Racconto di fantasia Il mio "migliore" amico

Gando94

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La sveglia suonò per l’ennesima volta, e Gabriele fu seriamente tentato di posticiparla ancora di cinque minuti. Ma quando afferrò il telefono e cercò di mettere a fuoco il display, gli occhi appiccicosi di sonno, quasi gli venne un colpo. Era in ritardo.
Si alzò sbuffando e andò alla finestra per sollevare la tapparella. La stanza si illuminò immediatamente della luce tiepida del mattino, costringendolo a serrare le palpebre.
Nonostante fossero appena le sette, Gabriele sapeva che si prospettava un’altra giornata davvero calda. Per sua fortuna, i suoi genitori avevano fatto installare l’aria condizionata non appena si erano trasferiti in quella casa e lui non aveva mai dovuto patire le notti afose di Napoli. A dire la verità, era ancora soltanto la prima settimana di maggio, ma le previsioni prevedevano un’estate torrida e insopportabile, e lui non faticava a crederci: erano già due settimane che, a scuola, da metà mattina in poi si sudava come maiali. Persino lui, che amava studiare, si ritrovava a non vedere l’ora che le lezioni terminassero soltanto per poter tornare a casa e godersi la temperatura fresca.
Cercando di togliersi quel pensiero dalla testa andò in bagno a rinfrescarsi il viso, poi tornò nella stanza e scelse dall’armadio degli indumenti a caso: un paio di pantaloni neri e una camicia azzurrina a maniche corte, molto casual.
In cucina trovò sua madre, Sonia, che sorseggiava un bicchiere di spremuta mentre sfogliava la sua agenda.
«Buongiorno, ma’», la salutò diretto al frigo, dove prese il cartone del latte.
«Buongiorno, tesoro», rispose la donna, alzando gli occhi in direzione del figlio.
Al contrario di Gabriele, Sonia era vestita in modo fine ed elegante, forse quel giorno ancora più degli altri. Indossava una longuette nera che le fasciava i fianchi generosi della sua taglia 46 e da cui facevano capolino due gambe lunghe e affusolate; sopra portava una camicia bianca che le fasciava il seno abbondante, corredata da una giacca da ufficio nera. Ai piedi sfoggiava ballerine di vernice dello stesso colore che ne accentuavano le caviglie snelle.
«Come mai così… elegante?», chiese Gabriele notando il look della madre.
«Ho un’udienza in tribunale con un cliente molto importante», rispose Sonia con un sorriso. «Sto bene?»
«Sì, mamma…»
«Che c’è? Che cos’è quella faccia?», chiese la donna mettendosi in posizione eretta. «Non sembri tanto convinto.»
«Ma no», mormorò lui imbarazzato, cercando di guardare altrove. «Stai bene.»
Con la coda dell’occhio vide sua madre riporre l’agenda nella sua ventiquattr’ore.
«Vuoi un passaggio a scuola?», gli chiese.
Gabriele fu grato del cambio di argomento.
«No, prendo l’autobus.»
«A me sembri leggermente in ritardo», constatò la donna. «Sicuro di arrivare in tempo?»
Gabriele si costrinse a guardare l’orologio sopra al frigo. Effettivamente Sonia aveva ragione: era in ritardo. Se anche si fosse recato alla fermata e avesse avuto la fortuna di prendere al volo un autobus avrebbe faticato a raggiungere il liceo per le otto.
«Va bene, accetto il passaggio», dichiarò.
La donna gli sorrise genuinamente dall’alto del suo metro e settantacinque. Quando la guardava, Gabriele si chiedeva spesso come da una donna così interessante e aggraziata potesse essere nato lui, un gracile ragazzino goffo e noiosamente normale. La genetica era un vero mistero.
«Ti aspetto in macchina», disse a un certo punto Sonia, mentre Gabriele stava per terminare la colazione. «Non metterci troppo, devo essere in tribunale alle 8 e 30.»
«Arrivo», rispose lui a bocca piena, meritandosi un’occhiata truce dalla madre.
Mentre riponeva la tazza nel lavandino, Gabriele ricevette un messaggio. Era Alex, il suo migliore amico:


ALEX:
Uè, ma dove sei? Non ti ho visto alla fermata.


GABRIELE:
Mi sono svegliato tardi. Vengo con mia madre.


