SERENITA’
me lo confessò guardandomi dritto negli occhi e con la paura addosso, quasi avesse timore di essere giudicata.
fu un colpo, non lo nego, non più tardi di quattro anni prima le avevo detto che mi sarebbe piaciuto avere un terzo figlio ma mi aveva sempre risposto che i figli si fanno da giovani, come avevamo fatto i nostri, non a quarant’anni.
e invece a quanto pare… non è che non lo volesse fare in assoluto, è che non lo voleva con me!
“ah, ok…” le risposi, indeciso se sentirmi bene o male, se farle le felicitazioni o dirle “oh cazzo, sei incinta! a quarantacinque anni, ti sei fatta ingravidare da un povero idiota direttore di filiale in banca… uno che non ha neanche i soldi per comprarsi un cazzo di appartamento che direttore di filiale è?”
esitai anch’io, poi glielo domandai.
“ma… l’hai… l’avete cercato?”
“no!” esclamò quasi disperata, “no, non l’abbiamo cercato… sai… come la penso, non ho più vent’anni…”
annuii, colpito da quella sua schiettezza ma anche sollevato perché… questioni di gelosia mai sepolta.
“e… e lui?” le chiesi, “lui che ne pensa?”
“lui… lui non… lo sa” sussurrò.
chiusi gli occhi per un istante immaginandomi la scenetta e poi li riaprii, sorridendole rassicurante.
“ne sarà felice, no?” le chiesi, ma Elisa scosse la testa.
“no, non ne sarà felice, anzi” disse, “lui… non vuole figli, ne ha già due dalla sua ex moglie e dice che sono… un inferno…”
ecco il perché il direttore di filiale era spiantato, aveva l’ex moglie e due figli da mantenere…
“ma cazzo, Elisa” mi venne da dire, “prima ti metti con un impotente e poi con un povero disgraziato senza un centesimo? uno che deve chiedere i soldi a te per comprarsi un appartamento e non vivere in affitto?”
mi venne da ridere per quei pensieri ma ebbi rispetto per lei e per il suo dramma.
“ma scusa, non prendevi la pillola?” le chiesi, e lei scosse la testa.
“l’ho sospesa ancora… mesi fa” rispose, esitante, ma non mi disse il perché, e non erano nemmeno fatti miei.
“e… come fai a sapere che…” provai a chiederle e lei sbuffò.
“mi è saltato l’ultimo ciclo e quello prima era irregolare”
era strano per lei, Elisa era sempre stata regolarissima, un vero orologio anche fino a pochi mesi prima e nonostante si avvicinasse alla menopausa (ma guai a dirglielo).
“ma hai fatto… il test di gravidanza?” le chiesi.
annuì.
“ne ho fatti tre, l’ultimo stamattina, era incerto, i due di ieri invece erano positivi”
“e… l’esame del sangue?” le chiesi.
scosse la testa, era terrorizzata dai prelievi.
“e… un’ecografia?” le chiesi ancora, ma scosse la testa.
“non ho avuto tempo…” sussurrò.
guardai l’orologio, erano le solo le quattro, c’era tempo.
“c-cosa fai?” mi chiese vedendomi indaffarato con il telefono.
le feci cenno di attendere con il dito, mi alzai e chiamai, e al secondo squillo rispose “buongiorno, clinica Sant’Andrea, come posso aiutarla?” mi disse la gentilissima signorina.
“vorrei fissare un’ecografia urgente per una donna di quarantaquattro anni” dissi, e quando sentì Elisa si alzò in piedi, continuò a dire “no, no, no, no” e a cercare di fermarmi con le mani, magari per sottrarmi il telefono, ma non la feci nemmeno parlare tenendola lontana con il braccio teso.
e quando misi giù andai a prenderle l’impermeabile l’aiutai a metterlo, “ci aspettano tra mezz’ora” le dissi, “dobbiamo sbrigarci…”, allora cedette e piagnucolò.
non parlò molto durante quel breve viaggio, imbarazzata ma anche impaurita per l’esito, e quando arrivammo alla clinica non volle uscire dall’auto, tanto da “costringermi” a tirarla fuori.
la stavano aspettando, e quando arrivò il suo momento e sentì il suo nome si bloccò, e dovetti nuovamente spingerla per andare in ambulatorio.
