PROVIAMOCI…
Gio fece tutto il possibile e anche di più per cercare di convincere la sorella che non stava succedendo nulla dietro le sue spalle, e che si era trattato solo di un… incontro di lavoro, che avevo bisogno diciamo così di compagnia per un viaggio di lavoro e che lei era disponibile, tutto lì, ma servì a poco perché Elisa non era stupida e conosceva bene sia me che la sorella.
“ma che cazzo, Gio!” sbottò alla fine, “capisco lui che è sempre stato un… uno che le occasioni non le spreca, ma tu, cazzo!”
“io che cosa?” le rispose la sorella, decisamente incazzata, “Elisa, io che cosa?” le ripetè avvicinandosi e pronta per aggredirla, “dai, dillo!” la incalzò minacciosa..
“s-sei sposata!” replicò esasperata Elisa, “sei sposata! hai un marito! hai una famiglia! non buttare via tutto per… lui!”
e allora le cose presero una piega decisamente devastante, in cui le parole uscirono senza più alcun controllo e le emozioni forti presero il sopravvento.
“io non ho fatto un cazzo di niente di male!” gridò Giò, “non ho fatto niente e non ho… tradito nessuno!”
Elisa sembrava sotto shock a quelle parole.
“non sono stata io a fare le corna a mio marito!” le gridò ancora Gio, “non sono stata io che avevo l’amante! non sono stata io che si faceva scopare e che raccontava di andare… a BALLARE!!!”
scoppiò il silenzio.
Elisa sembrava sul punto di… esplodere, Giò era sul punto di spezzarsi in due ed aveva le vene del collo così tese che sembravano voler scoppiare.
io, dal canto mio, me ne stavo in disparte, non volevo entrare in una disputa familiare ma tanto era solo questione di tempo prima che venissi coinvolto, lo sapevo.
“Gio” disse Elisa sforzandosi di mantenere la calma, “non… non parlare di cose che non… che non conosci, e… e per favore, non… non cercare di…”
“IO NON CERCO NIENTE!” gridò allora Giorgia, “IO NON HO FATTO NIENTE! TI SEI… SOGNATA TUTTO, COME SEMPRE!, TI STAI FACENDO I TUOI CAZZO-DI-SOLITI-FILM IN TESTA E BUTTI MERDA SU TUTTI!!!
era finita, stavano andando fuori controllo.
“non… sto gettando merda su tutti” le rispose Elisa, anche lei ad un passo dal cedimento nervoso, “voglio solo che capisci che cazzo di errore stai facendo a… metterti con LUI!” gridò alla fine, puntandomi il dito contro.
“TI STA MANIPOLANDO!” le gridò, “VUOLE APPROFITTARSI DI TE! NON LO CAPISCI CHE VUOLE SOLO… SCOPARTI???”
già fatto, cara Elisa, già fatto tu non immagini quante volte…
“NON MI FACCIO SCOPARE DA NESSUNOOOOOOO!” replicò selvaggiamente Giorgia arrivando ad un passo dal mettere le mani addosso alla sorella che prudentemente aveva fatto un passo indietro, “NON SONO IO CHE MI SONO FATTA SCOPARE DA UNO CHE HA CONOSCIUTO DUE GIORNI PRIMAAA!!!" continuò al massimo del volume, “SEI STATA TU!!! E ADESSO VUOI VENIRE QUI A DARE LEZIONI DI… MORALE??? A ME???”
“VUOI CHE PARLIAMO CON TUO MARITO, EH?” l’aggredì a quel punto Elisa, “LO CHIEDIAMO A LUI? EH?”
“LASCIALO FUORI DA QUESTA COSA!” replicò Giorgia, e per fortuna riuscì a trattenere l’odio, ma non sapevo per quanto: era paonazza, Elisa pure, ed erano sul punto di prendersi per il collo.
e io ero nel mezzo, pronto ad intervenire ma anche… equidistante, per non prendere la parte di nessuna.
ma questa mia neutralità durò poco, pochissimo.
“E TU?” ruggì Giorgia, “TU NON DICI NIENTE? TU STAI LI’ COME UNA CAZZO DI STATUA??? DI’ QUALCOSA, PARLA!!!”
“cerchiamo di mantenere la calma…” provai a dire, “adesso entriamo e parliamo, e ci togliamo dalla strada che stiamo dando spettacolo, ok?”
“NON ANDIAMO DA NESSUNA PARTE!” urlò a quel punto Elisa, “O VUOI CHE SI SAPPIA CHE PRIMA TI SEI SCOPATO UNA SORELLA E POI ADESSO TE NE FAI UN’ALTRA?”
provai ad intervenire, davvero, ma non ci riuscii, Giorgia non ci vide più ed aggredì la sorella con uno schiaffo così forte che le fece volare via un orecchino, Elisa accusò il colpo a tradimento (...) e cercò di replicare ma ne prese un altro che assomigliava più ad un pugno che uno schiaffo, ma a quel punto intervenni frapponendomi tra le due contendenti decidendo di bloccare Giorgia che sembrava quella più furiosa e manesca delle due, subendo i tentativi di Elisa di rendere gli schiaffi ricevuti.
sollevai di peso Gio che gridava verso la sorella tutta la sua frustrazione e allo stesso tempo mi picchiava i pugni sulla schiena per cercare di liberarsi, tenni duro e non so come riuscii aprii il cancellino e la portai dentro: pensavo, anzi, speravo che Elisa si fermasse e che non ci seguisse, magari lasciandomi chiudere in casa Giorgia ed uscire a parlare con lei subito dopo, ma no, entrò anche lei e ci seguì, e non appena ebbi “liberato” Gio le due continuarono, a gridarsi in faccia tutta la loro ira.
provai a farle smettere, anche duramente, ma non servì, anzi, presi anche la mia dose di insulti e di offese pesanti.
