Una cameriera di nome Eliza.

Luca36

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Convivo da quasi tre anni con questa ragazza Rumena (il nome Eliza è di fantasia). Lei ora ha 28 anni e sono quasi 8 che vive in Italia. Mi ha raccontato di come ha vissuto in Italia prima di conoscere me e mi ha colpito soprattutto questo periodo che risale a circa 5 anni fa, in cui lei ha lavorato come cameriera in un ristorante in Calabria, in cui è andata a lavorare perchè precedentemente nello stesso locale aveva lavorato sua mamma che poi è dovuta rientrare in Romania e ha mandato lei al suo posto. I racconti sono solo in parte reali in quanto li ho scritti sulla base di quello che lei mi ha raccontato e ho aggiunto particolari piccanti per rendere più piacevoli le storie. Se per caso ci fosse qualche lettore che si ricorda di questa bella cameriera mora alta 1,65 (all’epoca 2011/2012 aveva sui 22 / 23 anni) che serviva ai tavoli vestita provocante, e che poi avrebbe avuto una storia con un cantante della zona mi farebbe molto piacere essere contattato. In questo modo voi stessi potreste collaborare fornendomi altri particolari per nuovi racconti.
:asdevil:

Un’opportunità del genere non sarebbe ricapitata, Eliza lo sapeva; il lavoro, poi, era tranquillo; fare la cameriera in Italia non sarebbe stato difficile, e quel posto era sicuro avendo lavorato la sua mamma prima di lei nello stesso ristorante. Col passare dei giorni, però, il padrone del ristorante iniziò ad assumere alcuni atteggiamenti ambigui. Eliza se ne accorse quando lui le sussurrò, una sera: ― Lo sai che sei sprecata a fare la cameriera? Io ti vedrei bene a organizzare eventi. Per il mio ristorante, s’intende. Lei sorrise all’idea di essere stata apprezzata; poi notò qualcosa che non le piacque. Lui la stava squadrando dalla testa ai piedi: lei indossava un paio di sandali con zeppe di legno, vista anche la statura non elevata; nel suo metro e sessantasei si esaltavano le forme femminile: i seni sodi, non troppo grandi, stretti in una maglietta aderente e comoda; il fondoschiena, poi, sporgeva dai jeans attillati e le donava ancor più femminilità. Era un piacere per gli occhi, anche nell’incavo delle clavicole, e nel collo femminile, nella gola morbida, che molti uomini avrebbero voluto assaporare. ― Mi fa piaccere ― disse lei, con l’accento che ancora faceva notare la sua provenienza rumena. ― Io sson contenta, ssignor. Lui le sorrise per un istante, poi tornò serio e sospirò: ― Ah, Eliza , Eliza… che devo fare con te? Non sai sfruttare le tue doti. ― E come posso ffare? ― chiese lei, sperando di non sbagliar troppo a parlare italiano, una lingua che conosceva ancora poco. Lui le girò intorno, le guardò il piccolo sedere sporgente, e chiese: ― Perché non ti vesti un po’ meglio? ― Sì, ssignor, però non ho vestiti ffamosi, io non… ― Ma cosa c’entra!? ― proruppe lui, quasi irritato. ― Intendo dire che ti devi vestire un po’ più femminile! Ce l’hai una gonna? Hai delle belle gambe, scommetto… ― Non… non sso… penso di ssì… ― E allora domani mettiti una gonnellina, d’accordo? ― concluse ridacchiando, e dando una pacca lenta, affettuosa, quasi insinuante sul culetto di Eliza. Lei non disse nulla, ma iniziò a sospettare che il padrone potesse avere un qualche doppio fine. Nei giorni seguenti, Eliza si ambientò sempre di più all’interno del locale; i clienti erano cordiali, e solo qualche volta tentavano approcci di natura sessuale. Ma era una cosa naturale – si ripeteva – in ogni angolo del mondo. Quello che era cambiato, però, era l’atteggiamento del padrone. Dopo aver insistito con Eliza per farle indossare abiti più succinti, l’uomo iniziò a darle indicazioni su come muoversi. Era ora di pranzo, e i clienti scarseggiavano; inoltre, dopo un primo di pasta