Rimise in tasca il cellulare e, zaino in spalla, uscì di casa. L’auto tirata a specchio di sua madre lo stava già aspettando in strada.
Gettò lo zaino nei sedili posteriori, poi andò a sedersi davanti e l’auto partì. Al contrario di quanto si diceva sulle donne, Sonia se la cavava egregiamente come autista. Gabriele trovava rilassante il suo stile di guida, per nulla scattoso come quello di suo padre che, invece, era sempre di fretta e non faceva altro che suonare il clacson e inchiodare a ogni incrocio.
Stare in auto con sua madre era un po’ come nelle scene dei film: finestrini abbassati, musica di sottofondo e un andamento regolare. Gabriele avrebbe potuto chiudere gli occhi e dormire durante il tragitto, se solo sua madre non avesse aperto bocca:
«I colloqui con i professori sono la settimana prossima, vero?»
Al solo pensiero Gabriele sentì il cuore mancare un battito. Non aveva poi molto di cui preoccuparsi, in fondo andava bene in praticamente tutte le materie, ma i colloqui scolastici non gli erano mai piaciuti per principio. Odiava l’idea che i suoi professori parlassero di lui in sua assenza, senza possibilità di dare la sua opinione o almeno sapere se stessero dicendo a sua madre la verità oppure no.
E poi, anche il più brillante degli studenti ha sempre qualche piccolo segreto da nascondere e che vuole rimanga tra le mura della scuola. Ad esempio, Gabriele non voleva che i suoi genitori sapessero che aveva gravi problemi con i bulli. Suo padre, tutto d’un pezzo com’era, gli avrebbe dato del rammollito e avrebbe riso di lui, se l’avesse saputo. Un figlio di facoltosi avvocati che si faceva maltrattare da dei delinquenti senza nemmeno provare a reagire? Sembrava una barzelletta.
«Gabri, mi ha sentita?»
La voce soffice di sua madre lo risvegliò da quello scenario tetro che si era figurato nella testa.
«Sì, scusa, ero sovrappensiero.»
«Di che giorno sono i colloqui?», ripeté. «Devo prendermi la giornata libera?»
«Martedì alle nove e mezzo, disse lui, ricordando a memoria gli orari scritti sulla circolare che era stata distribuita la settimana prima.
«Nove e mezzo. D’accordo… », rispose Sonia riflettendo. «Mi basterà la mattina. Tu finisci alle dodici, giusto?»
«Dodici e un quarto»
«Che ne dici di aspettarmi? Visto che tuo padre non c’è, potremmo passare a prendere un pollo allo spiedo con le patatine fritte e pranzare insieme. Ti va?»
Gabriele annuì convinto. «Sì, okay. È una vita che non prendiamo il pollo.»
«Ottimo.»
Ormai erano quasi arrivati davanti alla scuola di Gabriele, quando quest’ultimo notò Alex che camminava da solo lungo il marciapiede.
«Fermati qui, c’è Alex», disse a sua madre. «Uè, Alex!», aggiunse urlando fuori dal finestrino, e il ragazzo si voltò nella loro direzione.
Sonia sollevò le sopracciglia scure e perfettamente arcuate. «Dovrei fermarmi in mezzo alla strada?»
«Dai, non c’è nessuno dietro!»
Sonia guardò nello specchietto retrovisore, e dopo essersi accertata di non avere altre macchine al seguito si fermò sul ciglio della strada.
«Ciao, tesoro. Buona scuola», salutò il figlio, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Gabriele arrossì per quello slancio improvviso d’affetto, sicuro che Alex li avesse notati.
«Ciao», rispose sbrigativo, scendendo dall’auto. Recuperò il suo zaino e senza aggiungere altro si allontanò in direzione dell’amico.
«Che dolci», commentò Alex dando una pacca amichevole a Gabriele.
L’altro scrollò le spalle, le guance ancora livide per l’imbarazzo. «Dai, muoviamoci.»
«Oh, quanto darei per averlo io, un bacio da tua madre…», cantilenò Alex, passando un braccio tappezzato di tatuaggi dietro le spalle di Gabriele. La sua pelle scura era in netto contrasto con il colorito pallido dell’amico, che aveva la tipica carnagione di chi, se esposto al sole, non può far altro che diventare un’aragosta.
Gabriele era sempre stato un po’ geloso della pelle scura e liscia di Alex, così come del fisico scolpito che lui non avrebbe mai avuto la voglia di costruirsi. Alex era un fanatico della palestra, si poteva dire che passasse più tempo ad allenarsi che a studiare, e questo rifletteva perfettamente i suoi pessimi voti scolastici. Però, fuori dai banchi, Alex era indubbiamente un ragazzo interessante. Era arrivato dall’Africa insieme alla sua famiglia quando era ancora solo un bambino, scappando dalla miseria come molti. Ma nonostante le umili origini, crescendo aveva lavorato molto su sé stesso ed ora aveva tutte le carte in regola per essere il sogno di qualunque ragazza della scuola: i tratti tipicamente africani contrastavano con gli occhi azzurri come il cielo in tempesta; le labbra carnose facevano da cornice a due file di denti bianchissimi e perfettamente allineati; le spalle larghe, il petto gonfio e le vene in rilievo su braccia e gambe dalla pelle nera come l’inchiostro gli attribuivano un’aura ultraterrena.
Aveva un carattere irruento e a tratti difficile, ma Gabriele aveva avuto modo di conoscere il suo lato buono ed altruista: quando aveva bisogno di lui, Alex era sempre stato lì, pronto a difenderlo e regolare i conti con chi se la prendeva con lui.
Nei bagni delle ragazze si sussurrava che nemmeno sotto i pantaloni Alex deludesse le aspettative, e che oltretutto fosse davvero bravo nelle arti amatorie. In fondo, doveva esserci un motivo se era riuscito a portarsi a letto la metà del corpo studentesco femminile, e forse anche qualche professoressa. E se Gabriele ci pensava, in un universo in cui sua madre non fosse stata sposata con suo padre forse Alex sarebbe riuscito a portarsi a letto pure lei.
A quell’idea aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, cercando di togliersi dalla mente l’immagine di sua madre che cedeva alle avance di Alex.
«Smettila, idiota», si sentì pronunciare.
Alex sollevò gli occhi al cielo, le mani aggrappate agli spallacci dello zaino che, dal modo in cui era accartocciato su sé stesso, doveva essere vuoto. «Dai, Gabri, si scherza!», esclamò.
Gabriele sentì qualcosa agitarsi nello stomaco, simile ad un moto di panico, e prima che potesse pensarci si sentì pronunciare: «Alex, cosa ne pensi davvero di mia madre?»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi. «Che razza di domanda è?»
«Una domanda semplicissima», rincarò Gabriele. «Come la trovi?»
«Be’, è indubbiamente una donna molto affascinante, e intrigante, e bellissima e…»
Gabriele lo fissò con un’intensità tale che sembrava volesse guardargli attraverso.
«...ma è di tua madre che stiamo parlando. E a dire la verità questa conversazione mi sta mettendo alquanto a disagio.»
Quelle parole lo confortarono. «Grazie. Scusa, ma dovevo chiedertelo.»
Mancavano solo una manciata di passi prima di attraversare i cancelli della scuola, e Gabriele si ricordò della conversazione con sua madre in auto.
«Tu come sei messo con i colloqui?», chiese ad Alex.
«Uno schifo, naturalmente», rispose lui con una scrollata di spalle. «Il che è un bel casino, perché mia madre ha giurato di annullarmi l’iscrizione alla palestra se ho più di due insufficienze.»
«Bella merda.»
«Già.»
«Senti, Gabri», incominciò Alex, mettendosi a camminare all’indietro per guardare l’amico negli occhi. «Ho ancora una possibilità. Ho chiesto al prof di letteratura di interrogarmi questo giovedì. Se prendessi almeno un sette riuscirei ad alzarmi la media. E così le insufficienze sarebbero soltanto due...»
«Fammi indovinare: vuoi che ti aiuti», rispose Gabriele sorridendo di sbieco.
«Dai amico, tu sei un cazzo di genio in letteratura! Giuro che se mi aiuti farò qualunque cosa mi chiederai.»
Gabriele ci pensò su. «Mi piacerebbe, lo sai, ma è un periodaccio… Devo prepararmi per la verifica di mate…»
«Per favore!», lo scongiurò l’altro. «Io ti copro sempre il culo, quando serve.»
«Okay, va bene, hai vinto tu», concluse Gabriele con un sospiro. «Oggi pomeriggio puoi venire a casa mia.»
«Grande!»


Continua......
 

Lightsun

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La sveglia suonò per l’ennesima volta, e Gabriele fu seriamente tentato di posticiparla ancora di cinque minuti. Ma quando afferrò il telefono e cercò di mettere a fuoco il display, gli occhi appiccicosi di sonno, quasi gli venne un colpo. Era in ritardo.
Si alzò sbuffando e andò alla finestra per sollevare la tapparella. La stanza si illuminò immediatamente della luce tiepida del mattino, costringendolo a serrare le palpebre.
Nonostante fossero appena le sette, Gabriele sapeva che si prospettava un’altra giornata davvero calda. Per sua fortuna, i suoi genitori avevano fatto installare l’aria condizionata non appena si erano trasferiti in quella casa e lui non aveva mai dovuto patire le notti afose di Napoli. A dire la verità, era ancora soltanto la prima settimana di maggio, ma le previsioni prevedevano un’estate torrida e insopportabile, e lui non faticava a crederci: erano già due settimane che, a scuola, da metà mattina in poi si sudava come maiali. Persino lui, che amava studiare, si ritrovava a non vedere l’ora che le lezioni terminassero soltanto per poter tornare a casa e godersi la temperatura fresca.
Cercando di togliersi quel pensiero dalla testa andò in bagno a rinfrescarsi il viso, poi tornò nella stanza e scelse dall’armadio degli indumenti a caso: un paio di pantaloni neri e una camicia azzurrina a maniche corte, molto casual.
In cucina trovò sua madre, Sonia, che sorseggiava un bicchiere di spremuta mentre sfogliava la sua agenda.
«Buongiorno, ma’», la salutò diretto al frigo, dove prese il cartone del latte.
«Buongiorno, tesoro», rispose la donna, alzando gli occhi in direzione del figlio.
Al contrario di Gabriele, Sonia era vestita in modo fine ed elegante, forse quel giorno ancora più degli altri. Indossava una longuette nera che le fasciava i fianchi generosi della sua taglia 46 e da cui facevano capolino due gambe lunghe e affusolate; sopra portava una camicia bianca che le fasciava il seno abbondante, corredata da una giacca da ufficio nera. Ai piedi sfoggiava ballerine di vernice dello stesso colore che ne accentuavano le caviglie snelle.
«Come mai così… elegante?», chiese Gabriele notando il look della madre.
«Ho un’udienza in tribunale con un cliente molto importante», rispose Sonia con un sorriso. «Sto bene?»
«Sì, mamma…»
«Che c’è? Che cos’è quella faccia?», chiese la donna mettendosi in posizione eretta. «Non sembri tanto convinto.»
«Ma no», mormorò lui imbarazzato, cercando di guardare altrove. «Stai bene.»
Con la coda dell’occhio vide sua madre riporre l’agenda nella sua ventiquattr’ore.
«Vuoi un passaggio a scuola?», gli chiese.
Gabriele fu grato del cambio di argomento.
«No, prendo l’autobus.»
«A me sembri leggermente in ritardo», constatò la donna. «Sicuro di arrivare in tempo?»
Gabriele si costrinse a guardare l’orologio sopra al frigo. Effettivamente Sonia aveva ragione: era in ritardo. Se anche si fosse recato alla fermata e avesse avuto la fortuna di prendere al volo un autobus avrebbe faticato a raggiungere il liceo per le otto.
«Va bene, accetto il passaggio», dichiarò.
La donna gli sorrise genuinamente dall’alto del suo metro e settantacinque. Quando la guardava, Gabriele si chiedeva spesso come da una donna così interessante e aggraziata potesse essere nato lui, un gracile ragazzino goffo e noiosamente normale. La genetica era un vero mistero.
«Ti aspetto in macchina», disse a un certo punto Sonia, mentre Gabriele stava per terminare la colazione. «Non metterci troppo, devo essere in tribunale alle 8 e 30.»
«Arrivo», rispose lui a bocca piena, meritandosi un’occhiata truce dalla madre.
Mentre riponeva la tazza nel lavandino, Gabriele ricevette un messaggio. Era Alex, il suo migliore amico:


ALEX:
Uè, ma dove sei? Non ti ho visto alla fermata.