“almeno non si pestano” pensai, e quasi mi venne da ridere, ma di lì a pochi istanti Elisa afferrò una delle foto incorniciate che avevo sopra il caminetto e al colmo della frustrazione la lanciò verso Gio mancandola, e finendo per fracassare la vetrinetta dell’angolo bar.
non ebbi nemmeno il tempo di dire un “a” che Giorgia aveva afferrato il telecomando e l’aveva lanciato verso la sorella, con una mira migliore, colpendola in pieno petto, e poi volò di nuovo verso di lei pronta per aggredirla.
allora scattai, la presi al volo cingendola per la vita e rovesciandola senza molto sforzo la gettai sul divano gambe all’aria rovesciando il tavolino che c’era dietro e mandando in frantumi bicchieri di cristallo del cognac, e subito dopo dovetti fermare Elisa dal volarle addosso usando le mani.
la presi per un braccio e la tenni così forte da lasciarle il segno (lo scoprii poi) e quando Gio si alzò afferrai anche lei tenendole entrambe a distanza mentre ancora si insultavano pesantemente dandosi reciprocamente della troia e della puttana, della succhiacazzi e della sfasciafamiglie.
“BAAAAASTAAAAAAAAAAAAAAA!” gridai a quel punto, selvaggio e infuriato, “STATE ZITTEEEEEEEEEEEEEEEEE!”
e questa dimostrazione “energetica” servì, le due si guardarono sempre l’un l’altra pronte a scannarsi ma almeno in silenzio.
“E ADESSO SEDETEVI!” gridai ancora, “E NON VI VOGLIO SENTIRE FIATARE!”
ma nessuna delle due mi ascoltò, Gio continuò a guardare la sorella come se le volesse strappare gli occhi, poi afferrò la sua borsetta, puntò alla porta e trovando per terra un bicchiere da cognac ancora sano lo raccolse e lo scaraventò contro di me, mancandomi, e facendolo finire lontano dove finì in mille pezzi, poi aprì la porta quasi strappandola dai cardini e uscì praticamente correndo, sentii che accendeva l’auto e poi che sgommava via.
mi alzai e andai a chiudere pronto per cercare di… mediare con Elisa, ma un istante dopo anche lei si alzò e puntò la porta.
“Elisa…” provai a dire, ma lei si voltò di scatto e mi puntò il dito contro.
“non… non provarci” ruggì rabbiosa, “non… non provare a parlarmi, non scrivermi, non cercarmi, non fare NIENTE!”
annuii.
“per me sei morto, tu non esisti più, tu non… tu sei MORTO!” continuò, a metà fra le lacrime e il furore, “HAI CAPITO? SEI MOOOOOOORTOOOOOO!!!” e (per fortuna) senza aggiungere altro se ne andò, non so dove e non so come, lasciandomi completamente solo.
chiusi la porta e abbassai la testa.
non mi interessava dei danni, non mi interessava di niente.
mi sedetti pesantemente sul divano e restai ad occhi aperti a guardare il soffitto.
avevo rovinato tutto, di nuovo, avevo distrutto tutto… di nuovo.
stavolta per davvero.
avevo i nervi a fior di pelle, andai alla vetrinetta del bar ed evitando i vetri tirai fuori una bottiglia di gin nuova, la aprii e riempii un grosso bicchiere mettendoci dentro anche due cubetti di ghiaccio, e quasi senza prendere fiato lo vuotai, rabbrividendo.
e nelle due ore successive vuotai la bottiglia attaccandone anche un’altra, e non ricordo a che ora e non ricordo pensando a chi o a che cosa crollai ubriaco fradicio sul divano, partendo per un viaggio nero e senza destinazione, risvegliandomi a giorno fatto con un senso di nausea e vomito che non era dovuto solo all’alcool, ma tutto quello che c’era attorno.
ero solo e nel silenzio, la casa puzzava di alcool e di… sudore, ma non me ne fregava niente: forse mi ero anche pisciato addosso o peggio, non me ne fregava un cazzo.
ebbi solo il tempo per correre in bagno e vomitare, sporcando dappertutto e sporcandomi quello che avevo addosso, e subito dopo ricaddi all’indietro finendo seduto sul sedere con la schiena al muro.
non c’era molto da dire, avevo mandato tutto a puttane perdendo le uniche due donne al mondo che avevo amato…
per cercare di darmi una scossa entrai sotto la doccia, aprii l’acqua e la sferzata gelida servì per svegliarmi quel tanto che serviva per rendermi conto che ero ancora vestito, scarpe, pantaloni, camicia…
rimasi con il getto dell’acqua fredda gelata sulla nuca rischiando una sincope, e quando pensai di essere sveglio a sufficienza la chiusi ed uscii inondando il pavimento, mi tolsi tutto e mi asciugai mentre mi guardavo nello specchio.
odiavo quello che vedevo, distolsi lo sguardo ma mi sembrò (potenza dell’alcool?) che quello che c’era dall’altra parte dello specchio continuasse a guardarmi con disprezzo, e a ridere di me.
due ore dopo ero su un taxi che mi portava all’aeroporto, con al seguito un borsone che conteneva… qualcosa, diretto non sapevo ancora dove.
e alla fine scelsi Napoli, non sapevo bene il perché, presi il primo volo e tre ore dopo ero in un residence colmo di turisti, presi un miniappartamento e non appena ebbi chiuso la porta mi gettai sul letto, provando a resettare tutto.
non avevo più riacceso il telefono se non per ricevere le conferme di pagamento e prenotazione di volo e residence, e non me ne fregava niente di guardare chi mi aveva chiamato o scritto, però avevo delle cose da fare e da dire.
chiamai il lavoro e mi feci passare le risorse umane, spiegai brevemente che avevo avuto problemi legati ad un esaurimento nervoso e che a partire da quel momento rassegnavo le dimissioni.
quasi diciotto anni di duro lavoro, quasi diciotto anni di sacrifici e di rinunce… buttati via.
non spiegai nient’altro, ringraziai e promisi che mi sarei fatto vivo a breve, poi chiusi.
e per i cinque giorni successivi fui più ubriaco che sobrio, cominciavo a bere già la mattina e finivo la sera quando crollavo esausto e praticamente in coma etilico, uscendo solo per fare rifornimento di gin, whisky e altre cose del genere.
ma almeno non pensavo a niente, a nessuno, e nemmeno a me.
ero completamente isolato, senza contatti con… casa, senza telefono e senza email, solo e in piena autocommiserazione e autodistruzione, avvolto in una spirale discendente che non mi interessava né contrastare né fermare.
