SERENITA’

me lo confessò guardandomi dritto negli occhi e con la paura addosso, quasi avesse timore di essere giudicata.
fu un colpo, non lo nego, non più tardi di quattro anni prima le avevo detto che mi sarebbe piaciuto avere un terzo figlio ma mi aveva sempre risposto che i figli si fanno da giovani, come avevamo fatto i nostri, non a quarant’anni.
e invece a quanto pare… non è che non lo volesse fare in assoluto, è che non lo voleva con me!
“ah, ok…” le risposi, indeciso se sentirmi bene o male, se farle le felicitazioni o dirle “oh cazzo, sei incinta! a quarantacinque anni, ti sei fatta ingravidare da un povero idiota direttore di filiale in banca… uno che non ha neanche i soldi per comprarsi un cazzo di appartamento che direttore di filiale è?”
esitai anch’io, poi glielo domandai.
“ma… l’hai… l’avete cercato?”
“no!” esclamò quasi disperata, “no, non l’abbiamo cercato… sai… come la penso, non ho più vent’anni…”
annuii, colpito da quella sua schiettezza ma anche sollevato perché… questioni di gelosia mai sepolta.
“e… e lui?” le chiesi, “lui che ne pensa?”
“lui… lui non… lo sa” sussurrò.
chiusi gli occhi per un istante immaginandomi la scenetta e poi li riaprii, sorridendole rassicurante.
“ne sarà felice, no?” le chiesi, ma Elisa scosse la testa.
“no, non ne sarà felice, anzi” disse, “lui… non vuole figli, ne ha già due dalla sua ex moglie e dice che sono… un inferno…”
ecco il perché il direttore di filiale era spiantato, aveva l’ex moglie e due figli da mantenere…
“ma cazzo, Elisa” mi venne da dire, “prima ti metti con un impotente e poi con un povero disgraziato senza un centesimo? uno che deve chiedere i soldi a te per comprarsi un appartamento e non vivere in affitto?”
mi venne da ridere per quei pensieri ma ebbi rispetto per lei e per il suo dramma.
“ma scusa, non prendevi la pillola?” le chiesi, e lei scosse la testa.
“l’ho sospesa ancora… mesi fa” rispose, esitante, ma non mi disse il perché, e non erano nemmeno fatti miei.
“e… come fai a sapere che…” provai a chiederle e lei sbuffò.
“mi è saltato l’ultimo ciclo e quello prima era irregolare”
era strano per lei, Elisa era sempre stata regolarissima, un vero orologio anche fino a pochi mesi prima e nonostante si avvicinasse alla menopausa (ma guai a dirglielo).
“ma hai fatto… il test di gravidanza?” le chiesi.
annuì.
“ne ho fatti tre, l’ultimo stamattina, era incerto, i due di ieri invece erano positivi”
“e… l’esame del sangue?” le chiesi.
scosse la testa, era terrorizzata dai prelievi.
“e… un’ecografia?” le chiesi ancora, ma scosse la testa.
“non ho avuto tempo…” sussurrò.
guardai l’orologio, erano le solo le quattro, c’era tempo.
“c-cosa fai?” mi chiese vedendomi indaffarato con il telefono.
le feci cenno di attendere con il dito, mi alzai e chiamai, e al secondo squillo rispose “buongiorno, clinica Sant’Andrea, come posso aiutarla?” mi disse la gentilissima signorina.
“vorrei fissare un’ecografia urgente per una donna di quarantaquattro anni” dissi, e quando sentì Elisa si alzò in piedi, continuò a dire “no, no, no, no” e a cercare di fermarmi con le mani, magari per sottrarmi il telefono, ma non la feci nemmeno parlare tenendola lontana con il braccio teso.
e quando misi giù andai a prenderle l’impermeabile l’aiutai a metterlo, “ci aspettano tra mezz’ora” le dissi, “dobbiamo sbrigarci…”, allora cedette e piagnucolò.
non parlò molto durante quel breve viaggio, imbarazzata ma anche impaurita per l’esito, e quando arrivammo alla clinica non volle uscire dall’auto, tanto da “costringermi” a tirarla fuori.
la stavano aspettando, e quando arrivò il suo momento e sentì il suo nome si bloccò, e dovetti nuovamente spingerla per andare in ambulatorio.
“ehi, coraggio” le dissi, accarezzandole i capelli, “non succede niente, io sono qui fuori che ti aspetto, ok?”
annuì, ma quando mi allontanai spalancò gli occhi.
“v-vieni dentro anche tu!” esclamò.
le sorrisi e tornai da lei.
“non so se è il caso…” le dissi, “io… non… non vorrei…”
“Fede, non è niente che tu non abbia già visto…” mugolò piagnucolosa, “per favore… per favore…”
“ok” le risposi, e di nuovo sorrise, la presi per mano e l’accompagnai dentro.
la sentii spiattellare alla ginecologa la sua vita sessuale (pensavo meglio…) e alcune problematiche che aveva avuto recentemente, niente farmaci, pillola anticoncezionale sospesa a luglio dell’anno prima…
“ok” le disse il medico, "può spogliarsi dietro il paravento e lì trova la camicia igienica, gentilmente toglie gli slip e poi si accomoda sul lettino”
le sorrisi imbarazzato e le accennai se dovevo uscire, ma subito scosse la testa, mi voleva lì.
sparì dietro il paravento, sentii il fruscio dei suoi vestiti e poi la vidi uscire, gambe nude e camicione aperto sul retro che mi lasciava vedere il suo bel culone che conoscevo così bene…
quanta nostalgia…
si accomodò sul lettino e senza badare alla forma e alle apparenze tirò su tutto scoprendo la figa pelosa, qualcosa che non avrei mai sospettato in una donna raffinata come lei.
mi guardò e mi sorrise, alzando le spalle come se volesse dirmi “che ci vuoi fare?”, poi arrivò la ginecologa e cominciò l’ecografia.
controllò bene l’utero, ovaie, tube, insistette su qualcosa che per me erano soltanto macchioline grigie, fece un paio di smorfie e poi disse “signora, non ci sono tracce di gravidanza”, e allora vidi l’intero corpo di Elisa rilassarsi, senza nemmeno stare a sentire che cosa le diceva il medico sulle possibili cause dell’amenorrea.
pochi minuti dopo stavamo uscendo, Elisa respirava profondamente, finalmente era finito un incubo e si vedeva quanto era sollevata.
mi prese sottobraccio e raggiungemmo l’auto, e se non fossero passati i mesi e tutto quel… casino che era successo in mezzo sarebbe stato uno dei più classici nostri pomeriggi tranquilli, uno come tanti passati insieme nel corso degli anni.
ma non era così.
ci prendemmo un caffè insieme e Elisa cominciò a parlare della sua nuova vita, senza nascondere altro che non fossero particolari intimi.
triste, mi venne da pensare.
triste se rapportato allo stile di vita che conduceva ‘prima’ ma a vederla e a sentirla sembrava felice, e non si lasciava andare a nostalgie o rimpianti, guardava in avanti, aveva progetti (si era trovata un lavoro part-time in un ufficio commerciale e le piaceva lavorare insieme alle persone).
la guardavo in silenzio, era sempre la stessa, la stessa donna, solo che ormai non era più mia.
“e… l’altro?” le chiesi.
si irrigidì, ma poi sorrise.
“ci sentiamo di tanto in tanto, ma non l’ho più visto” rispose, tranquilla e rilassata, “è una bravissima persona, un uomo davvero buono e generoso, dovresti con…” cercò di dire ma imbarazzatissima si fermò.
no, l’uomo che aveva causato la fine del nostro rapporto era l’ultima persona sulla terra che avrei voluto conoscere.
allungò la mano e prese la mia stringendola, poi sorrise.
“che c’è?” le chiesi, e lei scosse la testa facendo una risatina.
“doveva finire, prima o poi” sussurrò, “e questo lo sai anche tu!”
accusai il colpo, per davvero.
avevo sempre amato Elisa e l’amavo ancora, gliel’avevo anche confessato, e allora perché… perché dire una cosa del genere?
“come coppia eravamo già finiti tanto tempo fa” disse, serena, e la invidiai per questa sua freschezza, “stavamo insieme solo per i nostri figli e per la nostra comodità, io per prima, ovviamente”
non fiatavo.
“certo, il sesso era… divino” disse ancora, ridacchiando (e strappando un sorrisetto alla cameriera che aveva sentito tutto), “ma non potevamo fermarci solo al sesso”
“io sì” pensai, ma ovviamente tenni la bocca chiusa.
“non avrei mai fatto il primo passo, non io” continuò, “sono troppo… vigliacca per ammettere che vivevo in una situazione di comodo e che ci stavo bene, e che non mi davano fastidio le… tue… divagazioni, diciamo così”.
mi sentivo come se fossi nudo in chiesa.
non potevo confessare, non sapevo fino a che punto fosse a conoscenza delle mie scappatelle, soprattutto quelle con Giorgia.
scossi la testa e le sorrisi, confortante, ed Elisa mi strinse ancora di più la mano.
“mi hai sempre trattato bene, come una regina, mi hai… viziato, coccolato, amato, nessuna donna poteva essere più felice di me insieme a te!”
“e… allora perché?” le chiesi di getto.
“perché ti ho tradito?” mi chiese, senza mezze parole.
“sì, perché?”
sembrò pensarci su, poi alzò le spalle.
“me lo sono chiesta anch’io, tante volte, credimi” rispose, “la risposta è che… non c’è una risposta, ho conosciuto quell’uomo per caso, abbiamo parlato davanti ad una scultura moderna e ci siamo trovati in sintonia, ci siamo presi un caffè e poi abbiamo parlato e parlato e parlato, non ricordo quanto, poi ci siamo scambiati i numeri di telefono e abbiamo continuato a parlarci, e due settimane dopo ci siamo rivisti, a Torino…”
certo, Torino, ricordavo bene: era stata fuori per una notte perché c’era quella mostra che si concludeva con qualcosa che finiva attorno alle undici della sera ed ero stato proprio io a… consigliarla di fermarsi per la notte e non mettersi in viaggio stanca.
mi aveva manipolato, ma brava…
ma ormai non aveva più importanza.
“ci siamo trovati e… è successo” concluse, sempre sorridente.
faceva ancora male, altro che “è passato tanto tempo”.
esitai, ma attratto morbosamente da quel suo lato nascosto non riuscii a non chiederglielo.
“e… è stato come lo volevi tu?” le chiesi.
mi guardò aggrottando le sopracciglia.
“signor Federico Rastrelli, non mi starai mica chiedendo di raccontarti come ti ho tradito, vero? non vorrai mica i particolari?”
“e… se ti dicessi di sì?”
scoppiò a ridere e fece ridere anche me, mi strinse ancora la mano e scosse la testa.
“una cosa… imbarazzante, terribilmente imbarazzante” mi disse, e ridacchiò, “credo che sia stata la prima volta che ho fatto l’amore con qualcuno e che ho avuto fretta di finire!”
avevo i brividi sulla schiena, mi facevano male le sue parole, ma me lo meritavo.
però aveva detto “fare l’amore” e non “fare sesso”, il che significava un coinvolgimento, e in effetti a pensarci me l’aveva anche confessato che si era innamorata.
però non mi tornava qualcosa.
“ma… in due uscite ti puoi innamorare” le chiesi.
alzò le spalle.
“a me è successo” rispose, senza aggiungere altro.
arrivò la cameriera, ordinai un altro caffè per me e non ricordo che cosa per Elisa, e una volta rimasti soli ricominciò la sua narrazione.
“quando ci siamo salutati quella mattina eravamo… imbarazzati, nessuno dei due diceva niente e ci guardavamo a malapena, poi lui mi ha abbracciato e stretta forte dicendomi che ero la cosa più bella che gli ero capitata nella vita e che non voleva perdermi, e che proprio perché non voleva rischiare di non vedermi più mi assicurò che quella sarebbe stata la nostra prima e ultima volta”
“te l’ho già detto, siamo usciti sette volte in totale, e abbiamo fatto l’amore solo due volte, l’ultima… due settimane prima che… succedesse… tutto”
tornò la cameriera con il mio caffè e il suo non ricordo che cosa e quello decretò la fine delle confessioni di Elisa, che però mi puntò il dito contro.
“e tu?” mi chiese minacciosa, “in questo tempo chissà cosa avrai combinato, eh?”
pensai alla decina di donne che erano passate dal mio letto e con le quali avevo condiviso poco o nulla ad eccezione di un paio di loro, e con un’infinita tristezza mi toccò mentirle di nuovo.
per l’ennesima volta, sì, ma c’era qualcosa di diverso: quando eravamo sposati e le mentivo mi sembrava una cosa normale, egoisticamente me ne fregavo e pensavo che fosse un mio diritto, facevo i miei comodi passando sopra a tutto e a tutti come un rullo compressore con l’unico obiettivo di soddisfare il mio ego smisurato.
ma ora, ora che non avevo più motivo di raccontarle balle, stavo male a negarle la verità: e perché non lo facevo?
perchè me ne vergognavo.
e pensai alle parole di nostro figlio Marco, quella sera in piscina davanti ad un tavolino pieno di bottiglie di birra vuote, “sei stato uno stronzo”.
“no” le risposi, “nessuna…”
non volle sapere altro e fu meglio così perché avrei fatto fatica ad arrampicarmi sugli specchi, ma prima di cambiare completamente discorso…
“senti un po’ una cosa…” mi incalzò ricordandosene improvvisamente, “ma… quella tua… collega, al lavoro, quella che ti stava sempre appiccicata…”
Anna.
“non dirmi che neanche con lei…” ammiccò.
“no, davvero” le risposi mentendo ancora una volta spudoratamente, “è il suo modo di fare, quello, può dare l’impressione di una che lo fa per fare carriera o per compiacere il capo, ma non è così, anche perché…” provai ad aggiungere ma non ci riuscii.
“ehi, ehi…” mi disse interrompendomi, “guarda che non mi devi delle spiegazioni…”
invece gliele diedi, false ma gliele diedi, raccontandole di una Anna che in realtà era molto diversa da quella vera dipingendola come una brava ragazza mamma di due bimbi piccoli e molto attaccata alla famiglia (e in particolari momenti anche al mio cazzo!), con un rispetto viscerale per il lavoro.
non mi credeva, ovviamente, ma gliela vendetti così e non ci fu altro da aggiungere anche perché tutte quelle balle cominciavano un po’ a pesare…
mi chiese se ero stato in vacanza e le dissi di no, troppe cose da fare, nemmeno lei c’era stata e allora ripercorremmo i nostri meravigliosi trascorsi in giro per il mondo con i nostri ragazzi prima e da soli poi, negli ultimi due o tre anni, ma la conversazione cominciò ad assumere toni troppo tristi, e allora cambiammo drasticamente
…e finimmo a parlare dei nostri ragazzi, il nostro vero, unico e grande orgoglio, di quanto fossero diventati indipendenti e felici.
era felice anche lei per il fatto che non gli facevo mancare nulla e che ero un padre presente nonostante quello che era successo, ma ancora una volta la conversazione scivolò sul triste, e allora nuovo giro, parlammo di me.
