Racconto di fantasia Zia Cristina

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ZIA CRISTINA

PROLOGO – LA LEGGENDA

Leggenda vuole che quando sono nato per qualche giorno mia zia Cristina mi tenne il broncio. La leggenda poi è il classico racconto romanzato del periodo che viene fuori durante i rari incontri di tutta la famiglia o più spesso, ogni anno, il giorno del mio compleanno, dalla bocca di mia madre, cui questo episodio la diverte ancora tantissimo.

Qualche giorno prima, la vigilia di Natale prima del parto, mia nonna, con zia Cristina al seguito, si era trasferita dai miei per poter assistere meglio la sua figlia maggiore darle il suo primo nipote. Mio nonno non c’era già più da un paio d’anni. L’altra mia zia, la figlia “di mezzo”, anch’essa sposata, viveva come nonna nelle Marche ma era venuta a casa nostra con il marito solo tra la Vigilia e Santo Stefano e non si erano trattenuti oltre. Il parto era previsto per il 29 dicembre ma mi sono fatto attendere. Zia Cristina all’epoca aveva dodici anni.

Sono nato il 2 gennaio. I miei capi di accusa, agli occhi di mia zia erano:

  • L’aver interrotto le sue vacanze da scuola e averle annullato quel periodo di chiacchiere preadolescenziali senza impegni scolastici con le amiche del paese dove viveva per trasferirsi provvisoriamente da noi a Milano.
  • Minacciare con il mio arrivo l’equilibrio familiare dato che fino ad allora era stata lei la piccolina di famiglia.
  • Nel momento in cui è incominciato il travaglio e i miei sono dovuti andare in ospedale, non c’era stato modo di lasciare ad attendere a casa sua madre, mia nonna, e lei di conseguenza. Cosi in 4 erano partiti alla volta dell’ospedale non permettendo a lei di finire l’episodio di Smallville che stavano trasmettendo in quel momento. Non lo avessi mai fatto!
Inoltre il suo compleanno sarebbe stato da li a pochi giorni e se non fosse rientrata a casa per quella data niente festeggiamenti. Ipotesi rara perché comunque lei per l’otto di gennaio sarebbe dovuta essere giù per ricominciare la scuola, e mia nonna su questo era categorica, ma nella sua testa da dodicenne questo non era chiaro.

Ci avevo messo del mio per non farmi volere bene: i due giorni seguenti la mia nascita ogni qualvolta era orario di visita e lei e mia nonna si presentavano in stanza io ero nella culla a dormire, come un sacco di patate, senza alcun accenno di reazione agli stimoli, così a lei risultavo inutile come inutile come un bambolotto, perché ormai aveva superato quella fase.

L’amore è sbocciato all’improvviso: il giorno dopo che sono rientrato a casa mia mamma le ha chiesto se voleva tenermi in braccio, mi ha posto dolcemente su di lei e si è sciolta in un pianto liberatorio, un pianto di felicità. Non mi lasciava mai nei giorni successivi, mi cullava di continuo, anche più dei miei stessi genitori e ha millantato anche, ma qui nessuno ne ha mai avuto le prove, le avessi abbozzato un sorriso. Più probabilmente era una smorfia della bocca, ma lei voleva credere fosse un gesto di affetto nei suoi confronti e in quel momento nessuno poteva contraddirla. Il 7 gennaio, quando lei e mia nonna dovettero ripartire per le Marche furono lacrime.

1 – CRISTINA

Non ho grandi ricordi dei primi anni, più che altro posso aiutarmi con le foto. Mi ricordo che per qualche anno è sempre venuta con noi in montagna dieci giorni d’estate. Tra i 2 e i miei 5 anni mia nonna spediva a mia madre la sua gestione adolescenziale e mia madre affidava a lei la maggior parte della mia gestione. Mi faceva giocare e a sua volta giocava a fare la mamma. Ovvio che crescendo non è più voluta venire con noi, aveva altri giri l’estate, voleva passarla insieme agli amici, al ragazzo, il suo primo ragazzo che aveva dall’età di 16 .

C’è stato qualche anno in cui l’ho vista poco, magari solo per brevi periodi durante le festività di Natale o Pasqua, ma nel mio essere bambino era sempre una festa.

Complice l’emancipazione dei miei che volevano tornare a viaggiare senza figlio a carico, dagli 8 anni venivo spedito l’estate da mia nonna una quindicina di giorni e li c’era lei.

Dodici anni di differenza non sono pochi, non avevo più tutta la sua attenzione come prima, però per quanto agli inizi rognassi tutti gli anni per quei quindici giorni trattato come un pacco postale, quei periodi alla fine erano più che piacevoli grazie a lei. Mia nonna abitava in un paesino di poche anime nell’entroterra marchigiano, mezz’ora dal mare ma già in preappennino, non c’era granché da fare. Io passavo le mie giornate tra compiti delle vacanze e aiutare mia nonna nel suo orto. Se ero fortunato venivo “rapito” da mia zia. Non che Cristina amasse trascinarsi dietro un ragazzino, ma capiva un po’ la mia noia. Mi portava in giro per il paese, mi faceva stare in camera sua con lei mentre studiava, oppure, più raramente e non i primi anni otteneva l’ok di nonna per portarmi al mare con gli amici e le amiche. E zio Teo. Perché il ragazzo che sentiva al telefono ossessivamente tutte le sere alle 19 l’ultimo anno che era venuta in vacanza con noi era sempre il suo ragazzo e ormai erano coppia più che stabile. Una volta, uno di quegli anni, mi ricordo mi avesse detto che quando si fosse sposata con lui (non usava il se dandolo per scontato) se fossi stato maggiorenne mi avrebbe fatto fare da testimone, ma che sperava in fondo di riuscire a sposarsi prima dei suoi trent’anni.

Per le sue amiche ero una specie di orsacchiotto da mettere in imbarazzo, per i suoi amici un ragazzino indifferente, per zio Teo uno con cui non poteva alzare la voce ma con cui si divertiva a far notare quanto fosse figo.

E a me quella situazione stava anche bene, parecchie volte sono anche rimasto solo con loro e mi sentivo a mio agio mentre loro giocavano a fare i finti genitori.