non ricordo nulla di quei giorni “selvaggi”, ma tutto finì un pomeriggio, quando uscendo da un minimarket quasi cozzai contro due elegantissime signore napoletane che mi guardarono con schifo non malcelato.
erano belle donne, bel vestite, curate, snob, di quelle che nei miei momenti migliori avrei senz’altro provato a sedurre…
“non ti ha toccato, vero?” sentii dire da una delle due, “che schifo, ma si può ridursi cosi? ma che schifo!”
mi guardai alla vetrata del negozio e ebbi schifo di me stesso: spettinato, barba di una settimana, camicia sporca e macchiata, con uno strappo sulla spalla, occhi infossati e arrossati, labbra rotte.
feci un passo all’indietro e il sacchetto con gli alcolici cadde e le bottiglie si fracassarono, lo raccolsi gocciolante e con schifo lo lanciai sopra altri sacchetti accatastati accanto ad un cassonetto annerito dal fuoco, mi ripulii le mani sui jeans e barcollando in preda alla nausea raggiunsi il residence.
e davanti allo specchio del bagno guardai quell’estraneo che mi fissava.
mi lavai e mi cambiai, mi rasai con cura e la sera stessa presi il primo volo per tornare a casa, e alle otto della sera riaprivo la porta dopo più di una settimana di assenza.
ma ritornare dentro… non era quello che mi aspettavo: non c’era calore, non c’era vita, solo silenzio e freddo.
quasi in apnea scaraventai il borsone in un angolo della camera da letto, ne presi un altro che riempii a casaccio con quello che mi capitava e poi richiamai un taxi che mi portò di nuovo in centro, davanti all’hotel Majestic.
presi una camera e quella notte dormii profondamente anche grazie a due compresse di sonnifero (eredità di Elisa di qualche anno prima), e la mattina successiva mi svegliai riposato e rilassato come non mi capitava da mesi.
e guardando fuori dalla finestra, guardare la gente che camminava, che si salutava, che parlava, che rideva, che si amava… decisi che era il momento di dare un cambiamento alla mia vita.
dovevo vedere le cose da un altro punto di vista, non in funzione di quello che “volevo” fare ma di quello che “riuscivo” a fare, senza pormi obiettivi o target, l’avevo fatto per una vita intera sia nel lavoro che in famiglia che con le persone che mi erano vicine, cercando di… dominare gli eventi prima che quegli stessi eventi si rivoltassero contro di me.
dovevo prendere la vita come veniva, godere di ogni singolo giorno senza pensare a quello successivo, godere delle piccole cose.
un cambio drastico, come drastico doveva essere il taglio con il passato.
misi in vendita la casa con la stessa agenzia dalla quale l’avevo acquistata solo pochissimo tempo prima, misi in vendita anche l’auto (era ancora ferma da giorni nel box) e con una lunga email-confessione scrissi ai miei soci sulle dimissioni, sulla mia incapacità di continuare quel lavoro per impossibilità di mantenere la concentrazione e chiesi di essere liquidato, preannunciando che non avrei fatto questioni sull’ammontare della buonuscita.
erano comunque milioni, non spiccioli, avrei potuto tranquillamente vivere di rendita per il resto della mia vita.
restai in quel bellissimo e confortevolissimo hotel per dieci giorni, poi cominciarono ad arrivare le offerte per la casa e per l’auto, così anche se a malincuore dovetti tornarci.
aprii la porta e… non entrai, non subito.
pochi giorni prima tutto era ancora sottosopra, memoria visiva dello scontro delle due sorelle che era avvenuto lì dentro, ma… tutto era stato sistemato, i vetri raccolti, i bicchieri… rimpiazzati!
persino la vetrata del minibar era stata sostituita.
solo Gio aveva le chiavi di casa, Gio e Erika.
controllai le altre stanze, il borsone era sparito e il letto fatto, il bagno lucido e perfetto (l’avevo lasciato in condizioni… pazzesche) e il resto della casa era assolutamente in ordine.
“Gio…” sussurrai, “ma che cazzo…”
dopo giorni e giorni di non utilizzo tirai fuori il telefono, scarico da tempo immemore, lo collegai alla presa e dopo aver fatto una lunga doccia caldissima andai a controllare.
stava… esplodendo: c’erano centinaia di chiamate non risposte e… migliaia di messaggi!
per non parlare delle email…
aprii il programma di messaggistica e vidi che la maggior parte era di Elisa ma anche Gio non era stata indietro, diciamo così: “poverette” pensai, “quante ve ne ho fatte passare…”
marcai tutte le chat come lette ma senza nemmeno pensare di leggere le migliaia di messaggi che erano arrivati, e lasciai l’applicazione aperta, andai in frigo a prendere qualcosa da bere e pochi istanti dopo il telefono suonò.
guardai il display e… Elisa cell.
lo lasciai suonare e dopo trenta secondi smise, mi sedetti sul divano con in mano la bottiglietta di acqua e quello subito riprese a suonare, sempre Elisa.
non potevo ignorarla a vita, presi l’apparecchio e risposi, o meglio, aprii la chiamata senza dire nulla.
“Fede… Fede?” sentii dall’altra parte, “Fede, sei tu?”
sembrava angosciata.
“sì, sono io”
ci fu un attimo di silenzio poi Elisa scoppiò a piangere.
provai ad essere freddo e distaccato ma sentendola piangere così non ci riuscii, e mentre ancora la mia ex moglie piangeva a dirotto provai a chiamare il suo nome per calmarla.
“BASTARDO! BASTARDO FIGLIO DI PUTTANA!” la sentii gridare improvvisamente, “MI HAI FATTO MORIRE! MI HAI FATTO MORIRE DALLA PAURA!”
‘ecco, si ricomincia…’ pensai.
“TI HO CERCATO PER GIORNI, PER SETTIMANE!” gridò esasperata, “DOV’ERI? DOVE TI ERI CACCIATO!!!”
“Elisa, basta” provai a dirle, forse mezza dozzina di volte mentre lei continuava ad insultarmi e ricordarmi che mestiere facesse la sua ex suocera, ma visto che non serviva misi giù.
mi chiamò subito dopo, non risposi, la lasciai riprovare e riprovare e solo quando non richiamò lo feci io.
“NON PROVARE A…” cercò di dire ma la interruppi.