“ehi, coraggio” le dissi, accarezzandole i capelli, “non succede niente, io sono qui fuori che ti aspetto, ok?”
annuì, ma quando mi allontanai spalancò gli occhi.
“v-vieni dentro anche tu!” esclamò.
le sorrisi e tornai da lei.
“non so se è il caso…” le dissi, “io… non… non vorrei…”
“Fede, non è niente che tu non abbia già visto…” mugolò piagnucolosa, “per favore… per favore…”
“ok” le risposi, e di nuovo sorrise, la presi per mano e l’accompagnai dentro.
la sentii spiattellare alla ginecologa la sua vita sessuale (pensavo meglio…) e alcune problematiche che aveva avuto recentemente, niente farmaci, pillola anticoncezionale sospesa a luglio dell’anno prima…
“ok” le disse il medico, "può spogliarsi dietro il paravento e lì trova la camicia igienica, gentilmente toglie gli slip e poi si accomoda sul lettino”
le sorrisi imbarazzato e le accennai se dovevo uscire, ma subito scosse la testa, mi voleva lì.
sparì dietro il paravento, sentii il fruscio dei suoi vestiti e poi la vidi uscire, gambe nude e camicione aperto sul retro che mi lasciava vedere il suo bel culone che conoscevo così bene…
quanta nostalgia…
si accomodò sul lettino e senza badare alla forma e alle apparenze tirò su tutto scoprendo la figa pelosa, qualcosa che non avrei mai sospettato in una donna raffinata come lei.
mi guardò e mi sorrise, alzando le spalle come se volesse dirmi “che ci vuoi fare?”, poi arrivò la ginecologa e cominciò l’ecografia.
controllò bene l’utero, ovaie, tube, insistette su qualcosa che per me erano soltanto macchioline grigie, fece un paio di smorfie e poi disse “signora, non ci sono tracce di gravidanza”, e allora vidi l’intero corpo di Elisa rilassarsi, senza nemmeno stare a sentire che cosa le diceva il medico sulle possibili cause dell’amenorrea.
pochi minuti dopo stavamo uscendo, Elisa respirava profondamente, finalmente era finito un incubo e si vedeva quanto era sollevata.
mi prese sottobraccio e raggiungemmo l’auto, e se non fossero passati i mesi e tutto quel… casino che era successo in mezzo sarebbe stato uno dei più classici nostri pomeriggi tranquilli, uno come tanti passati insieme nel corso degli anni.
ma non era così.
ci prendemmo un caffè insieme e Elisa cominciò a parlare della sua nuova vita, senza nascondere altro che non fossero particolari intimi.
triste, mi venne da pensare.
triste se rapportato allo stile di vita che conduceva ‘prima’ ma a vederla e a sentirla sembrava felice, e non si lasciava andare a nostalgie o rimpianti, guardava in avanti, aveva progetti (si era trovata un lavoro part-time in un ufficio commerciale e le piaceva lavorare insieme alle persone).
la guardavo in silenzio, era sempre la stessa, la stessa donna, solo che ormai non era più mia.
“e… l’altro?” le chiesi.
si irrigidì, ma poi sorrise.
“ci sentiamo di tanto in tanto, ma non l’ho più visto” rispose, tranquilla e rilassata, “è una bravissima persona, un uomo davvero buono e generoso, dovresti con…” cercò di dire ma imbarazzatissima si fermò.
no, l’uomo che aveva causato la fine del nostro rapporto era l’ultima persona sulla terra che avrei voluto conoscere.
allungò la mano e prese la mia stringendola, poi sorrise.
“che c’è?” le chiesi, e lei scosse la testa facendo una risatina.
“doveva finire, prima o poi” sussurrò, “e questo lo sai anche tu!”
accusai il colpo, per davvero.
avevo sempre amato Elisa e l’amavo ancora, gliel’avevo anche confessato, e allora perché… perché dire una cosa del genere?
“come coppia eravamo già finiti tanto tempo fa” disse, serena, e la invidiai per questa sua freschezza, “stavamo insieme solo per i nostri figli e per la nostra comodità, io per prima, ovviamente”
non fiatavo.