La sera, a cena, zia era tutta per me. Io, lei, mia nonna ovviamente. Mi spiaceva quando, il più delle volte a dire il vero, finita la cena lei usciva di nuovo e io avevo il veto a farlo da mia nonna. Se rimaneva a casa però passavo la serata con lei, in estasi. Guardavamo film o passeggiavamo per il quartiere, e non perdeva occasione anche lei per imbarazzarmi chiedendomi di ragazze.

Io avevo una cotta per lei, ma diciamocelo, chi non ha mai avuto una cotta per la zia, la cugina, la vicina di casa piĂą grande? Ci convivevo.

Per un po’ ha anche vissuto da noi. Aveva 22 anni, io 14. Tre mesi difficilissimi. Lei studiava medicina e fu spinta dalla famiglia a fare un corso in lingua inglese che dava certificazioni ulteriori al percorso che stava facendo. In realtà ho sentito più di una volta mia madre e mia nonna parlare e dirsi che poteva essere una buona occasione per farle capire che in una città come quella dove vivevamo noi avrebbe avuto molte più opportunità che nell’appennino marchigiano.

Finito il corso Cristina tornò come previsto al suo paese natale, non prese mai in considerazione l’idea di trasferirsi, sarebbe stata troppa la lontananza da Teo. Io però conservo ancora un vivido ricordo di quel periodo, la difficoltà a dividere il bagno con lei, cercare di spiare, senza riuscirci, quel poco che si poteva vedere, godere della sua compagnia. Risultato: un’alta attività di masturbazione lato mio in quel periodo. Erano gli albori di Facebook, prendevo il tablet di casa, non avevo un account ma tanto mia madre aveva aperto il suo profilo, andavo su quello di zia Cri, sceglievo la foto che più mi attizzava in quel periodo e via di mano.

Io ho fatto le mie vacanze da nonna fino ai 16 anni, e da quindici giorni eravamo arrivati a una villeggiatura di quasi due mesi, ma più cresceva l’età più le distanze con zia aumentavano. Io adolescente chiuso avevo poco da dire, lei, più vicina ai trenta che ai venti, faceva sempre meno vita da casa ed era spesso in giro. Non abitava più nemmeno da mia nonna ma aveva acquistato un appartamento a circa 1 km di distanza sempre nel paese. Lavorava in un ospedale nella cittadina li vicino, con turni che non ho mai ben capito, e l’ultimo anno l’avevo vista poco. Così dall’anno successivo implorai i miei di non mandarmi giù ad annoiarmi ma li convinsi a farmi fare una vacanza studio. Non nego però che mi fece estremo piacere il messaggio di fine estate di mia zia, dopo parecchio che non ci sentivamo, dove mi diceva che era dispiaciuta non fossi sceso quell’estate. L’estate successiva fu la stessa cosa.

Quando quell’anno fui obbligato a tornare a passare un periodo a tempo indeterminato da mia nonna, dopo l’esame di maturità e una breve vacanza in Riviera con gli amici. Non ero per nulla contento. Mia nonna si era rotta il femore, aveva ripreso a girare con la stampella ma non era del tutto autosufficiente, cosi i miei, dato che ormai tutti in famiglia lavoravano, potessi essere un’alternativa economica al prendere una badante a ore. Volevo bene a mia nonna, mi misi il cuore in pace. Per quanto riguarda zia non so quanto l’avrei vista e come l’avrei trovata. Quell’anno non si era presentata nemmeno a Natale e Pasqua. Da noi a Natale perché non aveva incastrato bene le ferie, a Pasqua perché in viaggio di gruppo organizzato. Era un anno e mezzo in pratica che non la vedevo di persona. Zio Teo non c’era più nella sua vita. Già, zio Teo, quello che le aveva giurato amore eterno fino dai 16 anni, due anni prima, dopo due anni di convivenza, si era fatto beccare a letto con un’altra ragazza e si scoprì poi che la storia andava avanti già da almeno un paio di anni. Che coglione! Mia zia ci stette male, lo sapevo, fui abbastanza fifone nel non farmi vivo in quel periodo, nemmeno una parola di conforto. Seppi poco dopo che aveva avuto, credo come reazione chiodo schiaccia chiodo, una breve relazione di qualche mese con un uomo ultraquarantenne, conosciuto nel suo ambiente. Ma anche li non andò avanti. Mia zia era single quell’estate, non che io mirassi a qualcosa ma almeno sono partito con l’ambizione potesse dedicarmi un po’ più del suo tempo.

Zia Cristina è bella. Lo è sempre stata. E’ semplice e complessa allo stesso tempo. Ha un fisico longilineo, quasi secco alle scapole ma due bellissime gambe tornite. Il viso un po’ scavato ultimamente ma occhioni marroni brillanti e un viso ovale con il mento appena appuntito. Ha sempre portato i capelli lunghi e lisci, capelli biondo caldo e ne ha sempre avuto cura. E’ sempre stata stilosa. Forse è per quello che ho sempre seguito i suoi consigli in fatto di moda, perché la vedevo fine ed elegante, sempre in linea con i canoni della sua età. Eleganza che in quel contesto di paese chiuso stona un po’ e non so proprio come abbia fatto a diventare cosi, ma meglio. Tutti gli uomini nelle occasioni di famiglia hanno sempre avuto un occhio di riguardo per lei, trattandola come una principessa e immaginando certe cose. Anche mio padre.

Mai avrei pensato che quell’anno avrei perso la mia verginità. Con lei.



2 – SULLA SUA PELLE

Effettivamente fino a quel momento avevo molto più tempo a disposizione da passare con lei. Con l’uscita di scena del compagno, la necessità di supporto derivante dall’infortunio di nonna, compatibilmente con i suoi impegni in ospedale, la vedevo spesso. La sera sempre se non era di turno, veniva, cucinava, stava un po’ con noi. Se non poteva allora era già passata nel pomeriggio a lasciare tutto pronto. Dolce e affettuosa come non mai solo nel weekend frequentava gli amici, per un attimo di svago. Qualche volta ci portò anche me, ma non era il mio ambiente, loro tutto lavoro e vita sociale, mi sentivo un po’ emarginato.

Mi fece fare anche figuracce con ragazze della mia età, cioè mi spronava ad approcciarle, ma io, affetto da timidezza cronica, mi rifiutavo di andare la a presentarmi. Così lo faceva lei per me, o qualche sua amica. Passavo quindi fin dal primo secondo ad essere considerato un imbranato e in più dopo quattro parole non sapevo già più che dire. Un fallimento totale con le donne.