“ADESSO BASTA!” gridai nel microfono, “STA ZITTA!”
funzionò.
“dove… dove sei?” mi chiese, angosciata.
“sono appena tornato a casa” le risposi.
“posso… posso venire da te?” replicò immediatamente.
“no!” le risposi, “no, non ti voglio vedere”
“Fede… ti prego” piagnucolò, “io… ho bisogno di vederti, ho bisogno di… ho bisogno di sentirti, di sapere che stai bene…”
ci stavamo ricascando, ma non volevo farlo.
“sto bene, te lo garantisco” le risposi freddo, “non c’è bisogno che ti disturbi a venire, adesso mi hai sentito, sto bene, quindi… ti saluto, ok?”
“no, aspett…” provò a dire, ma misi giù, e gettai via l’apparecchio, lasciandomi sprofondare sul divano.
dovevo tenere duro, quella sarebbe stata la seconda o la terza “ricaduta”, avevo appena raggiunto un blando equilibrio e non potevo mandare tutto a puttane di nuovo, anche come… forma di rispetto nei suoi confronti.
e poi pensai a Gio: se era venuta a sistemare i danni, arrivando anche a sostituire il vetro rotto e a lavare le mie cose… voleva dire solo una cosa, ci teneva ancora, non voleva abbandonarmi al mio destino.
per il resto della giornata restai attaccato al portatile, valutai le richieste di acquisto per la casa e per l’auto, ed entro sera quest'ultima non era più mia.
e il primo pezzo del “vecchio me” se n’era andato.
meglio così.
verso le cinque della sera mi venne fame e mangiai non ricordo cosa, e pochi minuti più tardi… campanello.
andai a sbirciare dalla finestra, tenendomi nascosto, e trasalii.
Giorgia.
era troppo tardi per nascondersi, le luci in casa erano accese…
aprii la porta ma non il cancellino sulla strada, la raggiunsi e tenendomi a distanza restai a guardarla, in silenzio.
“perché non mi hai chiamato?” mi chiese, quasi duramente.
“lo sai il perché” risposi.
“non mi fai entrare?”
“no”
“perché no?” mi chiese ancora, ma la risposta fu la stessa, “tu lo sai il perché”
afferrò il cancellino con entrambe le mani e abbassò la testa.
“voglio… voglio solo parlare” mi disse sforzandosi di mantenere l’aplomb, “senza… senza fare altro, solo parlare…”
“ok, parla, sono qui” le dissi ancora, provocandola, “ti ascolto…”
“APRI QUESTO CAZZO DI CANCELLO!” gridò incazzata nera, poi sembrò ricordarsi di una cosa e guardandomi con un ghigno cominciò a rovistare nella borsetta trovando le chiavi che le avevo lasciato e facendosele penzolare davanti.
“non serve che mi apri, apro da sola!” disse in un ghigno, infilò la chiave nella serratura ed aprì.
non volevo né vederla né sentirla, le voltai le spalle e mi diressi verso la porta di casa, salii i due gradini e poi entrai in casa provando a chiudere la porta ma ormai era dietro di me, mise un piede impedendo che si chiudesse e spingendo con la spalla entrò, furibonda.
“Gio, per favore, vattene” le dissi provando a stare calmo, “non ti voglio vedere, né te né…” provai a dire ma non riuscii a finire la frase perché Gio mi aveva abbracciato da dietro, stringendomi così forte da farmi male.
e scoppiò a piangere.
la lasciai fare ed evitai di coccolarla o abbracciarla, me ne restai inerte e insensibile al suo dolore, e solo quando ebbe finito mi divincolai mettendomi seduto sul divano.
“se hai finito… quella è la porta” le dissi, duro e quasi sprezzante, ma Gio non rispose alla provocazione, fece il giro del divano ed andò a sedersi dalla parte opposta, in punta di chiappe, con le mani tra le gambe.
“perché te ne sei andato?” mi chiese con la voce rotta, “ti abbiamo cercato, pensavamo che tu fossi… che ti fosse successo qualcosa”
non rispondevo.
“e quando la polizia ci ha detto che ti eri allontanato volontariamente ma che non ci potevano dire dov’eri… siamo diventate matte a cercarti…”
silenzio.
“perché non ci hai chiamato, o scritto, noi…”
“NON VOGLIO PIU’ VEDERVI!” gridai alzandomi in piedi di scatto e facendola spaventare, “NON VI VOGLIO PIU’ NELLA MIA VITA! VOGLIO CHE MI LASCIATE IN PACE! E’ COSì DIFFICILE DA CAPIRLO???”
mi guardava sgomenta, impaurita.
“e adesso per favore vattene” le dissi, e andando alla porta la aprii tenendola aperta per invitarla ad uscire.
“vattene e lasciami da solo” continuai, “e per favore, non tornare più, non chiamarmi più, non… non pensarmi più, intesi?”
era ancora immobile, ancora seduta.
“e ridammi le chiavi” le dissi, “non voglio che entri più con me o senza di me”
Gio chiuse gli occhi e poi annuì, si alzò, mi raggiunse lentamente consegnandomi le chiavi e poi uscì.
“per favore, non…” provò a dire, ma con un gesto… spregevole e umiliante le chiusi la porta in faccia, appoggiandomi con la schiena quasi dovessi impedirle di entrare sfondandola.
sentii che avviava l’auto e che poi si allontanava, e rimasto solo scivolai con la schiena fino a sedermi, mi presi la testa tra le mani e piansi.
il giorno successivo di buona mattina portai l’auto al concessionario, firmai quello che c’era da firmare e la cedetti per un valore… ridicolo rispetto a quello che avevo pagato, ma non me ne fregava un cazzo.
