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<blockquote data-quote="Gando94" data-source="post: 20584116" data-attributes="member: 284518"><p>Parte 4</p><p></p><p>La settimana finì in un lampo e il giorno dei colloqui arrivò come un fulmine a ciel sereno. Quella mattina Gabriele non riusciva a calmarsi, in classe, all’idea che sua madre sarebbe entrata a scuola a momenti e avrebbe iniziato a parlare con i suoi professori.</p><p>Lanciò un’occhiata ad Alex, che da poco era stato spedito in un banco in prima fila, proprio davanti alla cattedra, per essere stato beccato due volte di seguito con il cellulare. </p><p>A Gabriele non piaceva stare al centro della classe senza un compagno di banco, gli sembrava di avere qualcosa fuori posto, di sentirsi esposto agli sguardi degli altri, e poi si sentiva solo.</p><p>Non che Alex fosse stato di tante parole, negli ultimi giorni. Era sempre stato schivo dopo quel pomeriggio a casa sua. Forse aveva problemi di cui non voleva parlare, forse era preoccupato per i colloqui o magari era qualcosa di più grave, ma Gabriele non era mai stato un impiccione e di certo non avrebbe insistito per scoprire cosa non andava, anche se gli avrebbe fatto piacere poter ricambiare il favore e fargli da spalla, di tanto in tanto.</p><p>Se ci pensava, era dalla prima superiore che non saltavano un weekend insieme, a meno che uno dei due non avesse avuto la febbre o fosse partito per una vacanza con i propri genitori. Invece, quello scorso fine settimana, c’era stato silenzio stampa. Alex non gli aveva mandato un solo messaggio e Gabriele aveva capito l’antifona, evitando di tartassarlo di chiamate.</p><p>Per fortuna che, al suo rientro, Gabriele aveva il suo MacBook nuovo di zecca ad attenderlo e ad occupare il suo tempo. Gabriele gli aveva riservato un posto d’onore al centro della sua scrivania, gettando tutto ciò che la occupava nei cassetti o addirittura sotto il letto. Un gioiellino come quello meritava un posto tutto suo, senza cartacce di merendine e residui di gomma da cancellare a fargli da cornice.</p><p>Anche quella mattina, mentre la lezione di supplenza proseguiva in sottofondo, Gabriele rimuginava sul momento in cui avrebbe potuto tornare in camera sua e mettersi davanti allo schermo del suo adorato computer. Sempre che i colloqui con i professori al piano di sotto fossero andati bene, ovviamente. Altrimenti tanti saluti al suo computer e al pranzo con il pollo e le patatine fritte promesso da sua madre.</p><p>Mentre le ore scorrevano lente, Gabriele fissava l’orologio appeso al muro sopra la porta della classe, sperando che finalmente le lancette segnassero le dodici e un quarto. Era sempre tedioso fare supplenza con professori delle altre sezioni, che più che fare lezione si apprestavano a raccontare aneddoti di vita, o a proporre una sessione di studio individuale che tutti gli studenti accantonavano per giocare a carte o scambiarsi bigliettini.</p><p>Quando la campanella trillò nel corridoio, Gabriele si permise un sospiro di sollievo. Era stata una giornata infinita e davvero poco proficua.</p><p>Fu uno degli ultimi ad uscire dalla classe. Per un momento sperò che Alex lo aspettasse, ma poi lo vide mettersi lo zaino in spalla e dirigersi verso la porta.</p><p>«Hey, Alex», lo chiamò. </p><p>Il ragazzo si volse a guardarlo. Quel giorno faceva particolarmente caldo e lui indossava una canottiera a costine che metteva in risalto le sue spalle larghe e muscolose e le braccia tappezzate di tatuaggi più neri della sua pelle d’ebano. I pantaloncini della tuta terminavano appena sopra il ginocchio e ai piedi portava un paio di sandali di pelle nera. Il viso e il collo erano imperlati di sudore, e i suoi occhi chiari ed affilati come il vetro lo trafissero.