Convivo da quasi tre anni con questa ragazza Rumena (il nome Eliza è di fantasia). Lei ora ha 28 anni e sono quasi 8 che vive in Italia. Mi ha raccontato di come ha vissuto in Italia prima di conoscere me e mi ha colpito soprattutto questo periodo che risale a circa 5 anni fa, in cui lei ha lavorato come cameriera in un ristorante in Calabria, in cui è andata a lavorare perchè precedentemente nello stesso locale aveva lavorato sua mamma che poi è dovuta rientrare in Romania e ha mandato lei al suo posto. I racconti sono solo in parte reali in quanto li ho scritti sulla base di quello che lei mi ha raccontato e ho aggiunto particolari piccanti per rendere più piacevoli le storie. Se per caso ci fosse qualche lettore che si ricorda di questa bella cameriera mora alta 1,65 (all’epoca 2011/2012 aveva sui 22 / 23 anni) che serviva ai tavoli vestita provocante, e che poi avrebbe avuto una storia con un cantante della zona mi farebbe molto piacere essere contattato. In questo modo voi stessi potreste collaborare fornendomi altri particolari per nuovi racconti.

Un’opportunità del genere non sarebbe ricapitata, Eliza lo sapeva; il lavoro, poi, era tranquillo; fare la cameriera in Italia non sarebbe stato difficile, e quel posto era sicuro avendo lavorato la sua mamma prima di lei nello stesso ristorante. Col passare dei giorni, però, il padrone del ristorante iniziò ad assumere alcuni atteggiamenti ambigui. Eliza se ne accorse quando lui le sussurrò, una sera: ― Lo sai che sei sprecata a fare la cameriera? Io ti vedrei bene a organizzare eventi. Per il mio ristorante, s’intende. Lei sorrise all’idea di essere stata apprezzata; poi notò qualcosa che non le piacque. Lui la stava squadrando dalla testa ai piedi: lei indossava un paio di sandali con zeppe di legno, vista anche la statura non elevata; nel suo metro e sessantasei si esaltavano le forme femminile: i seni sodi, non troppo grandi, stretti in una maglietta aderente e comoda; il fondoschiena, poi, sporgeva dai jeans attillati e le donava ancor più femminilità. Era un piacere per gli occhi, anche nell’incavo delle clavicole, e nel collo femminile, nella gola morbida, che molti uomini avrebbero voluto assaporare. ― Mi fa piaccere ― disse lei, con l’accento che ancora faceva notare la sua provenienza rumena. ― Io sson contenta, ssignor. Lui le sorrise per un istante, poi tornò serio e sospirò: ― Ah, Eliza , Eliza… che devo fare con te? Non sai sfruttare le tue doti. ― E come posso ffare? ― chiese lei, sperando di non sbagliar troppo a parlare italiano, una lingua che conosceva ancora poco. Lui le girò intorno, le guardò il piccolo sedere sporgente, e chiese: ― Perché non ti vesti un po’ meglio? ― Sì, ssignor, però non ho vestiti ffamosi, io non… ― Ma cosa c’entra!? ― proruppe lui, quasi irritato. ― Intendo dire che ti devi vestire un po’ più femminile! Ce l’hai una gonna? Hai delle belle gambe, scommetto… ― Non… non sso… penso di ssì… ― E allora domani mettiti una gonnellina, d’accordo? ― concluse ridacchiando, e dando una pacca lenta, affettuosa, quasi insinuante sul culetto di Eliza. Lei non disse nulla, ma iniziò a sospettare che il padrone potesse avere un qualche doppio fine. Nei giorni seguenti, Eliza si ambientò sempre di più all’interno del locale; i clienti erano cordiali, e solo qualche volta tentavano approcci di natura sessuale. Ma era una cosa naturale – si ripeteva – in ogni angolo del mondo. Quello che era cambiato, però, era l’atteggiamento del padrone. Dopo aver insistito con Eliza per farle indossare abiti più succinti, l’uomo iniziò a darle indicazioni su come muoversi. Era ora di pranzo, e i clienti scarseggiavano; inoltre, dopo un primo di pasta o un secondo di pesce, subito ordinavano il conto, rinunciando a dolce o altri sfizi. L’unica attrazione che sembrava poter cambiare le sorti di quella giornata era Eliza: la ragazza indossava dei pantaloncini corti di jeans, aderenti, capaci di esaltare il suo fondoschiena ma anche di