A masturbazione però andavo forte, e strano a dirlo, lei non era nei miei pensieri. All’epoca pensavo a Tania, la mia compagna di classe e a Desirèe, una ragazza della mia scuola ma più piccola, della quale mi accontentavo di avere l’amicizia sui social.

Credo che alla fine sia tutta colpa di mia nonna. Il primissimo contatto, la parte più alta di quel piano inclinato. E’ stata lei in fondo a chiedermi di andare da zia a portarle un avanzo del nostro pranzo al ritorno dalla sua mattinata in studio. Era un innocuo Martedì di metà luglio, io ero li da poco più di due settimane. Alle 14, sotto il sole cocente, sono arrivato a casa sua, ma lei non era ancora arrivata. Zia abitava in una villetta semplice, stile anni 80 con un piccolo giardinetto.

Mia nonna l’aveva avvertita che le avrei portato il pranzo cosi non si sarebbe dovutq adoprare a prepararlo rientrando dal turno ma ciò nonostante un piccolo imprevisto non le aveva permesso di arrivare all’orario pattuito. Non passarono più di dieci minuti che la vedi risalire la strada con la sua Panda ormai a fine vita. Vidi il cancello aprirsi e lei passarci attraverso nascosta dietro a dei grandi occhiali da sole. Mi accolse con un grande sorriso urlando “il mio salvatore”. Consegnai la borsa con il cibo che mi aveva dato nonna e la salutai. “Che fai” mi disse “Entra su”.

Era la prima volta che entravo in quella casa, l’avevo sempre vista da fuori e lei sempre mi aveva detto che sarei dovuta andare a vederla, ma non si era mai concretizzato nei giorni precedenti. L’aveva arredata bene, con gusto.

Era stanca, lo si vedeva in faccia, aveva attaccato il turno alle 6 ma veniva da un tour de force dei giorni precedenti decisamente notevole.

Eravamo seduti a tavola, mentre lei mangiava i ravioli scaldati mi offrì e obbligò in pratica a servirmi un goccio di coca dal bottiglione già aperto. E intanto parlavamo, passavamo diversi argomenti, dalla giornata, all’università che avevo scelto, alle notizie del paese e dei tg. Nulla di nuovo.

Mi proposi io di farle il caffè, l’unica cosa che forse sapevo fare. Ne approfittò per sedersi sul divano. Si era tolta le sue sneakers bianchissime e si era infilata un paio di infradito. Per il resto aveva una semplicissima canotta bianca e dei jeans strappati. La pelle era rosea e si vedevano un po’ di lentiggini sul petto. Per quanto prendesse il sole era sempre stata una con la carnagione chiara e tendeva più a scottarsi che ad abbronzarsi.

Mentre preparavo il caffè la vedevo, seduta dritta sul divano, quasi in meditazione, con gli occhi chiusi.

“Ti ricordi” mi disse “quando eri piccolo e venivi d’estate qua” che quando c’era anche Teo ti improvvisavi fisioterapista?

Me lo ricordavo eccome! Giocavo e seguivo il calcio durante l’anno e non so perché avevo questa passione e trovavo magico come i fisioterapisti o massaggiatori con uno spray o con un massaggio rimettessero a posto le persone, cosi mi ero illuso di saperli fare senza ovviamente alcuna base tecnica. E Teo e Cristina facevano da cavie, in realtà volentieri perché alla fine gli piaceva la sensazione.

Risi, dissi che ero contento che non le avessi provocato danni alla colonna vertebrale.

“No dai era simpatica come cosa, non ti stancavi mai ahah. Ne sei ancora capace?”

Era un invito a massaggiarla?

“Dai mettiti dietro al divano, proviamo”

Sia inteso, non c’era nessuna malizia nella sua voce, ma divenni comunque rosso in faccia. Mi misi in piedi dietro al divano, inizia a massaggiarle la parte alta della schiena. Era veramente rigida, sentivo i fasci di nervi sotto le mie dita.

Continuai non so quanto, mi facevano quasi male le dita quando mi disse che andava bene così. Mi ringraziò.

Mi chiese che programmi avessi per il pomeriggio, nessuno ovviamente, lei nemmeno, ma un pisolino voleva farselo. Era un invito a lasciare casa sua. “Ci vediamo stasera” mi salutò “passo per cena”.

Arrivò presto, verso le 19.30 e mi propose uno Spritz in giardino. Ho iniziato li forse a vederla con altri occhi, in un contesto famigliare semplice e sereno. Poco importava ci fosse anche mia nonna, la presenza di zia Cristina mi faceva stare bene. Quella sera mi sarei masturbato pensando a lei come ai vecchi tempi.

A cena parlammo degli impegni del giorno successivo, Cristina alle 22 attaccava il turno notturno che sarebbe finito solo alle 6 del giorno dopo. La cosa negativa è che se ne sarebbe dovuta andare presto, la cosa positiva è che il giorno dopo sarebbe stata libera. Fu mia nonna a proporle di portarmi al mare il giorno dopo. “Portalo ammare questo ragazzo” disse mezzo in italiano mezzo in dialetto “E’ qui da due settimane e manco ci è mai andato povero, tanto io da sola ci so stare”.

Il mare distava circa 30 minuti d’auto, sapevo che Cristina era scomoda, significava rifare quasi tutta la strada che aveva già percorso per andare al lavoro, ma disse che era una buona idea.

Partimmo il primissimo pomeriggio. Il viaggio fu un po’ tribolato, tra stradine di collina, Cristina che guidava come una pazza e la Panda senza condizionatore dove entravo a malapena. In spiaggia si tolse il prendisole e rimase in costume. Era qualche anno che non la vedevo in costume, faceva il suo effetto. Le sue gambe magre, le sue tettine sobbalzanti al movimento. Mi chiese di spalmarle la crema protettiva sulla schiena, laddove lei non arrivava. Lo feci abbozzando un massaggio che lei non aveva chiesto. Apprezzò.

“Ma hai fatto qualche corso per imparare a farli?”

“No perché?”

“Sei diventato bravo davvero, potrei chiederteli ogni giorno”

Non fu un pomeriggio di grandi parole, lei distesa a prendere sole, leggere, bagni. Un salto al bar prima di ripartire e alle 20 eravamo a cena da nonna. Bruciacchiati dal sole, io con un tarlo nel cervello.

3 – IL GIOCO DEI MASSAGGI

Quello dei massaggi diventò quasi un rituale.