GABRIELE:
Mi sono svegliato tardi. Vengo con mia madre.


Rimise in tasca il cellulare e, zaino in spalla, uscì di casa. L’auto tirata a specchio di sua madre lo stava già aspettando in strada.
Gettò lo zaino nei sedili posteriori, poi andò a sedersi davanti e l’auto partì. Al contrario di quanto si diceva sulle donne, Sonia se la cavava egregiamente come autista. Gabriele trovava rilassante il suo stile di guida, per nulla scattoso come quello di suo padre che, invece, era sempre di fretta e non faceva altro che suonare il clacson e inchiodare a ogni incrocio.
Stare in auto con sua madre era un po’ come nelle scene dei film: finestrini abbassati, musica di sottofondo e un andamento regolare. Gabriele avrebbe potuto chiudere gli occhi e dormire durante il tragitto, se solo sua madre non avesse aperto bocca:
«I colloqui con i professori sono la settimana prossima, vero?»
Al solo pensiero Gabriele sentì il cuore mancare un battito. Non aveva poi molto di cui preoccuparsi, in fondo andava bene in praticamente tutte le materie, ma i colloqui scolastici non gli erano mai piaciuti per principio. Odiava l’idea che i suoi professori parlassero di lui in sua assenza, senza possibilità di dare la sua opinione o almeno sapere se stessero dicendo a sua madre la verità oppure no.
E poi, anche il più brillante degli studenti ha sempre qualche piccolo segreto da nascondere e che vuole rimanga tra le mura della scuola. Ad esempio, Gabriele non voleva che i suoi genitori sapessero che aveva gravi problemi con i bulli. Suo padre, tutto d’un pezzo com’era, gli avrebbe dato del rammollito e avrebbe riso di lui, se l’avesse saputo. Un figlio di facoltosi avvocati che si faceva maltrattare da dei delinquenti senza nemmeno provare a reagire? Sembrava una barzelletta.
«Gabri, mi ha sentita?»
La voce soffice di sua madre lo risvegliò da quello scenario tetro che si era figurato nella testa.
«Sì, scusa, ero sovrappensiero.»
«Di che giorno sono i colloqui?», ripeté. «Devo prendermi la giornata libera?»
«Martedì alle nove e mezzo, disse lui, ricordando a memoria gli orari scritti sulla circolare che era stata distribuita la settimana prima.
«Nove e mezzo. D’accordo… », rispose Sonia riflettendo. «Mi basterà la mattina. Tu finisci alle dodici, giusto?»
«Dodici e un quarto»
«Che ne dici di aspettarmi? Visto che tuo padre non c’è, potremmo passare a prendere un pollo allo spiedo con le patatine fritte e pranzare insieme. Ti va?»
Gabriele annuì convinto. «Sì, okay. È una vita che non prendiamo il pollo.»
«Ottimo.»
Ormai erano quasi arrivati davanti alla scuola di Gabriele, quando quest’ultimo notò Alex che camminava da solo lungo il marciapiede.
«Fermati qui, c’è Alex», disse a sua madre. «Uè, Alex!», aggiunse urlando fuori dal finestrino, e il ragazzo si voltò nella loro direzione.
Sonia sollevò le sopracciglia scure e perfettamente arcuate. «Dovrei fermarmi in mezzo alla strada?»
«Dai, non c’è nessuno dietro!»
Sonia guardò nello specchietto retrovisore, e dopo essersi accertata di non avere altre macchine al seguito si fermò sul ciglio della strada.
«Ciao, tesoro. Buona scuola», salutò il figlio, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Gabriele arrossì per quello slancio improvviso d’affetto, sicuro che Alex li avesse notati.
«Ciao», rispose sbrigativo, scendendo dall’auto. Recuperò il suo zaino e senza aggiungere altro si allontanò in direzione dell’amico.
«Che dolci», commentò Alex dando una pacca amichevole a Gabriele.
L’altro scrollò le spalle, le guance ancora livide per l’imbarazzo. «Dai, muoviamoci.»
«Oh, quanto darei per averlo io, un bacio da tua madre…», cantilenò Alex, passando un braccio tappezzato di tatuaggi dietro le spalle di Gabriele. La sua pelle scura era in netto contrasto con il colorito pallido dell’amico, che aveva la tipica carnagione di chi, se esposto al sole, non può far altro che diventare un’aragosta.
Gabriele era sempre stato un po’ geloso della pelle scura e liscia di Alex, così come del fisico scolpito che lui non avrebbe mai avuto la voglia di costruirsi. Alex era un fanatico della palestra, si poteva dire che passasse più tempo ad allenarsi che a studiare, e questo rifletteva perfettamente i suoi pessimi voti scolastici. Però, fuori dai banchi, Alex era indubbiamente un ragazzo interessante. Era arrivato dall’Africa insieme alla sua famiglia quando era ancora solo un bambino, scappando dalla miseria come molti. Ma nonostante le umili origini, crescendo aveva lavorato molto su sé stesso ed ora aveva tutte le carte in regola per essere il sogno di qualunque ragazza della scuola: i tratti tipicamente africani contrastavano con gli occhi azzurri come il cielo in tempesta; le labbra carnose facevano da cornice a due file di denti bianchissimi e perfettamente allineati; le spalle larghe, il petto gonfio e le vene in rilievo su braccia e gambe dalla pelle nera come l’inchiostro gli attribuivano un’aura ultraterrena.
Aveva un carattere irruento e a tratti difficile, ma Gabriele aveva avuto modo di conoscere il suo lato buono ed altruista: quando aveva bisogno di lui, Alex era sempre stato lì, pronto a difenderlo e regolare i conti con chi se la prendeva con lui.
Nei bagni delle ragazze si sussurrava che nemmeno sotto i pantaloni Alex deludesse le aspettative, e che oltretutto fosse davvero bravo nelle arti amatorie. In fondo, doveva esserci un motivo se era riuscito a portarsi a letto la metà del corpo studentesco femminile, e forse anche qualche professoressa. E se Gabriele ci pensava, in un universo in cui sua madre non fosse stata sposata con suo padre forse Alex sarebbe riuscito a portarsi a letto pure lei.
A quell’idea aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, cercando di togliersi dalla mente l’immagine di sua madre che cedeva alle avance di Alex.
«Smettila, idiota», si sentì pronunciare.
Alex sollevò gli occhi al cielo, le mani aggrappate agli spallacci dello zaino che, dal modo in cui era accartocciato su sé stesso, doveva essere vuoto. «Dai, Gabri, si scherza!», esclamò.
Gabriele sentì qualcosa agitarsi nello stomaco, simile ad un moto di panico, e prima che potesse pensarci si sentì pronunciare: «Alex, cosa ne pensi davvero di mia madre?»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi. «Che razza di domanda è?»
«Una domanda semplicissima», rincarò Gabriele. «Come la trovi?»
«Be’, è indubbiamente una donna molto affascinante, e intrigante, e bellissima e…»
Gabriele lo fissò con un’intensità tale che sembrava volesse guardargli attraverso.
«...ma è di tua madre che stiamo parlando. E a dire la verità questa conversazione mi sta mettendo alquanto a disagio.»
Quelle parole lo confortarono. «Grazie. Scusa, ma dovevo chiedertelo.»
Mancavano solo una manciata di passi prima di attraversare i cancelli della scuola, e Gabriele si ricordò della conversazione con sua madre in auto.
«Tu come sei messo con i colloqui?», chiese ad Alex.
«Uno schifo, naturalmente», rispose lui con una scrollata di spalle. «Il che è un bel casino, perché mia madre ha giurato di annullarmi l’iscrizione alla palestra se ho più di due insufficienze.»
«Bella merda.»
«Già.»
«Senti, Gabri», incominciò Alex, mettendosi a camminare all’indietro per guardare l’amico negli occhi. «Ho ancora una possibilità. Ho chiesto al prof di letteratura di interrogarmi questo giovedì. Se prendessi almeno un sette riuscirei ad alzarmi la media. E così le insufficienze sarebbero soltanto due...»
«Fammi indovinare: vuoi che ti aiuti», rispose Gabriele sorridendo di sbieco.
«Dai amico, tu sei un cazzo di genio in letteratura! Giuro che se mi aiuti farò qualunque cosa mi chiederai.»
Gabriele ci pensò su. «Mi piacerebbe, lo sai, ma è un periodaccio… Devo prepararmi per la verifica di mate…»
«Per favore!», lo scongiurò l’altro. «Io ti copro sempre il culo, quando serve.»
«Okay, va bene, hai vinto tu», concluse Gabriele con un sospiro. «Oggi pomeriggio puoi venire a casa mia.»
«Grande!»