o un secondo di pesce, subito ordinavano il conto, rinunciando a dolce o altri sfizi. L’unica attrazione che sembrava poter cambiare le sorti di quella giornata era Eliza: la ragazza indossava dei pantaloncini corti di jeans, aderenti, capaci di esaltare il suo fondoschiena ma anche di lasciar intravedere le cosce e le natiche nude. Era un piacere per gli occhi: le sue belle gambe, snelle per natura, allenate, si esaltavano nella loro pelle liscia, e i piccoli piedi andavano a incastrarsi in un paio di zeppe che, con questo abbigliamento, rendevano molto di più che nei primi giorni. ― Eliza, Eliza…! ― si lamentò il padrone. ― Cazzo, datti una regolata! ― Cossa ho fatto, ssignor…? ― chiese lei, sinceramente stupita. ― Ma non te n’accorgi che quelli ti sbavano dietro! Vogliono le chiappe sode che hai! ― e dicendole questo, il padrone le andò a palpare il sedere, indugiando però più del dovuto; non era una semplice indicazione, se ne stava davvero approfittando, e non vi furono più dubbi quando, con le dita, andò a infilarsi nell’apertura posteriore dei pantaloncini, arrivando quasi a toccare il suo buchetto anale. ― Ma cossa fa…!? ― reagì lei. ― Su, non fare la snob, per cortesia! ― Ma io no troione! Il padrone sorrise. ― Allora lo sai l’italiano, eh? Brava, brava! ― e le prese un capezzolo con le dita, strizzandolo. ― Ma no, io no! ― Vai, vai! ― la spinse lui verso la sala. ― Un po’ di allegria, Eliza, o ti rispedisco in Romania a calci nella fregna! Eliza ci provò: entrò in sala cercando in qualche modo di provocare, prima sculettando, poi fermandosi ai tavoli con le caviglie incrociate, mettendo in risalto la bella forma dei polpacci lisci e il dorso del piede. E fu proprio su quest’ultimo che un cliente, solitario, un po’ squallido alla vista, indugiò. ― ‘Mazza, bei piedi, teso’! ― ridacchiò questo. Dall’accento sembrava un romano. ― A Roma ‘e pischelle come te ‘n ce stanno da ‘n po’! Da ‘ndo vieni? Russia? Ucraina? Eliza provò a sorridere. ― Io Romania. ― A-Ah! Davvero!? M’hanno detto che in Romania so’ tutte mignotte, te che dici? Ce sei ‘n po’ mignotta? Eliza si sentì ferita, umiliata nel profondo, lei che era lì per darsi da fare. Restò muta, paralizzata. Il romano allungò una mano e finì per prenderle una coscia, accarezzandola e stringendola. Lei prima tacque, poi si scostò, quasi gridando, attirando anche l’attenzione degli altri clienti. Il padrone entrò in sala. Quando capì la situazione, si scagliò contro il cliente romano: ― Esca subito fuori dal mio locale, villano! ― Sì, sì, me ne vado! Calabresi de merda, co’ tante italiane brave, voi andate a pija’ ‘ste troie rumene! Eliza si sentì meglio: era stato il padrone, in apparenza burbero e approfittatore, a salvarla. Quando tornò in cucina, però, la situazione si rivelò per quel che era. ― Sei una povera idiota! ― gridò il padrone. ― Ti diverti a farmi fare le figuracce!? ― Ma è stato lui a… ― Lui un cazzo! Il cliente ha sempre ragione! E poi di che ti lamenti se vai in giro vestita come una puttanella!? Le schiaffeggiò le cosce, le toccò i seni. ― Guarda che roba! Ma vai, va’… ― concluse, uscendo dalla cucina. Eliza iniziò a piangere. La sua avventura in Italia si stava rivelando più difficile del previsto. A un tratto, una voce cercò di consolarla: ― Non ti preoccupare, pare un coglione, lo so, ma è un brav’uomo: perlomeno paga puntuale! A parlare era stato Narmen, un egiziano alto quasi due metri pizzaiolo nello stesso locale ― G-Grazie… ― sospirò Eliza, asciugandosi le lacrime. ― Figurati. ― L’egiziano, insieme ad un terzo ragazzo che faceva il lavapiatti dividevano con Eliza un piccolo appartamento di servizio che il proprietario del ristorante metteva a disposizione dei suoi dipendenti. ― Vieni da me, dopo? ― le chiese. Lei gli sorrise. Alla