Racconto di fantasia Chiamami per un controllo

5. Controlli di qualità

La mattina dopo mi sveglio con calma. La notte l’ho pensata. E non solo mentalmente. Verso tarda mattinata, le scrivo.

“Com’è andata la riunione?”
Mi risponde subito.
“Bene. Per fortuna che ho dormito. Altrimenti sarebbe stato un disastro.”
Penso a qualche battuta simpatica per risponderle, ma lei mi anticipa, non andando troppo per il sottile.
“Stasera però... non vorrei dormire.”

Cazzo. Diretta la ragazza, mi piace. Ma potevo aspettarmelo. Ormai, ho cominciato a inquadrare Miriam. Leggo il messaggio, mi rigiro il cellulare tra le mani. Poi mi torna in mente un impegno già fissato. Un cazzo di anniversario di un mio cugino di cui mi frega poco o niente. Ma di quelli ai quali non puoi mancare, per non sembrare asociale e poco interessato alla famiglia. Già li vedo una volta ogni morte di papa – letteralmente, di questi tempi. Mi piange il cuore, ma devo dire a Miriam di rimandare il nostro incontro. Sperando che non se la prenda a male.

“Stasera non riesco… robe di famiglia… due palle.”
“Capito. Non ti invidio.”
Ancora una volta, penso a come uscire dall’impasse, ma ci pensa lei a indirizzare la conversazione.
“Tanto domattina passi in azienda, no?”
“Mah non so, non c’è molto da controllare, ho sistemato tutto l’altro ieri.”
Realizzo con un secondo di ritardo. A volte mi sento proprio stupido.
“Magari puoi controllare me.”
“Beh, mi sembra una proposta molto interessante.”
“Allora a domani.” chiude lei con un emoji del bacio.

La mattina dopo arrivo con calma, verso le undici. Doccia fatta, barba pure, dopobarba fresco passato e camicia leggera. Lei è in jeans e maglietta nera aderente, il caldo comincia a farsi sentire. Stavolta, però, il reggiseno lo ha. Con una maglietta del genere, sarebbe stato troppo audace non metterlo. Occhi truccati poco, come di consueto, ma quel poco che basta per ingrandirli.

Mi accoglie con un sorriso appena accennato. Si guarda intorno con aria circospetta, poi mi guida verso il retro, dove c’è una zona seminterrata, chiusa da una porta con scritto “Uso tecnico – accesso riservato”.

È un vecchio locale di stoccaggio: scaffali metallici pieni di detersivi industriali, scatoloni mezzi aperti, un banco da lavoro in disuso e una finestra in alto che dà sull’esterno, ma in una zona dove non passa quasi mai nessuno. E con le grate, difficilmente si vedrebbe qualcosa. Il pavimento è in cemento lucido, l’odore è un mix tra solvente e profumo di fiori sintetici. Non il massimo. E poi, se qualcosa ci si rovesciasse addosso, probabilmente finiremmo in pronto soccorso. Ma ci dobbiamo accontentare.

Lei chiude la porta. Ma non a chiave, anche perché non c’è.
“Tranquillo”, dice. “Di solito qui non entra nessuno. Di solito.”
Rido nervosamente.
“Questo sì che è rassicurante!”

Lei mi viene vicino. Si spiaccica letteralmente sul mio petto.
“Allora, vuoi controllare?”
“Non mi sembra che ci sia qualcosa che non va.”
“In effetti no.” fa lei con un po’ di spocchia. “Ma tu controlla uguale.”

Si fionda su di me, aprendo avidamente la bocca per coprire la mia e sguinzagliare la sua lingua. La prendo per la vita, la sollevo leggermente, lei si appoggia al banco. Sento nella sua bocca calda un leggero retrogusto di quello schifoso caffè della macchinetta, ma che mescolato al suo sapore lo fa sembrare il gusto migliore del mondo.