“dai, raccontami…” cominciò, “che cosa hai fatto in questi mesi?”
le parlai del lavoro annoiandola a morte, le parlai delle case e dei traslochi facendola sbuffare e le dissi dei nostri ragazzi, ma quelle cose le sapeva già.
“io voglio sapere di te, di cosa hai fatto, con chi ti sei visto, con chi ti sei legato…” mi incalzò, “dai, raccontami come ti sei divertito con le donne, su, adesso puoi farlo liberamente!”
la so riconoscere una trappola, ne percepisco l’odore.
scossi la testa.
“non me lo vuoi dire?” mi chiese, quasi delusa.
“no… no, non è questo” mi affrettai a dirle, “è che non ho niente da raccontare”
mi guardo fissa.
“e tu mi vuoi dire che dopo essere tornato single non hai avuto neanche una mezza avventura?” sussurrò, “proprio tu?”
“già, proprio così” le risposi e la sua replica fu “impossibile! mi stai raccontando palle!”
e aveva ragione, ma la mia linea era quella, e non la cambiai.
“puoi credere quello che vuoi, ma la verità è quella…”
mi guardò valutandomi bene, non era convinta.
“proprio niente?” insisté, “neanche un pompino… piccolino piccolino?”
sorrisi e scossi la testa.
“sono stato alla larga dalle donne” le dissi, “e credo che ci resterò lontano ancora a lungo”
“no, impossibile!” sentenziò, “non potrai mai farlo!”
le dissi che aveva anche i suoi vantaggi, meno casini, meno mal di testa.
ridemmo, allegri ma tristi al tempo stesso.
“e allora quando c’ero io?” mi chiese, “perché non l’hai fatto? ti ricordi che mi saltavi addosso due o tre volte la settimana?”
“con te era diverso, eri mia moglie, ti vedevo tutti i giorni e…” cercai di dirle, senza scendere nei particolari per non offenderla, poi cedetti.
“cazzo, ti vedevo nuda, con quelle due… cose che ti porti addosso e con quel… quel culo lì!” le dissi facendola ridere di gusto, “come facevo a trattenermi?”
ridemmo entrambi, e quando Elisa fece il gesto di spingerle verso di me dicendomi “ti piacciono ancora le due gemelle?” facendole muovere allora feci un passo indietro e tornai più serio, facendole capire che… era meglio così.
“se vuoi” buttò lì, “Paolo ha una sorella, single, te la posso presentare…”
scoppiai di nuovo a ridere (risi anche pensando a come poteva essere triste e grigia la sorella di un uomo grigio come quello!) e le dissi che non avrei mai potuto sopportare di avere una cognata che era stata mia moglie, mi diede del cretino e quelle risate spezzarono la tensione che si era venuta a creare, e poi parlammo di lui.
di Paolo, che mi immaginavo come l’essere più grigio e triste dell’emisfero boreale ma che a lei piaceva, era un uomo buono e retto, con rigorosi concetti morali e sociali, molto svizzero, e scendendo nei dettagli mi raccontò che prima di fare l’amore per la prima volta con lei le aveva chiesto se se la sentiva, vista la recente separazione…
cioè, mi trovo davanti una donna come Elisa, magari già nuda nel letto, e le chiedo “cara, ma ti senti sicura?”
ma forse era il genere di attenzioni che una donna come Elisa cercava dopo tanti anni passati insieme ad un… caterpillar come me!
parlava e parlava, la vedevo felice e se da un lato questa felicità mi scaldava il cuore dall’altro mi riempiva di amarezza, perché quella meraviglia di donna ora se la godeva qualcun altro.
scacciai con violenza il pensiero della “donna che avevo scartato”, era volgare e offensivo anche per un uno come me, e quando la sentii chiedermi “...ma hai sentito quello che ti ho detto?” trasalii, avevo perso il filo del suo discorso, troppo intento a guardarle le labbra.
“scusa, no…” le risposi, “mi sono un po’ perso…”
scoppiò a ridere, era da tempo che non sentivo più la sua risata.
che bello fu ascoltarla nuovamente dopo tanti mesi che sembravano anni…
“ok, ok, colpa mia” disse subito, “ti sto riempiendo la testa di cose che per un uomo come te…”
“cosa interessa allora ad un uomo come me?” le chiesi subito, interessato a capirla meglio.
sorrise maliziosa.
“non so…” rispose, “magari qualche particolare più intimo e… piccante”
non capivo perché ero rimasto staccato dal discorso nel suo complesso, ma… stetti al gioco.
“io… penso di conoscerti bene” le risposi, “scusa la franchezza ma in quanto a particolari intimi… posso dire di essere il massimo esperto mondiale”
ridacchiò poi tornò seria.
“lo sai, vero, che le cose che ho fatto con te… non le potrò mai fare con lui?” mormorò.
“io… non lo so questo” risposi imbarazzato, per davvero, mentre lei sembrava a suo agio, “dipende da te Elisa…
“eh, ma in questo caso dipende anche da lui” rispose con una punta di delusione.
capii al volo: prima l’impotente e ora lo spiantato triste e… poco fantasioso.
cascava male, Elisa, era abituata bene…
mi guardò negli occhi e mi sentii a disagio.
“ti ricordi quando…” ridacchiò, si guardò attorno e poi avvicinandosi aggiunse “...quando lo facevamo in giro, con la possibilità che ci vedessero?”
me lo ricordavo eccome… era la perversione di Elisa essere scopata con qualcuno che poteva guardarla.
“ecco, io ci ho provato con lui, e sai che mi ha risposto?” sussurrò.
“immagino…”
“che non è… moralmente accettabile” sbottò.
chiusi gli occhi per non ridere, ma fu inutile.
“sì, sì, puoi anche ridere se vuoi!” mugugnò, “capisco tutto ma cavolo, anche io ho le mie esigenze!”
“già” le risposi, “non sei quella del rapporto canonico lui sopra e tu sotto, giusto?”
lo sguardo le diventò sottile sottile sottile, e quando faceva così erano in arrivo tuoni e fulmini!
“mi stai dando della mignotta?” mi chiese fingendosi seria, ma poi scoppiò a ridere trascinando anche me.
era bello stare con lei, forse troppo bello, e soprattutto c’era qualcosa di strano in quel suo modo di voler mettere il sesso al centro del discorso, quasi lo volesse… tirare fuori di proposito.
la guardai in silenzio mentre parlava di non so che cosa, e vedendomi serio diventò seria anche lei.
“perché mi guardi così?” mi chiese, sensuale.
“ecco, ci siamo” pensai.
che motivo c’era per tenerlo dentro?
nessun, glielo dissi e basta.
“ti guardo così perché… non sai quello che darei per prenderti e baciarti, lasciarti senza fiato e poi portarti a casa mia, e farti tante di quelle cose che…”
avevo i suoi occhi dentro i miei, nessuno dei due fiatava.
“se me lo chiedessi” sussurrò, “non saprei dirti di no”
fu come ricevere una badilata in piena faccia.
“dovrei dirti di no, ma non saprei farlo…” aggiunse.
sembrava che il tempo si fosse fermato, c’eravamo solo noi.
“è per questo che non te lo chiederò” le risposi, e quelle mie poche parole la fecero riprendere, recuperò compostezza e controllo di sé e ancora una volta mi prese le mani.
“sei… un uomo eccezionale” mi disse con la voce che cedeva, “io… ho fatto l’errore più grande di tutta la mia vita a tradirti, e adesso… adesso non sai che cosa darei per tornare indietro…” concluse mettendosi a piangere.
la raggiunsi dalla sua parte del tavolino e la abbracciai, la lasciai piangere cercando di abbracciarla ma senza toccarla troppo (e fu la cosa più difficile in assoluto), poi la staccai da me e con le mani sulle sua guance le detersi le lacrime usando i pollici, mi avvicinai per baciarla sulla bocca ma all’ultimo momento le feci abbassare la testa e le posai il bacio sulla fronte, anche se lei aveva già chiuso gli occhi per riceverlo sulle labbra.
il momento magico era finito, la lasciai andare al bagno per sistemare trucco e capelli e dopo aver pagato l’accompagnai fuori sempre tenendola sottobraccio, come era nostra abitudine quando eravamo insieme.
una decina di minuti dopo passammo di nuovo davanti a casa mia ma tirai dritto, resistendo alla tentazione di riportarla da me, e una mezzoretta dopo eravamo sotto casa sua, con Elisa pronta per tornare alla sua nuova vita.
mi aveva ringraziato milioni di volte per quello che avevo fatto per lei, ovviamente rifiutai ogni sua offerta di rimborso e dopo esserci promessi che ci saremmo sentiti ma anche rivisti a breve la lasciai andare.
“è stato bello passare del tempo insieme a te” mi disse, “triste, ma bello”.
ero d’accordo con lei, era stato bello ma ora dentro avevo il classico magone che sapevo che sarebbe durato troppo tempo prima di andarsene e lasciare spazio ad un altro pessimo compagno di viaggio, la solitudine e la malinconia.
e stava arrivando l’autunno, e io odiavo l’autunno.
quella stessa sera Elisa mi scrisse, si scusò per le cose troppo spinte che mi aveva detto e per stemperare la tensione le chiesi di mandarmi un selfie, come ai vecchi tempi.
“meglio di no” rispose, “tanto ne hai già tanti nella tua collezione”
e poi scrisse quell’altra frase.
“è meglio se per un po’ di tempo non ci vediamo” scrisse, “non sarei in grado di controllarmi ancora”
mandò un bacio virtuale e poi chiuse il telefono senza nemmeno leggere le mie repliche.
e fu meglio così.
passarono alcuni giorni, del tutto inconcludenti, e una sera, sul tardi, mi arrivò un messaggio.
“pazza furiosa” diceva l’anteprima.
trasalii.
lo aprii e mi tranquillizzai, era solo un saluto tra amici ed ormai ex parenti, mi chiedeva come stavo e il perché non mi fossi più fatto vivo, mi scrisse anche che aveva parlato con la sorella e che era orgogliosa di me per come avevo mantenuto la distanza.
“sarebbe stato facile per te approfittarne" scrisse, “non l’hai fatto e questo vuol dire che sei davvero un uomo”
ero felice di quella sua considerazione.
Gio mi chiese della nuova casa e per l’ora successiva ci scrivemmo decine e decine di messaggi, e arrivò quasi mezzanotte, così ci salutammo con qualche battuta e un paio di GIF animate poi andai a dormire e non ci pensai più.
il giorno successivo passò tranquillo e anche quello dopo filò liscio, restai al lavoro fino a tardissimo per concludere quello che dovevo concludere entro il weekend e il venerdì sera mi ritirai a casa, solo, con il programma di farmi portare la pizza e scolarmi un paio di birre davanti alla tv che dava la partita della Nazionale.
poco prima dell’inizio dell’incontro vidi un paio di fari di auto passare davanti a casa, fermarsi e poi ripartire per scomparire, non ci feci caso ma dopo qualche minuto suonò il campanello.
mi alzai, andai ad aprire e mi trovai davanti Giorgia.
“Gio… ciao…” la salutai confuso non sapendo bene che cosa fare, lei sorrise e sospirò, molto nervosa e imbarazzata da come muoveva le mani.
“lo so che è tardi e magari… magari non è neanche il momento giusto” disse sbirciando dentro alla ricerca di un’eventuale compagnia femminile, “ma… volevo chiederti… mi puoi ospitare per qualche giorno?”
fu un vero colpo.
“se non puoi io… io…” cercò di dire ma le cedette la voce.
"non so dove andare..." piagnucolò e allora le accarezzai la guancia.
“vieni, entra” le dissi facendomi di lato per farla passare, “accomodati…”
entrò e si guardò attorno e solo allora vidi che era diversa, capelli più corti e meno curati, occhi infossati e sguardo stanco, spalle che non erano più diritte e squadrate come quelle di una modella.
“scusa, io… avrei dovuto chiamare prima…” provò a dire ma non la lasciai finire, aprii le braccia e quel gesto familiare le bastò per scattare verso di me e abbracciarmi a sua volta, scoppiando a piangere.
la lasciai sfogare e quando ci separammo le baciai la fronte.
“vieni” la invitai “siediti, e dimmi tutto…”
ci accomodammo sul divano e lì Gio mi spiattellò tutto quanto non andava nel verso corretto nella sua vita, il marito sempre più assente, i figli che ormai la vedevano solo come una cuoca o una lavandaia se non come un bancomat, la delusione di questo e di quello, la lontananza di Elisa e tutte quelle altre cose che se non raggiungevano... singolarmente la drammaticità di una crisi lo facevano sicuramente sommate insieme.
invece di ordinare una pizza ne ordinai due e invece di stappare due birre ne stappai quattro, e la sera passò veloce.
la feci distrarre e ridere, lasciai che si assopisse e poi... mi presi cura di lei.
e verso l’una del mattino, quando insonne fissavo il soffitto, pensai a quanto la mia vita era diventata uno jo-jo.
e guardando alla mia sinistra vidi Giorgia, nuda a pancia in giù con le belle chiappone al vento che dormiva serena, e non mi sentii tranquillo… perché ero certo di avere fatto l'ennesima cazzata della mia vita.
tirai su il lenzuolo e la coprii, non perché fosse una brutta visione ma perché ormai l'estate era finita e le notti non erano più calde, Gio si svegliò, aprì gli occhi probabilmente senza nemmeno ricordare dove fosse e poi si voltò dall'altra parte omaggiandomi con un "prot!" secco proveniente dal suo sorriso verticale che mi strappò una risata.
avevo fatto un'altra cazzata, un'enorme, colossale cazzata.
o forse no?

FINE SETTIMA PARTE
 
Bello cazzo! Veramente bello ma stavolta mi sono per così dire "cautelato"infatti qui nel mio bar mi sono fatto fare un "campari ghiaccio e limone con una dose spropositata di "Bombay Sapphire"che mi ha fatto solo che bene visto che mi aspettavo cose diverse,certo che lei è caduta dalla padella nella brace,lasciamo stare le frasi fatte tipo "chi è causa del suo mal..."non commento il suo pensiero e non voglio fare il classico moralista su un sito come questo,bravo lui a imboscare qualsiasi domanda di lei che se volesse la potrebbe ancora scopare,visto che lei ancora ci pensa e magari CI SPERA,non lo sapremo MAI,Il ritorno di Gio è un fulmine a ciel sereno,lo immaginavo che sarebbe tornata,ok sono troppo logorroico e concludo dicendo che l'ho letto 2 volte con estremo piacere ascoltando in cuffia "Brothers in arm live "dei Dire Straits" perché alla fine di tutto siamo "fratelli in armi"grazie ancora @metsenbaum sono emozioni forti e che non è facile da descrivere,aspetto quell'altro...con estrema curiosità
 
PARLIAMONE…

la mattina al mio risveglio Gio era lì che mi guardava, né seria né sorridente, mi guardava e basta.