fine del turno, Eliza andò nella stanza di Narmer. Il tipo era sembrato cordiale. La ragazza era passata prima nella propria camera, per togliersi i vestiti che sapevano di pesce; indossò un vestito corto, carino, che le arrivava alle ginocchia, a fiori: un misto di innocenza e sensualità. Poi un paio di sandali bianchi, si spruzzò un po’ di profumo e andò a bussare alla camera di Narmer. ― Entra, mia dolce Eliza! ― gridò una voce. Era la prima volta che Eliza visitava la camera del suo coinquilino e collega. Era ordinata, almeno in apparenza. Ma poi… ― Oddio! Ma cossa tu fai…? Narmer era seduto sul letto, fumava una sigaretta e guardava la televisione. Nulla di strano, non fosse per il fatto che aveva l’uccello di fuori, un grosso pene in completa erezione. ― Io vvado vvia! ― Ma no, Eliza! ― scoppiò a ridere Narmer. ― Era uno scherzo! Sono naturista, non lo sapevi!? ― e scoppiò a ridere un’altra volta, correndo dietro alla ragazza. Le piaceva vederla col vestito a fiori che svolazzava, lasciando intravedere le natiche coperte solo dalle mutandine. ― Ma sei matto !!!!! Che fai nudo ― strillò Eliza. La ragazza era rimasta turbata alla vista della grossa verga eretta dell’uomo di colore. Da quella sera, Eliza iniziò a essere più maliziosa durante il servizio. Aveva capito come funzionavano le cose, e voleva farsi rispettare. La cosa iniziò a dare i suoi frutti. ― Ciao, bella… ― le mormorò una sera un vecchio. ― Che bella cameriera che mi è capitata! Lei, che portava una minigonna nera e un paio di sandali che lasciavano i piedi quasi nudi, si avvicinò al cliente e gli respirò in faccia, dicendo: ― Le porto il docce, signor? ― Oh, il dolce? E che dolce mi porti? ― chiese allungando la mano, ma Eliza la scacciò, ridendo. Quello e altri clienti le fruttarono la bellezza di cinquanta euro di mance. Già, era proprio quello il modo giusto di lavorare. Col passare dei giorni, Eliza si accorse di essere diventata più fredda e cinica. Non era certamente una ragazza cattiva, ma certi atteggiamenti del padrone, dei colleghi e dei clienti l’avevano obbligata a cambiare strategia: adesso era capace di provocare a suo vantaggio, per quanto, in realtà, si limitava solo all’abbigliamento. Al padrone bastava questo, e così smise anche di importunarla con toccatine e altro. La situazione degenerò quando, al ristorante, arrivarono a cena alcuni vecchi amici calabresi del padrone. Appena videro Eliza, iniziarono a mormorare, e poi a farle complimenti. ― Hai delle belle cosce, signorinella! ― Cavolo, questa dobbiamo portarla in televisione! Vieni qua, fatti vedere bene! ― E uno di questi allungò una mano, riuscendo a infilarla sotto la gonna. Eliza si bloccò, e arrossì. Non poteva permettersi di mandare a quel paese il cliente, visto che era un amico del padrone. Restò ferma, sperando che nessuno potesse vedere quel gesto imbarazzante di cui era vittima. La mano dell’uomo era proprio sotto la sua gonna, con le dita sulle sue mutandine. Ancora un piccolo movimento e le avrebbe potuto infilare un dito nell’inguine. ― S-Scussate, devo andare, sala cucina, io… Risero tutti. Il tipo invadente le diede un pizzicotto alle labbra vaginali, poi la lasciò andare. Eliza era diventata tutta rossa. Si rifugiò in cucina, dove restò a piangere per un po’. La situazione sembrò migliorare il giorno seguente. Il padrone non disse nulla a proposito dell’incidente; Narmer non aveva più ripetuto il gesto volgare di farsi trovare con il cazzo in fuori, e Sandro, il cuoco, sembrava di regola tranquillo, almeno in quei giorni. Ma accadde qualcosa: quel tipo, l’amico del padrone, tornò a far visita a Eliza, stavolta con più strafottenza. ― Tu, vieni qua! ― le disse, prendendola per il collo e portandola a un angolo della cucina dove non potevano essere