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Mi sono sempre sentita come un pesce fuor d'acqua, intrappolata in una vita troppo stretta per me. Casa, scuola, casa. Sempre le stesse persone, gli stessi sguardi, le stesse aspettative. Avevo appena compiuto diciotto anni, eppure non mi sentivo diversa. Solo più consapevole della mia noia.
Quel sito era il mio rifugio. Un luogo dove potevo essere chi volevo, o non essere nessuno. Potevo accendere la webcam e sentire per un momento che c'era qualcuno, dall'altra parte del mondo, che mi guardava. Mi piaceva l’idea di catturare l’attenzione, di sentirmi desiderata anche solo per pochi minuti. A volte bastava mostrare un sorriso, altre volte... di più.
All'inizio era solo un gioco. Aprivo la cam, lasciavo che gli sconosciuti mi scrutassero, e scoprivo quanto potere avessi su di loro. Bastava un gesto, un movimento lento delle mani sul corpo. Ogni tanto andavo oltre, lasciandomi trasportare dalla tensione del momento. C'era qualcosa di liberatorio in quell'esibizione anonima. Era come liberarmi da una parte di me stessa che nella vita reale non potevo mostrare.
Quel pomeriggio ero sul letto, il portatile acceso davanti a me. Cliccavo svogliatamente, saltando da un volto all’altro. Alcuni ridevano, altri cercavano di flirtare goffamente. Non ero dell’umore per nessuno di loro.
Poi apparve lui.
Indossava un cappuccio scuro, tirato su fino a metà del viso. La luce della sua stanza era tenue, lasciando solo il sorriso illuminato. Un sorriso perfetto, affascinante. Le labbra si incurvavano in un modo che sembrava studiato per catturare. Non era un ragazzo, questo era chiaro. I pochi tratti del volto visibili e la sicurezza nei movimenti tradivano un'età più matura. Forse sulla quarantina.
Per un momento rimasi immobile. Il dito, pronto a cliccare “avanti” senza pensarci, si bloccò sopra il touchpad. Mi sentivo... osservata. Ma in un modo diverso. Non come quando lasciavo che altri mi guardassero, ma come se lui stesse davvero cercando di leggermi.
“Ciao,” scrissi nella chat, le mani un po’ tremanti.
Lui non rispose subito. Inclinò leggermente la testa, lasciando che il cappuccio scivolasse appena, senza scoprire nulla di più. Poi, digitò:
“Hai un bel viso.”
Mi scappò un sorriso nervoso. Non ero nuova ai complimenti, soprattutto su quel sito, ma il suo aveva un peso diverso. Non c’era volgarità, né fretta. Solo una calma disarmante.
“Grazie,” risposi, e aggiunsi quasi senza pensarci: “Non mostri molto di te.”
“Mostro quello che conta.”
Le sue parole mi colpirono più di quanto avrei voluto. “E cosa conta?” chiesi, incuriosita.
Questa volta il sorriso sullo schermo si fece più ampio. Scrisse lentamente, una lettera dopo l’altra, come se volesse che io leggessi con attenzione.
“Che tu resti.”
E lo feci. Non cliccai “avanti”. Non pensai nemmeno di farlo.
Quel sito era il mio rifugio. Un luogo dove potevo essere chi volevo, o non essere nessuno. Potevo accendere la webcam e sentire per un momento che c'era qualcuno, dall'altra parte del mondo, che mi guardava. Mi piaceva l’idea di catturare l’attenzione, di sentirmi desiderata anche solo per pochi minuti. A volte bastava mostrare un sorriso, altre volte... di più.
All'inizio era solo un gioco. Aprivo la cam, lasciavo che gli sconosciuti mi scrutassero, e scoprivo quanto potere avessi su di loro. Bastava un gesto, un movimento lento delle mani sul corpo. Ogni tanto andavo oltre, lasciandomi trasportare dalla tensione del momento. C'era qualcosa di liberatorio in quell'esibizione anonima. Era come liberarmi da una parte di me stessa che nella vita reale non potevo mostrare.
Quel pomeriggio ero sul letto, il portatile acceso davanti a me. Cliccavo svogliatamente, saltando da un volto all’altro. Alcuni ridevano, altri cercavano di flirtare goffamente. Non ero dell’umore per nessuno di loro.
Poi apparve lui.
Indossava un cappuccio scuro, tirato su fino a metà del viso. La luce della sua stanza era tenue, lasciando solo il sorriso illuminato. Un sorriso perfetto, affascinante. Le labbra si incurvavano in un modo che sembrava studiato per catturare. Non era un ragazzo, questo era chiaro. I pochi tratti del volto visibili e la sicurezza nei movimenti tradivano un'età più matura. Forse sulla quarantina.
Per un momento rimasi immobile. Il dito, pronto a cliccare “avanti” senza pensarci, si bloccò sopra il touchpad. Mi sentivo... osservata. Ma in un modo diverso. Non come quando lasciavo che altri mi guardassero, ma come se lui stesse davvero cercando di leggermi.
“Ciao,” scrissi nella chat, le mani un po’ tremanti.
Lui non rispose subito. Inclinò leggermente la testa, lasciando che il cappuccio scivolasse appena, senza scoprire nulla di più. Poi, digitò:
“Hai un bel viso.”
Mi scappò un sorriso nervoso. Non ero nuova ai complimenti, soprattutto su quel sito, ma il suo aveva un peso diverso. Non c’era volgarità, né fretta. Solo una calma disarmante.
“Grazie,” risposi, e aggiunsi quasi senza pensarci: “Non mostri molto di te.”
“Mostro quello che conta.”
Le sue parole mi colpirono più di quanto avrei voluto. “E cosa conta?” chiesi, incuriosita.
Questa volta il sorriso sullo schermo si fece più ampio. Scrisse lentamente, una lettera dopo l’altra, come se volesse che io leggessi con attenzione.
“Che tu resti.”
E lo feci. Non cliccai “avanti”. Non pensai nemmeno di farlo.