Le mani mi scorrono sopra la maglia, poi sotto. Sento la pelle dell’addome, morbida, il reggiseno sottile, che inizio ad esplorare infilandoci le mani dentro smanioso di sentire di nuovo il suo seno.

Lei sospira, mi morde leggermente il labbro inferiore. Con le gambe si stringe intorno a me, mi tira contro. Ci aggrovigliamo sempre di più l’uno sull’altra, con difficoltà le slaccio il reggiseno che ricade sulle sue cosce. Finalmente posso tirarle su la maglietta e liberare le sue tette enormi. Mi ci fiondo con la bocca: le lecco, le succhio, le stuzzico i capezzoli, le palpo a mani aperte.

“Fammi vedere quanto sei bravo con le mani, ingegnere.” mi invita lei.
La guardo strizzando un occhio. Le sbottono i jeans e calo piano piano la zip. Lei si inarca appena. Intravedo le sue mutandine, sono di un rosa chiaro, con un bordo di pizzo in alto ed un fiorellino, credo una margherita. Infilo la mano dentro, sento il monte di Venere liscio, morbido. Mi avvicino con l’indice al clitoride, sfrego la sua apertura che sento già calda e bagnata.

Mi guarda, sta arrossendo in viso, ma vedo che la voglia si sta impossessando di lei.
“Dai, fammi sentire…”

Proprio in quel momento, un rumore sordo. Prima una porta sbattuta, poi una voce in lontananza che mi chiama – o chi chiama – di cui non riesco a distinguere il proprietario.

Passi. Passi pesanti. Ho già capito tutto. Ci blocchiamo, come fermati da una mano invisibile. Levo la mano, lei si tira giù la maglia di scatto, si sistema il jeans. Non fa in tempo a indossare il reggiseno, che nasconde rapidamente in uno scatolone.

“Porca troia.” sussurro.
Lei si passa le dita tra i capelli, per ricomporsi.
“Che palle.”
Ci guardiamo. Lei sorride con un velo di amarezza.
“Questa cosa che ci interrompono sempre... comincia a sembrarmi personale.”
“Già.”

Quindi sento la voce forte, inconfondibile, di Flavio.
FABRI’?!” urla.
Ancora qualche passo, sempre più vicino, poi la porta si apre. Flavio mi squadra, mentre faccio finta – con poco successo – di controllare qualcosa.

“Che ce fai qua dietro?”
Io balbetto qualcosa, una scusa poco credibile.
“Eh… c’era un sensore che... volevo controllare, sai, era rimasto un problema…”
Mi fulmina lo sguardo. Riprende a parlare, sempre più serio.
“Ma che cazzo stai a dì? Mica ce starai a prova co mi sorella, eh? Guarda che te rompo er culo.”
Mi irrigidisco, ma cerco di mantenere la calma.
“No, ma che dici… ma te pare?”
Lui resta a fissarmi per un secondo troppo lungo. Poi fa una risata, forse finta.
“Daje, vieni va’. Me devi vede’ ‘na cosa.”

Mi trascina via per un braccio, quasi di forza. Mi giro velocemente per incrociare lo sguardo di Miriam. Lei è ancora lì, immobile, rossa in viso e con gli occhi che fissano il pavimento. Mi sento come un bambino che viene beccato dalla mamma a fare una marachella.

Ma non sono un bambino. E Flavio non è mio padre. Fanculo a lui, io voglio Miriam punto e basta. Non me ne frega un cazzo. Non mi importa se l’ha capito. Non mi importa se lo sospetta. Io Miriam la voglio.
 