Tutte le volte che aveva il turno la mattina le portavo il pranzo a casa… e massaggio.

Se era libera, e magari aveva il turno serale-notturno, si andava a mare… e massaggio.

Entrambe le situazioni avevano i loro pro e i loro contro. Al mare avevo accesso a tutta la schiena in pratica, a casa c’era più tranquillità e a suo modo intimità.

Lei mi chiedeva spesso se mi dava noia farli, assolutamente no io rispondevo.

Come dicevo prima la pallina stava giĂ  scendendo dal piano inclinato, e stava acquistando velocitĂ . Almeno questo era il mio punto di vista. E uno dei momenti che con il senno di poi diedero la svolta fu un pomeriggio a casa di zia Cristina, durante il solito massaggio.

Come sempre il suo collo era un fascio di nervi, quel giorno piu del solito. Fu lei a dirmi, quasi con un filo di voce, di provare a scendere nella parte bassa della schiena ma per quanto lei, sempre seduta sul divano, si prostrasse in avanti piĂą di tanto non ce la facevo.

“Aspetta” disse, “sempre se ti va eh” si alzò un secondo in piedi per poi lasciarsi ricadere e sdraiarsi orizzontalmente sul divano.

Per me fu istintivo spostarmi dal lato opposto del divano. L’avevo li davanti a me, distesa, con il viso rilassato, abbozzare un sorriso, con gli occhi chiusi e le braccia dapprima incrociate sotto la testa spostate parallelamente al corpo per eliminare le tensioni della schiena. Comincia a massaggiare, in posizione comunque scomoda, ma con pieno accesso alla schiena.

Non c’era granché di erotico in quella scena. Mi confermò lei più avanti che in quel momento non c’era alcuna intenzione di seduzione, che forse era stata ingenua ma che le pareva innocuo. A me fece effetto invece, ma tenevo ancora a bada i miei ardori.

Non mi accorsi nemmeno che si addormentò. Davvero. Doveva essere seriamente stanca. Quando me ne resi conto mi staccai e stetti per un po’ a girovagare per casa cercando di fare il più assoluto silenzio. Aveva abbassato la tapparella prima perciò nella stanza era scesa una penombra propedeutica al riposo. Non ne vado fiero ma appurato che stesse dormendo mi venne una voglia che non riuscii a trattenere. Andai in bagno, nel suo bagno e, solo perché lo avevo visto nei filmati pornografici, frugai nel cesto dei panni sporchi. Mi faceva un po’ schifo a dire il vero, ma mi sembrava di stare a fare una cosa estrema. Ci trovai due paia di mutandine, ne estrassi una brasiliana viola con alcuni ricami e alcuni lembi in pizzo. La poggia in cima al cesto della biancheria e seduto sulla tazza mi masturbai guardando fisso quelle mutandine.

Per quanto il nuovo step fosse stato superato quella fu l’unica volta che mi masturbai a casa sua.

A dire il vero quella nuova modalità, lei distesa sul divano e io inginocchiato o in piedi a massaggiarla non durò tanto. La volta successiva si mise già direttamente in quella posizione ma non si addormentò. La terza, lo vedevo anche io, la palpebra tendeva a cedere, ma io ero un continuo alzarmi in piedi e abbassarmi. Sussurrò piano “Ti fanno male le ginocchia”. Non era una domanda, era un’affermazione. Aveva capito perfettamente quello che era il mio disagio in quel momento. “Vieni” disse “qui ti farà meno male”. Si alzò con gli occhi ancora mezzi chiusi. Si mosse in maniera buffa, nella sua lunga canotta bianca e pantaloncini, trascinandosi i piedi aperti quasi come una papera verso la sua camera da letto. Vide che non la stavo seguendo, disse di nuovo “Vieni”

Mi fece un cenno con la mano ad indicare di salire sul letto prima di lasciarsi cadere su di esso a peso morto. Io ero un mix tra l’imbarazzato e l’eccitato. Ero nel letto di una donna, di mia zia. Era la prima volta che entravo in quella stanza, me l’aveva fatta vedere si, ma a parte una rapida vista era rimasta taboo. Era piuttosto buio, entrava solo un flebile raggio di sole per colpa di una tapparella che non si chiudeva bene. Lei era distesa nella sua canotta extra large e i suoi shorts, stava già dormendo credo. Mentre toccavo la sua schiena guardavo i dettagli della stanza. Era una camera semplice, un grandissimo armadio, il letto, un paio di comodini e una cassettiera. Su un altro mobiletto era appoggiata la sua borsa e su una sedia il prendisole e la borsa da mare che aveva utilizzato il giorno prima con me.

Continuai a toccarle la schiena anche se si era già raddormentata. La realtà era che continuare a farle i grattini anche quando sonnecchiava non era per dare piacere a lei, ma dava piacere a me. Mi sdraiavo anche io a fianco, come se stessi dormento, ma continuavo a tenere la mano sulla sua schiena muovendola. Non stavo vicinissimo, ma c’era un banale motivo: dovevo stare attento a non farle sentire accidentalmente la mia erezione.

La scena, sempre uguale, si ripeteva praticamente ogni giorno, senza il preambolo del divano. Facevo fatica a tenere a bada le mie emozioni e aspettavo ansiosamente il mio momento preferito, quando lei dormiva e io incominciavo a carezzare. Carezzavo gli stessi punti che avevo massaggiato, sulla schiena, ma presto divenne quasi una sfida, e la mia ambizione era ogni giorno gratificarmi con qualche centimetro in più. Fu cosi che espansi un po’ il territorio di mia competenza, gradualmente, dandomi come regola che se ero arrivato li il giorno prima quel giorno sarei potuto andare leggermente piu in la. Se era sdraiata di pancia avevo meno gioco ma poco mi importava, a qualche cosa dovevo arrivare. Se era girata su un fianco allora era molto piu facile. Ben presto non mi posi più nemmeno problema di stare o meno fuori dalla maglietta, mi piaceva sentire la pelle nuda quindi entravo con la mano sotto per avere il contatto. Mi spingevo fino alle parti piu basse della schiena, al coccige, facevo un leggero solletico alla pancia, mi illudevo che toccare vicino all’ascella fosse un po’ come toccarle il seno.

Poi quando si svegliava tutto finiva, mi ringraziava e io tornavo a casa di mia nonna sapendo che sarei andato in bagno senza nemmeno salutare.