“cosa… cosa avete in pronta consegna?” chiesi al venditore, e dopo aver valutato comprai una BMW coupè, nera, la pagai per intero e concordai la consegna, tornai a casa in taxi e dopo aver sistemato l’assicurazione me ne restai solo, a guardare il soffitto.
il giorno successivo non mi mossi da casa, non ricevetti telefonate né visite, probabilmente il mio distacco procedeva bene, dormii… farmacologicamente bene e il giorno successivo andai a ritirare l’auto (deludente, ma tant’è, pensai) e nel pomeriggio firmai per la cessione della casa.
la vendetti così com’era, mobili e arredi compresi, non mi interessava di quello che ne avrebbero fatto i nuovi proprietari, passai la sera e il mattino successivo ad impacchettare vestiti ed effetti personali e il giorno dopo provai a cercare un nuovo posto per vivere, e ricominciare.
e i giorni passarono lenti, ma inesorabili.
scelsi la mia nuova casa, sempre città ma estrema periferia nord, dalla parte completamente opposta.
niente di ché, piccola, confortevole, adatta ad un single o al massimo ad una coppia.
già, coppia.
avevo quarantatré anni e non volevo passare la mia vita da solo: sapevo che era solo questione di tempo e una donna l’avrei trovata, la volevo trovare, ero stanco di andare a letto da solo e svegliarmi da solo, pranzare in qualche bar e cenare da solo come un cane.
non me lo meritavo, e non lo volevo!
anche se le ultime esperienze con le donne non mi avevano portato a niente di buono.
comprai la villetta che avevo pensato come seconda scelta, forse un po’ troppo grande ma comunque deliziosa, e venti giorni dopo era mia: comprai i mobili (solo quelli che mi servivano) e una volta consegnati e montati cominciai a fare la spola avanti e indietro nel percorso casa vecchia - casa nuova fino a che ebbi trasferito tutto, mi sentivo bene, ero appagato, sereno.
ma quella serenità finì un tardo pomeriggio, quando arrivò Elisa.
stavo uscendo con uno scatolone e me la trovai davanti, immobile, occhiali da sole che le coprivano metà viso anche se la giornata era grigia e piovigginosa.
“no” pensai, “non è possibile…”
ma ero stanco di… arrabbiarmi, ero stanco di tutto quell’odio.
“ciao Elisa” la salutai, “che ci fai da queste parti?”
fu quasi sorpresa dalla mia… cordialità.
“io… avevo bisogno di vederti” mi disse, “e di parlarti”
con un pessimo senso dell’umorismo e con zero empatia mi fermai, la guardai serio e le dissi “non sarai mica incinta, vero?”
non raccolse la provocazione, per fortuna, così le passai accanto e caricai lo scatolone in auto.
“ma… stai… partendo?” mi chiese, sorpresa e impaurita.
“sì” risposi, “ancora un paio di carichi e ho finito”
“anzi” aggiunsi, “se vuoi prendere qualcosa della nostra vecchia casa posso…”
“no, non voglio niente, grazie” rispose, “non mi serve niente”
mi asciugai il sudore dalla fronte e con le mani sui fianchi restai a guardarla: era… sciupata, e giù, molto giù.
“che cosa… che volevi dirmi?” le chiesi visto che durava da troppo quel silenzio fastidioso.
“possiamo entrare, se vuoi” le dissi, e precedendola la lasciai entrare nella casa quasi vuota, la vidi guardarsi attorno e poi stringersi nelle braccia, quasi volesse proteggersi.
si accomodò sul divano e si tolse gli occhiali mostrandomi delle profonde occhiaie scure.
“ho lasciato Paolo” mi disse.
mi sentii sprofondare.
mi raccontò che una settimana prima “improvvisamente” aveva realizzato, che non era mai stata innamorata di lui e non le era mai piaciuta la vita che aveva fatto fino a quel momento.
“e quindi?” le chiesi.
“sono ancora innamorata di te” mi disse, diretta e decisa.
chiusi gli occhi e ebbi paura.
ma… no, non era possibile.
“no, Elisa” le dissi alzandomi in piedi, “non pensarci neanche, non… noi non torneremo mai insieme, mai!”
“non mi imbarcherò mai più in una cosa… del genere, no, mai più” le dissi, “non farò più gli stessi errori con te, sarebbe una cosa… deprimente, e distruttiva”
mi guardava… confusa, forse sperava in parole diverse.
ma non potevo nemmeno… lasciarla così, aveva fatto affidamento su di me e sul nostro amore ormai finito da tempo, ed era comunque la madre dei miei figli.
“sai… sai dove andare dopo… che… avrai…” provai a dirle senza trovare le parole giuste.
scosse la testa e abbassò lo sguardo.
toccava a me provvedere, e lo avrei comunque fatto a prescindere, Paolo o non Paolo.
“ci penso io” le dissi, “ti trovo un appartamento intanto che sistemi … le cose che devi sistemare con lui, poi ti darò quello che ti spetta del nostro patrimonio, per rifarti una vita”
mi guardava a bocca aperta.
“ma poi non ci vedremo più, Elisa” conclusi, “dobbiamo lasciarci alle spalle tutto, io lo sto già facendo e ti consiglio di farlo anche tu, e in fretta”
non rispondeva, era immobile.
restammo in silenzio a guardarci, poi toccò di nuovo a me rompere il ghiaccio.
“puoi… tornare a casa stasera o…” provai a dire, ma Elisa scosse la testa.
“fantastico…” pensai, questa ha mollato il suo uomo e si presenta qui da me certa che la accoglievo a braccia aperte, e che dimenticavo tutto…”
“ok” sussurrai, “ok, ok, ci inventiamo qualcosa…”
ma poi…
“aspetta, e Gio?” le chiesi, “non puoi andare da lei?”
scosse la testa.
“non ci siamo più parlate, non più da quel… da quel giorno” rispose.
“e… e tu?” mi chiese, “non l’hai più sentita?”
“sì, è venuta qui” le dissi, sincero.
mi guardò… allucinata.
“l’ho cacciata via, Elisa” le dissi, duro, “ho fatto la stessa cosa che ho fatto con te”
chiuse la bocca e annuì, poi si alzò.
“dove vai adesso?” le chiesi.
“non lo so” rispose, “e comunque non sono cazzi tuoi!”
“aspetta!” le dissi quando ormai era fuori, “se non sai dove andare… resta qui, ti lascio le chiavi, e io posso…”
“no, grazie” rispose senza nemmeno più voltarsi, si rimise gli occhialoni e poi uscì.