Ahahahah mi ricorda le leggende che circolavano in fabbrica da me, o le due o tre volte che anni prima beccai la figlia del mio titolare di allora, molto ben presa dall' impresario edile che faceva dei restauri preventivi a lei, mentre i muratori pensavano alla casa...
La figlia del capo è un grande classico…😂
 
Faccio un piccolo Out topic. Guarda fü un periodo strano, noi eravamo sotto la rialzo della collina dove si svolgevano i lavori, ma al contempo eravamo i fornitori di una parte dei materiali edili. Quindi capitava di salire per consegnarli, lei spesso era là per visionare e prendere il sole. Eravamo forse come adesso già verso l'estate. Ma capitava anche che l'impresario scendesse da noi per ovvi motivi di lavoro, ma notammo una bella differenza di frequenza, in queste visite. Anche la più piccola mattonella, singola, lui non perdeva occasione di portarcela. Ma non con il camion della ditta. Già al tempo aveva il Mercedes G... Lei non era una delle sette bellezze, era di base molto magra, capezzoli sinceri, ma come accade in queste situazioni era una corda di violino, soda, molto spigliata. Nelle pause pranzo, capitava venisse in ditta, molte volte parlavamo insieme, mentre stavamo all'ombra degli alberi...quante volte quel sottile perizoma non conteneva quei tre etti per lato delle sue grandi labbra, mentre stava seduta a gambe incrociate.
 
Sti fratelli però, e farsi l'undicesimo comandamento? È maggiorenne e vaccinata la ragazza! Ahahahah.
Bellissimo racconto è giusto che debba soffrire un po' il nostro ingegnere.
Continua che è veramente interessante la storia che stai inventando anche se molto reale chissà a quanti è successo qualcosa di simile
 
Faccio un piccolo Out topic. Guarda fü un periodo strano, noi eravamo sotto la rialzo della collina dove si svolgevano i lavori, ma al contempo eravamo i fornitori di una parte dei materiali edili. Quindi capitava di salire per consegnarli, lei spesso era là per visionare e prendere il sole. Eravamo forse come adesso già verso l'estate. Ma capitava anche che l'impresario scendesse da noi per ovvi motivi di lavoro, ma notammo una bella differenza di frequenza, in queste visite. Anche la più piccola mattonella, singola, lui non perdeva occasione di portarcela. Ma non con il camion della ditta. Già al tempo aveva il Mercedes G... Lei non era una delle sette bellezze, era di base molto magra, capezzoli sinceri, ma come accade in queste situazioni era una corda di violino, soda, molto spigliata. Nelle pause pranzo, capitava venisse in ditta, molte volte parlavamo insieme, mentre stavamo all'ombra degli alberi...quante volte quel sottile perizoma non conteneva quei tre etti per lato delle sue grandi labbra, mentre stava seduta a gambe incrociate.
Molto intrigante

Sti fratelli però, e farsi l'undicesimo comandamento? È maggiorenne e vaccinata la ragazza! Ahahahah.
Bellissimo racconto è giusto che debba soffrire un po' il nostro ingegnere.
Continua che è veramente interessante la storia che stai inventando anche se molto reale chissà a quanti è successo qualcosa di simile
Ti dico che i personaggi in realtà non sono inventati, e si comportano realmente così con la sorella...
Se non fossi stato fidanzato forse sarebbe andata in modo simile
 
Molto intrigante


Ti dico che i personaggi in realtà non sono inventati, e si comportano realmente così con la sorella...
Se non fossi stato fidanzato forse sarebbe andata in modo simile
Ci crederai o no ma ho vissuto una storia simile sul serio nella mia vita. Quindi tra un po' di romanzato ed un po' vero è un bel racconto e scritto bene con eleganza direi
 
5. Controlli di qualità

La mattina dopo mi sveglio con calma. La notte l’ho pensata. E non solo mentalmente. Verso tarda mattinata, le scrivo.

“Com’è andata la riunione?”
Mi risponde subito.
“Bene. Per fortuna che ho dormito. Altrimenti sarebbe stato un disastro.”
Penso a qualche battuta simpatica per risponderle, ma lei mi anticipa, non andando troppo per il sottile.
“Stasera però... non vorrei dormire.”

