MarcoValerio
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1983. ho 9anni e vivo nel paese più forte del mondo in virtù del Mondiale vinto l'anno prima. Nada canta Amore Disperato a Domenica In e mio padre se la mangia con gli occhi mentre sul tappeto del salotto i nordisti Playmobil inseguono gli indiani Playmobil sotto lo sguardo perplesso di armigeri, poliziotti e persino uno spazzino, sempre Playmobil; mia madre, al telefono da venti minuti con Zia Alessandra, la sorella minore di mio papà, mi dice qualcosa su Villeggiatura/campagna/paesino piccolopiccolobellobello, ma è appena partita la sigla di novantesimo minuto e la mia attenzione è concentrata sulla tv, si fottano pure indiani e nordisti.
Inizio qui il mio primo racconto di fantasia con qualche spruzzata di realtà, è passato tanto tempo ed è tutto confuso... sarà breve, poche puntate scritte quando e come posso, quindi Vi chiedo di portare pazienza con un dilettante svogliato come me. Bene, se ne avete voglia partiamo
Viviamo in un piccolo centro della Riviera Ligure, i miei brave persone e grandi lavoratori, denaro qualcosina tendente al poco, ma in quegli anni si campa bene e qualche sfizio i miei se lo tolgono, anche se non possono smettere di lavorare per vacanze di un mese, come altri fanno; quell'anno però mia zia Alessandra e mia nonna hanno voglia di aria fresca e decidono di affittare delle stanze in una grossa casa al confine con il Piemonte: è una borgata di una ventina di case abitate permanentemente solo da vecchi, ma figli e nipoti e "villeggianti" estenuati dalla calura e dall'umidità della pianura Piemontese o dai porti della Riviera salgono lì in estate per dormire con una copertina e scansare l'afa notturna, in inverno per caccia, funghi e castagne (e vino).
Il borgo, che chiamerò Bricco, sarebbe ottimo oggi come ambientazione di una serie su sopravvissuti all'apocalisse zombi: unica via d'accesso, stradina tortuosa di un paio di km dal paese vicino, anch'esso buco di culo nel nulla, ma con chiesa, alimentari, macellaio, tabaccheria, edicola, due bar e altrettante trattorie. Pure locanda, distributore e un dottore: tipo Miami, insomma.
A Bricco, invece niente. Aie di vecchie case contadine, Bosco, orti, bosco, prato, bosco, rocce, bosco.
Arriviamo lì perché ci è nato zio Silvano, il marito di zia Ale. alto, forte come solo i contadini possono essere, esuberante, cocciuto, rumoroso. Ignorante, inizia con duri lavori di fatica, scuole serali, diploma, concorsi, scala posizioni dove lavora e arriva a un posto d'ufficio, camicia cravatta e mocassini; ma quando torna in campagna esce fuori quello che è veramente: un satiro; i sui interessi funghi, cibo, vino, musica da balera e FICA. Ovviamente maiuscolo, non pensa ad altro. Se vi aspettate che io abbia combinato qualcosa con sua moglie, zia Ale, non se ne parla proprio: simpatica, brava, le volevo un gran bene, ma brutta come il peccato, solo zio Silvano l'ha toccata, ma presto è passato a cercare di chiavarsi qualsiasi altra femmina senza distinzione d'età.
Arrivati in questa casa in autunno, conosciamo i proprietari, una coppia di Piemontesi di pianura: Lui, Oreste, circa 50 anni portati male, piccolo, nerboruto, gretto, furbo per far soldi commerciando qualsiasi cosa, dalle vacche alle macchine agricole all'oro; sempre in canottiera e vestiti da poco, piange miseria con 6 case di proprietà e annega la sua voglia di altri soldi nel vino.
E lei, Adua. Viso dai lineamenti strani, bella no, ma manco brutta, capelli fatti dalle vicine del borgo, quindi male, 12 anni meno del marito e un corpo un poco sovrappeso ma con incredibili forme giunoniche: un gran culo, pieno, largo, ondeggiante e delle tettazze meravigliose strette nei reggiseni da contadina, quinta o sesta, pesanti, imponenti, tiravano i maglioncini stretti e gli occhi di tutti a fantasticare su come potessero essere i capezzoli nascosti là sotto. Esagerando un po', una Serena Grandi meno bella e curata con più burro sulle cosce e vestiti dozzinali che la castigavano eccessivamente, matronale, pia, religiosa. E una voce calma, suadente, accento piemontese del sud, con occhi attenti a tutto, astuta sotto l'aria sorniona...