“certo, il sesso era… divino” disse ancora, ridacchiando (e strappando un sorrisetto alla cameriera che aveva sentito tutto), “ma non potevamo fermarci solo al sesso”
“io sì” pensai, ma ovviamente tenni la bocca chiusa.
“non avrei mai fatto il primo passo, non io” continuò, “sono troppo… vigliacca per ammettere che vivevo in una situazione di comodo e che ci stavo bene, e che non mi davano fastidio le… tue… divagazioni, diciamo così”.
mi sentivo come se fossi nudo in chiesa.
non potevo confessare, non sapevo fino a che punto fosse a conoscenza delle mie scappatelle, soprattutto quelle con Giorgia.
scossi la testa e le sorrisi, confortante, ed Elisa mi strinse ancora di più la mano.
“mi hai sempre trattato bene, come una regina, mi hai… viziato, coccolato, amato, nessuna donna poteva essere più felice di me insieme a te!”
“e… allora perché?” le chiesi di getto.
“perché ti ho tradito?” mi chiese, senza mezze parole.
“sì, perché?”
sembrò pensarci su, poi alzò le spalle.
“me lo sono chiesta anch’io, tante volte, credimi” rispose, “la risposta è che… non c’è una risposta, ho conosciuto quell’uomo per caso, abbiamo parlato davanti ad una scultura moderna e ci siamo trovati in sintonia, ci siamo presi un caffè e poi abbiamo parlato e parlato e parlato, non ricordo quanto, poi ci siamo scambiati i numeri di telefono e abbiamo continuato a parlarci, e due settimane dopo ci siamo rivisti, a Torino…”
certo, Torino, ricordavo bene: era stata fuori per una notte perché c’era quella mostra che si concludeva con qualcosa che finiva attorno alle undici della sera ed ero stato proprio io a… consigliarla di fermarsi per la notte e non mettersi in viaggio stanca.
mi aveva manipolato, ma brava…
ma ormai non aveva più importanza.
“ci siamo trovati e… è successo” concluse, sempre sorridente.
faceva ancora male, altro che “è passato tanto tempo”.
esitai, ma attratto morbosamente da quel suo lato nascosto non riuscii a non chiederglielo.
“e… è stato come lo volevi tu?” le chiesi.
mi guardò aggrottando le sopracciglia.
“signor Federico Rastrelli, non mi starai mica chiedendo di raccontarti come ti ho tradito, vero? non vorrai mica i particolari?”
“e… se ti dicessi di sì?”
scoppiò a ridere e fece ridere anche me, mi strinse ancora la mano e scosse la testa.
“una cosa… imbarazzante, terribilmente imbarazzante” mi disse, e ridacchiò, “credo che sia stata la prima volta che ho fatto l’amore con qualcuno e che ho avuto fretta di finire!”
avevo i brividi sulla schiena, mi facevano male le sue parole, ma me lo meritavo.
però aveva detto “fare l’amore” e non “fare sesso”, il che significava un coinvolgimento, e in effetti a pensarci me l’aveva anche confessato che si era innamorata.
però non mi tornava qualcosa.
“ma… in due uscite ti puoi innamorare” le chiesi.
alzò le spalle.
“a me è successo” rispose, senza aggiungere altro.
arrivò la cameriera, ordinai un altro caffè per me e non ricordo che cosa per Elisa, e una volta rimasti soli ricominciò la sua narrazione.
“quando ci siamo salutati quella mattina eravamo… imbarazzati, nessuno dei due diceva niente e ci guardavamo a malapena, poi lui mi ha abbracciato e stretta forte dicendomi che ero la cosa più bella che gli ero capitata nella vita e che non voleva perdermi, e che proprio perché non voleva rischiare di non vedermi più mi assicurò che quella sarebbe stata la nostra prima e ultima volta”
“te l’ho già detto, siamo usciti sette volte in totale, e abbiamo fatto l’amore solo due volte, l’ultima… due settimane prima che… succedesse… tutto”
tornò la cameriera con il mio caffè e il suo non ricordo che cosa e quello decretò la fine delle confessioni di Elisa, che però mi puntò il dito contro.