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Interessante inizia bene
 

dario912

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Gando 94 complimenti. Ottima prosa complimenti. Gabriele è il classico ragazzo che offrirebbe la madre all'amico dotato per soddisfare le sue fantasie di incesto. Personalmente preferisco la situazione dove il figlio è costretto ad assistere o scopre come la madre è ricattata e usata dai bulli o in altre situazioni simili; il sentimento di rabbia, di eccitazione e di vergogna del ragazzo: rabbia perchè vede la madre sottoposta a ricatti e violenze; eccitazione, perchè quello che vede è parte delle sue fantasie erotiche; vergogna per essersi eccitato nel vedere la propria madre scopatata e sessualmente umiliata o peggio....
 

Lightsun

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Gando 94 complimenti. Ottima prosa complimenti. Gabriele è il classico ragazzo che offrirebbe la madre all'amico dotato per soddisfare le sue fantasie di incesto. Personalmente preferisco la situazione dove il figlio è costretto ad assistere o scopre come la madre è ricattata e usata dai bulli o in altre situazioni simili; il sentimento di rabbia, di eccitazione e di vergogna del ragazzo: rabbia perchè vede la madre sottoposta a ricatti e violenze; eccitazione, perchè quello che vede è parte delle sue fantasie erotiche; vergogna per essersi eccitato nel vedere la propria madre scopatata e sessualmente umiliata o peggio....
Gando94 sarebbe bello raccontasse qualcosa di simile
 
OP
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Parte 2

Al termine delle lezioni, come d’accordo, Alex e Gabriele presero l’autobus insieme, diretti a casa di quest’ultimo. Durante il tragitto, schiacciati come sardine nel veicolo affollato di studenti, i due amici non parlarono molto. Alex aveva cercato di intavolare una conversazione sulle vacanze estive, ma Gabriele aveva faticato a sentire quello che stava dicendo, in mezzo a tutta quella confusione. Inoltre, nonostante l’aria condizionata fosse accesa, lì dentro c’era un caldo infernale ed era una faticaccia anche solo respirare.
Una volta sceso, Gabriele inspirò l’aria a pieni polmoni, ringraziando che quella tortura fosse giunta al termine.
Alex, più scattante, lo stava già aspettando sul marciapiede.
«C’è qualcuno a casa tua?», chiese incamminandosi verso il vialetto d’entrata.
«A quest’ora?», rispose Gabriele guardando l’orologio da polso. Erano appena le sedici e trenta. «No. La donna delle pulizie se ne sarà già andata, penso.»
«Meglio così!», esultò Alex, sorridendo sardonico. «Mettiamo un po’ di musica che pompa e ci facciamo due paninazzi, eh? Sto morendo di fame!»
Gabriele estrasse un mazzo di chiavi dallo zaino e cercò quella giusta. «Direi proprio di no. Siamo qui per studiare. E prima finiamo e meglio è, visto che devo anche ripassare matematica…»
Alex roteò gli occhi. «Che noia che sei.»
«La palestra, ricordi?», lo punzecchiò Gabriele mentre faceva scattare la serratura della porta d’entrata. «Se non passi l’interrogazione le puoi dire addio.»
Alex sbuffò sonoramente, mentre si faceva strada in casa dell’amico. C’era stato così tante volte che ormai la conosceva quanto le sue tasche.
«Ho recepito il messaggio», mugugnò. Si levò le sneakers e le abbandonò nel corridoio, aspettando che Gabriele gli prestasse il solito paio di ciabatte blu che ormai gli spettavano di diritto. «Possiamo almeno mangiare qualcosa, prima? Non riesco a studiare con i crampi allo stomaco.»
«Come sei tragico», replicò Gabriele. «Va bene. Tu comincia a prendere i libri, io preparo qualcosa.»
Gabriele andò in cucina, preparò due toast al prosciutto e trovò della coca cola in frigo. Fecero merenda sulla penisola, parlando di ragazze, poi Gabriele si affrettò a sistemare le stoviglie sporche nel lavandino e salì in camera sua per prendere i suoi appunti.
Il resto del pomeriggio trascorse in fretta, tra una pagina e una risata, e nessuno dei due si accorse che era già sera fino a quando non udirono la serratura della porta d’entrata scattare.
«Cazzo, è mia mamma!», esclamò Gabriele chiudendo il libro di letteratura con un tonfo sordo.
I passi della donna riecheggiarono nel corridoio, poi la sua figura prosperosa varcò la soglia della cucina. Sembrava stanca, ma il suo sorriso era radioso.
«Ciao, Gabri», salutò, togliendosi i capelli dal viso accaldato. «Ciao, Alex. Mio figlio non mi aveva avvisato che ci saresti stato anche tu.»
«In realtà lui se ne stava andando», intervenne Gabriele. «Stavamo ripassando e abbiamo perso la cognizione del tempo. Scusa se non ti ho avvisata.»
Alex rimise diligentemente i libri nel suo zaino e, con aria composta, sorrise alla madre di Gabriele. «Mi spiace, signora, non volevo recarle disturbo…»
Gabriele si stupiva ogni volta del dualismo di Alex. Il più delle volte era rozzo ed arrogante, eppure riusciva egregiamente a trasformarsi in un bravo ragazzo, persuadendo chiunque. Sonia stessa aveva una buona impressione di Alex, contro ogni aspettativa di Gabriele. Se solo lo avesse visto senza maschera, mentre prendeva a pugni come un animale i bulletti che davano fastidio a Gabriele e li lasciava a terra, sanguinanti, con lo sguardo vitreo e privo di ogni emozione…
«Ma no, Alex, non dai alcun disturbo!», rispose sorridente Sonia. «Ti va di fermarti a cena?»
Gabriele sperò che Alex declinasse l’offerta, visto quanto gli rimaneva ancora da studiare per conto suo, ma l’amico sembrò entusiasta.
«Con piacere, signora!»
«Oh, ti prego. Lo sai che puoi chiamarmi Sonia», ribatté la donna. «Gabri, che dici? Ordiniamo delle pizze?»
«Oh, sì…», mormorò distante Gabriele. «Sì… va bene.»
Gabriele vide uno sguardo complice tra Sonia e Alex. Prima che si potesse chiedere che cosa riguardasse, Sonia disse: «Ma che gli prende, oggi? È tutto il giorno che risponde a monosillabi!»
Alex sorrise suadente. I suoi denti bianchissimi rilucevano in contrasto con la sua carnagione africana. «Niente di che, Sonia… È solo un po’ agitato per i colloqui scolastici. Sa com’è, i secchioni sono sempre quelli che si preoccupano di più.»
Gabriele provò un certo fastidio. Non gli piaceva quella confidenza, non gli andava proprio giù che sua madre e il suo migliore amico parlassero di lui come se non fosse lì presente. Eppure accadeva spesso. Gabriele a volte si ritrovava ad essere geloso della loro complicità, gli sembrava quasi che Alex fosse più figlio di Sonia di quanto non lo fosse lui.
«Voi finite pure qui, io vado a cambiarmi», disse la donna. «Ah, Gabri… ti scoccia uscire a gettare la spazzatura? Ho visto che la donna delle pulizie se l’è dimenticata nel portico.»
«Va bene, mamma.»
La donna sparì con un sorriso, e il silenzio cadde nella cucina. I due amici rimasero a fissare il tavolo su cui avevano banchettato durante lo studio.
«Io pulisco qui», propose Alex. «mentre tu vai a buttare le immondizie.»
«Okay.»
Gabriele indossò le scarpe ed uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Alex, rimasto solo, pulì velocemente e ne approfittò per andare al bagno.
Salì le scale che portavano al piano superiore, poi attraversò il corridoio. Il bagno era in fondo, e ciò significava che avrebbe dovuto passare davanti alla camera di Gabriele e a quella dei suoi genitori.
Mentre camminava udì dei rumori provenire dalla stanza matrimoniale. Fu incuriosito dalla porta semichiusa e si avvicinò.
Attraverso la fine fenditura tra la porta e lo stipite intravide Sonia, vestita soltanto da intimo di pizzo nero, e immediatamente il battito del suo cuore accelerò. Sentì l’improvvisa eccitazione premere contro i pantaloni mentre osservava il tessuto liscio della gonna scendere lungo i fianchi prosperosi di lei.
Oh, al diavolo che fosse la madre di Gabriele: quella donna era l’incarnazione della sensualità e Alex non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
La guardò vestirsi con abiti più adeguati per stare in casa, immaginando di strapparle via il tessuto dalla pelle abbronzata e toccare quella quarta di seno, piena ed abbondante…
Poi i loro occhi si incontrarono, e in una frazione di secondo Alex capì di essere nei guai. Sonia lo aveva visto, lo aveva sorpreso ad ammirare il suo corpo seminudo. Ed ora?
Lì per lì, nel panico del momento, pensò di esclamare un “mi dispiace!” e fuggire a gambe levate nel bagno. Ma mentre lei si avvicinava alla porta, lo sguardo indagatore, Alex decise che no, non lo avrebbe fatto. Non era da lui tirarsi indietro, nemmeno quando rischiava di fare un casino enorme. E poi, Sonia non era una donna né stupida né tanto meno sprovveduta: qualunque scusa fosse uscita dalla bocca di Alex non sarebbe servita a nulla. Tanto valeva andare fino in fondo, ormai.
«Alex…», le uscì dalle labbra carnose mentre si avvicinava alla porta. «Cosa stavi facendo?»
Alex sentì il cuore martellare dietro le costole. «Stavo andando al bagno», rispose prontamente, scrollando le spalle larghe.
«Questo però non è il bagno…», mormorò lei, sorridendogli.
Alex sentì un'ondata di sentimenti contrastanti pervadergli il corpo. A che gioco stava giocando Sonia? Perché sembrava provare piacere nell’aver scoperto che Alex lo stava spiando, anziché mandarlo al diavolo e chiudere la porta con violenza?
«Già, direi di no», confermò Alex, il fiato corto per la vicinanza con la donna. La sua voce si era arrochita per l’eccitazione, e Sonia doveva essersene accorta.
Lei gettò un’occhiata audace alla patta dei pantaloni di Alex e al rigonfiamento al di sotto del leggero strato di cotone. Fu solo un guizzo, ma Alex se ne accorse e ciò, se possibile, lo eccitò maggiormente.
Dall’altro lato della strada, invece, Gabriele trascinava due pesanti sacchi della spazzatura. Era già il secondo viaggio che faceva fino ai bidoni. Prima la carta e la plastica, ora il residuo. Certo che facevano un quantitativo enorme di rifiuti, in quella casa…
Con il piede schiacciò la leva per aprire il bidone e con uno sforzo non da poco — considerato il suo fisico gracile — spinse all’interno il primo sacco nero. Al suo posto, Alex sarebbe riuscito a lanciarlo dentro con un solo braccio, ne era più che certo. Si maledì mentalmente per non avergli chiesto di dargli una mano.
Si voltò per prendere l’altro sacco, quando sul marciapiede opposto notò due figure che lo fecero impietrire sul posto. I suoi polmoni si svuotarono per il panico improvviso.
«Hey, sfigato!», urlò uno dei due. «Che fai, tieni un convegno con i bidoni delle immondizie?»
«Be’, è giusto, se ne sta con i suoi simili», aggiunse l’altro, scatenando una risata generale.
Gabriele, invece, sentì le guance andare in fiamme per l’imbarazzo.
«Hey, testa di cazzo! Parlo con te!», seguitò il più grosso dei due. «Ti hanno tagliato la lingua, per caso?»
«Ma non vedi che se la sta facendo addosso?», gli suggerì il secondo, sgomitandogli nel fianco con aria complice.
«Che povero sacco di merda.»
Gabriele, impietrito, li guardò attraversare la strada per raggiungerlo. In un picco di adrenalina, riuscì a portare la mano tremante alla tasca dei pantaloni ed estrarre il cellulare.

