La prima cosa che sentì, mentre stava per aprire gli occhi, fu la temperatura fredda dell'aria, che le intirizzì la pelle e le fece affiorare un brivido capace di fargli inarcare la schiena.
Per istinto tentò di scrollarsi di dosso allora quella strana sensazione e di afferrare con le mani la coperta che probabilmente gli era scivolata di dosso durante la notte, ma appena tentò di rigirarsi e di protendere la mano dietro di sè, ecco che uno strano peso, un legame, gli impedì di muoversi e cominciò a stringergli le carni con tutta la sua ferrea fermezza.
D'improvviso sentì l'odore pungente di sudore riempirgli la gola e quel lezzo nauseabondo la costrinse a rendersi conto del pericolo che stava correndo, facendo battergli istintivamente il cuore.
Spalancò la bocca, cercando di riemergere in fretta dal torpore che per ore l'aveva lasciata indifesa, e mentre boccheggiava per la sorpresa di ritrovarsi immobilizzata al momento del risveglio, l'amara verità l'assalì con tutta la sua contorta gravità, nuda come il suo corpo che fremeva di fronte alla notte.
Cercò di gridare aiuto, ma non ce la fece. Qualcosa gli ostruiva il palato e seppur potesse respirare, la sua lingua, la sua gola, erano inutilizzabili. L'oscurità dominava lo spazio che la circondava, simile ad un crudele sudario, e la sua vista dunque era inutile, di fronte alla minaccia che l'aveva ghermita. Solo una flebile luce proveniente dal basso, illuminando l'aria gelida che la separava da terra, l'aiutava a percepire l'ambiente a sé. E nulla di ciò che riusciva a osservare prometteva il meglio...
Anna ricominciò a strattonare nuovamente gli arti, sperando che quell'immagine infernale che gli si era manifestata sprofondasse nuovamente all'interno di qualche incubo. Purtroppo per lei non lo fece e mentre le lacrime cominciarono a bagnargli le guance, un verso animalesco di disperazione iniziò a fuoruscire dal suo petto, mentre l'aria frizzante della sala abbracciava ogni centimetro quadrato della sua pelle esposta: spalle, collo, seno, natiche, gambe, piedi...
Per quanto non ne capisse la ragione, il suo corpo era sospeso a tre metri da terra e i suoi arti erano crudelmente legati a delle corde ruvide e molto spesse che gli facevano assumere la posa di un uccello che atterrava al suolo. Le braccia erano protese come ali verso i lati mentre le sue cosce erano legate in modo che fossero aderenti alla pancia e fossero strette tra di loro. Ad ogni movimento, ad ogni protesta anche inconscia del suo corpo, le corde stringevano in maniera più crudele la sua pelle, inducendole un insopportabile bruciore che in breve la fece desistere da ogni tentativo di fuga. Bastarono infatti neanche trenta secondi dal momento del suo risveglio per ritrovarsi completamente segnata da profonde ulcere alle articolazioni, la prova di come le corde fossero state strette per immobilizzarla e provocargli il maggior disturbo possibile.
Confusa e ancora terrorizzata da quel traumatico risveglio, Anna tentò di reprimere il fiatone che cominciò a sconquassare la sua mente, il suo presente. La fame di aria, il bisogno impulsivo di respirare forzatamente, pur di assecondare il battito accellerato del suo cuore, stette quasi per farle perdere la ragione, ma poco prima che il suo petto implodesse e che il dondolio del suo corpo inducesse le corde a strangolarla ancora, un forte bisogno di urinare devastò la sua consapevolezza in maniera completa.
Scossa dalla maniera con il suo corpo si ribellava al suo stesso controllo, con imbarazzo sempre crescente lottò per reprimere l'impulso e obbligare la vescica a trattenersi. Mentre però sempre più brividi le scorrevano sulla pelle e le sue pupille luccicavano nella oscurità, decontraendosi per la paura, un nuovo primitivo impulso la obbligò ad allargare leggermente le cosce, almeno per quanto gli permettevano le corde. E in un secondo la sua vescica si liberò, ribellandosi alle sue angosce, alle sue paure, facendo sgorgare come da una sorgente una piccola cascata di liquido dorato, che le insozzò le corde e allagò il pavimento su cui si librava come un aquilone. La pipì fu calda e copiosa e la umiliò fino all'ultimo, donandogli un poco di quel tepore che le sue gambe richiedevano per difendersi dal freddo. Fu però l'ultima volta che potè liberarsi volontariamente. Da lì in poi avrebbe dovuto imparare a chiedere il permesso, per pisciare dove convenuto.
Furono questi i primi momenti successivi al risveglio di Anna. Sarebbe dovuta passare almeno meno un'ora, colma di riflessioni e domande, prima che il suo spirito indipendente trovasse le prime risposte e accettasse che per riuscire a sfuggire da quella situazione doveva sfruttare tutte le conoscenze che aveva accumulato negli ultimi anni al corso di psicologia.