lasciar intravedere le cosce e le natiche nude. Era un piacere per gli occhi: le sue belle gambe, snelle per natura, allenate, si esaltavano nella loro pelle liscia, e i piccoli piedi andavano a incastrarsi in un paio di zeppe che, con questo abbigliamento, rendevano molto di più che nei primi giorni. ― Eliza, Eliza…! ― si lamentò il padrone. ― Cazzo, datti una regolata! ― Cossa ho fatto, ssignor…? ― chiese lei, sinceramente stupita. ― Ma non te n’accorgi che quelli ti sbavano dietro! Vogliono le chiappe sode che hai! ― e dicendole questo, il padrone le andò a palpare il sedere, indugiando però più del dovuto; non era una semplice indicazione, se ne stava davvero approfittando, e non vi furono più dubbi quando, con le dita, andò a infilarsi nell’apertura posteriore dei pantaloncini, arrivando quasi a toccare il suo buchetto anale. ― Ma cossa fa…!? ― reagì lei. ― Su, non fare la snob, per cortesia! ― Ma io no troione! Il padrone sorrise. ― Allora lo sai l’italiano, eh? Brava, brava! ― e le prese un capezzolo con le dita, strizzandolo. ― Ma no, io no! ― Vai, vai! ― la spinse lui verso la sala. ― Un po’ di allegria, Eliza, o ti rispedisco in Romania a calci nella fregna! Eliza ci provò: entrò in sala cercando in qualche modo di provocare, prima sculettando, poi fermandosi ai tavoli con le caviglie incrociate, mettendo in risalto la bella forma dei polpacci lisci e il dorso del piede. E fu proprio su quest’ultimo che un cliente, solitario, un po’ squallido alla vista, indugiò. ― ‘Mazza, bei piedi, teso’! ― ridacchiò questo. Dall’accento sembrava un romano. ― A Roma ‘e pischelle come te ‘n ce stanno da ‘n po’! Da ‘ndo vieni? Russia? Ucraina? Eliza provò a sorridere. ― Io Romania. ― A-Ah! Davvero!? M’hanno detto che in Romania so’ tutte mignotte, te che dici? Ce sei ‘n po’ mignotta? Eliza si sentì ferita, umiliata nel profondo, lei che era lì per darsi da fare. Restò muta, paralizzata. Il romano allungò una mano e finì per prenderle una coscia, accarezzandola e stringendola. Lei prima tacque, poi si scostò, quasi gridando, attirando anche l’attenzione degli altri clienti. Il padrone entrò in sala. Quando capì la situazione, si scagliò contro il cliente romano: ― Esca subito fuori dal mio locale, villano! ― Sì, sì, me ne vado! Calabresi de merda, co’ tante italiane brave, voi andate a pija’ ‘ste troie rumene! Eliza si sentì meglio: era stato il padrone, in apparenza burbero e approfittatore, a salvarla. Quando tornò in cucina, però, la situazione si rivelò per quel che era. ― Sei una povera idiota! ― gridò il padrone. ― Ti diverti a farmi fare le figuracce!? ― Ma è stato lui a… ― Lui un cazzo! Il cliente ha sempre ragione! E poi di che ti lamenti se vai in giro vestita come una puttanella!? Le schiaffeggiò le cosce, le toccò i seni. ― Guarda che roba! Ma vai, va’… ― concluse, uscendo dalla cucina. Eliza iniziò a piangere. La sua avventura in Italia si stava rivelando più difficile del previsto. A un tratto, una voce cercò di consolarla: ― Non ti preoccupare, pare un coglione, lo so, ma è un brav’uomo: perlomeno paga puntuale! A parlare era stato Narmen, un egiziano alto quasi due metri pizzaiolo nello stesso locale ― G-Grazie… ― sospirò Eliza, asciugandosi le lacrime. ― Figurati. ― L’egiziano, insieme ad un terzo ragazzo che faceva il lavapiatti dividevano con Eliza un piccolo appartamento di servizio che il proprietario del ristorante metteva a disposizione dei suoi dipendenti. ― Vieni da me, dopo? ― le chiese. Lei gli sorrise. Alla fine del turno, Eliza andò nella stanza di Narmer. Il tipo era sembrato cordiale. La ragazza era passata prima nella propria camera, per togliersi i vestiti che sapevano di pesce; indossò un vestito corto, carino, che le arrivava alle ginocchia, a fiori: un misto di innocenza e sensualità. Poi un paio di sandali bianchi, si spruzzò un po’ di profumo e andò a bussare alla camera di Narmer. ― Entra, mia dolce Eliza! ― gridò una voce. Era la prima volta che Eliza visitava la camera