visti. ― Ti credi tanto figa, vero? Ma non lo sei, sei solo una troietta! ― Nno, io non ssono come dice! ― Eliza era spaventata. ― Tutte così, fate! Su, fammi una sega, bella rumena! ― No, no! ― Su, su! ― L’uomo prese la mano di Eliza e se la portò nei pantaloni. ― Vuoi che parlo col padrone? Lo sai che siamo amici da trent’anni? Eliza fu obbligata a non reagire. Infilò la mano nella patta dei pantaloni dell’uomo e prese la sua cappella già durissima. Lo masturbò, d’altronde aveva già imparato a fare certe cose in Romania, non era una ragazza illibata. Ma farlo in quella situazione non era per nulla piacevole. Mentre muoveva su e giù la mano sul membro duro dell’uomo, sentiva la mano di lui farsi largo tra le cosce e le natiche, con le dita cercavano di entrare nella vagina e nell’ano Finì in un bagno di sperma: la mano di Eliza era completamente zuppa di roba bianca. L’uomo si rivestì e, senza neppure ringraziare, se andò a parlare col padrone. Dopo neanche un mese dal suo arrivo in Italia, aveva già capito come funzionavano le cose: lei era solo una piccola donna alle prese col potere maschile. In parte se ne poteva approfittare, ma non sempre; alle volte era il mondo ad approfittarsi di lei.
 
Bravo. Scritto bene anche se avrei evitato di riportare per iscritto la sua "goffaggine" con l'italiano. Ma lo so .. tentavi di rendere la cosa più "reale".
Penso che ci sia un seguito a questo racconto e vedremo.
A me è piaciuto .. hai saputo anche farci immaginare le scene con questa povera ragazza.
Certo mette tristezza a pensare che realmente le cose vanno così fin troppo spesso ... e questo è male.

Attendo il seguito e rinnovo il Bravo :)
 
Ecco la seconda parte del racconto.

Le stagioni passavano in Calabria, e Eliza continuava a lavorare. Era diventata un’ottima cameriera, sempre attenta alle esigenze dei clienti, cortese ed elegante. Alle volte era obbligata dal padrone ad assumere atteggiamenti un po’ provocatori, ma si era abituata, al punto che lo faceva con indifferenza. In fondo, non era una situazione così drammatica. Il peggio era passato. Almeno questo era quello che credeva Eliza.
Il padrone sembrava essersi calmato; non agiva più d’impulso, e finalmente sembrava essersi deciso a rispettare davvero la ragazza, evitando battute fuori luogo di basso livello. Anche i clienti sembravano “migliorati”: ai volgari individui del primo periodo, Eliza vide arrivare al ristorante sempre più uomini benestanti, educati e raffinati. Accadde però qualcosa che cambiò di nuovo le carte in tavola: una sera, vi era un uomo elegante, in un completo blu, la cravatta rossa quasi scintillante sulla camicia bianca; si vedeva lontano un miglio che aveva soldi a palate. Eliza, consapevole di come funzionassero le cose in Italia, decise di provare a guadagnarci qualcosa. Salutò prima educatamente il cliente, lanciandogli qualcuno dei suoi bei sorrisi che tanto piacevano ai maschi; poi, senza vergogna
di mostrare le gambe nude e i piedi smaltati di rosso, iniziò a fare avanti e indietro dalla cucina, ondeggiando le natiche. Il cliente parve gradire molto la cosa, al punto da proporre a Eliza di uscire con lui. La ragazza restò delusa: non le era arrivata nessuna mancia, e quell’uomo cercava – come gli altri – di andare a letto con lei. Rifiutò e finì il suo turno. Era notte fonda quando, con indosso solo il suo abitino estivo che le copriva appena le cosce, e un paio di sandali con zeppe, Eliza venne fermata all’esterno dall’uomo elegante.
― Dov’è che vai sola soletta a quest’ora? T’accompagno, dai… ― e indicò la macchina.
Eliza non doveva andare da nessuna parte, era uscita solo a prendere una boccata d’aria prima di salire nella sua stanza. Alla fine – anche per il timore di subire delle avance – rifiutò l’offerta dell’uomo.