“ehi, buongiorno” la salutai stiracchiandomi, “dormito bene?”
erano solo le sette meno qualche minuto, quel giorno dovevo lavorare e non potevo trattenermi più a lungo perché dovevo mettermi in macchina e far visita ad un cliente dalle parti di Bologna che aveva espressamente richiesto la mia presenza per firmare il contratto.
annuì ma non aprì bocca, si limitò a guardarmi inespressiva.
e capii che non era un buon segno.
tirai fuori le gambe dal letto e le misi a terra voltandole la schiena, mi alzai e mi diedi un’altra stiracchiata, diedi un’occhiata fuori attraverso le tende e poi finalmente Giorgia disse qualcosa.
“sei cambiato”
“davvero?” le chiesi “e perché sarei cambiato?”
non rispose subito e quando lo fece… lo fece con un’altra domanda.
“perché non hai voluto fare l’amore con me ieri sera?”
‘dritta al punto, vero Gio?’
abbassai la testa, e poi la guardai.
“lo sai il perché…" risposi, “non serve che te lo dica”
“sono venuta qui… apposta per quello” replicò, tesa, “e invece mi hai rifiutata”
chiusi gli occhi.
“avevo bisogno di… di te!” continuò a dire, con il tono di voce che si alzava sempre di più, “avevo bisogno di… di quello! ma tu…no, perché?”
“non ti ho rifiutata, e non ti ho detto di no, ero solo convinto che non avevi bisogno di quello” le dissi con calma, e con il tono più ragionevole possibile, “quello di cui avevi bisogno era qualcuno che ti ascoltasse e ti desse la sua vicinanza, non che ti… non quello”
sorrise, poi ridacchiò, e poi rise apertamente.
non sapevo se mi stesse prendendo per il culo o se fosse solo uno sfogo isterico, ma quando smise si alzò e mi raggiunse, mi abbracciò da dietro e mi strinse appoggiando la guancia alla mia schiena.
“grazie per non averlo fatto” sussurrò, “grazie, dico davvero…”
tirai un sospiro di sollievo.
non era il momento dei piagnistei e delle scene strappalacrime, così usai un altro approccio.
“perché invece di stare qui a dirmi ‘grazie, grazie per essere sempre il migliore e quello che ce l’ha più lungo di tutti’…”
cominciò a ridere.
“...invece di dirmi ‘quanto sono bello e potente’… perché non vai a preparare la colazione?”
mi girai sciogliendomi dal suo abbraccio e me la trovai davanti, una donna ancora molto bella ma stanca, delusa, che faceva tutto per tutti e non era in grado di chiedere niente per sé stessa.
le posai un bacio sulla fronte e poi uno sul naso fermandomi giusto in tempo prima di posargliene uno anche sulle labbra.
“e… mettiti qualcosa addosso, per favore” le dissi separandomi e guardando il suo corpo nudo, ancora armonico e tonico anche se negli ultimi mesi aveva messo su un po’ di pancetta.
“no, non penso che lo farò…” rispose mugolando, “penso che starò tutto il tempo nuda…”
scossi la testa.
“questo ti da fastidio?” mi chiese, mettendosi in posa per farsi vedere meglio, sollevandosi i capelli per poi lasciarli ricadere.
“mi da molto fastidio!” le risposi, la presi per le spalle e la feci girare di centottanta gradi dandole uno sculaccione sul bel culone tondo spedendola verso l’armadio.
“prendi quello che vuoi, ma copriti” le dissi ancora, “io vado a fare la doccia, e quando esco voglio trovare pronta la colazione, ok?”
“vuoi o vorresti?” mi chiese minacciosa.
“voglio, voglio!” replicai.
“sì capo!” rispose scattando sull’attenti, la liquidai con un gesto e poi andai in bagno.
ero sotto il getto tonificante dell’acqua caldissima quando la sentii bussare alla porta.
“posso… entrare?” mi chiese.
“sì, certo” le risposi, “ti serve qualcosa?”
“pipì…”
passò oltre la doccia e andò a sedersi sul water, fece quello che doveva e poi si alzò, e dopo essersi lavata le mani si fermò a guardarmi.
“e la mia colazione?” le chiesi, “non si prepara mica da sola… su, su, vai vai, non perdere tempo!”
scosse la testa.
“io non so se… se lo fai apposta o se ci riesci e basta” mi disse, e quello che seguì fu uno dei più bei complimenti che mi avesse mai fatto, “ma sei l’unico uomo che sa farmi divertire, con tutto quello che fa e quello che dice, anche quando mi mette davanti delle cose che non sono quelle che vorrei sentirmi dire”
“e chi sono diventato, il buffone di corte?”
nemmeno mi ascoltò.
“davvero… se penso a qualcosa di divertente che ho fatto nella mia vita in un modo o in un altro ci sei dentro tu!”
“e quando sono giù… penso che posso sempre farti una telefonata o… venire a parlarti e tu… e tu ci sei, mi fai stare bene, mi fai sorridere…”
la guardavo, sembrava quasi assorta nei suoi pensieri.
“non so se è un caso, ma… quando sono con te non sento più neanche il bisogno di masturbarmi per… scaricare la tensione!”
‘eh?’
“anche se non vuoi fare l’amore con me… mi sento bene, sono… appagata” concluse.
non so se era una cosa positiva, ma mi faceva piacere.
restò a guardarmi, alternando lo sguardo sui miei occhi e sul cazzo, e se non era un segnale chiaro e forte quello…
“e… la mia colazione?” le dissi, con la perfetta faccia di culo.
“dio che palle la colazione!” esclamò innervosita ma anche divertita, “adesso te la preparo ‘sta cazzo di colazione!”
richiuse la portina del box ma prima di uscire dal bagno mi chiese “cosa vuoi?”
“caffè e basta”
“ma… che cazzo di colazione vuoi che preparo, allora?” sbottò, “solo un caffè?"
“sì, solo caffè…” le ripetei.
aggiunse qualcos’altro che non capii ma prima che si allontanasse e non mi sentisse più le gridai ancora “e mettiti qualcosa addosso!”, risi e continuai a lavarmi perché ne avevo bisogno, abbassando anche l’acqua calda perché qualcuno, giù a sud, aveva necessità di una doccia fredda visto che non restavo di certo insensibile al corpo nudo di Gio…
dopo la doccia mi preparai di tutto punto e andai in cucina, c’era profumo di caffè, la tavola era apparecchiata e… ma che cazzo? ma perché proprio quella?
Giorgia era indaffarata a cercare qualcosa nel cassetto delle posate e indossava la 99 di Wayne Gretzky, come aveva fatto sua sorella una drammatica sera di molti mesi prima.
‘ma con tutte quelle che ho, proprio quella lì?’
mi sedetti e mi feci servire, e già che era stata così gentile approfittai divorando una delle fette biscottate che si era preparata davanti ai suoi occhi sgranati, ma quella era casa mia, la mia cucina, la mia tavola, quindi tavola mia, regole mie…
non disse nulla e se ne preparò un’altra ma quando allungai la mano per rubargliela allora mi diede uno schiaffo sulla mano facendomela ritrarre.
“te la morsico se ci riprovi!” mi sgridò, e quando ovviamente lo rifeci cominciammo a lottare per quella fetta biscottata che senza alcuna speranza finì in briciole.
erano mesi che non avevo compagnia a fare colazione, e se da un certo punto di vista Gio non era la compagna né la compagnia giusta per una lunga lista di motivi, dall’altra parte era una delle poche persone con cui potevo ridere e scherzare, confidarmi e anche sfogarmi.
prima di uscire le consegnai le chiavi di scorta e il telecomando del cancello elettrico e visto che era venerdì le dissi che sarebbe passata la donna delle pulizie.
“mmm…” mugolò maliziosa, “hai paura che rovini il tuo harem?”
“sì, qualcosa del genere…” le risposi pensando alla signora Miriam e alla parola harem tutto nella stessa frase.
“farai la brava?” le chiesi mettendole due dita sotto il mento.
“faccio sempre la brava” mi rispose accompagnandomi alla porta, e quando la aprii per uscire mi prese per un braccio trattenendomi.
“quando torni stasera?” mi chiese, un po’ triste.
“tardi, credo”
sospirò.
“la storia della mia vita…” si lasciò scappare, amara.
non mi andava di vederla così, e potevo anche immaginare quanto fosse stata infelice per lasciare casa sua e venire da me a chiedere ospitalità, ed ora finiva per stare di nuovo sola.
così glielo chiesi a basta.
“vuoi… venire con me?”
sollevò lo sguardo, elettrizzata.
“d-dove?”
“non molto lontano, Bologna” le spiegai, “vado da un cliente per una firma, mi porta fuori a pranzo e poi si torna a casa, che ne dici?”
“ma… io… come faccio?” mi chiese esitante, “e… siamo… solo noi?”
“sì, certo, solo noi due…”
si morsicava il labbro, tesa e eccitata.
“ma io che cosa devo… cosa dovrei fare?”
“niente, solo venire con me” le risposi, “e vedere quanto sono bravo, quanto sono bello e quanto faccio bagnare le donne!”
“ma io non ho… qui… niente…” cominciò a dire, “e guarda che capelli… non sono pronta…”
erano le sette e tre quarti.
“hai… due ore per farti trovare pronta” le dissi, “alle dieci passo di qui e se ci sei ci sei, sennò vado solo”
era galvanizzata.
“ok” rispose, “sarò pronta!”, e senza nemmeno salutarmi scappò via e si chiuse in bagno.
“pazza furiosa…” dissi a voce bassa, poi chiusi la porta e andai al lavoro, cercando una scusa per convincermi che stavo facendo la cosa giusta.
ero quasi arrivato quando mi arrivò una chiamata, ovviamente da ‘pazza furiosa’...
“dimmi…”
“non ti ho chiesto, ma come devo essere?”
“eh?”
“come devo… essere, figa, superfiga o mezza mignotta?”
scoppiai a ridere.
“facciamo superfiga” le dissi, “ma senza esagerare, ok?”
“ok”
“sarai pronta? mi raccomando…”
“ci sarò” rispose, poi si ricordò di un’altra cosa.
“e… sotto?” mi chiese, “sotto cosa metto? devo essere superfiga anche sotto?”
pensai bene a cosa rispondere, non volevo rovinare tutto spingendo troppo in un senso o troppo nell’altro, ma trovai le parole giuste.
“comoda, la più comoda possibile” le risposi.
non era sicuramente quello che voleva sentirsi dire, ma lo accettò, mi salutò frettolosamente e poi chiuse.
alle dieci in punto tornai a casa e suonai al mio stesso campanello e pochi istanti dopo eccola lì.
e sorrisi, felice.
sì, aveva capito tutto.
indossava un tailleur blu scuro con giacca e pantalone, scarpe con il tacco basso e camicetta abbottonata, si era raccolta i capelli (scoprii poi che si era fatta fare una piega veloce dall’hair studio vicino a casa mia) e addirittura si era messa gli occhiali diventando la caricatura della segretaria sexy.
“complimenti, sei bellissima” le dissi, mi allungai per posarle un bacio sulla guancia facendola felice e poi partimmo con destinazione Bologna dove arrivammo meno di due ore dopo, accolti dal cliente al quale presentai Giorgia genericamente come una “collaboratrice esterna”, non che a lui importasse molto del resto.
sbrigammo la pratica della firma sul contratto in meno di un’ora, strette di mano e tutto il resto compresi, ma quando arrivò il momento di essere invitati a pranzo… passammo direttamente ai saluti.
eh, bella storia pensai, e guardando verso Gio la vidi sorridere.
appena usciti dal cliente Gio scoppiò a ridere.
“c’è poco da ridere…” le dissi, “adesso mi tocca spendere per me e anche per te!”
rise ancora, poi mi prese sottobraccio e mi chiese “dove mi porti adesso?”
la portai dove doveva portarci il cliente, in un ristorante stellato vicino al Parco della Montagnola, un posto veramente bello di cui Giorgia si innamorò al primo sguardo.
fu un bel pranzetto, tête-à-tête ma senza nessuna “aderenza”, parlammo ancora dello stesso argomento della sera prima, di come si sentiva abbandonata al suo destino e ci come fosse ormai assuefatta alla vita domestica, senza più obiettivi da raggiungere.
“cosa ti piacerebbe fare?” le chiesi mentre il cameriere le versava altro vino, “anzi, cosa vorresti fare?”
“non lo so…” mugugnò, “non lo so davvero… forse… ma non lo so perché non c’è quello che voglio fare, non esiste…”
mangiammo divinamente e bevemmo altrettanto divinamente, e una volta finito mi feci portare il conto pagando con la mia carta di credito e non quella aziendale, e dopo aver fatto due passi per i famosi portici bolognesi tornammo verso casa.
Gio non era felice, si vedeva lontano un miglio.
“ehi…” le chiesi, “perché non parli più?”
si voltò e mi sorrise amara.
“stavo pensando alla mia vita” rispose, “e… non lo so, non ci trovo più un senso…”
ci siamo…
“non ci trovi più un senso vuol dire che prima c’era e adesso non c’è più?”
“sì, proprio così”
le parlai dei problemi che ognuno di noi genitori ultraquarantenni affronta tutti i giorni, i figli diventano grandi e indipendenti e non hanno più bisogno di te (a parte chiederti i soldi!) e questo di suo porta ad uno “svuotamento” interiore.
poi ci sono gli inevitabili “cali”, non solo fisici, ma soprattutto mentali, e quelli sono i peggiori in assoluto.
“e… cosa consigli di fare per evitare questi cali?” mi chiese, maliziosa, e mettendo una mano sulla mia coscia cominciò a salire fino ad arrivare proprio lì.
evidentemente le parole che le avevo detto quella stessa mattina erano servite a poco o nulla.
“concentrarti su quello che veramente ti fa più felice” le risposi mentre mi tastava l’affare e le palle, “concentrarti sulla tua famiglia e su quei valori che per te sono sacri”
aveva ancora le mani sopra il mio pacco, ma si era fermata.