</p><p>Gabriele si sentì a disagio, con quegli occhi indagatori addosso. «Vuoi che ti accompagni a casa? Sono in macchina con mia madre.»</p><p>«Non lo so, vediamo dopo», rispose l’altro con una scrollata di spalle. «Devo fare una cosa, prima.»</p><p>«Okay, va bene, vengo con te.»</p><p>«No», replicò Alex secco. «È una cosa che devo sbrigare da solo. Ci vediamo dopo.»</p><p>Gabriele rimase a guardarlo mentre usciva dalla classe, chiedendosi cosa stesse macinando in quella testa. Qualunque cosa fosse, non era nulla di buono.</p><p>Si mise lo zaino in spalla e lasciò l’aula ormai vuota. Prese le scale e si diresse al piano di sotto, dove si stavano svolgendo i colloqui. Non impiegò molto a trovare sua madre, in mezzo a tutti i genitori seduti in attesa.</p><p>Sonia spiccava tra le altre donne come un girasole in un campo di tulipani. Era elegantissima, quel giorno. La cintura dorata di Gucci risaltava contro la gonna a tubino nero, in pendant con le ballerine di vernice della stessa maison, mentre la camicia candida aderiva al suo seno prosperoso come un guanto. Portava i capelli raccolti in una coda stretta che le accentuava la fronte alta e i tratti delicati del viso. Si stava facendo aria con una cartella da documenti, ma ciò non bastava ad evitarle di sudare. In quella stanza c’erano almeno quaranta gradi.</p><p>Gabriele le si avvicinò, guardandola scuotere quel ventaglio improvvisato.</p><p>«Ciao, mamma.»</p><p>«Oh, ciao tesoro», rispose lei, abbozzando un sorriso. «Gesù, qui dentro è un caldo infernale. Come fai a sopportarlo tutti i giorni?»</p><p>«Già, me lo chiedo anch’io», replicò Gabriele.</p><p>Con un sospiro Sonia liberò dalla ventiquattrore la sedia accanto alla sua, facendo posto a Gabriele.</p><p>«Quali prof ti mancano, ancora?», chiese lui.</p><p>«Solo quella di italiano, poi abbiamo finito.»</p><p>«Menomale. Sto morendo di fame», disse Gabriele portandosi una mano sullo stomaco. «Com’è andata fin’ora?»</p><p>«Bene», rispose Sonia con ovvietà. «Tutto okay. Solo il tuo prof di educazione fisica ha avuto da ridire qualcosa.»</p><p>«E cioè?»</p><p>«Dice che non partecipi molto ai giochi di squadra, che te ne stai in disparte…»</p><p>«Non è vero.»</p><p>Madre e figlio rimasero a chiacchierare finché la professoressa di italiano si liberò e fu il turno di Sonia.</p><p>«Ti aspetto qui, okay?», la informò Gabriele.</p><p>«Sì, va bene, non ci metterò molto.»</p><p>Il ragazzo, rimasto solo, si mise a giocherellare con il cellulare, finché non si sentì battere sulla spalla. Sollevò lo sguardo. Era Andrea, uno dei suoi compagni di classe.</p><p>«Hey.»</p><p>«Ciao», rispose Gabriele, facendo scrocchiare il collo. Era rimasto con la testa china abbastanza tempo da sentirla formicolare.</p><p>«I tuoi sono ancora dentro?»</p><p>«Sì, mia madre. È con la prof di italiano.»</p><p>«Oh, quella ci metterà una vita. Ha tenuto mio padre incollato alla sedia per quaranta minuti, prima», replicò. «Senti, Ciro ha ordinato due pizze da asporto, il fattorino le ha appena consegnate qua fuori. Ne vuoi un pezzo?»</p><p>«A dire la verità credo che mia madre uscirà a momenti.»</p><p>«Be’, tanto stiamo qua fuori, mica andiamo a Roma», insistette Andrea. «Dai, ma tu non hai fame? Io potrei staccare un braccio a qualcuno.»</p><p>«Sì, io idem.»