venire e glielo comunicai. “Sto per venire, Daniela!”.
Lei si sfilò, sorprendendomi, si girò, prese il cazzo in mano e mi masturbò portandoselo all’altezza del viso. Venni copiosamente, grossi schizzi le colpirono il naso, la bocca, gli occhi, i capelli. Poi me lo prese in bocca e lo succhiò ingoiando le ultime stille; si ripulì il viso con le dita che rimise in bocca, succhiandole e nettandole.
“Uhm, buono, dolce come mi piace!” disse gustando quel che per lei era un nettare.
Inutile dire che quella sera mangiammo veramente poco. Passammo gran parte del tempo a fare sesso in tutte le posizioni, le penetrai tutti gli orifizi, bevvi il suo nettare, lei mi succhiò come un cannolicchio e letteralmente mi prosciugò.

Per fortuna nostra, verso l’una di notte decidemmo che era abbastanza. Daniela ed io ci rassettammo, ci ricomponemmo alla meglio e suonammo il campanello per avvisare che eravamo pronti.

Venne un cameriere che, evitando di guardarci negli occhi, ci porse i nostri soprabiti. Aiutai Daniela ad infilare il suo, misi il mio e poi, ringraziando, allungai 10.000 lire di mancia al ragazzo.
Ci scortò di nuovo lungo il corridoio e ci accompagnò alla porta ove il maître ci attendeva compìto.

“Spero che sia andato tutto bene, signori. La cena era di vostro gradimento?” chiese.
“Ottima cena, piacevole compagnia, servizio ineccepibile ed accuratissimo” dissi celiando, riferendomi al servizio ricevuto da Daniela.
Portai la mano al portafoglio per prendere la carta di credito ma il maître mi bloccò alzando la mano “Il conto è stato già pagato, dottore” mi disse.
Guardai Daniela con sguardo interrogativo ma lei mi fece cenno di tacere e soprassedere.

Uscimmo e mentre aspettavamo che il valet portasse la macchina di Daniela, pensai che non me la sentivo di portarla a casa mia, ma non mi andava nemmeno di lasciarla lì, arrivederci e grazie.
Le chiesi pertanto se avesse piacere di essere accompagnata a casa, al che mi rispose: “E poi come fai a tornare indietro?”
“Io pensavo di dormire da te e di tornare in ufficio con te, domattina” le risposi con malcelata speranza.
“Paolo, non è possibile. A parte che domani è sabato… e poi, non sono da sola a casa. Se avessi potuto, ti avrei invitato a cena da me e allora saremmo stati assieme tutta la notte!” rispose.
Giusto. L’indomani era sabato e Francesca sarebbe di certo rientrata, soprattutto vista la notizia che mi aveva dato al telefono.

Stavo per dirlo a Daniela quando realizzai che avrei fatto un errore a parlarne. Preferii tacere, mi avvicinai, le presi il viso tra le mani e la baciai delicatamente sulle labbra.
“Grazie Daniela. Non hai idea quanto mi abbia fatto bene questa sera” le dissi con sincerità.
“Non hai idea tu quanto abbia fatto bene a me!” mi rispose invece ammiccando ed alludendo al piacere che ci eravamo vicendevolmente regalato.
Ci salutammo, io mi incamminai verso l’ufficio a riprendere il motorino ma, arrivato a piazza Cavour, decisi che sarebbe stato meglio prendere un tassì.

Scesi dopo poco sotto casa, salii, entrai, mi spogliai al volo e mi buttai sotto la doccia. Volevo cancellare gli odori che ancora mi permeavano le narici ed assieme a loro, i sensi di colpa.
Poi, cercando di annullare ogni minima traccia di Daniela, versai del vino rosso sulla camicia e la misi in ammollo in acqua saponata. Presi i boxer ed calzettoni e li chiusi in una busta che nascosi in balcone nell’armadietto degli attrezzi assieme agli stracci da lavoro. Non contento, versai altro vino sui pantaloni, un po’ all’altezza della patta e del cavallo ed un po’ sulla coscia destra; li misi quindi tra la roba da lavare, pronto a giustificare il tutto con la mia distrazione.

Mi buttai quindi a letto, cercando di addormentarmi.
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Appena letto, un solo aggettivo:
E C C E Z I O N A L E
 
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timassaggio

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Letto tutto d'un fiato. Scritto in maniera perfetta e coinvolgente.
Sono rimasto con l amaro in bocca per l'interruzione, e mi spiace tu abbia deciso di interrompere la scrittura. D'altra parte mi aveva preso moltissimo
Grazie.
Chissà, magari in futuro ci ripenso.
Stay tuned ;)
 

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