“...e cerca di vivere un rapporto di equilibrio con tuo marito” continuai, sempre guardando solo la strada, “parlaci, condividi con lui le tue paure e non avere paura di aprirti, non chiuderti in te stessa e non credere che sia giusto farlo perché è lui a essere distaccato o disinteressato”
“credimi, basta un attimo per trovarti pentita di non avere fatto il primo passo e di aver sprecato gli anni…”
“non fare come ho fatto io, che ho buttato tutto nel cesso…”
staccò la mano e la riportò sulle sue di cosce, e voltandosi dall’altra parte si dedicò a guardare fuori dal finestrino la campagna che scorreva veloce.
“però non è giusto…” disse, e si voltò verso di me, per fortuna con il sorriso.
“cosa non è giusto?”
“io… avevo bisogno di… avevo bisogno del vecchio Federico” mugugnò, “non di questo qui…”
sorrisi.
“credimi, questo nuovo ti saprà aiutare meglio di quell’altro” le dissi, “e ricordati che anche questo nuovo per te ci sarà sempre, basta una chiamata e… anzi, non serve neanche quella, quando avrai bisogno basterà che ti presenti alla mia porta e mi troverai”
sorrise.
“posso… almeno abbracciarti?” mi chiese.
“vieni…” le risposi, aprii il braccio sinistro e la accolsi sul petto, inspirando a pieni polmoni il suo profumo.
mi restò addosso per diversi minuti durante i quali percorremmo chilometri su chilometri nel più totale silenzio, almeno fino a che non decise di chiedermi ancora qualcosa.
“stasera… posso stare ancora da te?”
“sì, certo” le risposi, “ma è sabato, non hai in programma qualcosa?”
e con una certa nota di malizia aggiunsi “non vai a ballare anche tu il sabato?”
tanto sapeva tutto sull’uso di quel termine “improprio” tra me e sua sorella.
“no” rispose, “io non vado a ballare…”
scese di nuovo il silenzio, poi ricominciò.
“lo sai che è ancora innamorata di te, vero?”
non servì dirmi chi era l’innamorata, era più che ovvio.
“mi ha detto che vi siete visti per un caffè l’altro giorno” aggiunse, “e che non hai voluto baciarla”
sorrisi.
non le aveva detto della gravidanza, lo aveva detto solo a me… e la cosa, inutile negarlo, mi fece immensamente piacere.
“no, non l’ho fatto, non l’ho baciata”
“e… perché?” mi chiese, “lei lo voleva, e… non so se sia giusto che te lo dica ma tanto… tanto la conosci e lo immagini già, lei voleva anche venire a letto con te…”
“no, non credo” le risposi, “un conto e un bacio, un conto è fare sesso con l’ex marito”
“come dici sempre tu, non voleva solo fare sesso, voleva fare l’amore…” mi disse.
“ha… ha usato queste parole?” le chiesi, con il cuore che accelerava.
“m-m” rispose, “ha detto fare l’amore con te, non farsi scopare da te o fare sesso con te, fare l’amore, così ha detto, parole sue…”
sorrisi, quelle erano le vere soddisfazioni della vita.
“perché le hai detto di no?” mi chiese, “non pensi che avesse bisogno di te?”
“le ho detto di no perché non è più la mia donna” le risposi, “adesso è la donna di un altro uomo, non è più mia…”
“ma lei.. voleva…” provò ad insistere, ma la fermai.
“no, Gio” le dissi, anche brusco, “non succederà”
“ma… perché?” mi chiese dolcemente, “voleva solo… amarti…”
inspirai profondamente e sentii un groppo in gola.
“io non le farò più del male” risposi quasi mormorando, “gliene ho già fatto tanto in passato, lo sai, e non… non succederà più”
precipitammo nel silenzio, ma mi sentii di aggiungere ancora qualcosa.
“...e nemmeno a te” dissi posando un bacio sui suoi capelli che profumavano di buono, “te lo prometto, Gio, non farò più del male neanche a te”
sentii che mi stringeva più forte, forse piangendo.
passammo chilometri e chilometri appiccicati e in silenzio poi Giorgia si tirò su, dolorante al costato per colpa della postura innaturale e del tunnel centrale dell’auto con il bracciolo che non le dava spazio per avvicinarsi.
“ma… è scomodissimo…” disse “ma come faceva… Elisa?”
le sorrisi.
“si fa fatica a muoversi, è tutto così stretto qua dentro…” continuò misurando gli ingombri allargando i gomiti a destra e a sinistra, “ma come faceva a venirti vicino? ha anche le tette più grosse delle mie! ma riusciva a farti i pompini?”
“oh sì…” le risposi, “me li faceva eccome!”, e le spiegai che si metteva in ginocchio sul sedile e che così poteva arrivarci meglio.
non era molto convinta, e continuò a dirmi che in una macchina così stretta non ci si poteva nemmeno divertire e invece si sbagliava, perché con Elisa o senza Elisa mi ero divertito parecchio anche se ovviamente non glielo potevo dire.
“tu non molli mai, vero?” mi venne voglia di chiederle, ma fu una domanda inutile quella che mi posi, perché un istante dopo si levò le scarpe e si mise in ginocchio sul sedile sporgendosi verso di me.
“ma che cazzo stai facendo?” le chiesi divertito mentre quella ‘pazza scatenata’ provava per davvero a simulare un pompino autostradale, ma muovendosi e agitandosi finì per urtare il volante e allora con le dovute maniere le chiesi di rimettersi seduta.
e anche lì capii che non era proprio quello che voleva sentirsi dire.
“sei una che non molla mai, vero?” le dissi, divertito.
ridacchiò stringendosi nelle spalle e atteggiandosi a bambina capricciosa cominciò a farmi i dispetti, a pizzicarmi e a provocarmi, ma non reagii restando composto senza cedimenti, e allora si ritirò innervosita dalla sua parte, sbuffando.
“ne abbiamo appena parlato, no?” le dissi, “ho detto che non volevo…”
“ma è solo un pompino!” mugugnò, “un pompino, cazzo! un pompino… non è neanche sesso!”
“come sarebbe a dire che un pompino non è sesso?” le chiesi, “e che cos’è?”
“un pompino… è come un bacio” rispose arrampicandosi sugli specchi, “un bacio sul cazzo!”
scoppiammo a ridere entrambi e la tensione si sciolse, mi fermai a fare benzina e a sgranchirmi le gambe e Giorgia ne approfittò per andare alla toilette tornando un quarto d’ora dopo.
“mi stavo preoccupando” le dissi, “c’era coda?”
“no” rispose, “tutto vuoto…”
“ah… ho visto che ci hai messo un sacco…” le dissi mentre si allacciava la cintura di sicurezza facendola passare tra le bocce.
“ho trovato un tipo” mi disse distrattamente, “belloccio, carino… l’ho seguito e siamo entrati nei cessi insieme e… mi sono fatta scopare”
‘ovvio…’
“dico davvero, sai?” insistette, “gliel’ho tirato fuori e gli ho fatto un bel soffocone, poi mi sono messa a novanta e lui zac, dentro!”
“e ti sei divertita?” le chiesi.
“m-m” replicò, “alla grande…”
non sapevo se crederle oppure no e restai in silenzio, e con la coda dell’occhio la vidi che alternava lo sguardo da me alla strada, poi sbuffò.
“ma non te ne frega niente se mi faccio scopare nei cessi dell’autogrill?” sbottò spazientita, “ma è possibile che… non parli mai? dimmi qualcosa, cazzo! parla!”
“che cosa vuoi che ti dica?” replicai divertito, “se l’hai fatto avrai le tue ragioni… che cosa c’entro io? non sono mica il tuo uomo…"
la feci infuriare ancora di più e rimediai un gran pugno sul petto che mi fece davvero male, bloccai gli altri in arrivo e quando vidi che stava andando un po’ oltre allora cambiai tono nel chiederle di smettere, e finalmente lo fece.
“ma che cazzo ti prende?” le chiesi, “allora?”
“perché non mi vuoi più?” si decise finalmente a chiedermi, “non ti piaccio più?”
ecco dove voleva arrivare.
“fino a poco tempo fa… mi saltavi addosso appena potevi!” sbottò, “e adesso… non ti fai neanche toccare da me!”
“perché?”
“te l’ho spiegato il perché, non voglio più farti del male”
“ma… non è farmi male!” ringhiò “è farmi stare bene! è… darmi quello che ti chiedo!”
“non di quello che hai bisogno…” provai a dirle ma fu inutile.
“non usare quei tuoi… giri di parole!” rispose furiosa, “non sai come mi fai incazzare quando fai così!”
“io credevo che… questo viaggio fosse una scusa per… uscire con me” disse, ritrovando la calma, “che ci potevamo divertire insieme…”
“non ti sei divertita? mi hai detto di sì, prima…”
“non in quel senso” si affrettò a spiegare, “tu lo sai bene che cosa voglio dire…”
e diventò triste.
“e ho sbagliato, lo so” continuò, “perché se non mi vuoi più e se non ti faccio più effetto… non è colpa tua, ma è colpa mia, e io… ti capisco”
non mi piaceva quella deriva di autocommiserazione, e decisi che era l’ora di usare le maniere forti.
“tu sei ancora la stessa” le dissi, “sono io che non sono più lo stesso”
fece una smorfia, poco convinta.
“sei la stessa donna che… mi faceva venire voglia di strapparle le mutandine e di sfondarle il culo ogni volta che la vedevo, in qualsiasi posto fossimo e con chiunque ci fosse intorno, mariti, mogli, figli, sorelle, nonni, zie, tutti!”
mi guardò… scioccata.
“o di prenderti per i capelli e cacciarti il cazzo giù in gola fino a soffocarti, e sborrarti direttamente nello stomaco!”
“tu sei sempre tu, e quello che sento dentro per te è ancora lo stesso, credimi” continuai, “perchè ieri sera, quando hai voluto venire nel mio letto e ti sei tolta tutto… io… volevo davvero sfondarti e aprirti in due, tu non hai idea di quanto ho dovuto… lottare, per non cedere!”
“e poi ti sei addormentata, nuda, con tutto quel… quella meraviglia a mia disposizione, e volevo metterti le mani dappertutto, e baciarti e leccarti e succhiarti, e sbatterti così forte da farti gridare e urlare, e mettertelo ancora nel culo e farti diventare una furia ma continuare a… sodomizzarti fino a fartelo piacere e aprirti il culo a metà!”
“ecco, questo volevo fare ieri sera” conclusi, “e sai perché non l’ho fatto?”
non rispose subito, poi lo fece e mormorò “perché mi rispetti?”
“NO!” esclamai facendola sobbalzare, “perché sono un coglione!”
mi guardò dritto negli occhi e scoppiò a ridere, a crepapelle, con le lacrime agli occhi, poi tornò seria.
“mi hai fatto bagnare dicendomi quelle cose, sai?” mi disse, “e poi… non è vero che mi sono fatta scopare nei cessi, mi sono solo fatta un ditalino…”
“pazza furiosa…” le dissi.
scese ancora il silenzio, ciascuno di noi pensava alle sue cose e come gestire i propri problemi ma nel bel mezzo dei miei fui interrotto dalla sua voce.
“e comunque, un pompino non è sesso”
inutile lottare contro i mulini a vento, le diedi un buffetto sulla guancia e le dissi “come vuoi tu, Gio, se per te un pompino non è sesso… allora non è sesso”
e le strappai un sorriso.
il traffico rallentò improvvisamente, e altrettanto improvvisamente arrivò una chiamata di Elisa.
reagendo ad un riflesso condizionato alla comparsa del nome sul display Giorgia scattò in posizione difensiva salvo poi rilassarsi e ridacchiare divertita.
“ehi, ciao, dimmi…” la salutai in vivavoce facendo l’occhiolino a Gio raccomandandomi che non aprisse bocca.
ci eravamo separati da poco, ero stato tradito e sotto sotto non l’avevo ancora perdonata del tutto, ma i nostri rapporti erano comunque rimasti più che buoni e così dovevano restare, e se Elisa avesse saputo che vedevo la sorella non era scontato che la prendesse bene, tutt’altro..
“ciao… senti…” mi disse, “scusami se ti disturbo ma volevo chiederti se per caso hai sentito Gio oggi, è tutto il giorno che provo a chiamarla ma non risponde…”
vidi Giorgia affannarsi a cercare il cellulare nella borsetta e una volta che l’ebbe trovato me lo mostrò spento, imprecando sottovoce.
“no, non l’ho sentita…” le risposi, “hai provato con lui?”
“sì, ma non risponde neanche lui…” mi disse, “sono un po’ preoccupata adesso…”
provai a rassicurarla dicendole che forse uno era in viaggio e l’altra in palestra (“da stamattina?” mi chiese, e a ragione…), e le dissi anche che ero sicuro che appena trovate le sue chiamate si sarebbe senz’altro fatta viva, e già che c’ero e che la sentivo un po’ giù le chiesi se ci fosse qualcosa che non andava.
la sentii inspirare, e poi lasciare andare l’aria, tecnica yoga di rilassamento.
“non lo so…” sussurrò, “è che è tutto così… strano… surreale”
“strano cosa?” le chiesi, e vedendo l’espressione quasi divertita di Gio immaginai che sapesse già tutto.
“tutto… tutto quello che succede nella mia vita…” mormorò, “faccio le cose ma non so neanche se sono le cose che voglio fare, mi faccio… condizionare da un sacco di stronzate che dicono le persone e non… riesco a dominarmi quando penso a… quando penso a quello che c’era prima”
“prima?” le chiesi.
“sì, prima, quando… c’eri tu” disse, quasi esalando il respiro.
“ne abbiamo già parlato, Elisa” provai a dirle e con la coda dell’occhio vidi che Giorgia scuoteva la testa, “le cose sono cambiate, non possiamo più tornare indietro, abbiamo delle responsabilità verso chi ci sta accanto e…”
“hai qualcuna?” mi chiese, molto aggressiva.
“n-no” le risposi un po’ preso alla sprovvista, e per rimettere la nave in rotta aggiunsi “non al momento, almeno”
Gio mimò il gesto del Tafazzi, bottigliate sulle palle.
la sentii sospirare.
“non so se… posso continuare” confessò, “credo… credo di aver sbagliato tutto e… di essermi infilata in una situazione che non voglio più portare avanti”
tanti saluti, Paolo…
“Elisa, è successo qualcosa?” le chiesi, “sei… ti ha fatto qualcosa?”
“no, no…” rispose dolcemente, “non c’entra lui… lui è… no, lui non c’entra…”
“e… allora cos’è che ti fa stare male?” le chiesi, pronto a domandarle un’altra cosa ma non me ne diede il tempo.
“tu, sei tu a farmi stare male!” disse, dura.