― Ma come? ― sembrò irritarsi l’uomo, che si avvicinò a lei con lo sguardo sempre più insinuante e minaccioso. ― Io sono gentile con te… e tu? Fai la troietta che se la tira?
Eliza provò ad allontanarsi ma venne bloccata dall’uomo, che le tappò la bocca e la trascinò dietro la macchina. Iniziò a strusciarsi contro di lei, alzandole inevitabilmente il vestito, strofinandosi con la patta dei pantaloni contro le mutandine di lei.
― Lamm… lasciamm… mmh… ― provò a protestare la ragazza, ma l’uomo le stava già insinuando una mano fra le cosce e una lingua vorace nella bocca. ― Lasciami, pervertito di mmerdda! Io no porca, tu stronso!
L’odore dell’uomo, evidentemente ubriaco, le saliva addosso, fino al collo; stava cercando di violentarla nel vero senso della parola!
Prendendo coraggio e chiudendo gli occhi, Irina gli piantò una ginocchiata ai testicoli. Era impossibile non provare un briciolo di eccitazione, pur se con dolore, al tocco di quel ginocchio nudo nelle parti intime.
L’uomo le bestemmiò dietro: ― Vaffanculo, vacca! Tornatene in Bulgaria, in Romania o DA DOVE CAZZO VIENI!
Tornata a casa, Eliza si spogliò e si fece una doccia. Nuda, sotto il getto dell’acqua, le venne da piangere: tutti sembravano voler approfittare di lei, in un modo o in un altro. Era un piccolo, lugubre inferno!
In camera sua indossò un paio di leggings, senza mutandine; in casa, da sola, era abituata a non indossarle.
Non la preoccupava il fatto che vi fossero altri due uomini nell’appartamento, d’altronde loro non sapevano di questo particolare. Restò sul letto per qualche minuto, a sfogliare un libro di letteratura italiana, per imparare meglio la lingua. Poi, quasi assopita, tra la veglia e il sonno, iniziò a pensare al suo sogno: trovare un uomo italiano, affascinante e ricco, con cui poter fare l’amore, con passione e sentimento. Iniziò a toccarsi da fuori, sui leggings, sfiorandosi l’intimità, insinuando prima un dito, poi l’intera mano all’interno dell’elastico. Si masturbò per circa mezz’ora, prima di addormentarsi. Quello che non poteva immaginare era che Sandro, il cuoco originario della Sardegna, la stava spiando dal buco della serratura.
Qualche giorno dopo la spiacevole esperienza con il cliente ricco, Eliza venne fermata in corridoio dal padrone.
― Cara mia! Debbo farti i miei complimenti, ti sei ambientata benissimo!
Eliza arrossì per l’emozione. Era felice, il suo datore di lavoro l’aveva piantata con le avance e stava iniziando ad apprezzare il suo lavoro.
Cara, ti andrebbe di accompagnarmi a fare alcune compere per il ristorante?
― Cetto, ssignor, andiamo affare spesa per negossio?
― Proprio così, tesoro mio. Dai, molla il turno per un momento, ci penseranno Sandro e il pizzaiolo a servire, tanto son rimasti solo un paio di clienti, son quei due che pranzano tardi, poveri idioti!
Irina scoppiò a ridere. ― Lei è tanto simpatico, paddone!
― Macché padrone! Ah, Eliza, Eliza… ― ridacchiò l’uomo.
Dieci minuti dopo erano in macchina, diretti a un grande supermercato dove l’uomo era abituato a fare rifornimenti. Durante la spesa, l’uomo fu sempre gentile e cordiale con lei. Quando erano in macchina, sulla via del ritorno, però, qualcosa cambiò negli occhi dell’uomo.
― Eliz… C’è un problema a lavoro, sai?
― Probblema? Che probblema, io non capisco…?
― Sì, vedi… ― L’uomo si accarezzò il mento; stava guidando verso una strada isolata, un vicolo cieco. ― Ti avevo parlato del contratto, no? Purtroppo non si può più fare.