</p><p>«Allora vieni, al massimo tua madre la incroci all’ingresso.»</p><p>«D’accordo», accetto Gabriele. In fondo cosa poteva andare storto?</p><p></p><p></p><p>Continua.....</p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Gando94, post: 20584116, member: 284518"] Parte 4 La settimana finì in un lampo e il giorno dei colloqui arrivò come un fulmine a ciel sereno. Quella mattina Gabriele non riusciva a calmarsi, in classe, all’idea che sua madre sarebbe entrata a scuola a momenti e avrebbe iniziato a parlare con i suoi professori. Lanciò un’occhiata ad Alex, che da poco era stato spedito in un banco in prima fila, proprio davanti alla cattedra, per essere stato beccato due volte di seguito con il cellulare. A Gabriele non piaceva stare al centro della classe senza un compagno di banco, gli sembrava di avere qualcosa fuori posto, di sentirsi esposto agli sguardi degli altri, e poi si sentiva solo. Non che Alex fosse stato di tante parole, negli ultimi giorni. Era sempre stato schivo dopo quel pomeriggio a casa sua. Forse aveva problemi di cui non voleva parlare, forse era preoccupato per i colloqui o magari era qualcosa di più grave, ma Gabriele non era mai stato un impiccione e di certo non avrebbe insistito per scoprire cosa non andava, anche se gli avrebbe fatto piacere poter ricambiare il favore e fargli da spalla, di tanto in tanto. Se ci pensava, era dalla prima superiore che non saltavano un weekend insieme, a meno che uno dei due non avesse avuto la febbre o fosse partito per una vacanza con i propri genitori. Invece, quello scorso fine settimana, c’era stato silenzio stampa. Alex non gli aveva mandato un solo messaggio e Gabriele aveva capito l’antifona, evitando di tartassarlo di chiamate. Per fortuna che, al suo rientro, Gabriele aveva il suo MacBook nuovo di zecca ad attenderlo e ad occupare il suo tempo. Gabriele gli aveva riservato un posto d’onore al centro della sua scrivania, gettando tutto ciò che la occupava nei cassetti o addirittura sotto il letto. Un gioiellino come quello meritava un posto tutto suo, senza cartacce di merendine e residui di gomma da cancellare a fargli da cornice. Anche quella mattina, mentre la lezione di supplenza proseguiva in sottofondo, Gabriele rimuginava sul momento in cui avrebbe potuto tornare in camera sua e mettersi davanti allo schermo del suo adorato computer. Sempre che i colloqui con i professori al piano di sotto fossero andati bene, ovviamente. Altrimenti tanti saluti al suo computer e al pranzo con il pollo e le patatine fritte promesso da sua madre. Mentre le ore scorrevano lente, Gabriele fissava l’orologio appeso al muro sopra la porta della classe, sperando che finalmente le lancette segnassero le dodici e un quarto. Era sempre tedioso fare supplenza con professori delle altre sezioni, che più che fare lezione si apprestavano a raccontare aneddoti di vita, o a proporre una sessione di studio individuale che tutti gli studenti accantonavano per giocare a carte o scambiarsi bigliettini. Quando la campanella trillò nel corridoio, Gabriele si permise un sospiro di sollievo. Era stata una giornata infinita e davvero poco proficua. Fu uno degli ultimi ad uscire dalla classe. Per un momento sperò che Alex lo aspettasse, ma poi lo vide mettersi lo zaino in spalla e dirigersi verso la porta. «Hey, Alex», lo chiamò. Il ragazzo si volse a guardarlo. Quel giorno faceva particolarmente caldo e lui indossava una canottiera a costine che metteva in risalto le sue spalle larghe e muscolose e le braccia tappezzate di tatuaggi più neri della sua pelle