GABRIELE
Alex, ci sono gli stronzi. Aiutami.

Rimase a fissare il display con il cuore in gola, aspettando in una risposta che tardava ad arrivare. Scrisse un secondo messaggio, proprio mentre il più grosso dei due riprendeva ad insultarlo.

GABRIELE
Se non esci sono spacciato.

«Figlio di puttana!» Le loro voci si facevano sempre più minacciose e vicine. «Devi rispondermi quando ti parlo!»
Gabriele conosceva i loro nomi: Francesco e Salvatore, ma la sola idea di pronunciarli lo faceva piegare in due per la nausea. Erano due esseri crudeli e vigliacchi, che se la prendevano con lui solamente perché era una preda facile. Non erano persone, erano peggio di esseri allo stato brado che facevano del male solo per l’inquietante gusto di farlo.
«Cosa c’è? Oggi il tuo amico negro non c’è a salvarti il culo?», disse Salvatore, che era il più grosso dei due. Aveva le braccia più gonfie delle gambe di Gabriele, e ciò la diceva lunga sulla loro differenza di corporatura.
Gabriele tornò a guardare il cellulare, sperando con tutto sé stesso che Alex rispondesse.
Ma Alex in quel momento aveva decisamente di meglio da fare che controllare la tasca vibrante dei suoi pantaloni. Lo sguardo di Sonia era appena schizzato via dal suo pacco e lui ora la stava guardando mordersi il labbro inferiore con un gesto lento e del tutto involontario.
Alex immaginò quelle labbra avvolgere dolcemente il suo uccello e quella fantasia scatenò in lui il bisogno impellente di baciarla.
Mise una mano sulla porta e la spinse verso Sonia, avvicinando i suoi pettorali gonfi al seno florido di lei. Da quella vicinanza riuscì a inspirare il suo profumo, così caldo, avvolgente, che sapeva di proibito.
La mano di Alex cercò quella di Sonia. Le loro dita si sfiorarono, e quel contatto provocò una scarica elettrica tra loro. La tensione era palpabile, qualcosa di inespresso eppure così chiaro per entrambi, nella fugacità di quel gesto.
Alex accompagnò le dita morbide di lei verso il suo corpo statuario, lentamente, per poi premerle contro il suo uccello eretto, che non aspettava altro di essere liberato da quegli insopportabili strati di tessuto.
«Alex», incominciò la donna. Nel suo tono si percepì una certa urgenza. «Alex, cosa…»
Il suo nome, pronunciato dalle labbra di Sonia, aveva un altro sapore; lo mandava fuori di testa. I loro occhi erano incatenati gli uni negli altri, cielo dentro mare, e Alex non si trattenne più.
«Ti voglio», le sussurrò sul viso, guardando le pupille di lei dilatarsi e le guance colorarsi violentemente. «Qui. Adesso.»
Si protese in avanti per baciare quelle labbra morbide e avvolte dal delicato rossetto color carne. Era pronto a tutto, anche a ricevere uno schiaffo in pieno volto, pur di assaggiare quel frutto proibito.
Ma una frazione di secondo prima che potesse avventarsi su di lei, la porta d’entrata sbatté violentemente, provocando un frastuono che fece sussultare entrambi.
«Alex!», gridò Gabriele dall’ingresso. Il suo tono di voce trasudava paura e il suo fiato pesante suggerì che avesse appena affrontato una corsa.
Alex, colto alla sprovvista, si sistemò il pacco e corse verso le scale, incontrando l’amico a metà rampa.
«Eccomi! Che cazzo hai da gridare?», replicò.
«Ti ho scritto dei messaggi!», latrò Gabriele. «Dove diavolo eri? Sono dovuto scappare prima che mi prendessero a legnate! Mi piglieranno per il culo fino alla fine dell’anno, ora che sono fuggito come uno sfigato!» Gabriele sembrava un fiume in piena, le parole uscivano una dopo l’altra senza pause.
«Uè, amico, calmati», rispose Alex. «Ero soltanto al cesso. Avrò lasciato il cellulare nello zaino, in cucina…»
«Ma hai sentito quello che ti ho detto? Stavano per massacrarmi!»
«Mi spiace.» Alex evitò di guardarlo negli occhi e scese le scale fino alla cucina. «Ma non potrò sempre essere incollato a te a salvarti il culo. Devi imparare ad arrangiarti.»
«Cosa? Ma…»
«Ora devo andare», disse freddo, mettendosi lo zaino in spalla. «Grazie per il ripasso. Ci vediamo domani a scuola.»
E detto ciò se ne andò, lasciando Gabriele senza parole.