del suo coinquilino e collega. Era ordinata, almeno in apparenza. Ma poi… ― Oddio! Ma cossa tu fai…? Narmer era seduto sul letto, fumava una sigaretta e guardava la televisione. Nulla di strano, non fosse per il fatto che aveva l’uccello di fuori, un grosso pene in completa erezione. ― Io vvado vvia! ― Ma no, Eliza! ― scoppiò a ridere Narmer. ― Era uno scherzo! Sono naturista, non lo sapevi!? ― e scoppiò a ridere un’altra volta, correndo dietro alla ragazza. Le piaceva vederla col vestito a fiori che svolazzava, lasciando intravedere le natiche coperte solo dalle mutandine. ― Ma sei matto !!!!! Che fai nudo ― strillò Eliza. La ragazza era rimasta turbata alla vista della grossa verga eretta dell’uomo di colore. Da quella sera, Eliza iniziò a essere più maliziosa durante il servizio. Aveva capito come funzionavano le cose, e voleva farsi rispettare. La cosa iniziò a dare i suoi frutti. ― Ciao, bella… ― le mormorò una sera un vecchio. ― Che bella cameriera che mi è capitata! Lei, che portava una minigonna nera e un paio di sandali che lasciavano i piedi quasi nudi, si avvicinò al cliente e gli respirò in faccia, dicendo: ― Le porto il docce, signor? ― Oh, il dolce? E che dolce mi porti? ― chiese allungando la mano, ma Eliza la scacciò, ridendo. Quello e altri clienti le fruttarono la bellezza di cinquanta euro di mance. Già, era proprio quello il modo giusto di lavorare. Col passare dei giorni, Eliza si accorse di essere diventata più fredda e cinica. Non era certamente una ragazza cattiva, ma certi atteggiamenti del padrone, dei colleghi e dei clienti l’avevano obbligata a cambiare strategia: adesso era capace di provocare a suo vantaggio, per quanto, in realtà, si limitava solo all’abbigliamento. Al padrone bastava questo, e così smise anche di importunarla con toccatine e altro. La situazione degenerò quando, al ristorante, arrivarono a cena alcuni vecchi amici calabresi del padrone. Appena videro Eliza, iniziarono a mormorare, e poi a farle complimenti. ― Hai delle belle cosce, signorinella! ― Cavolo, questa dobbiamo portarla in televisione! Vieni qua, fatti vedere bene! ― E uno di questi allungò una mano, riuscendo a infilarla sotto la gonna. Eliza si bloccò, e arrossì. Non poteva permettersi di mandare a quel paese il cliente, visto che era un amico del padrone. Restò ferma, sperando che nessuno potesse vedere quel gesto imbarazzante di cui era vittima. La mano dell’uomo era proprio sotto la sua gonna, con le dita sulle sue mutandine. Ancora un piccolo movimento e le avrebbe potuto infilare un dito nell’inguine. ― S-Scussate, devo andare, sala cucina, io… Risero tutti. Il tipo invadente le diede un pizzicotto alle labbra vaginali, poi la lasciò andare. Eliza era diventata tutta rossa. Si rifugiò in cucina, dove restò a piangere per un po’. La situazione sembrò migliorare il giorno seguente. Il padrone non disse nulla a proposito dell’incidente; Narmer non aveva più ripetuto il gesto volgare di farsi trovare con il cazzo in fuori, e Sandro, il cuoco, sembrava di regola tranquillo, almeno in quei giorni. Ma accadde qualcosa: quel tipo, l’amico del padrone, tornò a far visita a Eliza, stavolta con più strafottenza. ― Tu, vieni qua! ― le disse, prendendola per il collo e portandola a un angolo della cucina dove non potevano essere visti. ― Ti credi tanto figa, vero? Ma non lo sei, sei solo una troietta! ― Nno, io non ssono come dice! ― Eliza era spaventata. ― Tutte così, fate! Su, fammi una sega, bella rumena! ― No, no! ― Su, su! ― L’uomo prese la mano di Eliza e se la portò nei pantaloni. ― Vuoi che parlo col padrone? Lo sai che siamo amici da trent’anni? Eliza fu obbligata a non reagire. Infilò la mano nella patta dei pantaloni dell’uomo e prese la sua cappella già durissima. Lo masturbò, d’altronde aveva già imparato a fare certe cose in Romania, non era una ragazza illibata. Ma farlo in quella situazione non era per nulla piacevole. Mentre muoveva su e giù la mano sul membro duro dell’uomo, sentiva la mano di lui farsi largo tra le cosce e le natiche, con le dita cercavano di entrare nella vagina e nell’ano Finì in un bagno di sperma: la mano di Eliza era completamente zuppa di roba bianca. L’uomo si rivestì e, senza neppure ringraziare, se andò a parlare col padrone. Dopo neanche un mese dal suo arrivo in Italia, aveva già capito come funzionavano le cose: lei era solo una piccola donna alle prese col potere maschile. In parte se ne poteva approfittare, ma non sempre; alle volte era il mondo ad approfittarsi di lei.