“e tu?” mi chiese minacciosa, “in questo tempo chissà cosa avrai combinato, eh?”
pensai alla decina di donne che erano passate dal mio letto e con le quali avevo condiviso poco o nulla ad eccezione di un paio di loro, e con un’infinita tristezza mi toccò mentirle di nuovo.
per l’ennesima volta, sì, ma c’era qualcosa di diverso: quando eravamo sposati e le mentivo mi sembrava una cosa normale, egoisticamente me ne fregavo e pensavo che fosse un mio diritto, facevo i miei comodi passando sopra a tutto e a tutti come un rullo compressore con l’unico obiettivo di soddisfare il mio ego smisurato.
ma ora, ora che non avevo più motivo di raccontarle balle, stavo male a negarle la verità: e perché non lo facevo?
perchè me ne vergognavo.
e pensai alle parole di nostro figlio Marco, quella sera in piscina davanti ad un tavolino pieno di bottiglie di birra vuote, “sei stato uno stronzo”.
“no” le risposi, “nessuna…”
non volle sapere altro e fu meglio così perché avrei fatto fatica ad arrampicarmi sugli specchi, ma prima di cambiare completamente discorso…
“senti un po’ una cosa…” mi incalzò ricordandosene improvvisamente, “ma… quella tua… collega, al lavoro, quella che ti stava sempre appiccicata…”
Anna.
“non dirmi che neanche con lei…” ammiccò.
“no, davvero” le risposi mentendo ancora una volta spudoratamente, “è il suo modo di fare, quello, può dare l’impressione di una che lo fa per fare carriera o per compiacere il capo, ma non è così, anche perché…” provai ad aggiungere ma non ci riuscii.
“ehi, ehi…” mi disse interrompendomi, “guarda che non mi devi delle spiegazioni…”
invece gliele diedi, false ma gliele diedi, raccontandole di una Anna che in realtà era molto diversa da quella vera dipingendola come una brava ragazza mamma di due bimbi piccoli e molto attaccata alla famiglia (e in particolari momenti anche al mio cazzo!), con un rispetto viscerale per il lavoro.
non mi credeva, ovviamente, ma gliela vendetti così e non ci fu altro da aggiungere anche perché tutte quelle balle cominciavano un po’ a pesare…
mi chiese se ero stato in vacanza e le dissi di no, troppe cose da fare, nemmeno lei c’era stata e allora ripercorremmo i nostri meravigliosi trascorsi in giro per il mondo con i nostri ragazzi prima e da soli poi, negli ultimi due o tre anni, ma la conversazione cominciò ad assumere toni troppo tristi, e allora cambiammo drasticamente
…e finimmo a parlare dei nostri ragazzi, il nostro vero, unico e grande orgoglio, di quanto fossero diventati indipendenti e felici.
era felice anche lei per il fatto che non gli facevo mancare nulla e che ero un padre presente nonostante quello che era successo, ma ancora una volta la conversazione scivolò sul triste, e allora nuovo giro, parlammo di me.
“dai, raccontami…” cominciò, “che cosa hai fatto in questi mesi?”
le parlai del lavoro annoiandola a morte, le parlai delle case e dei traslochi facendola sbuffare e le dissi dei nostri ragazzi, ma quelle cose le sapeva già.
“io voglio sapere di te, di cosa hai fatto, con chi ti sei visto, con chi ti sei legato…” mi incalzò, “dai, raccontami come ti sei divertito con le donne, su, adesso puoi farlo liberamente!”
la so riconoscere una trappola, ne percepisco l’odore.
scossi la testa.
“non me lo vuoi dire?” mi chiese, quasi delusa.
“no… no, non è questo” mi affrettai a dirle, “è che non ho niente da raccontare”
mi guardo fissa.
“e tu mi vuoi dire che dopo essere tornato single non hai avuto neanche una mezza avventura?” sussurrò, “proprio tu?”
“già, proprio così” le risposi e la sua replica fu “impossibile! mi stai raccontando palle!”
e aveva ragione, ma la mia linea era quella, e non la cambiai.
“puoi credere quello che vuoi, ma la verità è quella…”
mi guardò valutandomi bene, non era convinta.
“proprio niente?” insisté, “neanche un pompino… piccolino piccolino?”
sorrisi e scossi la testa.