Spero che possiate apprezzare questo racconto di fantasia, che pubblicherò a puntate se avrà la vostra attenzione (scusatemi anche per gli errori)
Per istinto tentò di scrollarsi di dosso allora quella strana sensazione e di afferrare con le mani la coperta che probabilmente gli era scivolata di dosso durante la notte, ma appena tentò di rigirarsi e di protendere la mano dietro di sè, ecco che uno strano peso, un legame, gli impedì di muoversi e cominciò a stringergli le carni con tutta la sua ferrea fermezza.
D'improvviso sentì l'odore pungente di sudore riempirgli la gola e quel lezzo nauseabondo la costrinse a rendersi conto del pericolo che stava correndo, facendo battergli istintivamente il cuore.
Spalancò la bocca, cercando di riemergere in fretta dal torpore che per ore l'aveva lasciata indifesa, e mentre boccheggiava per la sorpresa di ritrovarsi immobilizzata al momento del risveglio, l'amara verità l'assalì con tutta la sua contorta gravità, nuda come il suo corpo che fremeva di fronte alla notte.
Cercò di gridare aiuto, ma non ce la fece. Qualcosa gli ostruiva il palato e seppur potesse respirare, la sua lingua, la sua gola, erano inutilizzabili. L'oscurità dominava lo spazio che la circondava, simile ad un crudele sudario, e la sua vista dunque era inutile, di fronte alla minaccia che l'aveva ghermita. Solo una flebile luce proveniente dal basso, illuminando l'aria gelida che la separava da terra, l'aiutava a percepire l'ambiente a sé. E nulla di ciò che riusciva a osservare prometteva il meglio...
Anna ricominciò a strattonare nuovamente gli arti, sperando che quell'immagine infernale che gli si era manifestata sprofondasse nuovamente all'interno di qualche incubo. Purtroppo per lei non lo fece e mentre le lacrime cominciarono a bagnargli le guance, un verso animalesco di disperazione iniziò a fuoruscire dal suo petto, mentre l'aria frizzante della sala abbracciava ogni centimetro quadrato della sua pelle esposta: spalle, collo, seno, natiche, gambe, piedi...
Per quanto non ne capisse la ragione, il suo corpo era sospeso a tre metri da terra e i suoi arti erano crudelmente legati a delle corde ruvide e molto spesse che gli facevano assumere la posa di un uccello che atterrava al suolo. Le braccia erano protese come ali verso i lati mentre le sue cosce erano legate in modo che fossero aderenti alla pancia e fossero strette tra di loro. Ad ogni movimento, ad ogni protesta anche inconscia del suo corpo, le corde stringevano in maniera più crudele la sua pelle, inducendole un insopportabile bruciore che in breve la fece desistere da ogni tentativo di fuga. Bastarono infatti neanche trenta secondi dal momento del suo risveglio per ritrovarsi completamente segnata da profonde ulcere alle articolazioni, la prova di come le corde fossero state strette per immobilizzarla e provocargli il maggior disturbo possibile.
Confusa e ancora terrorizzata da quel traumatico risveglio, Anna tentò di reprimere il fiatone che cominciò a sconquassare la sua mente, il suo presente. La fame di aria, il bisogno impulsivo di respirare forzatamente, pur di assecondare il battito accellerato del suo cuore, stette quasi per farle perdere la ragione, ma poco prima che il suo petto implodesse e che il dondolio del suo corpo inducesse le corde a strangolarla ancora, un forte bisogno di urinare devastò la sua consapevolezza in maniera completa.
Scossa dalla maniera con il suo corpo si ribellava al suo stesso controllo, con imbarazzo sempre crescente lottò per reprimere l'impulso e obbligare la vescica a trattenersi. Mentre però sempre più brividi le scorrevano sulla pelle e le sue pupille luccicavano nella oscurità, decontraendosi per la paura, un nuovo primitivo impulso la obbligò ad allargare leggermente le cosce, almeno per quanto gli permettevano le corde. E in un secondo la sua vescica si liberò, ribellandosi alle sue angosce, alle sue paure, facendo sgorgare come da una sorgente una piccola cascata di liquido dorato, che le insozzò le corde e allagò il pavimento su cui si librava come un aquilone. La pipì fu calda e copiosa e la umiliò fino all'ultimo, donandogli un poco di quel tepore che le sue gambe richiedevano per difendersi dal freddo. Fu però l'ultima volta che potè liberarsi volontariamente. Da lì in poi avrebbe dovuto imparare a chiedere il permesso, per pisciare dove convenuto.
Furono questi i primi momenti successivi al risveglio di Anna. Sarebbe dovuta passare almeno meno un'ora, colma di riflessioni e domande, prima che il suo spirito indipendente trovasse le prime risposte e accettasse che per riuscire a sfuggire da quella situazione doveva sfruttare tutte le conoscenze che aveva accumulato negli ultimi anni al corso di psicologia.
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Spero che possiate apprezzare questo racconto di fantasia, che pubblicherò a puntate se avrà la vostra attenzione (scusatemi anche per gli errori)