A inizio Agosto lei aveva in programma una settimana di vacanza con un’amica in Grecia. Mi spiaceva ma forse disintossicarmi un po’ mi avrebbe fatto bene mi dicevo. Cazzate, mi sarebbe mancata. Il giorno prima, nonostante fosse già in ferie e perciò più rilassata, non venni a meno alla sua richiesta di massaggino+riposino come diceva lei. Forse perché iniziavo ad essere poco lucido, forse perché ormai era tutto un grattino continuo, forse perchè favorito dalla posizione che aveva assunto, sdraiata di schiena anche se sempre un po’ piu rivolta dalla parte opposta alla mia, che quel giorno, dopo aver messo mano a tutti i centimetri del suo corpo che non avrebbero destato sospetto, osai di piu, avventurandomi con la mano sulla sua pancia. Anche lei aveva una mano poggiata li. Toccai la sua mano con un dito, quasi a cercare complicità, non sortii effetto, cosi sempre più audace e sempre con un solo dito provai ad avventurarmi verso il suo seno. Non aveva tette giganti, una seconda, ma le avevo sempre adorate e mi chiedevo come fosse il capezzolo, anche se con le diverse volte che l’avevo vista in costume, dopo un bagno, un’idea me la ero fatta. Sotto la canotta aveva un reggiseno sportivo. Esplorai la zona con quell’unico dito, mi bastava sentire le sue forme sotto il reggiseno, ebbi un brivido quando arrivai alla parte centrale, tra i due seni, dove c’era piu pelle nuda da toccare. E’ quando provai a scendere dentro il reggiseno, premendo leggermente il seno questa volta con tre dita per ricavarmi lo spazio per entrare che nel silenzio assoluto della stanza riecheggia un “Hey”. Un unico, solo, squillante, verso nella penombra.

Preso con le mani nella marmellata? Come è possibile se fino a un secondo prima dormiva?

Mi staccai di colpo. Lei si mosse nel letto girandosi in pancione e dopo alcuni minuti iniziò a stiracchiarsi e si risvegliò. Ma io quell’”Hey” lo avevo sentito ben distino e deciso, non sdegnato, minaccioso o cattivo ma un po’ severo si. E come era possibile che fosse arrivato proprio nel momento in cui avevo calcato in più la mano? Era sveglia o non lo era?

Credo fossi viola in faccia quando rientrò in stanza dal bagno dove era stata non appena si era tirata su dal letto. Lei invece mi chiese di aiutarla a rassettare il letto e a fare altre due piccole faccende domestiche, con estrema tranquillità, non disse nulla a riguarda, forse non aveva sentito niente e me la ero scampata.

Tornai a casa di nonna sovraeccitato da un lato e ancora preoccupato di aver esagerato. Forse quei giorni di distacco capitavano a fagiolo. La sera passò solo prima di cena per i saluti, non si fermò. Quello mi spiacque.
 
4 - IL VIAGGIO DI CRISTINA

Non pensavo che il distacco fosse cosi difficile. Il primo giorno si fece solo viva con sua mamma per dire che era arrivata a destinazione. Tutto normale, ovvio dovesse dirlo a lei e non a me. Dal secondo giorno però iniziò a salirmi l’ansia. Prima di partire mi aveva promesso mi avrebbe scritto e non si fece viva. Controllavo ossessivamente il suo instagram per vedere le foto di dove fosse e cosa facesse. Contrariamente a quello che postava di solito c’erano solo foto di paesaggi, così scorrevo tutte le foto e battezzavo quella su cui la sera, da solo, in bagno, nella mia intimità, avrei dedicato i miei pensieri e il mio seme. Avevo un dubbio, non si faceva viva perché voleva prendere le distanze dopo quello che avevo fatto. Avevo esagerato, lei era sveglissima e aveva visto e sentito tutto. Poi allo stesso tempo mi chiedevo, ma allora perché mi ha lasciato arrivare fino a li e non si è fermata prima? Questo dubbio mi attanagliava. Erano tre giorni che era partita ed io ero quasi giunto alla paranoia. Ero arrivato quasi a pensare a come scrivere un messaggio io a lei, un messaggio di scuse perché ero stra-sicuro di averla fatta grossa.

Quando la mattina del quarto giorno mi arrivò il suo buongiorno mi si aprì il cuore. Era solare, mi scriveva cazzate, mi chiedeva di me, mi mandava foto. Ci scrivemmo per una mezz’ora finchè non mi disse che doveva partire per un’escursione. Fu una bella giornata, ero rilassato e tutti i miei dubbi erano scomparsi. Non avevo compromesso nulla. Volevo solo ritornare a quei momenti con lei, mi ripromettevo che non avrei mai più osato tanto, mi accontentavo di quello che avevo.

Commisi due errori in quel ragionamento:

.- non consideravo che due giorni dopo sarebbero arrivati i miei genitori per passare qualche giorno li nelle marche e per permettere a mia mamma di dare supporto a sua mamma

Che ti puoi ripromettere ciò che vuoi, ma che di fronte al diavolo tentatore tutti cediamo.



Di per se l’arrivo dei miei non era un problema però annullava in pratica i miei momenti da solo con zia. Lei era tornata, splendida come sempre, ma io la vedevo solo la sera a cena, e per giunta con i miei. Durante il giorno spesso mi obbligavano ad andare con loro per mini tour della zona quindi niente pomeriggi da zia o gite al mare con lei.

Poco prima di ripartire mi chiesero, dato che la situazione di nonna era sotto controllo e iniziava a cavarsela da sola, se volevo rientrare prima con loro, pensando mi annoiassi a morte. Furono stupiti nel sentire che se per loro andava bene io sarei rimasto quegli ultimi quindici giorni di agosto.

5 – IL PIANO INCLINATO

Ebbi i brividi la prima volta che, ripreso ad andare a mare, mi chiese di spalmarle la schiena. Forse allora poteva ricominciare tutto come prima, magari con qualche rischio in meno.

E i nostri riposini pomeridiani? Si c’erano ancora. Riprendemmo la nostra alternanza di mare e sonnellini anche se i secondi prevalevano sicuramente sui primi anche perché dopo alcuni giorni le sue ferie finirono e riprese il solito gioco dei turni.

I primi giorni non mi spingevo piĂą in la della schiena anche se avrei voluto. Ripresi poi a farmi piĂą ambizioso, collo, spalle, fianchi. Insomma, mi accontentavo dicendomi che era la cosa giusta da fare.