“tu non hai idea di che… macigno sia la tua presenza da portarsi addosso, pensavo che con il tempo avrei potuto dimenticarmi e preoccuparmi di un’altra persona ma… come cazzo faccio, Fede!”
ero nella merda, letteralmente.
e accanto a me Gio sembrava soddisfatta, le sue previsioni erano del tutto corrette, evidentemente.
non potevo dirle “arrangiati”, non l’avrei mai fatto, ma non potevo nemmeno presentarmi sotto casa sua con il cavallo bianco e la spada sguainata per salvarla dalla sua stessa prigione…
“devi lavorarci sopra, Elisa” le ripetei col cuore di pietra, “ti posso aiutare ma non posso fare il lavoro per te”
“sì, lo so” rispose, stanca, “ho fatto una stronzata, te l’ho già detto e te lo ripeto, se serve, e la sto pagando carissima”
“io…” provai a dire, ma non potei continuare.
“pensavo…” mi interruppe, “pensavo di avere più tempo per… per fare guarire il nostro matrimonio, ma non ce n’è stato a sufficienza di tempo…”
gira e rigira, la colpa è ancora mia, sta a vedere…
“e le cose hanno cominciato a travolgermi e mi sono trovata senza più niente, senza casa, senza famiglia, senza soldi, senza una speranza per il futuro, ho dovuto… umiliarmi e chiedere ai miei genitori di riprendermi con loro a casa per non finire sulla strada…”
“e per che cosa? per due scopate che mi sono fatta, due scopate del cazzo, tra l’altro!” disse sprezzante, non capivo bene se contro di me o contro sé stessa, “ho perso tutto quello che ci siamo costruiti in una vita insieme! l’ho buttato nel cesso per… due scopate!”
parole durissime, anche Giorgia ascoltava attenta e aveva smesso di fare la sciocca.
e c’era una cosa che in tutto quello schifo mi tirava su di morale, che non mi accusasse apertamente di essere stato esageratamente duro nei suoi confronti.
“ehi, non voglio sentirti così” le dissi, e mostrandomi risoluto aggiunsi “il passato non ritorna più, lo sai, e se abbiamo commesso degli errori ok, ne paghiamo le conseguenze, dobbiamo continuare a vivere la nostra vita e se questa vita non ci piace dobbiamo avere il coraggio di cambiare fino a che siamo in tempo”
la sentivo respirare velocemente.
“Elisa, se non ti trovi bene nella vita che stai vivendo… cambia!”
“ma non farlo per nessun altro, fallo solo per te!”
era un momento drammatico, lo capivo bene.
“e… e dove andrò?” mi chiese piagnucolando, “non ho più niente, non ho più una casa…” provai a dire ma la fermai.
“hai me!” esclami, “hai me, i nostri figli, Gio, i suoi ragazzi… non sei sola!” ripetei, con il cuore in gola.
“io ci sono, io ti voglio ben…”
“IO SONO ANCORA INNAMORATA DI TE! LO CAPISCI???”
esclamò esasperata.
“lo capisci che tutto gira ancora attorno a te, come… prima?” mi disse, “io non riesco, non ce la faccio a dimenticare tutto, e più passa il tempo più… impazzisco!”
le lasciai il tempo per sbollire l’adrenalina e poi provai a calmarla, dicendole di fare lunghi respiri e lasciare andare l’aria, e funzionò, con lei funzionava sempre.
“calmati adesso” le ripetei, “calmati e ragiona, lascia da parte la rabbia e la frustrazione e pensa a te”
“ok” sussurrò, “ok, hai ragione…”
“cosa farai?” le chiesi dopo qualche istante di silenzio.
“ci devo pensare” sospirò, “ci devo pensare… adesso non lo so, ci penserò”
“e… grazie per avermi ascoltato” mi disse, “adesso cerco di riposare un po’ perché sono a pezzi…”
“chiamami quando vuoi” le dissi, “ci sono sempre per te…”
mi ringraziò, mi salutò frettolosamente e poi mise giù.
“cazzo…” mormorai, “che casino…”, e guardando Gio la vidi gongolante.
“è colpa tua” mi disse con tutta la semplicità di questo mondo, “ci hai sedotte e abbandonate, e adesso che cosa pretendi? che viviamo con i tuoi scarti?”
“scarti? scarti di che cosa?” le chiesi.
“con quello che è restato dopo che te ne sei andato” mi chiarì, “con i cocci, ecco, cocci e non scarti!”
“per piacere Gio” cercai dirle, “non prendermi per il culo…”
“per te è stato semplice, te ne sei andato e…” provò a dire ma la fulminai.
“SEMPLICE?” esclamai lasciandola basita, “me ne sono andato perché sono stato tradito, ho scoperto il tradimento e ho reagito come avrebbe reagito ogni uomo al mio posto, non me ne sono andato perché avevo io l’amante!”
“e io cos’ero?” rispose calmissima, “io ero tua cognata, e… tradivo mia sorella con te pugnalandola dietro le spalle! io non ero la tua amante?”
non risposi.
“abbiamo sbagliato tutti” sussurrò dopo aver ripreso la calma, “tutti… e tu per primo!”
“hai delle responsabilità verso di lei,
non risposi, troppo incazzato e troppo preso dai pensieri che mi affollavano la mente per replicare.
“non possiamo tornare quelli di prima e non possiamo fare come se niente fosse accaduto” ricominciò, “ma non possiamo neanche ignorare quello che proviamo”
“ci fa male, e non ci porta a niente… negare quello che sentiamo dentro” concluse.
restammo in silenzio per diversi minuti e diversi chilometri, io con lo sguardo fisso sulla strada e lei guardando di fuori dal finestrino, e mentre uscivamo dall’autostrada A1 in direzione Brennero Giorgia si voltò, si slacciò la cintura e si mise in ginocchio sul sedile e dopo avermi messo le mani sul pacco comincio ad aprirmi tutto.
“Gio” le dissi per fermarla, “Gio, che cosa fai?” Gio!” ripetei mentre mi stava mettendo le mani dentro.
“ti faccio un pompino!” esclamò, “ti faccio un pompino e non rompere le palle!”
“Gio…” provai a dire, ma ormai ce l’avevo di fuori, sentii che me lo scappellava con le mani e poi avvertii il calore intenso della sua bocca.
“ecco” pensai, “mi sono giocato di nuovo tutto…”
ed ero di nuovo sull’ottovolante, ancora una volta!
Giorgia stava pompando da maledetta, e senza avere la possibilità (e, parliamoci chiaro, la voglia) di fermarla la lasciai fare, e con la mano libera le raggiunsi il bel culo e mi infilai sotto le mutandine scendendo lungo il solco delle chiappe, trovandole il buchino.
e al diavolo tutto, forzai ed entrai facendola gemere.
e vaffanculo, alla prima area di sosta misi la freccia ed entrai dentro, accostai il più possibile l’auto al guardrail e scesi raggiungendola dall’altra parte, e con ancora il suo bel culone a disposizone le abbassai pantaloni e mutandine fino alle ginocchia, le aprii le chiappe e senza esitazione le leccai il buco del culo, lo insalivai per bene e dopo averglielo puntato sopra le entrai dentro facendola gridare per il dolore ma anche per l’eccitazione.
me la scopai velocemente e dolorosamente, cercai di tenerla ferma ma non ci riuscii allora glielo tolsi dal culo e glielo cacciai nella figa infilzandola al primo colpo: e cominciai a scoparla di brutto, la presi per le spalle e sbattendola da dietro le feci capire quanto la volevo e quanto fossero tutte stronzate le cose che le avevo detto, che avevo bisogno anch’io di lei e del suo corpo, che anch’io avevo bisogno di fare l’amore con lei e di farla mia!
si lasciò usare e anzi mi incitò ad andare ancora più veloce, più forte, più duro, e con tutto quel movimento e con l’adrenalina che scorreva a fiumi le sborrai dentro copiosamente facendole colare schifezza lungo le cosce, e inevitabilmente finii per sporcarle i pantaloni.
quando mi ritirai, ancora con il pennone dritto, potei vedere il disastro che avevo fatto, aveva il buco del culo rosso e gonfio e la figa era orrendamente slabbrata, appiccicata di sperma e fluido vaginale.
le volevo dare qualcosa per pulirsi ma Giorgia smontò dall’auto, si guardò, fece una smorfia e senza alcun problema si tirò su tutto, slip e pantaloni, fregandosene.
“e adesso torniamo a casa” mi disse prendendomi per la cravatta, “che questo qui era solo l’aperitivo…”
ci baciammo profondamente e con una passione sfrenata, e pochi minuti dopo eravamo diretti verso casa mia sfrecciando come fulmini, volle prima passare da casa per prendere dei cambi e meno di dieci minuti dopo eravamo diretti da me, eccitati e arrapati come ventenni alle prime armi, pronti alla battaglia che quella sera sarebbe stata epica.
e ormai non me ne fregava più niente, di nuovo, tutti i buoni propositi, tutte le cose dette e non dette erano finite nel cesso, anzi, erano finite in un’anonima piazzola di sosta dell’autostrada del Brennero…
pochi minuti dopo arrivammo davanti a casa mia, eccitatissimi, e mentre cercavo di aprire il cancello elettrico con quel cazzo di telecomando che andava una volta sì e due no, senza guardare fuori, sentii Giorgia dire “no cazzo, no… no cazzo, no…”
la guardai senza capire e poi finalmente guardai fuori alla mia sinistra e feci un salto per la sorpresa, ma anche per il terrore che mi prese la gola.
davanti al cancello c’era Elisa che ci salutava con la mano, triste e consapevole, ma con lo sguardo dolce.
e mi sentii perso.
per davvero, stavolta…

FINE OTTAVA PARTE
 
Salve ho letto il capitolo e devo ricredermi in un primo momento ti avevo giudicato molto maschilista ora hai pareggiato i conti, sei molto bravo a scrivere e se è un racconto di fantasia , ne ai molta comunque aspetto che continui il racconto. Giò
 
PROVIAMOCI…

Gio fece tutto il possibile e anche di più per cercare di convincere la sorella che non stava succedendo nulla dietro le sue spalle, e che si era trattato solo di un… incontro di lavoro, che avevo bisogno diciamo così di compagnia per un viaggio di lavoro e che lei era disponibile, tutto lì, ma servì a poco perché Elisa non era stupida e conosceva bene sia me che la sorella.
“ma che cazzo, Gio!” sbottò alla fine, “capisco lui che è sempre stato un… uno che le occasioni non le spreca, ma tu, cazzo!”
“io che cosa?” le rispose la sorella, decisamente incazzata, “Elisa, io che cosa?” le ripetè avvicinandosi e pronta per aggredirla, “dai, dillo!” la incalzò minacciosa..
“s-sei sposata!” replicò esasperata Elisa, “sei sposata! hai un marito! hai una famiglia! non buttare via tutto per… lui!”
e allora le cose presero una piega decisamente devastante, in cui le parole uscirono senza più alcun controllo e le emozioni forti presero il sopravvento.
“io non ho fatto un cazzo di niente di male!” gridò Giò, “non ho fatto niente e non ho… tradito nessuno!”
Elisa sembrava sotto shock a quelle parole.
“non sono stata io a fare le corna a mio marito!” le gridò ancora Gio, “non sono stata io che avevo l’amante! non sono stata io che si faceva scopare e che raccontava di andare… a BALLARE!!!”
scoppiò il silenzio.
Elisa sembrava sul punto di… esplodere, Giò era sul punto di spezzarsi in due ed aveva le vene del collo così tese che sembravano voler scoppiare.
io, dal canto mio, me ne stavo in disparte, non volevo entrare in una disputa familiare ma tanto era solo questione di tempo prima che venissi coinvolto, lo sapevo.
“Gio” disse Elisa sforzandosi di mantenere la calma, “non… non parlare di cose che non… che non conosci, e… e per favore, non… non cercare di…”
“IO NON CERCO NIENTE!” gridò allora Giorgia, “IO NON HO FATTO NIENTE! TI SEI… SOGNATA TUTTO, COME SEMPRE!, TI STAI FACENDO I TUOI CAZZO-DI-SOLITI-FILM IN TESTA E BUTTI MERDA SU TUTTI!!!
era finita, stavano andando fuori controllo.
“non… sto gettando merda su tutti” le rispose Elisa, anche lei ad un passo dal cedimento nervoso, “voglio solo che capisci che cazzo di errore stai facendo a… metterti con LUI!” gridò alla fine, puntandomi il dito contro.
“TI STA MANIPOLANDO!” le gridò, “VUOLE APPROFITTARSI DI TE! NON LO CAPISCI CHE VUOLE SOLO… SCOPARTI???”
già fatto, cara Elisa, già fatto tu non immagini quante volte…
“NON MI FACCIO SCOPARE DA NESSUNOOOOOOO!” replicò selvaggiamente Giorgia arrivando ad un passo dal mettere le mani addosso alla sorella che prudentemente aveva fatto un passo indietro, “NON SONO IO CHE MI SONO FATTA SCOPARE DA UNO CHE HA CONOSCIUTO DUE GIORNI PRIMAAA!!!" continuò al massimo del volume, “SEI STATA TU!!! E ADESSO VUOI VENIRE QUI A DARE LEZIONI DI… MORALE??? A ME???”
“VUOI CHE PARLIAMO CON TUO MARITO, EH?” l’aggredì a quel punto Elisa, “LO CHIEDIAMO A LUI? EH?”
“LASCIALO FUORI DA QUESTA COSA!” replicò Giorgia, e per fortuna riuscì a trattenere l’odio, ma non sapevo per quanto: era paonazza, Elisa pure, ed erano sul punto di prendersi per il collo.
e io ero nel mezzo, pronto ad intervenire ma anche… equidistante, per non prendere la parte di nessuna.
ma questa mia neutralità durò poco, pochissimo.
“E TU?” ruggì Giorgia, “TU NON DICI NIENTE? TU STAI LI’ COME UNA CAZZO DI STATUA??? DI’ QUALCOSA, PARLA!!!”
“cerchiamo di mantenere la calma…” provai a dire, “adesso entriamo e parliamo, e ci togliamo dalla strada che stiamo dando spettacolo, ok?”