Un’opportunità del genere non sarebbe ricapitata, Eliza lo sapeva; il lavoro, poi, era tranquillo; fare la cameriera in Italia non sarebbe stato difficile, e quel posto era sicuro avendo lavorato la sua mamma prima di lei nello stesso ristorante. Col passare dei giorni, però, il padrone del ristorante iniziò ad assumere alcuni atteggiamenti ambigui. Eliza se ne accorse quando lui le sussurrò, una sera: ― Lo sai che sei sprecata a fare la cameriera? Io ti vedrei bene a organizzare eventi. Per il mio ristorante, s’intende. Lei sorrise all’idea di essere stata apprezzata; poi notò qualcosa che non le piacque. Lui la stava squadrando dalla testa ai piedi: lei indossava un paio di sandali con zeppe di legno, vista anche la statura non elevata; nel suo metro e sessantasei si esaltavano le forme femminile: i seni sodi, non troppo grandi, stretti in una maglietta aderente e comoda; il fondoschiena, poi, sporgeva dai jeans attillati e le donava ancor più femminilità. Era un piacere per gli occhi, anche nell’incavo delle clavicole, e nel collo femminile, nella gola morbida, che molti uomini avrebbero voluto assaporare. ― Mi fa piaccere ― disse lei, con l’accento che ancora faceva notare la sua provenienza rumena. ― Io sson contenta, ssignor. Lui le sorrise per un istante, poi tornò serio e sospirò: ― Ah, Eliza , Eliza… che devo fare con te? Non sai sfruttare le tue doti. ― E come posso ffare? ― chiese lei, sperando di non sbagliar troppo a parlare italiano, una lingua che conosceva ancora poco. Lui le girò intorno, le guardò il piccolo sedere sporgente, e chiese: ― Perché non ti vesti un po’ meglio? ― Sì, ssignor, però non ho vestiti ffamosi, io non… ― Ma cosa c’entra!? ― proruppe lui, quasi irritato. ― Intendo dire che ti devi vestire un po’ più femminile! Ce l’hai una gonna? Hai delle belle gambe, scommetto… ― Non… non sso… penso di ssì… ― E allora domani mettiti una gonnellina, d’accordo? ― concluse ridacchiando, e dando una pacca lenta, affettuosa, quasi insinuante sul culetto di Eliza. Lei non disse nulla, ma iniziò a sospettare che il padrone potesse avere un qualche doppio fine. Nei giorni seguenti, Eliza si ambientò sempre di più all’interno del locale; i clienti erano cordiali, e solo qualche volta tentavano approcci di natura sessuale. Ma era una cosa naturale – si ripeteva – in ogni angolo del mondo. Quello che era cambiato, però, era l’atteggiamento del padrone. Dopo aver insistito con Eliza per farle indossare abiti più succinti, l’uomo iniziò a darle indicazioni su come muoversi. Era ora di pranzo, e i clienti scarseggiavano; inoltre, dopo un primo di pasta o un secondo di pesce, subito ordinavano il conto, rinunciando a dolce o altri sfizi. L’unica attrazione che sembrava poter cambiare le sorti di quella giornata era Eliza: la ragazza indossava dei pantaloncini corti di jeans, aderenti, capaci di esaltare il suo fondoschiena ma anche di lasciar intravedere le cosce e le natiche nude. Era un piacere per gli occhi: le sue belle gambe, snelle per natura, allenate, si esaltavano nella loro pelle liscia, e i piccoli piedi andavano a incastrarsi in un paio di zeppe che, con questo abbigliamento, rendevano molto di più che nei primi giorni. ― Eliza, Eliza…! ― si lamentò il padrone. ― Cazzo, datti una regolata! ― Cossa ho fatto, ssignor…? ― chiese lei, sinceramente stupita. ― Ma non te n’accorgi che quelli ti sbavano dietro! Vogliono le chiappe sode che hai! ― e dicendole