Era un mercoledi di fine agosto. Mancavano due giorni alla mia ripartenza. La sera prima, a cena, zia Cristina aveva proposto, di andare a mangiare una pizza l’indomani sul lungomare, con anche nonna. Un ultimo saluto alla mia vacanza dato che il giorno successivo lei avrebbe fatto il turno notturno e quindi non avrebbe potuto. Ok non era la situazione ideale perché c’era anche mia nonna, non me ne volesse, ma a me stava bene. Aveva anche detto che se mi andava le sarebbe piaciuto passare la giornata sempre a mare, e chi aveva il coraggio di contraddirla?

Arrivai come da accordi a casa sua attorno alle 13.30, senza il suo pranzo perché aveva detto che poi avrebbe mangiato qualcosa in spiaggia. Mi fece entrare in casa dicendo che era un po’ in ritardo con la preparazione. Entrai in casa che era girovagava in cerca di qualcosa, già con il costume da bagno indosso e un mollettone che teneva raccolti i capelli. Non trovò quello che stava cercando, si sedette un attimo sul divano. La vedevo stanca, provata forse dal turno appena concluso. Lo disse e ripetette due tre volte che era stanchissima. Ci furono un paio di minuti di silenzio, lei sempre seduta sul divano con gli occhi chiusi. Riaprì gli occhi e mi cercò con lo sguardo. Mi fissò e disse “Ma tu hai proprio voglia di andare al mare?”

A me sinceramente non interessava molto, gli dissi che se voleva che stessimo a casa non c’era problema. Come a giustificarsi mi raccontò parte della sua mattinata, rimarcò il fatto che poi ci saremmo comunque andati a cena in quella stessa zona perciò avrebbe dovuto fare la strada più volte nel giro di poche ore e mi rassicurò dicendo che potevo restare a farle compagnia e a svolgere la mia mansione di bravo massaggiatore. Si preparò un toast al volo, mentre io prendevo un caffè e poi ci sdraiammo a letto.

Lei in costume, io nei miei soliti pantaloncini e T-shirt. Era la prima volta, mare escluso ovviamente, che si sdraiava davanti a me in costume. Lo trovai eccitante. Nella penombra avevo una vista privilegiata sul suo corpo. Cominciai il mio massaggio. Poter lavorare senza dover infilare le mani in una maglietta mi permetteva molta più libertà. Non calcavo tanto perché il nodo del bikini che allacciava i due lembi sulla schiena era da una parte marcato e dall’altra tendeva i due spessi fili in modo stringente, perciò temevo di farle male. Sentiì il suo respiro sopirsi fin da subito. Si era già addormentata. Alleggerì ancora di più il mio massaggio, carezzando a piene mani ma dividendo i movimenti sulla schiena tra sopra il pezzo superiore del bikini e il sotto. Continuava a dormire. Riflettei alcuni minuti, mi diedi come scusa la difficoltà causata da quel nodo del bikini, e poi provai a slacciarlo. Era legato stretto, ma il materiale permetteva di sciogliere il nodo piuttosto agevolmente lasciando chiaramente annodata la parte che si chiudeva sul collo. Continuai a toccarle la schiena, finalmente libera. Lei sdraiata di pancia, con il volto rivolto al lato opposto al mio. Io a fianco, sdraiato anche io, con una mano libera di circolare su di lei. Non so quanto durò quel momento, sentivo solo il mio bacino premere contro il materasso e cercavo minimi movimenti per provare ancora più piacere. Ogni tanto facevo piccoli check per vedere stesse dormendo. Con i già riprovati movimenti partivo dal centro della schiena per provare a toccare il lato del seno, seno che a sua volta si schiacciava sulle lenzuola nella posizione in cui era. Forzai un po’ la mano, quasi invogliandola a sollevarsi un po’ verso di me per infilare la mano sotto, ci riusciì solo parzialmente, quel tanto da spostare il lembo di tessuto che copriva il seno ma subito lei si rischiacciò sul letto. Sul lato più basso della schiena invece il mio lento incidere con la mano mi aveva portato ad arrivare appena più in giu, quasi all’inizio dell’attaccatura dove le natiche si dividono. Lo stesso feci in direzione inversa, cioè partendo dalle gambe e risalendo fino al sedere. Ne definii la forma con le dita, misi l’intera mano sopra, ferma, immobile, senza stringere, se si fosse svegliata in quel momento avrei detto che era li per caso. Ero con la mano sul suo culo, avevo una voglia matta di masturbarmi. Non so come mi addormentai anche io.

La procedura di risveglio cominciò che non avevo mani in posizioni compromettenti. Avevo riflettuto nel dormiveglia non essere possibile che non si fosse accorta di nulla, banalmente anche solo per il costume che non era più al suo posto ma allacciato solo al collo. Facendo ancora finta di dormire, la spiai con la coda dell’occhio. Si alzò in piedi e si risistemò il costume, riallacciandoselo e facendo scivolare il seno fuoriuscito in sede. Si sistemò la mutanda del costume, anch’essa si era palesemente abbassata. Uscì dalla stanza per andare in bagno. Non sapevo cosa attendermi. Mi avrebbe rimproverato? Sarebbe stata quella la mala conclusione di quell’estate? Un litigio?

Alzò la tapparella, io simulai un risveglio. Aprì gli occhi che lei troneggiava in piedi a fianco del letto guardandomi. Con voce soave mi disse di svegliarmi. Aveva ancora addosso il costume, ma sopra aveva messo una maglietta bianca piuttosto usurata. Sono quasi le cinque e mezza lo sai? Mi disse. Eravamo rimasti li tre ore in pratica. “Torna a casa da tua nonna che poi alle sette e mezza passo a prendervi”. Chiesi tre minuti ulteriori, non che avessi realmente ancora sonno, ma dovevo trovare il modo di far scemare l’erezione nei miei pantaloncini.