“non voglio niente da te” rispose, “anzi, scusami, ho sbagliato a venire qui, e… hai ragione, non ci vedremo mai più”
la guardai salire in auto e andarsene, e mi fece stare male ma al tempo stesso mi fece anche stare bene: non avevo ceduto, non avevo mollato, ero libero.
chiusi casa e tornai in quella nuova e per la prima volta dormii nelle nuove quattro mura pur accampato, e quello fu l’inizio della mia nuova vita.
nelle settimane successive fui impegnato su diversi fronti, riorganizzai la mia vita con nuovi impegni e nuove cose da fare, e nel giro di un paio di mesi ero “settato” sulle nuove coordinate della mia vita.
c’erano i ragazzi, ogni tanto li vedevo per una pizza o qualche birra insieme e continuai a ripetere che se anche la nostra famiglia si era separata mamma e papà c’erano sempre per parlare o per chiedere un consiglio, o soldi ovviamente.
con l’inizio dell’anno nuovo mi decisi anche a trovarmi un lavoro o comunque qualcosa che mi tenesse occupato: attraverso un vecchio cliente scoprii che c’era una startup che prometteva bene nel campo degli investimenti in criptovaluta, e visto che mi intendevo di investimenti e che sapevo gestire un’attività andai a conoscerli e ne rimasi favorevolmente impressionato, erano relativamente giovani (il più vecchio aveva la mia età, il più giovane la metà) e motivati, pieni di voglia di fare e di lavorare duramente: feci la mia proposta che li lasciò a bocca aperta, ci volevo investire sopra un paio di milioncini ma in cambio sarei diventato presidente e CEO, con la possibilità di veto su qualsiasi decisione.
accettarono con entusiasmo, e di lì a un paio di settimane presi possesso della mia scrivania cominciando a coordinare investimenti in Italia e Unione Europea, acquisti nello stock market americano e altro genere di trading e quando fummo ben strutturati cominciammo ad offrire investimenti molto vantaggiosi a commissioni azzerate per attirare clienti, e se all’inizio faticammo ad entrare nel giro in un paio di mesi ci ritagliammo un bello spazio nel settore, e i soldi arrivarono.
ma non solo, per me arrivarono delle grandi… opportunità.
Elisa e Giorgia non le sentii più, né al telefono né come messaggio, dopo quel taglio drastico erano semplicemente scomparse, ma non per me…
mi ero interessato costantemente alle loro sorti e alle loro “relazioni”, a volte recandomi sotto le loro case per spiarle come uno stalker di quarta categoria ma visti gli scarsi risultati assunsi un investigatore privato.
Elisa non aveva lasciato Paolo, era sempre lì in quell’appartamente grigio e triste, usciva la mattina per andare in palestra e poi al supermercato, rientrava a mezzogiorno e lui mezz’ora dopo, uscivano insieme verso l’una e mezza e poi si dividevano, lei andava ad un centro diurno per anziani a fare la volontaria e lui al lavoro in banca, la sera tornavano quasi allo stesso orario e i giorni erano tutti uguali.
Gio era sempre nella stessa casa insieme al marito, passava un sacco di tempo in casa sola e usciva solo per la spesa o per andare da qualche parte con un paio di amiche ma niente di fisso come palestra o altro, e lui spesso si assentava per lavoro, lasciandola sola.
e soprattutto, nel periodo in cui l’investigatore le aveva seguite, le due non si erano mai incontrate.
mi dispiaceva, ma avevo smesso di essere responsabile per loro: quello che era stato era stato, insieme avevamo fatto cose giuste, cose belle e cose… esaltanti ma anche cose profondamente sbagliate, e ognuno, a modo suo, stava pagando.
quando ricevetti il rapporto virtualmente chiusi quella pagina della mia vita: mi ero offerto di aiutare entrambe, una direttamente (Elisa) e una indirettamente, per fare ammenda, entrambe avevano rifiutato.
pazienza.
e addio.
tornai a diventare quello di sempre, il lavoro tornò ad essere prioritario così come la ricerca del mio interesse, trovai un paio di donne e le sfruttai liberandomene dopo qualche giorno senza pensarci su due volte.
imparai ad essere cinico e spietato, non mi fermai davanti a niente e a nessuno.
e tutto era opportunità, per il mio piacere.
ma parlando di opportunità… arrivò Valeria.
una donna che… feci impazzire, ma dalla quale ricavai di tutto e che ancora oggi, a distanza di mesi, riempie le mie serate e il mio letto.
c’era (e c’è ancora, anche se con un’altro ruolo) uno dei trader, che si chiama Dario: combinava cazzate colossali, perdeva clienti, si dimenticava le cose, era un gran casinaro ma fino a che le cose restarono in dimensione… domestica fu facile fare finta di nulla, Dario era stato uno dei fondatori della società, gli veniva perdonato molto, ma se prima una cazzata delle sue costava migliaia di euro con l’aumento dei volumi arrivò a sperperare centinaia di migliaia di euro alla settimana, con punte di duecentomila al giorno.
dovevo fermarlo, e in qualità di CEO lo convocai e lo sospesi.
fu un colpo per lui, ma quando ero convinto di essermene liberato (l’avevo di fatto licenziato) ecco che nel mio ufficio si presentò Valeria, sua moglie.
bella donna, assomigliava un po’ a Elisa per via del taglio di capelli, biondo e corto, e degli occhi chiari, color nocciola.
anche lei belle tettone piene da milf, culone, belle gambe, alta, anche più alta di Dario che era un piccoletto (io chiamo “piccoletti” un po’ tutti visto che sono un metro e novantadue centimetri).
si presentò chiedendomi di ripensarci, perorando la causa del marito che era soggetto a stress anche per colpa sua, visto che recentemente aveva perso il lavoro, e che quindi l’unico stipendio che entrava in famiglia era il suo.
provai a farle vedere quanto ci era costato suo marito, più di un milione negli ultimi quattro mesi e mezzo, e la donna si disperò capendo che… era finita così.
non lo so il perché ma… il “vecchio me” tornò fuori prepotente.
“senti” le dissi, “ho soluzioni alternative per lui, ma ho quasi paura a parlargliene perché non so come la prenderebbe…”
“e poi non sono nemmeno sicuro che sarebbe in grado di fare certi lavoro, tutto qui…” aggiunsi, “avrebbe bisogno di una mano…”
era chiaramente una scusa, ma per Valeria era la classica ciambella di salvataggio per il naufrago in balia delle onde.
mi invitò immediatamente a cena a casa loro per parlare di questa nuova opportunità, qualcosa che aveva programmato prima di passare a trovarmi, ovviamente, ma ribaltai l’offerta “fiutando” l’opportunità.