questo, il padrone le andò a palpare il sedere, indugiando però più del dovuto; non era una semplice indicazione, se ne stava davvero approfittando, e non vi furono più dubbi quando, con le dita, andò a infilarsi nell’apertura posteriore dei pantaloncini, arrivando quasi a toccare il suo buchetto anale. ― Ma cossa fa…!? ― reagì lei. ― Su, non fare la snob, per cortesia! ― Ma io no troione! Il padrone sorrise. ― Allora lo sai l’italiano, eh? Brava, brava! ― e le prese un capezzolo con le dita, strizzandolo. ― Ma no, io no! ― Vai, vai! ― la spinse lui verso la sala. ― Un po’ di allegria, Eliza, o ti rispedisco in Romania a calci nella fregna! Eliza ci provò: entrò in sala cercando in qualche modo di provocare, prima sculettando, poi fermandosi ai tavoli con le caviglie incrociate, mettendo in risalto la bella forma dei polpacci lisci e il dorso del piede. E fu proprio su quest’ultimo che un cliente, solitario, un po’ squallido alla vista, indugiò. ― ‘Mazza, bei piedi, teso’! ― ridacchiò questo. Dall’accento sembrava un romano. ― A Roma ‘e pischelle come te ‘n ce stanno da ‘n po’! Da ‘ndo vieni? Russia? Ucraina? Eliza provò a sorridere. ― Io Romania. ― A-Ah! Davvero!? M’hanno detto che in Romania so’ tutte mignotte, te che dici? Ce sei ‘n po’ mignotta? Eliza si sentì ferita, umiliata nel profondo, lei che era lì per darsi da fare. Restò muta, paralizzata. Il romano allungò una mano e finì per prenderle una coscia, accarezzandola e stringendola. Lei prima tacque, poi si scostò, quasi gridando, attirando anche l’attenzione degli altri clienti. Il padrone entrò in sala. Quando capì la situazione, si scagliò contro il cliente romano: ― Esca subito fuori dal mio locale, villano! ― Sì, sì, me ne vado! Calabresi de merda, co’ tante italiane brave, voi andate a pija’ ‘ste troie rumene! Eliza si sentì meglio: era stato il padrone, in apparenza burbero e approfittatore, a salvarla. Quando tornò in cucina, però, la situazione si rivelò per quel che era. ― Sei una povera idiota! ― gridò il padrone. ― Ti diverti a farmi fare le figuracce!? ― Ma è stato lui a… ― Lui un cazzo! Il cliente ha sempre ragione! E poi di che ti lamenti se vai in giro vestita come una puttanella!? Le schiaffeggiò le cosce, le toccò i seni. ― Guarda che roba! Ma vai, va’… ― concluse, uscendo dalla cucina. Eliza iniziò a piangere. La sua avventura in Italia si stava rivelando più difficile del previsto. A un tratto, una voce cercò di consolarla: ― Non ti preoccupare, pare un coglione, lo so, ma è un brav’uomo: perlomeno paga puntuale! A parlare era stato Narmen, un egiziano alto quasi due metri pizzaiolo nello stesso locale ― G-Grazie… ― sospirò Eliza, asciugandosi le lacrime. ― Figurati. ― L’egiziano, insieme ad un terzo ragazzo che faceva il lavapiatti dividevano con Eliza un piccolo appartamento di servizio che il proprietario del ristorante metteva a disposizione dei suoi dipendenti. ― Vieni da me, dopo? ― le chiese. Lei gli sorrise. Alla fine del turno, Eliza andò nella stanza di Narmer. Il tipo era sembrato cordiale. La ragazza era passata prima nella propria camera, per togliersi i vestiti che sapevano di pesce; indossò un vestito corto, carino, che le arrivava alle ginocchia, a fiori: un misto di innocenza e sensualità. Poi un paio di sandali bianchi, si spruzzò un po’ di profumo e andò a bussare alla camera di Narmer. ― Entra, mia dolce Eliza! ― gridò una voce. Era la prima volta che Eliza visitava la camera del suo coinquilino e collega. Era ordinata, almeno in apparenza. Ma poi… ― Oddio! Ma cossa tu fai…? Narmer era seduto sul letto, fumava una sigaretta e guardava la televisione. Nulla di strano, non fosse per il fatto che aveva l’uccello di fuori, un grosso pene in completa erezione. ― Io vvado vvia! ― Ma no, Eliza! ― scoppiò a ridere Narmer. ― Era uno scherzo! Sono naturista, non lo sapevi!? ― e scoppiò a ridere un’altra volta, correndo dietro alla ragazza. Le piaceva vederla col vestito a fiori che svolazzava, lasciando