Alle sette e mezza si presentò con il Pandino davanti a casa di nonna. Non era una serata di gala, ma siccome ci teneva sia lei che nonna avevo cercato di risultare un po’ meno trasandato del solito. Era bastata una polo, un pantalone lungo, delle sneakers e pettinarmi a modo per farmi sentire figo. Anche nonna a suo modo aveva messo un abito della festa. Fu nel momento in cui zia scese dall’auto che forse per la prima volta mi dissi che ero innamorato di lei. L’avevo già vista con look che reputavo belli, eleganti, in “tiro”, anche quella stessa estate le volte che eravamo usciti con i suoi amici. Quella sera però, forse traviato da quello che era successo nel pomeriggio, mi risultava ancora più bella. I capelli dorati incorniciavano il viso truccato, adornato anche da due orecchini dorati a cerchio, non giganteschi ma comunque vistosi. Indossava un abito che non le avevo mai visto: era composto di due pezzi, ma si vedeva che era un completo in pratica. In lino rosso, la parte superiore, che arrivava fino al bacino, senza spalline, con un grosso cinturone di pelle che stringeva la vita. Sotto un pantalone sempre di lino rosso che appena bombato che era chiuso con un elastico ben sopra la caviglia. Ai piedi un paio di zeppe di paglia con tacco, anch’esse di tela di lino con l’allaccio incrociato alle caviglie. Mi sembrava la donna più bella che avessi mai visto. Anche nonna apprezzò quel look, le volle fare subito una foto. Zia Cristina fece la modella per un secondo, sollevando un momento la gamba su se stessa e girandosi a tre quarti rispetto al mio telefono poiché nonna non ne era in grado.

Fu una bella serata, una semplice pizza, una breve passeggiata più per nonna che non usciva da tempo che per me. Non posso dire che non ebbi pensieri impuri, ma ecco, non ne ebbi più del solito! Ci fu solo un momento di imbarazzo, malizia, non so come chiamarlo. Passeggiando per il lungomare le cadde un foglio dalla borsa. Si chinò a raccoglierlo. Io ero dietro di lei. Il movimento fece scendere il pantalone e vidi il suo tanga a filo invisibile spuntare dal rosso del lino. Con nonchalance si rialzò e rendendosi conto che l’indumento era scivolato verso il basso si tirò su il pantalone. Sapeva che io ero dietro. Si girò sorridendo e facendomi l’occhiolino “Tu non guardare troppo!” mi disse. Mi avrebbe detto poi che quella sera sentiva il mio sguardo su di lei e che si era sentita bene. Si, mi disse anche che quello stesso giorno, sapeva quello che avevo fatto nella sua stanza. La pallina stava scendendo a gran velocità dal piano inclinato. Io non so se ero la pallina o il piano, so che ormai non avevo più controllo.
 

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6 – ORA O MAI PIU’

La mattina seguente, l’ultimo giorno intero in cui sarei stato li, ripensai a quella frase “Tu non guardare troppo”. Sapeva che le stavo fissando il culo. Anziché non affrontare il discorso e fare finta di nulla come probabilmente aveva fatto fino ad ora mi aveva fatto capire che aveva notato le mie attenzioni.

Il programma di quelle ultime ore era ben definito e a me andava più che bene. Cosimo e Netta, amici di lunga data di nonna sarebbero venuti per pranzo da lei, io, a parte mostrarmi per far vedere quanto fossi cresciuto dall’ultima volta che li avevo incontrati svariati anni prima, non ero obbligato a fermarmi con loro e avevo preso accordi con zia per andare a pranzo da lei dato che quel giorno avrebbe avuto il turno notturno. Nel pomeriggio sarei rientrato da nonna, avrei preparato la mia valigia per l’indomani e passato li la serata. La mattina dopo, alle 12 mia zia sarebbe passata a prendermi perché toccava a lei riaccompagnarmi in stazione distante una mezz’ora di macchina e permettermi di prendere il treno che partiva alle 13 in punto.

Cristina appariva più rilassata del solito, probabilmente perché la vedevo non reduce da una notte insonne o dal turno mattutino. Era semplice nei suoi capelli raccolti, una t-shirt verdognola e dei mini pantaloncini bianchi a trama floreale, più un pantalone da pigiama che da ospiti. Notai non avesse reggiseno, ne ebbi conferma quando mi disse che si era alzata tardissimo e che non si era nemmeno cambiata.

Durante il pranzo pensavo che mi sarebbe piaciuto rilassarmi un’ultima volta con lei in camera, non avrei avuto il coraggio di chiederlo però in fondo me lo aspettavo. La mia attesa non durò tantissimo, fu lei a dirmi che voleva sonnecchiare ancora un po’ in camera e che se mi andava potevo farlo anche io. Ci sdraiammo, pensavo di dover cominciare con il solito iter di massaggi ma alla prima presa del trapezio mi fermò, mi disse di fare piano e di grattarle la schiena. Iniziai. La penombra avvolgeva la stanza. Mi dava la schiena e in poco tempo dal centro mi ero già spostato sul lato esterno delle scapole, ai margini del seno e poi nella zona basso lombare.

Si sentiva solo un suo leggero respiro e nulla. Silenzio.

Come il giorno precedente timidamente iniziai a perlustrare il culo. Mi piaceva quella morbidezza. Tornai a lavorare per qualche istante sulla parte bassa della schiena con la mano e a forza di millimetri guadagnati entrai nei suoi pantaloncini. Abbassandoli leggermente vidi che indossava ancora il tanga a filo della sera precedente. La mia mano si spostò piu giu, prima sulla chiappa sinistra e poi sulla destra, glielo palpavo ormai a piena mano. Non so come avrei giustificato quella cosa, non so cosa sarebbe successo dopo. Il punto di non ritorno era superato anche se mi illudevo che in quello che pensavo fosse un sonno profondo lei avrebbe soprasseduto. Avevo le palpitazioni. Mi inginocchia sul letto, lei era sempre distasa su un fianco. Ormai il punto di non ritorno era stato passato. Mi volli accertare stesse dormendo, dapprima muovendo la mia mano davanti ai suoi occhi chiusi, poi sfiorando con un dito le sue labbra. Mi sembrò di vedere un timido sorriso, non gli diedi importanza pensando fosse una reazione inconscia.

Tornai nella posizione iniziale, anche io su un fianco. Mi avvicinai quanto più possibile al suo corpo e inizia a sfregare in maniera lieve il mio pene in erezione nei pantaloncini contro il suo sedere. La prima volta che trovai il contatto fu un’emozione. Dire che ero duro è un eufemismo.

Fece un movimento. Stop. Mi allontanai. Rimasi immobile qualche attimo. Vedevo il suo sedere semi-scoperto li, davanti a me. Non sapevo bene cosa volessi fare ma presi la sua mano, che ora aveva messo lungo il fianco e spostandola a peso morto la portai sul mio cazzo che ormai non stava piĂą nei pantaloni.