“sono stato alla larga dalle donne” le dissi, “e credo che ci resterò lontano ancora a lungo”
“no, impossibile!” sentenziò, “non potrai mai farlo!”
le dissi che aveva anche i suoi vantaggi, meno casini, meno mal di testa.
ridemmo, allegri ma tristi al tempo stesso.
“e allora quando c’ero io?” mi chiese, “perché non l’hai fatto? ti ricordi che mi saltavi addosso due o tre volte la settimana?”
“con te era diverso, eri mia moglie, ti vedevo tutti i giorni e…” cercai di dirle, senza scendere nei particolari per non offenderla, poi cedetti.
“cazzo, ti vedevo nuda, con quelle due… cose che ti porti addosso e con quel… quel culo lì!” le dissi facendola ridere di gusto, “come facevo a trattenermi?”
ridemmo entrambi, e quando Elisa fece il gesto di spingerle verso di me dicendomi “ti piacciono ancora le due gemelle?” facendole muovere allora feci un passo indietro e tornai più serio, facendole capire che… era meglio così.
“se vuoi” buttò lì, “Paolo ha una sorella, single, te la posso presentare…”
scoppiai di nuovo a ridere (risi anche pensando a come poteva essere triste e grigia la sorella di un uomo grigio come quello!) e le dissi che non avrei mai potuto sopportare di avere una cognata che era stata mia moglie, mi diede del cretino e quelle risate spezzarono la tensione che si era venuta a creare, e poi parlammo di lui.
di Paolo, che mi immaginavo come l’essere più grigio e triste dell’emisfero boreale ma che a lei piaceva, era un uomo buono e retto, con rigorosi concetti morali e sociali, molto svizzero, e scendendo nei dettagli mi raccontò che prima di fare l’amore per la prima volta con lei le aveva chiesto se se la sentiva, vista la recente separazione…
cioè, mi trovo davanti una donna come Elisa, magari già nuda nel letto, e le chiedo “cara, ma ti senti sicura?”
ma forse era il genere di attenzioni che una donna come Elisa cercava dopo tanti anni passati insieme ad un… caterpillar come me!
parlava e parlava, la vedevo felice e se da un lato questa felicità mi scaldava il cuore dall’altro mi riempiva di amarezza, perché quella meraviglia di donna ora se la godeva qualcun altro.
scacciai con violenza il pensiero della “donna che avevo scartato”, era volgare e offensivo anche per un uno come me, e quando la sentii chiedermi “...ma hai sentito quello che ti ho detto?” trasalii, avevo perso il filo del suo discorso, troppo intento a guardarle le labbra.
“scusa, no…” le risposi, “mi sono un po’ perso…”
scoppiò a ridere, era da tempo che non sentivo più la sua risata.
che bello fu ascoltarla nuovamente dopo tanti mesi che sembravano anni…
“ok, ok, colpa mia” disse subito, “ti sto riempiendo la testa di cose che per un uomo come te…”
“cosa interessa allora ad un uomo come me?” le chiesi subito, interessato a capirla meglio.
sorrise maliziosa.
“non so…” rispose, “magari qualche particolare più intimo e… piccante”
non capivo perché ero rimasto staccato dal discorso nel suo complesso, ma… stetti al gioco.
“io… penso di conoscerti bene” le risposi, “scusa la franchezza ma in quanto a particolari intimi… posso dire di essere il massimo esperto mondiale”
ridacchiò poi tornò seria.
“lo sai, vero, che le cose che ho fatto con te… non le potrò mai fare con lui?” mormorò.
“io… non lo so questo” risposi imbarazzato, per davvero, mentre lei sembrava a suo agio, “dipende da te Elisa…
“eh, ma in questo caso dipende anche da lui” rispose con una punta di delusione.
capii al volo: prima l’impotente e ora lo spiantato triste e… poco fantasioso.
cascava male, Elisa, era abituata bene…
mi guardò negli occhi e mi sentii a disagio.
“ti ricordi quando…” ridacchiò, si guardò attorno e poi avvicinandosi aggiunse “...quando lo facevamo in giro, con la possibilità che ci vedessero?”
me lo ricordavo eccome… era la perversione di Elisa essere scopata con qualcuno che poteva guardarla.