Cazzo. Diretta la ragazza, mi piace. Ma potevo aspettarmelo. Ormai, ho cominciato a inquadrare Miriam. Leggo il messaggio, mi rigiro il cellulare tra le mani. Poi mi torna in mente un impegno già fissato. Un cazzo di anniversario di un mio cugino di cui mi frega poco o niente. Ma di quelli ai quali non puoi mancare, per non sembrare asociale e poco interessato alla famiglia. Già li vedo una volta ogni morte di papa – letteralmente, di questi tempi. Mi piange il cuore, ma devo dire a Miriam di rimandare il nostro incontro. Sperando che non se la prenda a male.

“Stasera non riesco… robe di famiglia… due palle.”
“Capito. Non ti invidio.”
Ancora una volta, penso a come uscire dall’impasse, ma ci pensa lei a indirizzare la conversazione.
“Tanto domattina passi in azienda, no?”
“Mah non so, non c’è molto da controllare, ho sistemato tutto l’altro ieri.”
Realizzo con un secondo di ritardo. A volte mi sento proprio stupido.
“Magari puoi controllare me.”
“Beh, mi sembra una proposta molto interessante.”
“Allora a domani.” chiude lei con un emoji del bacio.

La mattina dopo arrivo con calma, verso le undici. Doccia fatta, barba pure, dopobarba fresco passato e camicia leggera. Lei è in jeans e maglietta nera aderente, il caldo comincia a farsi sentire. Stavolta, però, il reggiseno lo ha. Con una maglietta del genere, sarebbe stato troppo audace non metterlo. Occhi truccati poco, come di consueto, ma quel poco che basta per ingrandirli.

Mi accoglie con un sorriso appena accennato. Si guarda intorno con aria circospetta, poi mi guida verso il retro, dove c’è una zona seminterrata, chiusa da una porta con scritto “Uso tecnico – accesso riservato”.

È un vecchio locale di stoccaggio: scaffali metallici pieni di detersivi industriali, scatoloni mezzi aperti, un banco da lavoro in disuso e una finestra in alto che dà sull’esterno, ma in una zona dove non passa quasi mai nessuno. E con le grate, difficilmente si vedrebbe qualcosa. Il pavimento è in cemento lucido, l’odore è un mix tra solvente e profumo di fiori sintetici. Non il massimo. E poi, se qualcosa ci si rovesciasse addosso, probabilmente finiremmo in pronto soccorso. Ma ci dobbiamo accontentare.

Lei chiude la porta. Ma non a chiave, anche perché non c’è.
“Tranquillo”, dice. “Di solito qui non entra nessuno. Di solito.”
Rido nervosamente.
“Questo sì che è rassicurante!”

Lei mi viene vicino. Si spiaccica letteralmente sul mio petto.
“Allora, vuoi controllare?”
“Non mi sembra che ci sia qualcosa che non va.”
“In effetti no.” fa lei con un po’ di spocchia. “Ma tu controlla uguale.”

Si fionda su di me, aprendo avidamente la bocca per coprire la mia e sguinzagliare la sua lingua. La prendo per la vita, la sollevo leggermente, lei si appoggia al banco. Sento nella sua bocca calda un leggero retrogusto di quello schifoso caffè della macchinetta, ma che mescolato al suo sapore lo fa sembrare il gusto migliore del mondo.

Le mani mi scorrono sopra la maglia, poi sotto. Sento la pelle dell’addome, morbida, il reggiseno sottile, che inizio ad esplorare infilandoci le mani dentro smanioso di sentire di nuovo il suo seno.

Lei sospira, mi morde leggermente il labbro inferiore. Con le gambe si stringe intorno a me, mi tira contro. Ci aggrovigliamo sempre di più l’uno sull’altra, con difficoltà le slaccio il reggiseno che ricade sulle sue cosce. Finalmente posso tirarle su la maglietta e liberare le sue tette enormi. Mi ci fiondo con la bocca: le lecco, le succhio, le stuzzico i capezzoli, le palpo a mani aperte.