intravedere le natiche coperte solo dalle mutandine. ― Ma sei matto !!!!! Che fai nudo ― strillò Eliza. La ragazza era rimasta turbata alla vista della grossa verga eretta dell’uomo di colore. Da quella sera, Eliza iniziò a essere più maliziosa durante il servizio. Aveva capito come funzionavano le cose, e voleva farsi rispettare. La cosa iniziò a dare i suoi frutti. ― Ciao, bella… ― le mormorò una sera un vecchio. ― Che bella cameriera che mi è capitata! Lei, che portava una minigonna nera e un paio di sandali che lasciavano i piedi quasi nudi, si avvicinò al cliente e gli respirò in faccia, dicendo: ― Le porto il docce, signor? ― Oh, il dolce? E che dolce mi porti? ― chiese allungando la mano, ma Eliza la scacciò, ridendo. Quello e altri clienti le fruttarono la bellezza di cinquanta euro di mance. Già, era proprio quello il modo giusto di lavorare. Col passare dei giorni, Eliza si accorse di essere diventata più fredda e cinica. Non era certamente una ragazza cattiva, ma certi atteggiamenti del padrone, dei colleghi e dei clienti l’avevano obbligata a cambiare strategia: adesso era capace di provocare a suo vantaggio, per quanto, in realtà, si limitava solo all’abbigliamento. Al padrone bastava questo, e così smise anche di importunarla con toccatine e altro. La situazione degenerò quando, al ristorante, arrivarono a cena alcuni vecchi amici calabresi del padrone. Appena videro Eliza, iniziarono a mormorare, e poi a farle complimenti. ― Hai delle belle cosce, signorinella! ― Cavolo, questa dobbiamo portarla in televisione! Vieni qua, fatti vedere bene! ― E uno di questi allungò una mano, riuscendo a infilarla sotto la gonna. Eliza si bloccò, e arrossì. Non poteva permettersi di mandare a quel paese il cliente, visto che era un amico del padrone. Restò ferma, sperando che nessuno potesse vedere quel gesto imbarazzante di cui era vittima. La mano dell’uomo era proprio sotto la sua gonna, con le dita sulle sue mutandine. Ancora un piccolo movimento e le avrebbe potuto infilare un dito nell’inguine. ― S-Scussate, devo andare, sala cucina, io… Risero tutti. Il tipo invadente le diede un pizzicotto alle labbra vaginali, poi la lasciò andare. Eliza era diventata tutta rossa. Si rifugiò in cucina, dove restò a piangere per un po’. La situazione sembrò migliorare il giorno seguente. Il padrone non disse nulla a proposito dell’incidente; Narmer non aveva più ripetuto il gesto volgare di farsi trovare con il cazzo in fuori, e Sandro, il cuoco, sembrava di regola tranquillo, almeno in quei giorni. Ma accadde qualcosa: quel tipo, l’amico del padrone, tornò a far visita a Eliza, stavolta con più strafottenza. ― Tu, vieni qua! ― le disse, prendendola per il collo e portandola a un angolo della cucina dove non potevano essere visti. ― Ti credi tanto figa, vero? Ma non lo sei, sei solo una troietta! ― Nno, io non ssono come dice! ― Eliza era spaventata. ― Tutte così, fate! Su, fammi una sega, bella rumena! ― No, no! ― Su, su! ― L’uomo prese la mano di Eliza e se la portò nei pantaloni. ― Vuoi che parlo col padrone? Lo sai che siamo amici da trent’anni? Eliza fu obbligata a non reagire. Infilò la mano nella patta dei pantaloni dell’uomo e prese la sua cappella già durissima. Lo masturbò, d’altronde aveva già imparato a fare certe cose in Romania, non era una ragazza illibata. Ma farlo in quella situazione non era per nulla piacevole. Mentre muoveva su e giù la mano sul membro duro dell’uomo, sentiva la mano di lui farsi largo tra le cosce e le natiche, con le dita cercavano di entrare nella vagina e nell’ano Finì in un bagno di sperma: la mano di Eliza era completamente zuppa di roba bianca. L’uomo si rivestì e, senza neppure ringraziare, se andò a parlare col padrone. Dopo neanche un mese dal suo arrivo in Italia, aveva già capito come funzionavano le cose: lei era solo una piccola donna alle prese col potere maschile. In parte se ne poteva approfittare, ma non sempre; alle volte era il mondo ad approfittarsi di lei.