“venite voi da me” le proposi, “stasera, alle otto”
“noi… ecco…” provò a dire, ma scossi la testa.
“a casa mia, alle otto” ribadii, su un post-it scrissi l’indirizzo e glielo passai.
“o-ok…” rispose, così mi alzai e tendendole la mano la salutai.
la sera alle otto arrivano, puntuali, lui con i soliti jeans e polo sformata, lei bellissima, trucco leggero, vestitino corto e sandali.
la salutai con tre baci sulle guance stringendola a me per sentire le tettone, lui con una stretta di mano fredda.
li accolsi in casa e li portai sul retro dove avevo preparato piatti e bicchieri, e facendoli accomodare lasciai Dario su una poltroncina mentre io mi sistemai accanto a lei sul divanetto, con vista privilegiata sulle sue cosce che tentava disperatamente di coprire.
cominciai a parlare con lei dei suoi hobbies e dei suoi interessi, Valeria rispondeva ma lanciava delle occhiate interrogative al marito per cercare di uscire dalla situazione ma Dario dal canto suo mi guardava sospettoso, senza tuttavia osare intervenire.
poi arrivò la cena, tutto rigorosamente servito dal ristorante vicino, mangiammo senza parlare di lavoro e tenni Valeria vicino a me toccandole le spalle nude e le braccia, facendole capire che… ci avrei provato eccome con lei e che potevamo trovare una soluzione al suo problema di famiglia.
ed ecco che il vecchio Federico Rastrelli venne fuori prepotente, il rullo compressore che puntava solo al suo piacere schiacciando tutto quello che c’era attorno.
una volta finita la cena tornammo al punto.
ci alzammo e li condussi all’interno, nel soggiorno, e per farlo cinsi Valeria con il braccio toccandole il culo con la mano, e visto che non ci fu reazione ce la tenni sopra, assicurandomi di essere visto dal marito.
“allora Dario” gli dissi una volta seduti sul divano, o meglio, una volta seduto sul divano con Valeria accanto mentre lui era su una poltrona, di fronte a noi, “veniamo al punto…”
mi ascoltavano entrambi.
“non possiamo più permetterti di lavorare con noi” dissi, e gli spiegai i danni che aveva causato e la potenziale mancanza di fiducia da parte di quei clienti che si erano visti bruciare gli investimenti.
“ma noi potremmo…” provò a dire Valeria, ma la fermai con un gesto lento della mano.
“potremmo valutare una soluzione alternativa” dissi, fingendo di pensarci su, “ma solo… solo se le cose si mettono bene”
Valeria mi ascoltava attentamente, pendendo dalle mie labbra, lui… lui era sfiduciato.
“potreste… lavorare in coppia” buttai lì, “procacciando clienti facendo ricerche online, giri di telefonate, interviste…”
Valeria era… come rinata, aveva visto la speranza.
“e con questo team potremmo invitare i clienti ed esporre i nostri piani di investimento, tentarli andando a puntare sulle loro debolezze che voi due avrete individuato”
la donna era esaltata, lui… lui no.
“chiaramente dovrete agire da collaboratori esterni, non da interni, sarebbe troppo rischioso…” continuai, “quindi lavorerete come prestatori d’opera e non come dipendenti”
“ma… lo stipendio…” si intromise lui, inopportunamente: Valeria chiuse gli occhi sicuramente imprecando, io finsi di pensarci.
“potremmo… pensare di non toccare quello che già ti viene corrisposto, almeno per i primi due o tre anni” buttai lì, “e poi vedere come va”
Dario non era convinto, Valeria sì, e fece capire al marito che era il caso di accettare.
“bene” le dissi posandole una mano sulla coscia e facendole fare un salto, tuttavia senza che me la togliesse, sempre mentre il marito ci guardava, “allora siamo d’accordo…”
“no” disse lui, bloccandomi e bloccando l’entusiasmo di Valeria, “non… non ci riuscirei mai, io sono un trader e… so… so fare il mio lavoro”
Valeria sembrò andare in mille pezzi, io mi sentii preso in giro.
“va bene” dissi, “allora… aspettate qui”
andai in studio e cercai un notes e presi anche una penna con una mini calcolatrice, tornai da loro e gliel porsi.
“allora” dissi, “ti lascio mezz’ora di tempo per calcolarmi il piano di investimento di un cliente”, gli diedi dati finanziari e di rischio e incrociai le braccia.
“tra mezz’ora torno e voglio che mi esponi il tuo elaborato, ok?” conclusi.
poi presi Valeria per il braccio e la feci alzare, “lasciamolo solo, lavorerà meglio” le dissi, e la portai via con me, facendole vedere il secondo giardino, quello dalla parte opposta della casa.
appena solo le misi una mano sul culo, la tirai a me e la baciai, profondamente.
si oppose, provò a divincolarsi ma poi cedette.
non persi tempo, la portai vicino al tavolo, la spinsi sulla schiena mettendola a novanta gradi e andandole dietro mi inginocchiai e le sollevai il vestito trovandole il culone praticamente nudo “incorniciato” da slip striminziti, glieli abbassai e poi sfilai dai piedi scoprendole il solco delle chiappe e con le mani finalmente libere gliele aprii, trovando un buco del culo completamente serrato e sigillato e poco più sotto la figa abbondantemente aperta, e abbondantemente bagnata.
mi ci tuffai sopra e la leccai furiosamente mentre lei gemeva sommessamente, e dopo averla slappata per bene lo tirai fuori, glielo appoggia e zac, dentro fino alle palle.
me la scopai duramente sbattendola come non sbattevo nessuna da un bel po’, poi mi fermai e glielo tolsi, e facendola inginocchiare la presi per i capelli e glielo appoggiai alle labbra, la “convinsi” ad aprirle e poi glielo cacciai in gola scopandole la faccia.
accettò tutto, prima solo per paura ma poi anche per… piacere.
conosco le espressioni di una donna che prova piacere…
dopo averle quasi sborrato in gola la tirai su la issai sul tavolo facendola stendere di schiena, le aprii le cosce sollevandole le gambe per portarle le ginocchia al petto, le diedi un’altra leccata alla figa ormai diventata un lago di umori e poi glielo cacciai dentro di nuovo, ricominciando a scoparla così forte da spostare il tavolo.
non contento le abbassai il vestito e le tirai fuori le tettone, due spettacoli allucinanti che ballavano come budini ogni volta che glielo spingevo dentro!