“ecco, io ci ho provato con lui, e sai che mi ha risposto?” sussurrò.
“immagino…”
“che non è… moralmente accettabile” sbottò.
chiusi gli occhi per non ridere, ma fu inutile.
“sì, sì, puoi anche ridere se vuoi!” mugugnò, “capisco tutto ma cavolo, anche io ho le mie esigenze!”
“già” le risposi, “non sei quella del rapporto canonico lui sopra e tu sotto, giusto?”
lo sguardo le diventò sottile sottile sottile, e quando faceva così erano in arrivo tuoni e fulmini!
“mi stai dando della mignotta?” mi chiese fingendosi seria, ma poi scoppiò a ridere trascinando anche me.
era bello stare con lei, forse troppo bello, e soprattutto c’era qualcosa di strano in quel suo modo di voler mettere il sesso al centro del discorso, quasi lo volesse… tirare fuori di proposito.
la guardai in silenzio mentre parlava di non so che cosa, e vedendomi serio diventò seria anche lei.
“perché mi guardi così?” mi chiese, sensuale.
“ecco, ci siamo” pensai.
che motivo c’era per tenerlo dentro?
nessun, glielo dissi e basta.
“ti guardo così perché… non sai quello che darei per prenderti e baciarti, lasciarti senza fiato e poi portarti a casa mia, e farti tante di quelle cose che…”
avevo i suoi occhi dentro i miei, nessuno dei due fiatava.
“se me lo chiedessi” sussurrò, “non saprei dirti di no”
fu come ricevere una badilata in piena faccia.
“dovrei dirti di no, ma non saprei farlo…” aggiunse.
sembrava che il tempo si fosse fermato, c’eravamo solo noi.
“è per questo che non te lo chiederò” le risposi, e quelle mie poche parole la fecero riprendere, recuperò compostezza e controllo di sé e ancora una volta mi prese le mani.
“sei… un uomo eccezionale” mi disse con la voce che cedeva, “io… ho fatto l’errore più grande di tutta la mia vita a tradirti, e adesso… adesso non sai che cosa darei per tornare indietro…” concluse mettendosi a piangere.
la raggiunsi dalla sua parte del tavolino e la abbracciai, la lasciai piangere cercando di abbracciarla ma senza toccarla troppo (e fu la cosa più difficile in assoluto), poi la staccai da me e con le mani sulle sua guance le detersi le lacrime usando i pollici, mi avvicinai per baciarla sulla bocca ma all’ultimo momento le feci abbassare la testa e le posai il bacio sulla fronte, anche se lei aveva già chiuso gli occhi per riceverlo sulle labbra.
il momento magico era finito, la lasciai andare al bagno per sistemare trucco e capelli e dopo aver pagato l’accompagnai fuori sempre tenendola sottobraccio, come era nostra abitudine quando eravamo insieme.
una decina di minuti dopo passammo di nuovo davanti a casa mia ma tirai dritto, resistendo alla tentazione di riportarla da me, e una mezzoretta dopo eravamo sotto casa sua, con Elisa pronta per tornare alla sua nuova vita.
mi aveva ringraziato milioni di volte per quello che avevo fatto per lei, ovviamente rifiutai ogni sua offerta di rimborso e dopo esserci promessi che ci saremmo sentiti ma anche rivisti a breve la lasciai andare.
“è stato bello passare del tempo insieme a te” mi disse, “triste, ma bello”.
ero d’accordo con lei, era stato bello ma ora dentro avevo il classico magone che sapevo che sarebbe durato troppo tempo prima di andarsene e lasciare spazio ad un altro pessimo compagno di viaggio, la solitudine e la malinconia.
e stava arrivando l’autunno, e io odiavo l’autunno.
quella stessa sera Elisa mi scrisse, si scusò per le cose troppo spinte che mi aveva detto e per stemperare la tensione le chiesi di mandarmi un selfie, come ai vecchi tempi.
“meglio di no” rispose, “tanto ne hai già tanti nella tua collezione”
e poi scrisse quell’altra frase.
“è meglio se per un po’ di tempo non ci vediamo” scrisse, “non sarei in grado di controllarmi ancora”
mandò un bacio virtuale e poi chiuse il telefono senza nemmeno leggere le mie repliche.
e fu meglio così.
passarono alcuni giorni, del tutto inconcludenti, e una sera, sul tardi, mi arrivò un messaggio.