d’ebano. I pantaloncini della tuta terminavano appena sopra il ginocchio e ai piedi portava un paio di sandali di pelle nera. Il viso e il collo erano imperlati di sudore, e i suoi occhi chiari ed affilati come il vetro lo trafissero. Gabriele si sentì a disagio, con quegli occhi indagatori addosso. «Vuoi che ti accompagni a casa? Sono in macchina con mia madre.» «Non lo so, vediamo dopo», rispose l’altro con una scrollata di spalle. «Devo fare una cosa, prima.» «Okay, va bene, vengo con te.» «No», replicò Alex secco. «È una cosa che devo sbrigare da solo. Ci vediamo dopo.» Gabriele rimase a guardarlo mentre usciva dalla classe, chiedendosi cosa stesse macinando in quella testa. Qualunque cosa fosse, non era nulla di buono. Si mise lo zaino in spalla e lasciò l’aula ormai vuota. Prese le scale e si diresse al piano di sotto, dove si stavano svolgendo i colloqui. Non impiegò molto a trovare sua madre, in mezzo a tutti i genitori seduti in attesa. Sonia spiccava tra le altre donne come un girasole in un campo di tulipani. Era elegantissima, quel giorno. La cintura dorata di Gucci risaltava contro la gonna a tubino nero, in pendant con le ballerine di vernice della stessa maison, mentre la camicia candida aderiva al suo seno prosperoso come un guanto. Portava i capelli raccolti in una coda stretta che le accentuava la fronte alta e i tratti delicati del viso. Si stava facendo aria con una cartella da documenti, ma ciò non bastava ad evitarle di sudare. In quella stanza c’erano almeno quaranta gradi. Gabriele le si avvicinò, guardandola scuotere quel ventaglio improvvisato. «Ciao, mamma.» «Oh, ciao tesoro», rispose lei, abbozzando un sorriso. «Gesù, qui dentro è un caldo infernale. Come fai a sopportarlo tutti i giorni?» «Già, me lo chiedo anch’io», replicò Gabriele. Con un sospiro Sonia liberò dalla ventiquattrore la sedia accanto alla sua, facendo posto a Gabriele. «Quali prof ti mancano, ancora?», chiese lui. «Solo quella di italiano, poi abbiamo finito.» «Menomale. Sto morendo di fame», disse Gabriele portandosi una mano sullo stomaco. «Com’è andata fin’ora?» «Bene», rispose Sonia con ovvietà. «Tutto okay. Solo il tuo prof di educazione fisica ha avuto da ridire qualcosa.» «E cioè?» «Dice che non partecipi molto ai giochi di squadra, che te ne stai in disparte…» «Non è vero.» Madre e figlio rimasero a chiacchierare finché la professoressa di italiano si liberò e fu il turno di Sonia. «Ti aspetto qui, okay?», la informò Gabriele. «Sì, va bene, non ci metterò molto.» Il ragazzo, rimasto solo, si mise a giocherellare con il cellulare, finché non si sentì battere sulla spalla. Sollevò lo sguardo. Era Andrea, uno dei suoi compagni di classe. «Hey.» «Ciao», rispose Gabriele, facendo scrocchiare il collo. Era rimasto con la testa china abbastanza tempo da sentirla formicolare. «I tuoi sono ancora dentro?» «Sì, mia madre. È con la prof di italiano.» «Oh, quella ci metterà una vita. Ha tenuto mio padre incollato alla sedia per quaranta minuti, prima», replicò. «Senti, Ciro ha ordinato due pizze da asporto, il fattorino le ha appena consegnate qua fuori. Ne vuoi un pezzo?» «A dire la verità credo che mia madre uscirà a momenti.» «Be’, tanto stiamo qua fuori, mica andiamo a Roma», insistette Andrea. «Dai, ma tu non hai fame? Io potrei staccare un braccio a qualcuno.» «Sì, io idem.» «Allora vieni, al massimo tua madre la incroci all’ingresso.» «D’accordo», accetto Gabriele. In fondo cosa poteva andare storto? Continua..... [/QUOTE]
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