“NON ANDIAMO DA NESSUNA PARTE!” urlò a quel punto Elisa, “O VUOI CHE SI SAPPIA CHE PRIMA TI SEI SCOPATO UNA SORELLA E POI ADESSO TE NE FAI UN’ALTRA?”
provai ad intervenire, davvero, ma non ci riuscii, Giorgia non ci vide più ed aggredì la sorella con uno schiaffo così forte che le fece volare via un orecchino, Elisa accusò il colpo a tradimento (...) e cercò di replicare ma ne prese un altro che assomigliava più ad un pugno che uno schiaffo, ma a quel punto intervenni frapponendomi tra le due contendenti decidendo di bloccare Giorgia che sembrava quella più furiosa e manesca delle due, subendo i tentativi di Elisa di rendere gli schiaffi ricevuti.
sollevai di peso Gio che gridava verso la sorella tutta la sua frustrazione e allo stesso tempo mi picchiava i pugni sulla schiena per cercare di liberarsi, tenni duro e non so come riuscii aprii il cancellino e la portai dentro: pensavo, anzi, speravo che Elisa si fermasse e che non ci seguisse, magari lasciandomi chiudere in casa Giorgia ed uscire a parlare con lei subito dopo, ma no, entrò anche lei e ci seguì, e non appena ebbi “liberato” Gio le due continuarono, a gridarsi in faccia tutta la loro ira.
provai a farle smettere, anche duramente, ma non servì, anzi, presi anche la mia dose di insulti e di offese pesanti.
“almeno non si pestano” pensai, e quasi mi venne da ridere, ma di lì a pochi istanti Elisa afferrò una delle foto incorniciate che avevo sopra il caminetto e al colmo della frustrazione la lanciò verso Gio mancandola, e finendo per fracassare la vetrinetta dell’angolo bar.
non ebbi nemmeno il tempo di dire un “a” che Giorgia aveva afferrato il telecomando e l’aveva lanciato verso la sorella, con una mira migliore, colpendola in pieno petto, e poi volò di nuovo verso di lei pronta per aggredirla.
allora scattai, la presi al volo cingendola per la vita e rovesciandola senza molto sforzo la gettai sul divano gambe all’aria rovesciando il tavolino che c’era dietro e mandando in frantumi bicchieri di cristallo del cognac, e subito dopo dovetti fermare Elisa dal volarle addosso usando le mani.
la presi per un braccio e la tenni così forte da lasciarle il segno (lo scoprii poi) e quando Gio si alzò afferrai anche lei tenendole entrambe a distanza mentre ancora si insultavano pesantemente dandosi reciprocamente della troia e della puttana, della succhiacazzi e della sfasciafamiglie.
“BAAAAASTAAAAAAAAAAAAAAA!” gridai a quel punto, selvaggio e infuriato, “STATE ZITTEEEEEEEEEEEEEEEEE!”
e questa dimostrazione “energetica” servì, le due si guardarono sempre l’un l’altra pronte a scannarsi ma almeno in silenzio.
“E ADESSO SEDETEVI!” gridai ancora, “E NON VI VOGLIO SENTIRE FIATARE!”
ma nessuna delle due mi ascoltò, Gio continuò a guardare la sorella come se le volesse strappare gli occhi, poi afferrò la sua borsetta, puntò alla porta e trovando per terra un bicchiere da cognac ancora sano lo raccolse e lo scaraventò contro di me, mancandomi, e facendolo finire lontano dove finì in mille pezzi, poi aprì la porta quasi strappandola dai cardini e uscì praticamente correndo, sentii che accendeva l’auto e poi che sgommava via.
mi alzai e andai a chiudere pronto per cercare di… mediare con Elisa, ma un istante dopo anche lei si alzò e puntò la porta.
“Elisa…” provai a dire, ma lei si voltò di scatto e mi puntò il dito contro.
“non… non provarci” ruggì rabbiosa, “non… non provare a parlarmi, non scrivermi, non cercarmi, non fare NIENTE!”
annuii.
“per me sei morto, tu non esisti più, tu non… tu sei MORTO!” continuò, a metà fra le lacrime e il furore, “HAI CAPITO? SEI MOOOOOOORTOOOOOO!!!” e (per fortuna) senza aggiungere altro se ne andò, non so dove e non so come, lasciandomi completamente solo.
chiusi la porta e abbassai la testa.
non mi interessava dei danni, non mi interessava di niente.
mi sedetti pesantemente sul divano e restai ad occhi aperti a guardare il soffitto.
avevo rovinato tutto, di nuovo, avevo distrutto tutto… di nuovo.
stavolta per davvero.
avevo i nervi a fior di pelle, andai alla vetrinetta del bar ed evitando i vetri tirai fuori una bottiglia di gin nuova, la aprii e riempii un grosso bicchiere mettendoci dentro anche due cubetti di ghiaccio, e quasi senza prendere fiato lo vuotai, rabbrividendo.
e nelle due ore successive vuotai la bottiglia attaccandone anche un’altra, e non ricordo a che ora e non ricordo pensando a chi o a che cosa crollai ubriaco fradicio sul divano, partendo per un viaggio nero e senza destinazione, risvegliandomi a giorno fatto con un senso di nausea e vomito che non era dovuto solo all’alcool, ma tutto quello che c’era attorno.
ero solo e nel silenzio, la casa puzzava di alcool e di… sudore, ma non me ne fregava niente: forse mi ero anche pisciato addosso o peggio, non me ne fregava un cazzo.
ebbi solo il tempo per correre in bagno e vomitare, sporcando dappertutto e sporcandomi quello che avevo addosso, e subito dopo ricaddi all’indietro finendo seduto sul sedere con la schiena al muro.
non c’era molto da dire, avevo mandato tutto a puttane perdendo le uniche due donne al mondo che avevo amato…
per cercare di darmi una scossa entrai sotto la doccia, aprii l’acqua e la sferzata gelida servì per svegliarmi quel tanto che serviva per rendermi conto che ero ancora vestito, scarpe, pantaloni, camicia…
rimasi con il getto dell’acqua fredda gelata sulla nuca rischiando una sincope, e quando pensai di essere sveglio a sufficienza la chiusi ed uscii inondando il pavimento, mi tolsi tutto e mi asciugai mentre mi guardavo nello specchio.
odiavo quello che vedevo, distolsi lo sguardo ma mi sembrò (potenza dell’alcool?) che quello che c’era dall’altra parte dello specchio continuasse a guardarmi con disprezzo, e a ridere di me.
due ore dopo ero su un taxi che mi portava all’aeroporto, con al seguito un borsone che conteneva… qualcosa, diretto non sapevo ancora dove.
e alla fine scelsi Napoli, non sapevo bene il perché, presi il primo volo e tre ore dopo ero in un residence colmo di turisti, presi un miniappartamento e non appena ebbi chiuso la porta mi gettai sul letto, provando a resettare tutto.
non avevo più riacceso il telefono se non per ricevere le conferme di pagamento e prenotazione di volo e residence, e non me ne fregava niente di guardare chi mi aveva chiamato o scritto, però avevo delle cose da fare e da dire.
chiamai il lavoro e mi feci passare le risorse umane, spiegai brevemente che avevo avuto problemi legati ad un esaurimento nervoso e che a partire da quel momento rassegnavo le dimissioni.
quasi diciotto anni di duro lavoro, quasi diciotto anni di sacrifici e di rinunce… buttati via.
non spiegai nient’altro, ringraziai e promisi che mi sarei fatto vivo a breve, poi chiusi.
e per i cinque giorni successivi fui più ubriaco che sobrio, cominciavo a bere già la mattina e finivo la sera quando crollavo esausto e praticamente in coma etilico, uscendo solo per fare rifornimento di gin, whisky e altre cose del genere.
ma almeno non pensavo a niente, a nessuno, e nemmeno a me.
ero completamente isolato, senza contatti con… casa, senza telefono e senza email, solo e in piena autocommiserazione e autodistruzione, avvolto in una spirale discendente che non mi interessava né contrastare né fermare.
non ricordo nulla di quei giorni “selvaggi”, ma tutto finì un pomeriggio, quando uscendo da un minimarket quasi cozzai contro due elegantissime signore napoletane che mi guardarono con schifo non malcelato.
erano belle donne, bel vestite, curate, snob, di quelle che nei miei momenti migliori avrei senz’altro provato a sedurre…
“non ti ha toccato, vero?” sentii dire da una delle due, “che schifo, ma si può ridursi cosi? ma che schifo!”
mi guardai alla vetrata del negozio e ebbi schifo di me stesso: spettinato, barba di una settimana, camicia sporca e macchiata, con uno strappo sulla spalla, occhi infossati e arrossati, labbra rotte.
feci un passo all’indietro e il sacchetto con gli alcolici cadde e le bottiglie si fracassarono, lo raccolsi gocciolante e con schifo lo lanciai sopra altri sacchetti accatastati accanto ad un cassonetto annerito dal fuoco, mi ripulii le mani sui jeans e barcollando in preda alla nausea raggiunsi il residence.
e davanti allo specchio del bagno guardai quell’estraneo che mi fissava.
mi lavai e mi cambiai, mi rasai con cura e la sera stessa presi il primo volo per tornare a casa, e alle otto della sera riaprivo la porta dopo più di una settimana di assenza.
ma ritornare dentro… non era quello che mi aspettavo: non c’era calore, non c’era vita, solo silenzio e freddo.
quasi in apnea scaraventai il borsone in un angolo della camera da letto, ne presi un altro che riempii a casaccio con quello che mi capitava e poi richiamai un taxi che mi portò di nuovo in centro, davanti all’hotel Majestic.
presi una camera e quella notte dormii profondamente anche grazie a due compresse di sonnifero (eredità di Elisa di qualche anno prima), e la mattina successiva mi svegliai riposato e rilassato come non mi capitava da mesi.
e guardando fuori dalla finestra, guardare la gente che camminava, che si salutava, che parlava, che rideva, che si amava… decisi che era il momento di dare un cambiamento alla mia vita.
dovevo vedere le cose da un altro punto di vista, non in funzione di quello che “volevo” fare ma di quello che “riuscivo” a fare, senza pormi obiettivi o target, l’avevo fatto per una vita intera sia nel lavoro che in famiglia che con le persone che mi erano vicine, cercando di… dominare gli eventi prima che quegli stessi eventi si rivoltassero contro di me.
dovevo prendere la vita come veniva, godere di ogni singolo giorno senza pensare a quello successivo, godere delle piccole cose.
un cambio drastico, come drastico doveva essere il taglio con il passato.
misi in vendita la casa con la stessa agenzia dalla quale l’avevo acquistata solo pochissimo tempo prima, misi in vendita anche l’auto (era ancora ferma da giorni nel box) e con una lunga email-confessione scrissi ai miei soci sulle dimissioni, sulla mia incapacità di continuare quel lavoro per impossibilità di mantenere la concentrazione e chiesi di essere liquidato, preannunciando che non avrei fatto questioni sull’ammontare della buonuscita.
erano comunque milioni, non spiccioli, avrei potuto tranquillamente vivere di rendita per il resto della mia vita.
restai in quel bellissimo e confortevolissimo hotel per dieci giorni, poi cominciarono ad arrivare le offerte per la casa e per l’auto, così anche se a malincuore dovetti tornarci.
aprii la porta e… non entrai, non subito.
pochi giorni prima tutto era ancora sottosopra, memoria visiva dello scontro delle due sorelle che era avvenuto lì dentro, ma… tutto era stato sistemato, i vetri raccolti, i bicchieri… rimpiazzati!
persino la vetrata del minibar era stata sostituita.
solo Gio aveva le chiavi di casa, Gio e Erika.
controllai le altre stanze, il borsone era sparito e il letto fatto, il bagno lucido e perfetto (l’avevo lasciato in condizioni… pazzesche) e il resto della casa era assolutamente in ordine.
“Gio…” sussurrai, “ma che cazzo…”
dopo giorni e giorni di non utilizzo tirai fuori il telefono, scarico da tempo immemore, lo collegai alla presa e dopo aver fatto una lunga doccia caldissima andai a controllare.
stava… esplodendo: c’erano centinaia di chiamate non risposte e… migliaia di messaggi!
per non parlare delle email…
aprii il programma di messaggistica e vidi che la maggior parte era di Elisa ma anche Gio non era stata indietro, diciamo così: “poverette” pensai, “quante ve ne ho fatte passare…”
marcai tutte le chat come lette ma senza nemmeno pensare di leggere le migliaia di messaggi che erano arrivati, e lasciai l’applicazione aperta, andai in frigo a prendere qualcosa da bere e pochi istanti dopo il telefono suonò.
guardai il display e… Elisa cell.
lo lasciai suonare e dopo trenta secondi smise, mi sedetti sul divano con in mano la bottiglietta di acqua e quello subito riprese a suonare, sempre Elisa.
non potevo ignorarla a vita, presi l’apparecchio e risposi, o meglio, aprii la chiamata senza dire nulla.
“Fede… Fede?” sentii dall’altra parte, “Fede, sei tu?”
sembrava angosciata.
“sì, sono io”
ci fu un attimo di silenzio poi Elisa scoppiò a piangere.
provai ad essere freddo e distaccato ma sentendola piangere così non ci riuscii, e mentre ancora la mia ex moglie piangeva a dirotto provai a chiamare il suo nome per calmarla.
“BASTARDO! BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA!” la sentii gridare improvvisamente, “MI HAI FATTO MORIRE! MI HAI FATTO MORIRE DALLA PAURA!”
‘ecco, si ricomincia…’ pensai.
“TI HO CERCATO PER GIORNI, PER SETTIMANE!” gridò esasperata, “DOV’ERI? DOVE TI ERI CACCIATO!!!”
“Elisa, basta” provai a dirle, forse mezza dozzina di volte mentre lei continuava ad insultarmi e ricordarmi che mestiere facesse la sua ex suocera, ma visto che non serviva misi giù.
mi chiamò subito dopo, non risposi, la lasciai riprovare e riprovare e solo quando non richiamò lo feci io.
“NON PROVARE A…” cercò di dire ma la interruppi.
“ADESSO BASTA!” gridai nel microfono, “STA ZITTA!”
funzionò.
“dove… dove sei?” mi chiese, angosciata.
“sono appena tornato a casa” le risposi.
“posso… posso venire da te?” replicò immediatamente.
“no!” le risposi, “no, non ti voglio vedere”
“Fede… ti prego” piagnucolò, “io… ho bisogno di vederti, ho bisogno di… ho bisogno di sentirti, di sapere che stai bene…”
ci stavamo ricascando, ma non volevo farlo.
“sto bene, te lo garantisco” le risposi freddo, “non c’è bisogno che ti disturbi a venire, adesso mi hai sentito, sto bene, quindi… ti saluto, ok?”
“no, aspett…” provò a dire, ma misi giù, e gettai via l’apparecchio, lasciandomi sprofondare sul divano.
dovevo tenere duro, quella sarebbe stata la seconda o la terza “ricaduta”, avevo appena raggiunto un blando equilibrio e non potevo mandare tutto a puttane di nuovo, anche come… forma di rispetto nei suoi confronti.
e poi pensai a Gio: se era venuta a sistemare i danni, arrivando anche a sostituire il vetro rotto e a lavare le mie cose… voleva dire solo una cosa, ci teneva ancora, non voleva abbandonarmi al mio destino.
per il resto della giornata restai attaccato al portatile, valutai le richieste di acquisto per la casa e per l’auto, ed entro sera quest'ultima non era più mia.
e il primo pezzo del “vecchio me” se n’era andato.
meglio così.
verso le cinque della sera mi venne fame e mangiai non ricordo cosa, e pochi minuti più tardi… campanello.
andai a sbirciare dalla finestra, tenendomi nascosto, e trasalii.