“pazza furiosa” diceva l’anteprima.
trasalii.
lo aprii e mi tranquillizzai, era solo un saluto tra amici ed ormai ex parenti, mi chiedeva come stavo e il perché non mi fossi più fatto vivo, mi scrisse anche che aveva parlato con la sorella e che era orgogliosa di me per come avevo mantenuto la distanza.
“sarebbe stato facile per te approfittarne" scrisse, “non l’hai fatto e questo vuol dire che sei davvero un uomo”
ero felice di quella sua considerazione.
Gio mi chiese della nuova casa e per l’ora successiva ci scrivemmo decine e decine di messaggi, e arrivò quasi mezzanotte, così ci salutammo con qualche battuta e un paio di GIF animate poi andai a dormire e non ci pensai più.
il giorno successivo passò tranquillo e anche quello dopo filò liscio, restai al lavoro fino a tardissimo per concludere quello che dovevo concludere entro il weekend e il venerdì sera mi ritirai a casa, solo, con il programma di farmi portare la pizza e scolarmi un paio di birre davanti alla tv che dava la partita della Nazionale.
poco prima dell’inizio dell’incontro vidi un paio di fari di auto passare davanti a casa, fermarsi e poi ripartire per scomparire, non ci feci caso ma dopo qualche minuto suonò il campanello.
mi alzai, andai ad aprire e mi trovai davanti Giorgia.
“Gio… ciao…” la salutai confuso non sapendo bene che cosa fare, lei sorrise e sospirò, molto nervosa e imbarazzata da come muoveva le mani.
“lo so che è tardi e magari… magari non è neanche il momento giusto” disse sbirciando dentro alla ricerca di un’eventuale compagnia femminile, “ma… volevo chiederti… mi puoi ospitare per qualche giorno?”
fu un vero colpo.
“se non puoi io… io…” cercò di dire ma le cedette la voce.
"non so dove andare..." piagnucolò e allora le accarezzai la guancia.
“vieni, entra” le dissi facendomi di lato per farla passare, “accomodati…”
entrò e si guardò attorno e solo allora vidi che era diversa, capelli più corti e meno curati, occhi infossati e sguardo stanco, spalle che non erano più diritte e squadrate come quelle di una modella.
“scusa, io… avrei dovuto chiamare prima…” provò a dire ma non la lasciai finire, aprii le braccia e quel gesto familiare le bastò per scattare verso di me e abbracciarmi a sua volta, scoppiando a piangere.
la lasciai sfogare e quando ci separammo le baciai la fronte.
“vieni” la invitai “siediti, e dimmi tutto…”
ci accomodammo sul divano e lì Gio mi spiattellò tutto quanto non andava nel verso corretto nella sua vita, il marito sempre più assente, i figli che ormai la vedevano solo come una cuoca o una lavandaia se non come un bancomat, la delusione di questo e di quello, la lontananza di Elisa e tutte quelle altre cose che se non raggiungevano... singolarmente la drammaticità di una crisi lo facevano sicuramente sommate insieme.
invece di ordinare una pizza ne ordinai due e invece di stappare due birre ne stappai quattro, e la sera passò veloce.
la feci distrarre e ridere, lasciai che si assopisse e poi... mi presi cura di lei.
e verso l’una del mattino, quando insonne fissavo il soffitto, pensai a quanto la mia vita era diventata uno jo-jo.
e guardando alla mia sinistra vidi Giorgia, nuda a pancia in giù con le belle chiappone al vento che dormiva serena, e non mi sentii tranquillo… perché ero certo di avere fatto l'ennesima cazzata della mia vita.
tirai su il lenzuolo e la coprii, non perché fosse una brutta visione ma perché ormai l'estate era finita e le notti non erano più calde, Gio si svegliò, aprì gli occhi probabilmente senza nemmeno ricordare dove fosse e poi si voltò dall'altra parte omaggiandomi con un "prot!" secco proveniente dal suo sorriso verticale che mi strappò una risata.
avevo fatto un'altra cazzata, un'enorme, colossale cazzata.
o forse no?
FINE SETTIMA PARTE