“Fammi vedere quanto sei bravo con le mani, ingegnere.” mi invita lei.
La guardo strizzando un occhio. Le sbottono i jeans e calo piano piano la zip. Lei si inarca appena. Intravedo le sue mutandine, sono di un rosa chiaro, con un bordo di pizzo in alto ed un fiorellino, credo una margherita. Infilo la mano dentro, sento il monte di Venere liscio, morbido. Mi avvicino con l’indice al clitoride, sfrego la sua apertura che sento già calda e bagnata.

Mi guarda, sta arrossendo in viso, ma vedo che la voglia si sta impossessando di lei.
“Dai, fammi sentire…”

Proprio in quel momento, un rumore sordo. Prima una porta sbattuta, poi una voce in lontananza che mi chiama – o chi chiama – di cui non riesco a distinguere il proprietario.

Passi. Passi pesanti. Ho già capito tutto. Ci blocchiamo, come fermati da una mano invisibile. Levo la mano, lei si tira giù la maglia di scatto, si sistema il jeans. Non fa in tempo a indossare il reggiseno, che nasconde rapidamente in uno scatolone.

“Porca troia.” sussurro.
Lei si passa le dita tra i capelli, per ricomporsi.
“Che palle.”
Ci guardiamo. Lei sorride con un velo di amarezza.
“Questa cosa che ci interrompono sempre... comincia a sembrarmi personale.”
“Già.”

Quindi sento la voce forte, inconfondibile, di Flavio.
FABRI’?!” urla.
Ancora qualche passo, sempre più vicino, poi la porta si apre. Flavio mi squadra, mentre faccio finta – con poco successo – di controllare qualcosa.

“Che ce fai qua dietro?”
Io balbetto qualcosa, una scusa poco credibile.
“Eh… c’era un sensore che... volevo controllare, sai, era rimasto un problema…”
Mi fulmina lo sguardo. Riprende a parlare, sempre più serio.
“Ma che cazzo stai a dì? Mica ce starai a prova co mi sorella, eh? Guarda che te rompo er culo.”
Mi irrigidisco, ma cerco di mantenere la calma.
“No, ma che dici… ma te pare?”
Lui resta a fissarmi per un secondo troppo lungo. Poi fa una risata, forse finta.
“Daje, vieni va’. Me devi vede’ ‘na cosa.”

Mi trascina via per un braccio, quasi di forza. Mi giro velocemente per incrociare lo sguardo di Miriam. Lei è ancora lì, immobile, rossa in viso e con gli occhi che fissano il pavimento. Mi sento come un bambino che viene beccato dalla mamma a fare una marachella.

Ma non sono un bambino. E Flavio non è mio padre. Fanculo a lui, io voglio Miriam punto e basta. Non me ne frega un cazzo. Non mi importa se l’ha capito. Non mi importa se lo sospetta. Io Miriam la voglio.
Anche questo capitolo è scritto divinamente. Certo che palle sti fratelli in fondo lei è adulta e non penso sei il primo che se la vvuole fare..........
 
5. Controlli di qualità

La mattina dopo mi sveglio con calma. La notte l’ho pensata. E non solo mentalmente. Verso tarda mattinata, le scrivo.

“Com’è andata la riunione?”
Mi risponde subito.
“Bene. Per fortuna che ho dormito. Altrimenti sarebbe stato un disastro.”
Penso a qualche battuta simpatica per risponderle, ma lei mi anticipa, non andando troppo per il sottile.
“Stasera però... non vorrei dormire.”

Cazzo. Diretta la ragazza, mi piace. Ma potevo aspettarmelo. Ormai, ho cominciato a inquadrare Miriam. Leggo il messaggio, mi rigiro il cellulare tra le mani. Poi mi torna in mente un impegno già fissato. Un cazzo di anniversario di un mio cugino di cui mi frega poco o niente. Ma di quelli ai quali non puoi mancare, per non sembrare asociale e poco interessato alla famiglia. Già li vedo una volta ogni morte di papa – letteralmente, di questi tempi. Mi piange il cuore, ma devo dire a Miriam di rimandare il nostro incontro. Sperando che non se la prenda a male.