Signori, fatemi sapere che ne pensate, e se è il caso di continuare. Risponderò appena possibile. Buona fica a tutti
Inizio qui il mio primo racconto di fantasia con qualche spruzzata di realtà, è passato tanto tempo ed è tutto confuso... sarà breve, poche puntate scritte quando e come posso, quindi Vi chiedo di portare pazienza con un dilettante svogliato come me. Bene, se ne avete voglia partiamo
Viviamo in un piccolo centro della Riviera Ligure, i miei brave persone e grandi lavoratori, denaro qualcosina tendente al poco, ma in quegli anni si campa bene e qualche sfizio i miei se lo tolgono, anche se non possono smettere di lavorare per vacanze di un mese, come altri fanno; quell'anno però mia zia Alessandra e mia nonna hanno voglia di aria fresca e decidono di affittare delle stanze in una grossa casa al confine con il Piemonte: è una borgata di una ventina di case abitate permanentemente solo da vecchi, ma figli e nipoti e "villeggianti" estenuati dalla calura e dall'umidità della pianura Piemontese o dai porti della Riviera salgono lì in estate per dormire con una copertina e scansare l'afa notturna, in inverno per caccia, funghi e castagne (e vino).
Il borgo, che chiamerò Bricco, sarebbe ottimo oggi come ambientazione di una serie su sopravvissuti all'apocalisse zombi: unica via d'accesso, stradina tortuosa di un paio di km dal paese vicino, anch'esso buco di culo nel nulla, ma con chiesa, alimentari, macellaio, tabaccheria, edicola, due bar e altrettante trattorie. Pure locanda, distributore e un dottore: tipo Miami, insomma.
A Bricco, invece niente. Aie di vecchie case contadine, Bosco, orti, bosco, prato, bosco, rocce, bosco.
Arriviamo lì perché ci è nato zio Silvano, il marito di zia Ale. alto, forte come solo i contadini possono essere, esuberante, cocciuto, rumoroso. Ignorante, inizia con duri lavori di fatica, scuole serali, diploma, concorsi, scala posizioni dove lavora e arriva a un posto d'ufficio, camicia cravatta e mocassini; ma quando torna in campagna esce fuori quello che è veramente: un satiro; i sui interessi funghi, cibo, vino, musica da balera e FICA. Ovviamente maiuscolo, non pensa ad altro. Se vi aspettate che io abbia combinato qualcosa con sua moglie, zia Ale, non se ne parla proprio: simpatica, brava, le volevo un gran bene, ma brutta come il peccato, solo zio Silvano l'ha toccata, ma presto è passato a cercare di chiavarsi qualsiasi altra femmina senza distinzione d'età.
Arrivati in questa casa in autunno, conosciamo i proprietari, una coppia di Piemontesi di pianura: Lui, Oreste, circa 50 anni portati male, piccolo, nerboruto, gretto, furbo per far soldi commerciando qualsiasi cosa, dalle vacche alle macchine agricole all'oro; sempre in canottiera e vestiti da poco, piange miseria con 6 case di proprietà e annega la sua voglia di altri soldi nel vino.
E lei, Adua. Viso dai lineamenti strani, bella no, ma manco brutta, capelli fatti dalle vicine del borgo, quindi male, 12 anni meno del marito e un corpo un poco sovrappeso ma con incredibili forme giunoniche: un gran culo, pieno, largo, ondeggiante e delle tettazze meravigliose strette nei reggiseni da contadina, quinta o sesta, pesanti, imponenti, tiravano i maglioncini stretti e gli occhi di tutti a fantasticare su come potessero essere i capezzoli nascosti là sotto. Esagerando un po', una Serena Grandi meno bella e curata con più burro sulle cosce e vestiti dozzinali che la castigavano eccessivamente, matronale, pia, religiosa. E una voce calma, suadente, accento piemontese del sud, con occhi attenti a tutto, astuta sotto l'aria sorniona...
Signori, fatemi sapere che ne pensate, e se è il caso di continuare. Risponderò appena possibile. Buona fica a tutti