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Parte 3

Gabriele stava fissando il corridoio. Ancora scosso per aver rischiato di essere pestato a sangue, ma di più per la reazione inaspettata di Alex, era lì impalato e guardava con occhi persi la porta d’entrata che, da poco, si era richiusa alle spalle del suo migliore amico.
I passi sulle scale lo risvegliarono dal torpore, costringendolo a voltarsi. Sua madre stava scendendo i gradini vestita con il suo solito completo grigio da casa, le guance accaldate come se la temperatura lì dentro fosse troppo alta.
«Tesoro, stai bene?», gli chiese lei, fermandosi in fondo alla rampa di scale. «Ti ho sentito gridare.»
«È tutto a posto», rispose secco Gabriele, in un tono che non gli era affine. «Tu sai che è successo ad Alex?»
In quel momento la donna sentì il sangue fluire maggiormente sulle guance. Si voltò, diretta in cucina, mormorando qualcosa che doveva essere un “non lo so”.
«Mamma, hai sentito?», ripeté Gabriele, seguendola. «Aveva appena detto che sarebbe rimasto per cena. Come mai se n’è andato così?»
«E io perché dovrei saperlo?», replicò Sonia, aprendo il frigorifero alla ricerca di una bottiglietta d’acqua fresca. La donna si rese conto, però, che quel suo comportamento stava suonando sospetto persino alle sue orecchie, così aggiunse: «Mi è sembrato di sentirlo parlare al telefono. Forse sua madre lo ha chiamato e gli ha chiesto di tornare a casa…»
«Sì, forse.»
Gabriele, però, non fu convinto dalla supposizione della madre. Conosceva Alex come le sue tasche e sapeva che non era da lui comportarsi in quel modo così sfuggente e nervoso; non con Gabriele, perlomeno.
Decise di scrivergli un messaggio.

GABRIELE:
Alex tutto ok?
Scusa se me la sono presa con te, poco fa.
Non è compito tuo starmi appresso al culo e difendermi, ti do pienamente ragione. È solo che mi stavo cagando addosso.
Alex?
Rispondi per favore.

ALEX:
Va bene ok. Perdonato.

GABRIELE:
Perché non sei voluto restare a cena? Mia mamma ci teneva.

ALEX:
Mi sono ricordato che avevo una cosa da fare.


GABRIELE:
Cosa?

ALEX:
Amico stai diventando stressante. Ho già una madre, non me ne serve un’altra.

GABRIELE:
Hai ragione, scusa. È solo che mi sei sembrato strano.

ALEX:
Ci vediamo domani.


Gabriele rimise in tasca il cellulare, per nulla soddisfatto di quella conversazione. Alex poteva pur credere di averlo convinto, ma Gabriele non si beveva certe palle con così tanta facilità. Aveva visto come si comportava Alex con gli altri, il suo atteggiamento, le sue menzogne, il suo lato subdolo. E aveva motivo di credere che, per qualche ragione, Alex ora stesse rivolgendo lo stesso trattamento anche a lui.
Quella sera Gabriele cenò in silenzio. Suo padre Giovanni, che era rientrato giusto in tempo per cenare con loro, si era dilungato in chiacchiere da avvocati, e tra lui e Sonia era nato un dibattito che Gabriele non aveva nemmeno avuto la voglia di sforzarsi a decifrare.
Così, come faceva sempre nelle situazioni scomode, si era chiuso nei recessi della sua mente, perdendosi in congetture che poteva affrontare solo con sé stesso. Ancora non gli andava giù il modo in cui Alex se n’era andato di tutta fretta, senza nemmeno salutare sua madre, quando poco prima era sembrato così entusiasta di cenare insieme a loro. Non digeriva nemmeno il fatto che sua madre, davanti ad Alex, avesse proposto di ordinare delle pizze, mentre alla fine si erano ridotti a mangiare dell’insalata e del branzino riscaldato della sera prima.
Giovanni si prese la briga di chiedere a Gabriele come stesse andando la scuola — classica domanda da padre che non ha la minima idea di che cosa stia capitando nella vita di suo figlio.
«Bene», rispose Gabriele.
«Ne ero certo.»
Gabriele stette per riporre il piatto nel lavello, quando Giovanni si alzò da tavola e sorridendo disse: «Aspetta qui, ho una cosa per te.»
Il ragazzo rimase lì, di fronte al lavandino, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che suo padre gli aveva rivolto un sorriso complice come quello.
Giovanni mancò per un paio di minuti, tanto che ormai il silenzio in quella cucina stava diventando imbarazzante, ma proprio mentre Sonia decise di aprire bocca, lui tornò. Aveva un grosso pacco tra le mani, incartato con dovizia.
Gabriele fu ancora più confuso mentre Giovanni glielo tendeva. «È per me?»
«Certo», rispose Giovanni, perfettamente a suo agio.
«Un regalo? E perchè?»
«È presto per i regali di compleanno, ma so che ti serviva. E poi tua madre mi ha detto che quest’anno sei il primo della classe. Voglio che tu sappia che apprezziamo i tuoi sforzi, e che il duro lavoro viene sempre ripagato…»
Gabriele afferrò il pacco, sorpreso da quello slancio d’affetto a cui non era abituato. Non appena le sue mani si strinsero intorno alla scatola, un’intuizione gli balenò nel cervello. La forma, le dimensioni, il peso, il rumore quando veniva scossa…
No, non era possibile.
Si voltò verso il bancone della cucina per scartare il pacco con foga, sperando che il suo intuito non lo stesse ingannando.
Poi la classica scatola bianca comparve da sotto la carta da regalo. A Gabriele mancò il fiato.
«Un MacBook!», esclamò.
«Ti piace?», chiese Giovanni con aria fiera.
Ancora seduta al tavolo, Sonia assisteva alla scena sorridendo, ma il suo sguardo sembrava lontano.
«Ovvio!», replicò Gabriele. «Papà, sei un grande! Grazie!»
Giovanni fece una risatina compiaciuta. «Su, vai pure in camera tua a provarlo. Io e tua madre dobbiamo parlare di lavoro.»
«Con piacere», esultò Gabriele. Afferrò la scatola, stringendola con forza quasi avesse paura di perderla, e si affrettò a salire le scale. Si chiuse in camera sua e subito scartò il computer. Non era soltanto un MacBook, ma l’ultimo modello uscito, ultra sottile, color grigio opaco, con il classico logo della mela morsicata sul dorso. Era un gioiello, un’opera d’arte tecnologica. Gabriele non avrebbe potuto essere più felice di così.
Trascorse tutta la notte a testarlo, scaricare programmi, passare i file e le foto dal suo vecchio trabiccolo che ormai impiegava un’eternità ad accendersi.
Si addormentò nel letto, il computer portatile accanto e ancora acceso, quando ormai il sole fu lì lì per sorgere.