“Stasera non riesco… robe di famiglia… due palle.”
“Capito. Non ti invidio.”
Ancora una volta, penso a come uscire dall’impasse, ma ci pensa lei a indirizzare la conversazione.
“Tanto domattina passi in azienda, no?”
“Mah non so, non c’è molto da controllare, ho sistemato tutto l’altro ieri.”
Realizzo con un secondo di ritardo. A volte mi sento proprio stupido.
“Magari puoi controllare me.”
“Beh, mi sembra una proposta molto interessante.”
“Allora a domani.” chiude lei con un emoji del bacio.

La mattina dopo arrivo con calma, verso le undici. Doccia fatta, barba pure, dopobarba fresco passato e camicia leggera. Lei è in jeans e maglietta nera aderente, il caldo comincia a farsi sentire. Stavolta, però, il reggiseno lo ha. Con una maglietta del genere, sarebbe stato troppo audace non metterlo. Occhi truccati poco, come di consueto, ma quel poco che basta per ingrandirli.

Mi accoglie con un sorriso appena accennato. Si guarda intorno con aria circospetta, poi mi guida verso il retro, dove c’è una zona seminterrata, chiusa da una porta con scritto “Uso tecnico – accesso riservato”.

È un vecchio locale di stoccaggio: scaffali metallici pieni di detersivi industriali, scatoloni mezzi aperti, un banco da lavoro in disuso e una finestra in alto che dà sull’esterno, ma in una zona dove non passa quasi mai nessuno. E con le grate, difficilmente si vedrebbe qualcosa. Il pavimento è in cemento lucido, l’odore è un mix tra solvente e profumo di fiori sintetici. Non il massimo. E poi, se qualcosa ci si rovesciasse addosso, probabilmente finiremmo in pronto soccorso. Ma ci dobbiamo accontentare.

Lei chiude la porta. Ma non a chiave, anche perché non c’è.
“Tranquillo”, dice. “Di solito qui non entra nessuno. Di solito.”
Rido nervosamente.
“Questo sì che è rassicurante!”

Lei mi viene vicino. Si spiaccica letteralmente sul mio petto.
“Allora, vuoi controllare?”
“Non mi sembra che ci sia qualcosa che non va.”
“In effetti no.” fa lei con un po’ di spocchia. “Ma tu controlla uguale.”

Si fionda su di me, aprendo avidamente la bocca per coprire la mia e sguinzagliare la sua lingua. La prendo per la vita, la sollevo leggermente, lei si appoggia al banco. Sento nella sua bocca calda un leggero retrogusto di quello schifoso caffè della macchinetta, ma che mescolato al suo sapore lo fa sembrare il gusto migliore del mondo.

Le mani mi scorrono sopra la maglia, poi sotto. Sento la pelle dell’addome, morbida, il reggiseno sottile, che inizio ad esplorare infilandoci le mani dentro smanioso di sentire di nuovo il suo seno.

Lei sospira, mi morde leggermente il labbro inferiore. Con le gambe si stringe intorno a me, mi tira contro. Ci aggrovigliamo sempre di più l’uno sull’altra, con difficoltà le slaccio il reggiseno che ricade sulle sue cosce. Finalmente posso tirarle su la maglietta e liberare le sue tette enormi. Mi ci fiondo con la bocca: le lecco, le succhio, le stuzzico i capezzoli, le palpo a mani aperte.

“Fammi vedere quanto sei bravo con le mani, ingegnere.” mi invita lei.
La guardo strizzando un occhio. Le sbottono i jeans e calo piano piano la zip. Lei si inarca appena. Intravedo le sue mutandine, sono di un rosa chiaro, con un bordo di pizzo in alto ed un fiorellino, credo una margherita. Infilo la mano dentro, sento il monte di Venere liscio, morbido. Mi avvicino con l’indice al clitoride, sfrego la sua apertura che sento già calda e bagnata.