― Ma… comme? Io non…
― Lo so, Eliza, purtroppo la situazione è delicata. Siamo tutti in un bel casino, ma… non ti preoccupare! Forse qualcosa si può fare. Forse. Dipende da te…
― Certo, mmi dica tutto…
L’uomo fermò la macchina, guardò Eliza e sospirò: ― Le spese sono sempre più alte, e io… beh, sai la mia situazione, son vedovo, e… mi sento molto solo. Tu potresti… ecco…
― Cossa…?
Facendo finta di niente, l’uomo si aprì la patta dei jeans; l’odore del suo pene flaccido e vecchio iniziò a spandersi nella macchina.
― Tu puoi venirmi incontro per certe… “esigenze”, mi capisci, Eliza?
Eliza lo vide: vide quel pene che si stava indurendo, e provò a uscire dalla macchina. Lui la bloccò per un braccio.
― No, Eliza, non fare così. Io sto cercando di venirti incontro! Ti ho solo chiesto di…
― No, io non fare ‘ste cose, io non sono troia come voi pensate!
Lui iniziò a irritarsi: ― Ma insomma, Eliza! E che cazzo! Ti sto solo chiedendo di aiutarmi! Ti devo pagare mille euro per un pompino!? Eddai! ― La prese per i capelli, lei cercò
di divincolarsi ma lui era più forte. ― Su, Cristo santo! Sbocchinamelo un po’ e poi…
― No, io non faccio queste commm… ― Lui le affondò la testa sul pene in erezione. ― Mmh… Non… aiutmm…
― Su, da brava… ah… brava… ― La spingeva avanti e indietro per farselo succhiare. ― Ah… che brava che sei… giovane e bella.AHAH! Brava, brav… ah… oh… OH…
― Nonmm… ― Irina stava quasi soffocando. ― Mi lacmm… mi lasci…
― Oh… Sei fantastica, Iri… AH… AH… SUCCHIA! SUCCHIA… SUCCHIAAHH…!!
Le venne in bocca, inondandola di sperma caldo, facendoglielo colare intorno alle labbra tenere, dolci, giovani. Lei si tirò su e prese a sputare tutto, disgustata. Lui, indifferente, si richiuse i pantaloni senza neppure pulirsi. Per il resto del viaggio restarono entrambi in un silenzio di tomba.
L’episodio accaduto nell’auto del padrone toccò Eliza nel profondo. L’unica consolazione, col passare dei giorni, fu la presenza dell’educato Sandro, sempre cordiale; anche
l’egiziano, dopo la spiacevole esperienza avuta col suo pene nudo, sembrava ora ben disposto nei confronti di Eliza.
Una notte di fine estate, si sentì sollevata nell’avere in casa due uomini forti, che l’avrebbero protetta nei confronti del padrone. I tre guardavano la televisione insieme, in camera di Sandro, seduti sul letto e rilassati. A un certo punto, però, Sandro bisbigliò qualcosa all’egiziano, e i due iniziarono a sghignazzare in maniera viscida.
Eliza chiese: ― Ragassi, che cc’è che non va? Voi ridete, io non capisco…
Sandro aveva un’espressione diversa dal solito, più maliziosa; forse era quella la sua vera faccia? Dopo essersi schiarito la voce domandò alla ragazza: ― Eliza… ehm… ― Dovette trattenere una risata. ― Un uccellino ci ha detto che… tu non porti le… ehm…
― Cossa? Che uggellino…?
I due risero di gusto. Fu l’egiziano a proseguire il discorso: ― Eh sì, Eliza… L’uccellino ci ha detto che sei un po’ porcella! ― I due scoppiarono a ridere, evidentemente ubriachi.
― Io… cossa…? Ma che dite? Voi state non bene…
La ragazza si alzò dal letto per andarsene, quando Sandro, più ubriaco dell’egiziano, allungò una mano e tirò l’elastico dei leggings di Eliza, abbassandole i pantaloni. La ragazza non indossava le mutandine, così le sue natiche rosee e morbide, un po’ pallide, spuntarono fuori, nude, dai pantaloni. Eliza arrossì per l’imbarazzo, si ricoprì rapidamente e uscì dalla camera dei due ubriachi.
Quella notte restò sotto le coperte a piangere. Non c’era niente da fare: ovunque c’erano malintenzionati pronti ad approfittare di lei in maniera subdola, vergognosa.

FINE
 
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