Ritrasse la mano, fece qualche verso gutturale e cambiò posizione. Si mise completamente sdraiata di schiena. Sembrava le avessero sparato tanto sembrava rilassata. Io mi misi sdraiato al contrario, fermo, immobile, di pancia. In quel modo non avevo più accesso al suo fondoschiena ma la mia mano sinistra non voleva saperne di stare ferma coì ’ la infilai sotto la maglietta. Non persi tempo, la misi subito sulle sue tette. Le potevo toccare entrambe liberamente, per la prima volta. Sentivo bene la sua areola, il suo capezzolo anche se non riuscivo a definirne bene forme e colore.

“Dai..” uscì dalla sua bocca. Cazzo. Si era svegliata. Era un “dai” non di chiusura come l’altra volta, nemmeno di estasi. Non sapevo cosa dire o fare, cosi mi bloccai, con la mano sulla sua pancia, senza muovermi dalla posizione che avevo assunto. Lei fece lo stesso. Volli pensare fosse un invito a non esagerare, un “ok so che stati giocando, divertiti, ma non esagerare”.

Tornai con la mano sul seno, lei non disse nulla, continuai. Mi piaceva toccare ma anche fermarmi con la mano ad avvolgere la tetta. Continuai non so quanto cosi, gasandomi, toccando e stringendo sempre un po’ più forte. Mi arresati solo quando disse “Fai piano”.

Mi bloccai di nuovo. Mia zia era ufficialmente sveglia, ancora con gli occhi chiusi, ma mi stava permettendo di toccarle il corpo, di esplorarla.

Ripresi a massaggiarle il seno nascosto ancora dalla t-shirt, poi rallentai e iniziai a muovere la mano sulla sua pancia, arriva all’elastico del pantaloncino che già era poggiato sulla parte bassa della vita.

“Mattiiiii” disse a voce bassa. Non era imperativa, non so se voleva mi fermassi, non lo feci.

Infilai la mano sotto il pigiamino. Sentii corti peli pubici. Tre dita presidiavano quella zona, pronte a scendere ulteriormente se non mi avesse stoppato.

Iniziai lentamente a scendere più giù, una leggera sensazione di umidità si sentii sulla punta del dito. Fu in quel preciso istante che mi voltai per vedere il suo volto e incrociai il suo sguardo vigile. Aveva gli occhi aperti, non so da quanto ma ci stavamo guardando. Erano occhi consapevoli di quello che stavo facendo, pieni di imbarazzo, non di rimprovero. Si fermò il respiro ad entrambi. Istintivamente levai la mano dai pantaloncini. Non so dirvi quanto tempo passò. La vedevo con occhi sbarrati distesa guardare il soffitto. Io vicino, sul fianco, con la mano colpevole tirata indietro.

Ora o mai piĂą.

Rimisi la mano nelle sue zone basse, percepii nuovamente la peluria e la sensazione di bagnaticci.

“Aspetta” disse con tono più fermo.

Di scatto si girò su un fianco verso di me. Eravamo faccia a faccia e solo pochi centimetri ci dividevano. Mi diede un bacio, poi un altro. Baci a stampo, a ripetizione. Niente accenni a qualcosa di più profondo o lingua. Sentivo entrambe le sue mani sul mio petto, quasi a volermi tenere a distanza, la sensazione della sua bocca umida sulla mia. Una mano cominciò a scendere e iniziò a toccarmi proprio li, sopra i miei pantaloncini. Io ero in trance, immobile, rigido. Lei aveva smesso di baciarmi e non mi guardava più negli occhi, se cercavo il suo sguardo e lo incrociavo, lo distoglieva, nascondendosi i lunghi capelli dorati. Toccava il mio pisello. Non lo stingeva, lo carezzava con il palmo della mano poi con due dita toccava il glande. Non stavo capendo più niente, ma volevo sentire la sua mano su di me ancora di più. La presi, la poggiai sulla mia pancia e leggermente feci scivolare la punta delle sue dita dentro i pantaloncini e dentro i boxer. Aveva capito cosa intendessi. Scese in autonomia. La sua mano ora era a contatto con il mio cazzo. Sentì due dita solleticare lo scroto, poi risalire fino alla punta, scoprendo il glande dal prepuzio. Incominciò a masturbarmi. Fui quasi colto di sorpresa. Aveva la mano delicata, si mosse dolcemente aumentando sempre più la velocità. Avrei voluto contenermi, dimostrare che avrei resistito di più, ma era la prima sega che ricevevo da una donna, fu impossibile. Il mio respiro affannoso e concitato, la contrazione del corpo la avvisò dell’imminente capitolazione. Arrestò di botto i movimenti veloci e diede quattro colpi forti, decisi, sentì il frenulo tirare.

Venni quasi completamente sulle lenzuola. Con lei ancora a stringere il mio arnese per far si che non schizzasse ovunque. Quando la situazione si quietò cercai il suo sguardo. Non lo trovai. Si alzò repentinamente dal letto, con la testa bassa prese il mollettone dei capelli appoggiato sul comodino e si diresse verso il bagno. Uscendo dalla stanza, senza guardarmi in faccia disse “dopo che ho finito io vai pure in bagno, porta le lenzuola nel cesto della biancheria sporca per favore”.

Eseguì. Non capivo bene cosa era successo. Non capivo bene nemmeno come mi sentivo. Vuoto forse era il termine giusto.

Mi riaffacciai in soggiorno e la vidi seduta al tavolo con le mani tra i capelli. Alzò lo sguardo verso di me

“Che cazzo abbiamo fatto?” incominciò “Matti questa cosa non deve saperla nessuno hai capito, abbiamo fatto una cazzata. Lo sai che cazzo di casino è questo? Dimmi perché? Perché lo hai fatto? Perché non ti sei fermato?” stava quasi urlando. Non sapevo che dire. “Di qualcosa cazzo”. Ero fermo, immobile, in mezzo al soggiorno. Feci per aprire bocca ma lei ricominciò. “Che poi cazzo è colpa mia, perché? Perché? Perché l’ho fatto?” Aveva la voce rotta. “Senti per favore, ho bisogno di stare un po’ da sola, ti prego, torna da tua nonna”.

Feci per uscire. Aggiunse “Matti, ti prego, non dirlo mai a nessuno”

Continua…
 

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