“si, vengo…” grugnii quando arrivai al dunque ma Valeria si spaventò, smontò dal tavolo quasi cadendo e per un istante temetti che stesse fuggendo a gambe levate, ma quando me la trovai in ginocchio davanti e prendendomelo in mano se lo portò in bocca… bè, capii molte cose.
le sborrai in gola spingendoglielo più in profondità possibile, e guidandola con la mano sulla testa me lo feci spompinare direttamente dalla sua gola mentre sborravo e sborravo, grugnendo come un maiale.
e quando alzai lo sguardo… vidi Dario alla finestra, nascosto dietro la tendina, probabilmente certo di non essere visto.
non mi feci scappare l’occasione, tirai su Valeria e le cacciai la lingua in bocca baciandola profondamente, e lei rispose con altrettanta passione, mettendomi le mani sulla nuca per “schiacciarmi” contro di lei.
cominciò così, e quella sera proseguì oltre in un modo addirittura… umiliante per Dario, che accettò tutto pur di conservare il suo lavoro.
quando tornammo dentro mi feci consegnare il lavoro, un vero disastro, lo guardai negli occhi e lui guardò nei miei, gli feci capire “non me ne frega un cazzo se mi hai visto, tua moglie me la scopo comunque” e poi glielo ridiedi.
“adesso beviamo qualcosa, ok?” sentenziai, portai diverse bottiglie e bicchieri e ghiaccio e li lasciai servire: Valeria tracannò tre shot di vodka per “rilassarsi”, Dario si limitò a berne un paio ma a fatica, e finalmente più rilassati e consapevoli parlammo di soldi e di obiettivi, e arrivò la mezzanotte.
Dario era praticamente sobrio, ma con la scusa che avevo preparato li convinsi (...) che non li avrei lasciati tornare a casa conciati così, e in pratica li obbligai a restare.
“Dario, tu puoi prendere il divano” gli dissi, “Valeria può venire con me…”
lo guardai negli occhi, non osò opporsi, in quanto a Valeria… era ormai priva di una volontà sua.
“purtroppo non ho altre camere arredate” dissi, e mentre portavo Valeria verso la camera da letto spingendola sul culo Dario si sedette sul divano, occhi bassi, rassegnato.
chiusi la porta della camera e cominciai a baciarla, poi la spogliai nuda e per quella notte abusai di lei e del suo corpo come meglio mi pareva, senza che si opponesse, anzi, mi regalò una di quelle scopate che sognavo da anni ormai, gemendo e lamentandosi ignorando che ad una parete di distanza c’era il marito, che sentiva tutto…
e il mattino dopo, quando uscimmo dalla camera dopo una notte praticamente insonne, lo ritrovammo sveglio, pronto per tornare a casa.
non disse nulla, si avviò verso la porta seguito da Valeria e sparirono.
con Valeria continuò, alla grande, con la scusa del team la portai fuori a cena con i clienti esibendola come una specie di bambolina, e prima di riportarla a casa me la scopavo regolarmente, spesso e volentieri fuori da casa loro mentre lui probabilmente guardava.
ecco, diventai così, un grandissimo figlio di puttana, slegato da ogni regola e da ogni moralità, prendendo ciò che volevo e gettando via quello che non volevo più.
senza davvero incontrare ostacoli, un rullo compressore.
Valeria una sera mi ha detto che sono “il peggio del peggio, ma che per una donna, almeno per quelle come lei, sono impossibile da rifiutare”
la sera che me lo disse mi ero fatto dare il culo da Valeria, anzi, me l’ero preso senza troppe cerimonie: dopo quarant’anni di verginità anale, avendolo negato anche al marito, l’aveva persa con uno come me nella mia camera da letto, dopo che l’avevo strappata ad una cena di famiglia già programmata con il marito ed altri parenti.
per fortuna che anche suo figlio era grande e lontano, sarebbe stato “poco felice” di vedere com’era diventata mamma.
“sei il peggio del peggio” mi aveva detto, con il culo che le bruciava.
ecco, questa è la mia massima, sono il peggio del peggio.
sicuramente pagherò per quello che ho fatto, e pagherò caro.
ma per il momento… va bene così.
mesi dopo, quando scopavo Valeria portandola su vette di piacere estreme spesso sotto gli occhi del marito, l’investigatore privato a cui avevo chiesto di aggiornarmi periodicamente mi contattò perché aveva novità.
Elisa aveva lasciato Paolo ed era tornata dai genitori, in campagna, ed era tornata a lavorare con loro perché mi fece avere delle foto dettagliatissime della sua nuova vita, la contadina.
Giorgia era sempre con il marito, ma vedeva un altro: e anche per lei mi aveva portato delle fotografie, er un uomo della mia età, qualche capello grigio, alto forse come me e che guidava un’auto che sembrava la mia.
le ultime due fotografie erano… emblematiche, e mi strapparono un sorriso; Giorgia stava facendo un pompino all’uomo nel parcheggio di un centro commerciale, e a vedere l’espressione estatica di lui… ci stava mettendo l’anima.
“e brava Gio” sussurrai, “brava, brava, brava Gio…”, poi misi via le foto e non ci pensai più.
colpa mia?
forse.
sarebbe finita diversamente se non avessi… reagito al tradimento, dopo essere stato io quello che ha tradito per anni?
forse.
sono maschilista, misogino e egoista?
sì, lo sono.
ho fatto soffrire?
si.
ma non sono più problemi miei.
non ho mai preteso di essere un cavaliere sul cavallo bianco del cazzo che salva le damigelle in pericolo e tantomeno un paladino della giustizia, non lo sono mai stato e non lo sarò mai, ma ho sperimentato che a fare il bravo marito o fare il figlio di puttana fedifrago non cambia nulla.
è solo questione di tempo, poi si cambia in peggio.
FINE