Giorgia.
era troppo tardi per nascondersi, le luci in casa erano accese…
aprii la porta ma non il cancellino sulla strada, la raggiunsi e tenendomi a distanza restai a guardarla, in silenzio.
“perché non mi hai chiamato?” mi chiese, quasi duramente.
“lo sai il perché” risposi.
“non mi fai entrare?”
“no”
“perché no?” mi chiese ancora, ma la risposta fu la stessa, “tu lo sai il perché”
afferrò il cancellino con entrambe le mani e abbassò la testa.
“voglio… voglio solo parlare” mi disse sforzandosi di mantenere l’aplomb, “senza… senza fare altro, solo parlare…”
“ok, parla, sono qui” le dissi ancora, provocandola, “ti ascolto…”
“APRI QUESTO CAZZO DI CANCELLO!” gridò incazzata nera, poi sembrò ricordarsi di una cosa e guardandomi con un ghigno cominciò a rovistare nella borsetta trovando le chiavi che le avevo lasciato e facendosele penzolare davanti.
“non serve che mi apri, apro da sola!” disse in un ghigno, infilò la chiave nella serratura ed aprì.
non volevo né vederla né sentirla, le voltai le spalle e mi diressi verso la porta di casa, salii i due gradini e poi entrai in casa provando a chiudere la porta ma ormai era dietro di me, mise un piede impedendo che si chiudesse e spingendo con la spalla entrò, furibonda.
“Gio, per favore, vattene” le dissi provando a stare calmo, “non ti voglio vedere, né te né…” provai a dire ma non riuscii a finire la frase perché Gio mi aveva abbracciato da dietro, stringendomi così forte da farmi male.
e scoppiò a piangere.
la lasciai fare ed evitai di coccolarla o abbracciarla, me ne restai inerte e insensibile al suo dolore, e solo quando ebbe finito mi divincolai mettendomi seduto sul divano.
“se hai finito… quella è la porta” le dissi, duro e quasi sprezzante, ma Gio non rispose alla provocazione, fece il giro del divano ed andò a sedersi dalla parte opposta, in punta di chiappe, con le mani tra le gambe.
“perché te ne sei andato?” mi chiese con la voce rotta, “ti abbiamo cercato, pensavamo che tu fossi… che ti fosse successo qualcosa”
non rispondevo.
“e quando la polizia ci ha detto che ti eri allontanato volontariamente ma che non ci potevano dire dov’eri… siamo diventate matte a cercarti…”
silenzio.
“perché non ci hai chiamato, o scritto, noi…”
“NON VOGLIO PIU’ VEDERVI!” gridai alzandomi in piedi di scatto e facendola spaventare, “NON VI VOGLIO PIU’ NELLA MIA VITA! VOGLIO CHE MI LASCIATE IN PACE! E’ COSì DIFFICILE DA CAPIRLO???”
mi guardava sgomenta, impaurita.
“e adesso per favore vattene” le dissi, e andando alla porta la aprii tenendola aperta per invitarla ad uscire.
“vattene e lasciami da solo” continuai, “e per favore, non tornare più, non chiamarmi più, non… non pensarmi più, intesi?”
era ancora immobile, ancora seduta.
“e ridammi le chiavi” le dissi, “non voglio che entri più con me o senza di me”
Gio chiuse gli occhi e poi annuì, si alzò, mi raggiunse lentamente consegnandomi le chiavi e poi uscì.
“per favore, non…” provò a dire, ma con un gesto… spregevole e umiliante le chiusi la porta in faccia, appoggiandomi con la schiena quasi dovessi impedirle di entrare sfondandola.
sentii che avviava l’auto e che poi si allontanava, e rimasto solo scivolai con la schiena fino a sedermi, mi presi la testa tra le mani e piansi.
il giorno successivo di buona mattina portai l’auto al concessionario, firmai quello che c’era da firmare e la cedetti per un valore… ridicolo rispetto a quello che avevo pagato, ma non me ne fregava un cazzo.
“cosa… cosa avete in pronta consegna?” chiesi al venditore, e dopo aver valutato comprai una BMW coupè, nera, la pagai per intero e concordai la consegna, tornai a casa in taxi e dopo aver sistemato l’assicurazione me ne restai solo, a guardare il soffitto.
il giorno successivo non mi mossi da casa, non ricevetti telefonate né visite, probabilmente il mio distacco procedeva bene, dormii… farmacologicamente bene e il giorno successivo andai a ritirare l’auto (deludente, ma tant’è, pensai) e nel pomeriggio firmai per la cessione della casa.
la vendetti così com’era, mobili e arredi compresi, non mi interessava di quello che ne avrebbero fatto i nuovi proprietari, passai la sera e il mattino successivo ad impacchettare vestiti ed effetti personali e il giorno dopo provai a cercare un nuovo posto per vivere, e ricominciare.
e i giorni passarono lenti, ma inesorabili.
scelsi la mia nuova casa, sempre città ma estrema periferia nord, dalla parte completamente opposta.
niente di ché, piccola, confortevole, adatta ad un single o al massimo ad una coppia.
già, coppia.
avevo quarantatré anni e non volevo passare la mia vita da solo: sapevo che era solo questione di tempo e una donna l’avrei trovata, la volevo trovare, ero stanco di andare a letto da solo e svegliarmi da solo, pranzare in qualche bar e cenare da solo come un cane.
non me lo meritavo, e non lo volevo!
anche se le ultime esperienze con le donne non mi avevano portato a niente di buono.
comprai la villetta che avevo pensato come seconda scelta, forse un po’ troppo grande ma comunque deliziosa, e venti giorni dopo era mia: comprai i mobili (solo quelli che mi servivano) e una volta consegnati e montati cominciai a fare la spola avanti e indietro nel percorso casa vecchia - casa nuova fino a che ebbi trasferito tutto, mi sentivo bene, ero appagato, sereno.
ma quella serenità finì un tardo pomeriggio, quando arrivò Elisa.
stavo uscendo con uno scatolone e me la trovai davanti, immobile, occhiali da sole che le coprivano metà viso anche se la giornata era grigia e piovigginosa.
“no” pensai, “non è possibile…”
ma ero stanco di… arrabbiarmi, ero stanco di tutto quell’odio.
“ciao Elisa” la salutai, “che ci fai da queste parti?”
fu quasi sorpresa dalla mia… cordialità.
“io… avevo bisogno di vederti” mi disse, “e di parlarti”
con un pessimo senso dell’umorismo e con zero empatia mi fermai, la guardai serio e le dissi “non sarai mica incinta, vero?”
non raccolse la provocazione, per fortuna, così le passai accanto e caricai lo scatolone in auto.
“ma… stai… partendo?” mi chiese, sorpresa e impaurita.
“sì” risposi, “ancora un paio di carichi e ho finito”
“anzi” aggiunsi, “se vuoi prendere qualcosa della nostra vecchia casa posso…”
“no, non voglio niente, grazie” rispose, “non mi serve niente”
mi asciugai il sudore dalla fronte e con le mani sui fianchi restai a guardarla: era… sciupata, e giù, molto giù.
“che cosa… che volevi dirmi?” le chiesi visto che durava da troppo quel silenzio fastidioso.
“possiamo entrare, se vuoi” le dissi, e precedendola la lasciai entrare nella casa quasi vuota, la vidi guardarsi attorno e poi stringersi nelle braccia, quasi volesse proteggersi.
si accomodò sul divano e si tolse gli occhiali mostrandomi delle profonde occhiaie scure.
“ho lasciato Paolo” mi disse.
mi sentii sprofondare.
mi raccontò che una settimana prima “improvvisamente” aveva realizzato, che non era mai stata innamorata di lui e non le era mai piaciuta la vita che aveva fatto fino a quel momento.
“e quindi?” le chiesi.
“sono ancora innamorata di te” mi disse, diretta e decisa.
chiusi gli occhi e ebbi paura.
ma… no, non era possibile.
“no, Elisa” le dissi alzandomi in piedi, “non pensarci neanche, non… noi non torneremo mai insieme, mai!”
“non mi imbarcherò mai più in una cosa… del genere, no, mai più” le dissi, “non farò più gli stessi errori con te, sarebbe una cosa… deprimente, e distruttiva”
mi guardava… confusa, forse sperava in parole diverse.
ma non potevo nemmeno… lasciarla così, aveva fatto affidamento su di me e sul nostro amore ormai finito da tempo, ed era comunque la madre dei miei figli.
“sai… sai dove andare dopo… che… avrai…” provai a dirle senza trovare le parole giuste.
scosse la testa e abbassò lo sguardo.
toccava a me provvedere, e lo avrei comunque fatto a prescindere, Paolo o non Paolo.
“ci penso io” le dissi, “ti trovo un appartamento intanto che sistemi … le cose che devi sistemare con lui, poi ti darò quello che ti spetta del nostro patrimonio, per rifarti una vita”
mi guardava a bocca aperta.
“ma poi non ci vedremo più, Elisa” conclusi, “dobbiamo lasciarci alle spalle tutto, io lo sto già facendo e ti consiglio di farlo anche tu, e in fretta”
non rispondeva, era immobile.
restammo in silenzio a guardarci, poi toccò di nuovo a me rompere il ghiaccio.
“puoi… tornare a casa stasera o…” provai a dire, ma Elisa scosse la testa.
“fantastico…” pensai, questa ha mollato il suo uomo e si presenta qui da me certa che la accoglievo a braccia aperte, e che dimenticavo tutto…”
“ok” sussurrai, “ok, ok, ci inventiamo qualcosa…”
ma poi…
“aspetta, e Gio?” le chiesi, “non puoi andare da lei?”
scosse la testa.
“non ci siamo più parlate, non più da quel… da quel giorno” rispose.
“e… e tu?” mi chiese, “non l’hai più sentita?”
“sì, è venuta qui” le dissi, sincero.
mi guardò… allucinata.
“l’ho cacciata via, Elisa” le dissi, duro, “ho fatto la stessa cosa che ho fatto con te”
chiuse la bocca e annuì, poi si alzò.
“dove vai adesso?” le chiesi.
“non lo so” rispose, “e comunque non sono cazzi tuoi!”
“aspetta!” le dissi quando ormai era fuori, “se non sai dove andare… resta qui, ti lascio le chiavi, e io posso…”
“no, grazie” rispose senza nemmeno più voltarsi, si rimise gli occhialoni e poi uscì.
“non voglio niente da te” rispose, “anzi, scusami, ho sbagliato a venire qui, e… hai ragione, non ci vedremo mai più”
la guardai salire in auto e andarsene, e mi fece stare male ma al tempo stesso mi fece anche stare bene: non avevo ceduto, non avevo mollato, ero libero.
chiusi casa e tornai in quella nuova e per la prima volta dormii nelle nuove quattro mura pur accampato, e quello fu l’inizio della mia nuova vita.
nelle settimane successive fui impegnato su diversi fronti, riorganizzai la mia vita con nuovi impegni e nuove cose da fare, e nel giro di un paio di mesi ero “settato” sulle nuove coordinate della mia vita.
c’erano i ragazzi, ogni tanto li vedevo per una pizza o qualche birra insieme e continuai a ripetere che se anche la nostra famiglia si era separata mamma e papà c’erano sempre per parlare o per chiedere un consiglio, o soldi ovviamente.
con l’inizio dell’anno nuovo mi decisi anche a trovarmi un lavoro o comunque qualcosa che mi tenesse occupato: attraverso un vecchio cliente scoprii che c’era una startup che prometteva bene nel campo degli investimenti in criptovaluta, e visto che mi intendevo di investimenti e che sapevo gestire un’attività andai a conoscerli e ne rimasi favorevolmente impressionato, erano relativamente giovani (il più vecchio aveva la mia età, il più giovane la metà) e motivati, pieni di voglia di fare e di lavorare duramente: feci la mia proposta che li lasciò a bocca aperta, ci volevo investire sopra un paio di milioncini ma in cambio sarei diventato presidente e CEO, con la possibilità di veto su qualsiasi decisione.
accettarono con entusiasmo, e di lì a un paio di settimane presi possesso della mia scrivania cominciando a coordinare investimenti in Italia e Unione Europea, acquisti nello stock market americano e altro genere di trading e quando fummo ben strutturati cominciammo ad offrire investimenti molto vantaggiosi a commissioni azzerate per attirare clienti, e se all’inizio faticammo ad entrare nel giro in un paio di mesi ci ritagliammo un bello spazio nel settore, e i soldi arrivarono.
ma non solo, per me arrivarono delle grandi… opportunità.
Elisa e Giorgia non le sentii più, né al telefono né come messaggio, dopo quel taglio drastico erano semplicemente scomparse, ma non per me…
mi ero interessato costantemente alle loro sorti e alle loro “relazioni”, a volte recandomi sotto le loro case per spiarle come uno stalker di quarta categoria ma visti gli scarsi risultati assunsi un investigatore privato.
Elisa non aveva lasciato Paolo, era sempre lì in quell’appartamente grigio e triste, usciva la mattina per andare in palestra e poi al supermercato, rientrava a mezzogiorno e lui mezz’ora dopo, uscivano insieme verso l’una e mezza e poi si dividevano, lei andava ad un centro diurno per anziani a fare la volontaria e lui al lavoro in banca, la sera tornavano quasi allo stesso orario e i giorni erano tutti uguali.