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Parte 4

La settimana finì in un lampo e il giorno dei colloqui arrivò come un fulmine a ciel sereno. Quella mattina Gabriele non riusciva a calmarsi, in classe, all’idea che sua madre sarebbe entrata a scuola a momenti e avrebbe iniziato a parlare con i suoi professori.
Lanciò un’occhiata ad Alex, che da poco era stato spedito in un banco in prima fila, proprio davanti alla cattedra, per essere stato beccato due volte di seguito con il cellulare.
A Gabriele non piaceva stare al centro della classe senza un compagno di banco, gli sembrava di avere qualcosa fuori posto, di sentirsi esposto agli sguardi degli altri, e poi si sentiva solo.
Non che Alex fosse stato di tante parole, negli ultimi giorni. Era sempre stato schivo dopo quel pomeriggio a casa sua. Forse aveva problemi di cui non voleva parlare, forse era preoccupato per i colloqui o magari era qualcosa di più grave, ma Gabriele non era mai stato un impiccione e di certo non avrebbe insistito per scoprire cosa non andava, anche se gli avrebbe fatto piacere poter ricambiare il favore e fargli da spalla, di tanto in tanto.
Se ci pensava, era dalla prima superiore che non saltavano un weekend insieme, a meno che uno dei due non avesse avuto la febbre o fosse partito per una vacanza con i propri genitori. Invece, quello scorso fine settimana, c’era stato silenzio stampa. Alex non gli aveva mandato un solo messaggio e Gabriele aveva capito l’antifona, evitando di tartassarlo di chiamate.
Per fortuna che, al suo rientro, Gabriele aveva il suo MacBook nuovo di zecca ad attenderlo e ad occupare il suo tempo. Gabriele gli aveva riservato un posto d’onore al centro della sua scrivania, gettando tutto ciò che la occupava nei cassetti o addirittura sotto il letto. Un gioiellino come quello meritava un posto tutto suo, senza cartacce di merendine e residui di gomma da cancellare a fargli da cornice.
Anche quella mattina, mentre la lezione di supplenza proseguiva in sottofondo, Gabriele rimuginava sul momento in cui avrebbe potuto tornare in camera sua e mettersi davanti allo schermo del suo adorato computer. Sempre che i colloqui con i professori al piano di sotto fossero andati bene, ovviamente. Altrimenti tanti saluti al suo computer e al pranzo con il pollo e le patatine fritte promesso da sua madre.
Mentre le ore scorrevano lente, Gabriele fissava l’orologio appeso al muro sopra la porta della classe, sperando che finalmente le lancette segnassero le dodici e un quarto. Era sempre tedioso fare supplenza con professori delle altre sezioni, che più che fare lezione si apprestavano a raccontare aneddoti di vita, o a proporre una sessione di studio individuale che tutti gli studenti accantonavano per giocare a carte o scambiarsi bigliettini.
Quando la campanella trillò nel corridoio, Gabriele si permise un sospiro di sollievo. Era stata una giornata infinita e davvero poco proficua.
Fu uno degli ultimi ad uscire dalla classe. Per un momento sperò che Alex lo aspettasse, ma poi lo vide mettersi lo zaino in spalla e dirigersi verso la porta.
«Hey, Alex», lo chiamò.
Il ragazzo si volse a guardarlo. Quel giorno faceva particolarmente caldo e lui indossava una canottiera a costine che metteva in risalto le sue spalle larghe e muscolose e le braccia tappezzate di tatuaggi più neri della sua pelle d’ebano. I pantaloncini della tuta terminavano appena sopra il ginocchio e ai piedi portava un paio di sandali di pelle nera. Il viso e il collo erano imperlati di sudore, e i suoi occhi chiari ed affilati come il vetro lo trafissero.
Gabriele si sentì a disagio, con quegli occhi indagatori addosso. «Vuoi che ti accompagni a casa? Sono in macchina con mia madre.»
«Non lo so, vediamo dopo», rispose l’altro con una scrollata di spalle. «Devo fare una cosa, prima.»
«Okay, va bene, vengo con te.»
«No», replicò Alex secco. «È una cosa che devo sbrigare da solo. Ci vediamo dopo.»
Gabriele rimase a guardarlo mentre usciva dalla classe, chiedendosi cosa stesse macinando in quella testa. Qualunque cosa fosse, non era nulla di buono.
Si mise lo zaino in spalla e lasciò l’aula ormai vuota. Prese le scale e si diresse al piano di sotto, dove si stavano svolgendo i colloqui. Non impiegò molto a trovare sua madre, in mezzo a tutti i genitori seduti in attesa.
Sonia spiccava tra le altre donne come un girasole in un campo di tulipani. Era elegantissima, quel giorno. La cintura dorata di Gucci risaltava contro la gonna a tubino nero, in pendant con le ballerine di vernice della stessa maison, mentre la camicia candida aderiva al suo seno prosperoso come un guanto. Portava i capelli raccolti in una coda stretta che le accentuava la fronte alta e i tratti delicati del viso. Si stava facendo aria con una cartella da documenti, ma ciò non bastava ad evitarle di sudare. In quella stanza c’erano almeno quaranta gradi.
Gabriele le si avvicinò, guardandola scuotere quel ventaglio improvvisato.
«Ciao, mamma.»
«Oh, ciao tesoro», rispose lei, abbozzando un sorriso. «Gesù, qui dentro è un caldo infernale. Come fai a sopportarlo tutti i giorni?»
«Già, me lo chiedo anch’io», replicò Gabriele.
Con un sospiro Sonia liberò dalla ventiquattrore la sedia accanto alla sua, facendo posto a Gabriele.
«Quali prof ti mancano, ancora?», chiese lui.
«Solo quella di italiano, poi abbiamo finito.»
«Menomale. Sto morendo di fame», disse Gabriele portandosi una mano sullo stomaco. «Com’è andata fin’ora?»
«Bene», rispose Sonia con ovvietà. «Tutto okay. Solo il tuo prof di educazione fisica ha avuto da ridire qualcosa.»
«E cioè?»
«Dice che non partecipi molto ai giochi di squadra, che te ne stai in disparte…»
«Non è vero.»
Madre e figlio rimasero a chiacchierare finché la professoressa di italiano si liberò e fu il turno di Sonia.
«Ti aspetto qui, okay?», la informò Gabriele.
«Sì, va bene, non ci metterò molto.»
Il ragazzo, rimasto solo, si mise a giocherellare con il cellulare, finché non si sentì battere sulla spalla. Sollevò lo sguardo. Era Andrea, uno dei suoi compagni di classe.
«Hey.»
«Ciao», rispose Gabriele, facendo scrocchiare il collo. Era rimasto con la testa china abbastanza tempo da sentirla formicolare.
«I tuoi sono ancora dentro?»
«Sì, mia madre. È con la prof di italiano.»
«Oh, quella ci metterà una vita. Ha tenuto mio padre incollato alla sedia per quaranta minuti, prima», replicò. «Senti, Ciro ha ordinato due pizze da asporto, il fattorino le ha appena consegnate qua fuori. Ne vuoi un pezzo?»
«A dire la verità credo che mia madre uscirà a momenti.»
«Be’, tanto stiamo qua fuori, mica andiamo a Roma», insistette Andrea. «Dai, ma tu non hai fame? Io potrei staccare un braccio a qualcuno.»
«Sì, io idem.»
«Allora vieni, al massimo tua madre la incroci all’ingresso.»
«D’accordo», accetto Gabriele. In fondo cosa poteva andare storto?


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Parte 5
Dall’altra parte della scuola, Alex era appena riuscito a convincere un tizio della quinta a prestargli il cellulare per venti euro. Era un iPhone di ultima generazione, color oro… identico a quello di Sonia.
Gli sarebbe bastato scambiare la cover dai due telefoni e poi nessuno avrebbe più saputo distinguere l’uno dall’altro. Era un piano geniale, Alex doveva ammetterlo a sé stesso.
Il destino parve essere dalla sua parte. Non appena arrivò in fondo alle scale, la figura di Sonia apparve nel corridoio. Era bellissima, in quell’abito così elegante e serio, soprattutto perché Alex sapeva che quell’aria così conservativa nascondeva, al di sotto, pizzo nero e trasgressione.
Un flashback gli ricordò quell’istante in cui le dita delicate e sorprese di lei avevano sfiorato il suo uccello da sopra i pantaloni, e quell’immagine gli rimase fissa nella testa mentre la rincorreva.
«Sonia!», esclamò, dipingendosi addosso la sua maschera da bravo ragazzo. «Buongiorno, io…»
«Ciao, Alex, scusa ma sono di fretta», disse sfuggente, eludendo il suo sguardo. Alex poteva giurare però di aver visto le sue guance arrossarsi all’improvviso.
«Potrebbe prestarmi il cellulare?», chiese rincorrendola. «Ci vorrà solo un minuto.»
Sonia si fermò. «A che ti serve?»
«È mezz’ora che cerco Gabriele, è sparito con il mio cellulare e non so dove si sia cacciato. Se mi presta il suo posso chiamarlo.»
«Va bene, tieni», rispose Sonia alzando gli occhi al cielo. «Io vado un secondo al bagno. Dì a Gabriele che lo aspetto in macchina.»
«Ma sicuro.»
Tutto stava andando meglio del previsto. Alex approfittò della capatina in bagno di Sonia per scambiare le cover ai cellulari. Notò che lo sfondo della donna era una foto di Gabriele, così la passò da un telefono all’altro con la funzione AirDrop e la impostò come sfondo sull’altro cellulare. Infine silenziò il telefono di Sonia e lo infilò nello zaino. Ora era tutto perfetto.
La donna tornò dopo qualche minuto. Aveva un aspetto rinfrescato, e Alex notò una goccia d’acqua scivolarle lungo il collo e finire nell’incavo tra i seni. Per un momento immaginò di leccargliela via, ma la voce di Sonia lo riportò alla realtà.
«Gabriele ti ha risposto?»
«Sì», disse Alex, come da copione. «Ha detto che aveva un appuntamento, è uscito a mangiare un pizza con una ragazza. Mi ha chiesto di dirle che vi vedrete a casa stasera.»
Sonia sollevò un sopracciglio. «Che strano. Avevamo deciso che saremmo andati a prendere il pollo e avremmo pranzato insieme… Sei proprio sicuro che abbia detto così?»
«Sì, sono sicuro», confermò Alex. «Si sarà dimenticato. D’altronde io l’ho vista, la ragazza… è proprio bella. Ci credo che gli faccia quell’effetto.»
Sonia abbozzò un sorriso. Era strano per lei sentirsi dire che suo figlio aveva una ragazza. Non che fosse strano il fatto in sé, visto che Gabriele aveva ormai quindici anni, ma la sorprendeva sentirselo dire da altri. Conosceva suo figlio meno di quanto lo conoscessero i suoi amici e questo, in qualche modo, suonava bizzarro.
«Bene, allora», disse la donna chiedendo indietro il cellulare. «Vorrà dire che mangerò il pollo da sola.»
Alex le lasciò il cellulare scambiato nel palmo della mano, sorridendole sensualmente.
«Ci vediamo, Alex.»
«Aspetti», la chiamò lui. «Mi spiace dirglielo così, soprattutto qui a scuola, ma… l’altra volta…».
Il modo in cui pronunciò quelle parole sortì in Sonia l’effetto sperato: le sue guance si erano tinte di rosso e le sue pupille si erano dilatate. Imbarazzo ed eccitazione, ecco cosa le si leggeva in faccia, così chiaro che sembrava avercelo scritto sulla fronte a caratteri cubitali.
«…l’altra volta sono andato via di fretta e ho dimenticato un libro», seguitò Alex con aria innocente.
Sembrava sincero, ma Sonia non si fidava delle sue parole. Era rimasta bloccata al ricordo di quel pomeriggio, dove quello sguardo era intercorso fra loro come elettricità statica, e la tensione sessuale era stata così spessa da poter essere tagliata con un coltello. Sapeva che era sbagliato, che non doveva avere quelle fantasie su un diciassettenne, ma quei pochi secondi di trasgressione insieme ad Alex l’avevano fatta sentire apprezzata e viva come non succedeva più ormai da molti anni.
Giovanni aveva smesso di guardarla in quel modo dalla nascita di Gabriele. Non era più stata una donna sensuale e provocante per lui, ma una madre, e lei si era accorta che quel luccichio eccitato tipico della gioventù era sparito dagli occhi di Giovanni.
Tuttavia, quel pomeriggio, averlo rivisto nello sguardo di Alex le aveva ricordato di essere ancora quella donna sexy e desiderabile che era stata un tempo.