Mi guarda, sta arrossendo in viso, ma vedo che la voglia si sta impossessando di lei.
“Dai, fammi sentire…”

Proprio in quel momento, un rumore sordo. Prima una porta sbattuta, poi una voce in lontananza che mi chiama – o chi chiama – di cui non riesco a distinguere il proprietario.

Passi. Passi pesanti. Ho già capito tutto. Ci blocchiamo, come fermati da una mano invisibile. Levo la mano, lei si tira giù la maglia di scatto, si sistema il jeans. Non fa in tempo a indossare il reggiseno, che nasconde rapidamente in uno scatolone.

“Porca troia.” sussurro.
Lei si passa le dita tra i capelli, per ricomporsi.
“Che palle.”
Ci guardiamo. Lei sorride con un velo di amarezza.
“Questa cosa che ci interrompono sempre... comincia a sembrarmi personale.”
“Già.”

Quindi sento la voce forte, inconfondibile, di Flavio.
FABRI’?!” urla.
Ancora qualche passo, sempre più vicino, poi la porta si apre. Flavio mi squadra, mentre faccio finta – con poco successo – di controllare qualcosa.

“Che ce fai qua dietro?”
Io balbetto qualcosa, una scusa poco credibile.
“Eh… c’era un sensore che... volevo controllare, sai, era rimasto un problema…”
Mi fulmina lo sguardo. Riprende a parlare, sempre più serio.
“Ma che cazzo stai a dì? Mica ce starai a prova co mi sorella, eh? Guarda che te rompo er culo.”
Mi irrigidisco, ma cerco di mantenere la calma.
“No, ma che dici… ma te pare?”
Lui resta a fissarmi per un secondo troppo lungo. Poi fa una risata, forse finta.
“Daje, vieni va’. Me devi vede’ ‘na cosa.”

Mi trascina via per un braccio, quasi di forza. Mi giro velocemente per incrociare lo sguardo di Miriam. Lei è ancora lì, immobile, rossa in viso e con gli occhi che fissano il pavimento. Mi sento come un bambino che viene beccato dalla mamma a fare una marachella.

Ma non sono un bambino. E Flavio non è mio padre. Fanculo a lui, io voglio Miriam punto e basta. Non me ne frega un cazzo. Non mi importa se l’ha capito. Non mi importa se lo sospetta. Io Miriam la voglio.
Letto tutto d'un fiato, veramente bello e interessante.....complimenti :love:
 
Ci crederai o no ma ho vissuto una storia simile sul serio nella mia vita. Quindi tra un po' di romanzato ed un po' vero è un bel racconto e scritto bene con eleganza direi
Ci credo assolutamente, anzi, sto cercando di scrivere il racconto in modo tale che sia realistico e sono contento che ci siano in giro storie effettivamente simili

Letto tutto d'un fiato, veramente bello e interessante.....complimenti :love:
Grazie mille 🙏🏼
 
6. Ordinato disordine

Alla fine, resto con suo fratello un’altra mezz’ora. Mi mostra due cose da sistemare, io mi concentro, faccio quello che devo. Testo un attuatore, controllo una piccola perdita di pressione. Tutto regolare. Mi ammonisce ancora, ritirando fuori la storia della sorella, e io mi innervosisco. Probabilmente gli rispondo anche male.

Faccio per andar via, e non so se passare a salutare Miriam oppure no. Vedo in lontananza Flavio ancora che mi scruta, ma poi arriva lei e mi intercetta nel corridoio.
“Ti accompagno”, dice.

Camminiamo insieme in silenzio fino all’ingresso. Metto la mano sulla maniglia, e guardo verso l’interno. Adesso non c’è più nessuno; neanche Flavio, che pare sparito sul retro. Ci guardiamo. Furtivamente, senza dire nulla, mi bacia. Poi si gira e rientra.