Gio era sempre nella stessa casa insieme al marito, passava un sacco di tempo in casa sola e usciva solo per la spesa o per andare da qualche parte con un paio di amiche ma niente di fisso come palestra o altro, e lui spesso si assentava per lavoro, lasciandola sola.
e soprattutto, nel periodo in cui l’investigatore le aveva seguite, le due non si erano mai incontrate.
mi dispiaceva, ma avevo smesso di essere responsabile per loro: quello che era stato era stato, insieme avevamo fatto cose giuste, cose belle e cose… esaltanti ma anche cose profondamente sbagliate, e ognuno, a modo suo, stava pagando.
quando ricevetti il rapporto virtualmente chiusi quella pagina della mia vita: mi ero offerto di aiutare entrambe, una direttamente (Elisa) e una indirettamente, per fare ammenda, entrambe avevano rifiutato.
pazienza.
e addio.
tornai a diventare quello di sempre, il lavoro tornò ad essere prioritario così come la ricerca del mio interesse, trovai un paio di donne e le sfruttai liberandomene dopo qualche giorno senza pensarci su due volte.
imparai ad essere cinico e spietato, non mi fermai davanti a niente e a nessuno.
e tutto era opportunità, per il mio piacere.
ma parlando di opportunità… arrivò Valeria.
una donna che… feci impazzire, ma dalla quale ricavai di tutto e che ancora oggi, a distanza di mesi, riempie le mie serate e il mio letto.
c’era (e c’è ancora, anche se con un’altro ruolo) uno dei trader, che si chiama Dario: combinava cazzate colossali, perdeva clienti, si dimenticava le cose, era un gran casinaro ma fino a che le cose restarono in dimensione… domestica fu facile fare finta di nulla, Dario era stato uno dei fondatori della società, gli veniva perdonato molto, ma se prima una cazzata delle sue costava migliaia di euro con l’aumento dei volumi arrivò a sperperare centinaia di migliaia di euro alla settimana, con punte di duecentomila al giorno.
dovevo fermarlo, e in qualità di CEO lo convocai e lo sospesi.
fu un colpo per lui, ma quando ero convinto di essermene liberato (l’avevo di fatto licenziato) ecco che nel mio ufficio si presentò Valeria, sua moglie.
bella donna, assomigliava un po’ a Elisa per via del taglio di capelli, biondo e corto, e degli occhi chiari, color nocciola.
anche lei belle tettone piene da milf, culone, belle gambe, alta, anche più alta di Dario che era un piccoletto (io chiamo “piccoletti” un po’ tutti visto che sono un metro e novantadue centimetri).
si presentò chiedendomi di ripensarci, perorando la causa del marito che era soggetto a stress anche per colpa sua, visto che recentemente aveva perso il lavoro, e che quindi l’unico stipendio che entrava in famiglia era il suo.
provai a farle vedere quanto ci era costato suo marito, più di un milione negli ultimi quattro mesi e mezzo, e la donna si disperò capendo che… era finita così.
non lo so il perché ma… il “vecchio me” tornò fuori prepotente.
“senti” le dissi, “ho soluzioni alternative per lui, ma ho quasi paura a parlargliene perché non so come la prenderebbe…”
“e poi non sono nemmeno sicuro che sarebbe in grado di fare certi lavoro, tutto qui…” aggiunsi, “avrebbe bisogno di una mano…”
era chiaramente una scusa, ma per Valeria era la classica ciambella di salvataggio per il naufrago in balia delle onde.
mi invitò immediatamente a cena a casa loro per parlare di questa nuova opportunità, qualcosa che aveva programmato prima di passare a trovarmi, ovviamente, ma ribaltai l’offerta “fiutando” l’opportunità.
“venite voi da me” le proposi, “stasera, alle otto”
“noi… ecco…” provò a dire, ma scossi la testa.
“a casa mia, alle otto” ribadii, su un post-it scrissi l’indirizzo e glielo passai.
“o-ok…” rispose, così mi alzai e tendendole la mano la salutai.
la sera alle otto arrivano, puntuali, lui con i soliti jeans e polo sformata, lei bellissima, trucco leggero, vestitino corto e sandali.
la salutai con tre baci sulle guance stringendola a me per sentire le tettone, lui con una stretta di mano fredda.
li accolsi in casa e li portai sul retro dove avevo preparato piatti e bicchieri, e facendoli accomodare lasciai Dario su una poltroncina mentre io mi sistemai accanto a lei sul divanetto, con vista privilegiata sulle sue cosce che tentava disperatamente di coprire.
cominciai a parlare con lei dei suoi hobbies e dei suoi interessi, Valeria rispondeva ma lanciava delle occhiate interrogative al marito per cercare di uscire dalla situazione ma Dario dal canto suo mi guardava sospettoso, senza tuttavia osare intervenire.
poi arrivò la cena, tutto rigorosamente servito dal ristorante vicino, mangiammo senza parlare di lavoro e tenni Valeria vicino a me toccandole le spalle nude e le braccia, facendole capire che… ci avrei provato eccome con lei e che potevamo trovare una soluzione al suo problema di famiglia.
ed ecco che il vecchio Federico Rastrelli venne fuori prepotente, il rullo compressore che puntava solo al suo piacere schiacciando tutto quello che c’era attorno.
una volta finita la cena tornammo al punto.
ci alzammo e li condussi all’interno, nel soggiorno, e per farlo cinsi Valeria con il braccio toccandole il culo con la mano, e visto che non ci fu reazione ce la tenni sopra, assicurandomi di essere visto dal marito.
“allora Dario” gli dissi una volta seduti sul divano, o meglio, una volta seduto sul divano con Valeria accanto mentre lui era su una poltrona, di fronte a noi, “veniamo al punto…”
mi ascoltavano entrambi.
“non possiamo più permetterti di lavorare con noi” dissi, e gli spiegai i danni che aveva causato e la potenziale mancanza di fiducia da parte di quei clienti che si erano visti bruciare gli investimenti.
“ma noi potremmo…” provò a dire Valeria, ma la fermai con un gesto lento della mano.
“potremmo valutare una soluzione alternativa” dissi, fingendo di pensarci su, “ma solo… solo se le cose si mettono bene”
Valeria mi ascoltava attentamente, pendendo dalle mie labbra, lui… lui era sfiduciato.
“potreste… lavorare in coppia” buttai lì, “procacciando clienti facendo ricerche online, giri di telefonate, interviste…”
Valeria era… come rinata, aveva visto la speranza.
“e con questo team potremmo invitare i clienti ed esporre i nostri piani di investimento, tentarli andando a puntare sulle loro debolezze che voi due avrete individuato”
la donna era esaltata, lui… lui no.
“chiaramente dovrete agire da collaboratori esterni, non da interni, sarebbe troppo rischioso…” continuai, “quindi lavorerete come prestatori d’opera e non come dipendenti”
“ma… lo stipendio…” si intromise lui, inopportunamente: Valeria chiuse gli occhi sicuramente imprecando, io finsi di pensarci.
“potremmo… pensare di non toccare quello che già ti viene corrisposto, almeno per i primi due o tre anni” buttai lì, “e poi vedere come va”
Dario non era convinto, Valeria sì, e fece capire al marito che era il caso di accettare.
“bene” le dissi posandole una mano sulla coscia e facendole fare un salto, tuttavia senza che me la togliesse, sempre mentre il marito ci guardava, “allora siamo d’accordo…”
“no” disse lui, bloccandomi e bloccando l’entusiasmo di Valeria, “non… non ci riuscirei mai, io sono un trader e… so… so fare il mio lavoro”
Valeria sembrò andare in mille pezzi, io mi sentii preso in giro.
“va bene” dissi, “allora… aspettate qui”
andai in studio e cercai un notes e presi anche una penna con una mini calcolatrice, tornai da loro e gliel porsi.
“allora” dissi, “ti lascio mezz’ora di tempo per calcolarmi il piano di investimento di un cliente”, gli diedi dati finanziari e di rischio e incrociai le braccia.
“tra mezz’ora torno e voglio che mi esponi il tuo elaborato, ok?” conclusi.
poi presi Valeria per il braccio e la feci alzare, “lasciamolo solo, lavorerà meglio” le dissi, e la portai via con me, facendole vedere il secondo giardino, quello dalla parte opposta della casa.
appena solo le misi una mano sul culo, la tirai a me e la baciai, profondamente.
si oppose, provò a divincolarsi ma poi cedette.
non persi tempo, la portai vicino al tavolo, la spinsi sulla schiena mettendola a novanta gradi e andandole dietro mi inginocchiai e le sollevai il vestito trovandole il culone praticamente nudo “incorniciato” da slip striminziti, glieli abbassai e poi sfilai dai piedi scoprendole il solco delle chiappe e con le mani finalmente libere gliele aprii, trovando un buco del culo completamente serrato e sigillato e poco più sotto la figa abbondantemente aperta, e abbondantemente bagnata.
mi ci tuffai sopra e la leccai furiosamente mentre lei gemeva sommessamente, e dopo averla slappata per bene lo tirai fuori, glielo appoggia e zac, dentro fino alle palle.
me la scopai duramente sbattendola come non sbattevo nessuna da un bel po’, poi mi fermai e glielo tolsi, e facendola inginocchiare la presi per i capelli e glielo appoggiai alle labbra, la “convinsi” ad aprirle e poi glielo cacciai in gola scopandole la faccia.
accettò tutto, prima solo per paura ma poi anche per… piacere.
conosco le espressioni di una donna che prova piacere…
dopo averle quasi sborrato in gola la tirai su la issai sul tavolo facendola stendere di schiena, le aprii le cosce sollevandole le gambe per portarle le ginocchia al petto, le diedi un’altra leccata alla figa ormai diventata un lago di umori e poi glielo cacciai dentro di nuovo, ricominciando a scoparla così forte da spostare il tavolo.
non contento le abbassai il vestito e le tirai fuori le tettone, due spettacoli allucinanti che ballavano come budini ogni volta che glielo spingevo dentro!
“si, vengo…” grugnii quando arrivai al dunque ma Valeria si spaventò, smontò dal tavolo quasi cadendo e per un istante temetti che stesse fuggendo a gambe levate, ma quando me la trovai in ginocchio davanti e prendendomelo in mano se lo portò in bocca… bè, capii molte cose.
le sborrai in gola spingendoglielo più in profondità possibile, e guidandola con la mano sulla testa me lo feci spompinare direttamente dalla sua gola mentre sborravo e sborravo, grugnendo come un maiale.
e quando alzai lo sguardo… vidi Dario alla finestra, nascosto dietro la tendina, probabilmente certo di non essere visto.
non mi feci scappare l’occasione, tirai su Valeria e le cacciai la lingua in bocca baciandola profondamente, e lei rispose con altrettanta passione, mettendomi le mani sulla nuca per “schiacciarmi” contro di lei.
cominciò così, e quella sera proseguì oltre in un modo addirittura… umiliante per Dario, che accettò tutto pur di conservare il suo lavoro.
quando tornammo dentro mi feci consegnare il lavoro, un vero disastro, lo guardai negli occhi e lui guardò nei miei, gli feci capire “non me ne frega un cazzo se mi hai visto, tua moglie me la scopo comunque” e poi glielo ridiedi.
“adesso beviamo qualcosa, ok?” sentenziai, portai diverse bottiglie e bicchieri e ghiaccio e li lasciai servire: Valeria tracannò tre shot di vodka per “rilassarsi”, Dario si limitò a berne un paio ma a fatica, e finalmente più rilassati e consapevoli parlammo di soldi e di obiettivi, e arrivò la mezzanotte.
Dario era praticamente sobrio, ma con la scusa che avevo preparato li convinsi (...) che non li avrei lasciati tornare a casa conciati così, e in pratica li obbligai a restare.
“Dario, tu puoi prendere il divano” gli dissi, “Valeria può venire con me…”
lo guardai negli occhi, non osò opporsi, in quanto a Valeria… era ormai priva di una volontà sua.
“purtroppo non ho altre camere arredate” dissi, e mentre portavo Valeria verso la camera da letto spingendola sul culo Dario si sedette sul divano, occhi bassi, rassegnato.
chiusi la porta della camera e cominciai a baciarla, poi la spogliai nuda e per quella notte abusai di lei e del suo corpo come meglio mi pareva, senza che si opponesse, anzi, mi regalò una di quelle scopate che sognavo da anni ormai, gemendo e lamentandosi ignorando che ad una parete di distanza c’era il marito, che sentiva tutto…
e il mattino dopo, quando uscimmo dalla camera dopo una notte praticamente insonne, lo ritrovammo sveglio, pronto per tornare a casa.
non disse nulla, si avviò verso la porta seguito da Valeria e sparirono.
con Valeria continuò, alla grande, con la scusa del team la portai fuori a cena con i clienti esibendola come una specie di bambolina, e prima di riportarla a casa me la scopavo regolarmente, spesso e volentieri fuori da casa loro mentre lui probabilmente guardava.
ecco, diventai così, un grandissimo figlio di puttana, slegato da ogni regola e da ogni moralità, prendendo ciò che volevo e gettando via quello che non volevo più.
senza davvero incontrare ostacoli, un rullo compressore.
Valeria una sera mi ha detto che sono “il peggio del peggio, ma che per una donna, almeno per quelle come lei, sono impossibile da rifiutare”
la sera che me lo disse mi ero fatto dare il culo da Valeria, anzi, me l’ero preso senza troppe cerimonie: dopo quarant’anni di verginità anale, avendolo negato anche al marito, l’aveva persa con uno come me nella mia camera da letto, dopo che l’avevo strappata ad una cena di famiglia già programmata con il marito ed altri parenti.
per fortuna che anche suo figlio era grande e lontano, sarebbe stato “poco felice” di vedere com’era diventata mamma.
“sei il peggio del peggio” mi aveva detto, con il culo che le bruciava.
ecco, questa è la mia massima, sono il peggio del peggio.
sicuramente pagherò per quello che ho fatto, e pagherò caro.
ma per il momento… va bene così.
mesi dopo, quando scopavo Valeria portandola su vette di piacere estreme spesso sotto gli occhi del marito, l’investigatore privato a cui avevo chiesto di aggiornarmi periodicamente mi contattò perché aveva novità.
Elisa aveva lasciato Paolo ed era tornata dai genitori, in campagna, ed era tornata a lavorare con loro perché mi fece avere delle foto dettagliatissime della sua nuova vita, la contadina.
Giorgia era sempre con il marito, ma vedeva un altro: e anche per lei mi aveva portato delle fotografie, er un uomo della mia età, qualche capello grigio, alto forse come me e che guidava un’auto che sembrava la mia.
le ultime due fotografie erano… emblematiche, e mi strapparono un sorriso; Giorgia stava facendo un pompino all’uomo nel parcheggio di un centro commerciale, e a vedere l’espressione estatica di lui… ci stava mettendo l’anima.
“e brava Gio” sussurrai, “brava, brava, brava Gio…”, poi misi via le foto e non ci pensai più.
colpa mia?
forse.
sarebbe finita diversamente se non avessi… reagito al tradimento, dopo essere stato io quello che ha tradito per anni?
forse.
sono maschilista, misogino e egoista?
sì, lo sono.
ho fatto soffrire?
si.
ma non sono più problemi miei.
non ho mai preteso di essere un cavaliere sul cavallo bianco del cazzo che salva le damigelle in pericolo e tantomeno un paladino della giustizia, non lo sono mai stato e non lo sarò mai, ma ho sperimentato che a fare il bravo marito o fare il figlio di puttana fedifrago non cambia nulla.
è solo questione di tempo, poi si cambia in peggio.

FINE
 
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