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Parte 6


«Dirò a Gabriele di portartelo domani», disse con voce roca e improvvisamente insicura.
«In verità», insistette Alex. «ne avrei bisogno proprio oggi. Devo ripassare per il compito di domani.»
Sonia lo guardò incuriosita. Cosa stava cercando di dirle?
«Posso… posso venire con lei e prenderlo?», chiese infine lui.
Sonia scosse istintivamente la testa.«No, non… non credo sia il caso…»
Intorno a loro gli studenti e i genitori camminavano in tutte le direzioni, ma tra Sonia e Alex il tempo sembrava essersi fermato.
«In che senso?», chiese Alex.
Quell’aria da bravo ragazzo mise Sonia ancora più in difficoltà. «Non… non fare il finto tonto, Alex.»
«Non sto facendo il finto tonto», ribatté il moro, incrociando le braccia al petto. Quell’azione mise in risalto i suoi bicipiti, le vene che spiccavano tra i tatuaggi, e Sonia per un momento si perse. Quella pelle liscia, quelle mani ruvide ma salde, che premevano le sue dita contro il tessuto dei suoi pantaloni. E quelle parole sussurrate, quel “ti voglio” pronunciato come fosse stata questione di vita o di morte… Sonia sentì il pavimento tremare sotto le ballerine di vernice.
«Alex…», mormorò.
«Per favore», insistette il ragazzo. «Non glielo chiederei se non fosse importante. Mia madre mi ucciderà se prenderò un’altra insufficienza.»
Sonia s’impose di respirare a fondo. «Sì, d’accordo, vieni.»
«Grazie.»
Lei s’incamminò verso l’uscita. Alex la seguì, tenendosi a una distanza tale da permettergli di ammirare il suo culo sodo mentre sgambettava svelta verso l’auto. Non vedeva l’ora di infilare le mani sotto l’orlo della sua gonna e sentirla gemere di piacere. Se la immaginava mordersi il labbro, sospirando il suo nome... Dovette smettere di fare quei pensieri, perché il suo uccello stava già premendo per uscire.
Si guardò attorno, cercando tracce di Andrea o di Gabriele, ma non vide nessuno dei due. Doveva un favore a quel ragazzino, visto che era riuscito a distrarre Gabriele e a permettergli di approcciare Sonia.
Salendo in auto fu investito dal profumo della donna. L’abitacolo profumava di lei e Alex inspirò l’aria a pieni polmoni. Posò lo zaino sopra le gambe, in modo da nascondere la sua palese erezione.
Sonia si allacciò la cintura e partì verso casa. Tra di loro ci fu una conversazione casuale, che in qualche modo la rassicurò. Forse si era agitata tanto per nulla.
Probabilmente Alex era soltanto un ragazzino in preda agli ormoni e aveva voluto flirtare un po’ con lei, ma nulla di più. Era stata lei a farsi strani castelli in testa, pensando che Alex la trovasse attraente e volesse qualcosa. Ma pensandoci, era stata davvero stupida: come poteva un ragazzo così giovane e bello voler avere qualcosa a che fare con una donna adulta e sposata?
Sonia si vergognò dei suoi stessi pensieri. Era malata, forse? Perché una parte di lei aveva sperato di contare qualcosa per Alex, nonostante fosse sposata e avesse un figlio? Sì, certo, il suo matrimonio con Giovanni non era esattamente un idillio, ma erano felici ed avevano trovato il loro equilibrio. Perché allora aveva perso la testa per un ragazzino che, oltretutto, era il migliore amico di suo figlio?
Strinse il volante e accelerò. Non vedeva l’ora di arrivare a casa, trovare quel maledetto libro e dire arrivederci ad Alex. Non sopportava di sentirlo così vicino. La sua sola presenza le scatenava dentro qualcosa che non riusciva a spiegarsi, qualcosa di viscerale, di intenso e di sbagliato.
«Sonia, freni! È rosso!», esclamò Alex ad un certo punto, interrompendo il flusso dei suoi pensieri immorali.
Lei inchiodò facendo stridere le gomme sull’asfalto rovente.
«Va tutto bene?», chiese Alex, il busto in avanti per la brusca frenata.
«Sì, scusa… Mi sono solo distratta un attimo.»
Il resto del viaggio trascorse in silenzio. Alex scese dall’auto mentre Sonia andava a parcheggiarla al piano interrato, e rimase sulla soglia di casa, i nervi a fior di pelle. Non si era sentito così nervoso nemmeno alla sua prima scopata.
Sonia arrivò a passo lento. Stava trafficando con il cellulare, una smorfia sul viso.
«Questo affare ha qualcosa che non va», disse, cercando le chiavi nella borsa con la mano libera.
«Che succede?», chiese Alex allarmato. Per un momento temette che si fosse accorta dello scambio.
«Non lo so, non mi accetta la password... Dice che ora il telefono si è bloccato, e che per sbloccarlo devo inserire il pin, ma non me lo ricordo…»
«Posso farlo io», si propose Alex.
«Davvero?», chiese Sonia stupita. «Voi giovani siete sempre un passo avanti a noi.»
«Sì, però ci vorrà un po’», s’inventò Alex, seguendo Sonia nell’ingresso.
«Allora prima cerchiamo il tuo libro e poi mi aiuti col telefono, va bene?», propose lei.
«Sì, volentieri.»
La casa era in perfetto ordine, come sempre. L’ambiente profumava di fiori e la temperatura era così fresca che il sudore si ghiacciò addosso ai loro corpi accaldati.
«Dove lo hai lasciato?», chiese Sonia, dirigendosi verso il soggiorno.
«In camera di Gabriele», rispose lui. «Mi spiace frugare nelle sue cose mentre non c’è, ma lui ha detto che non gli da fastidio.»
«Ma no, certo. Voi due siete amici da una vita.»
Salirono le scale, Sonia per prima. Alex si riservò il piacere di guardare nuovamente il suo culo mentre saliva i gradini e la gonna le s’increspava attorno ai fianchi generosi. Sapeva che non sarebbe riuscito a trattenersi ancora per molto, ma in quel momento il cellulare di Sonia vibrò nello zaino, distogliendolo dalle sue fantasie. Era Gabriele.

Cosa succederà?

Continua........
 

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