Durante il resto della giornata sparisco un po’. Ma non è per colpa dei fratelli o della scena del magazzino. Credo. È che avevo una call con un cliente internazionale che doveva chiudere una commessa entro sera. Poi ho dovuto rivedere un’offerta e rispondere a una mail urgente per un progetto che avevo quasi dimenticato. Insomma, la classica giornata piena — di quelle che ti fagocitano.

Alle 21:43, mi vibra il telefono. È lei.

“Non ti starai mica tirando di nuovo indietro per colpa di mio fratello, vero? Te l’ho già detto: io sono adulta e decido da sola.”
Mi sento toccato dalle sue parole, forse perché in parte so che è così.
“No, oggi ero incasinato sul serio. Ma non c’entra tuo fratello. Non me ne frega proprio niente.”
“Allora dovresti farmi un favore. Avrei bisogno di un controllo urgente.”
“Su cosa?”
“Sul mio impianto di raffreddamento. A casa mia.”
“Funziona?”
“Non lo so. Ma forse è meglio che lo controlli bene.”

Quando arrivo sotto casa sua, mi sento un po’ teso. Tutti quei retropensieri sui fratelli mi condizionano, che io lo voglia o no. Per fortuna, Miriam scioglie subito l’atmosfera con una battuta.
“Benvenuto nel mio laboratorio.”

L’appartamento è al secondo piano. Non troppo grande, ma curato. Per tutta casa si respira un’aria di ordinato disordine. Ogni cosa ha un posto, ma non è tutto sistemato, preciso. C’è una tazza lasciata sul tavolo, un libro aperto sul divano, una coperta stropicciata sulla sedia. Sulle mensole ci sono candele, qualche pianta, boccette di prova e riviste di moda mischiate a cataloghi tecnici.

La casa la rispecchia in tutto e per tutto. È proprio come lei. Pulita, precisa, profumata. Ma con qualcosa di fuori posto qui e là, che ogni tanto sfugge. Come i capelli un po’ arruffati raccolti con la matita, o la felpa semiaperta con una manica tirata su e l’altra giù.

“Vuoi da bere?” mi domanda.
“Solo se non è caffè della macchinetta.”
“Promesso.”

Mi versa dell’acqua in un bicchiere di vetro spesso e poi mi guarda. Mi sento osservato mentre bevo. Vedo dal fondo del vetro che sorride e viene verso di me. Poggio il bicchiere sul tavolo, lei mi prende una mano, la stringe e poi mi bacia.

Stavolta già con veemenza. Riesco a percepire la sua voglia. Le mani mi scorrono sul petto, poi si arrampicano dietro la nuca e mi prende qualche capello tra le dita. Io la cingo per la vita, la stringo, la tiro contro di me. Sento ancora il suo seno appiattirsi contro il mio torace, così morbido ma così sodo.

Ha ancora la maglietta di stamattina, ma senza reggiseno. Chissà se l’ha recuperato o se l’ha lasciato dentro quello scatolone. E dal tessuto così sottile, svettano i suoi capezzoli. Le sfioro la schiena e le tiro su la maglietta, lei alza le braccia. Gliela sfilo, liberando al vento le sue tette che rimbalzano pesanti, si scontrano e poi restano lì, ondeggianti, a guardarmi.

Le prendo in mano, passo un dito sulle areole chiare, poco più scure della sua pelle candida. I capezzoli sono già duri, stavolta mi ci tuffo, li mordicchio e li lecco, e lei piega la testa all’indietro.

Respira più forte, mi sussurra qualcosa che non capisco. Mi apre la camicia. Le sue mani sono più decise di quanto pensassi. Mi spinge leggermente verso il divano. Mi siedo, e lei si mette sopra di me. Mi sfiora il collo con la lingua, mi morde piano il lobo dell’orecchio.

“Da dove vuoi cominciare il controllo?”
“Direi da qui, da dove ero rimasto.” dico, e le infilo una mano nella tuta.

La slaccia lei mentre le mie dita si fanno strada verso il basso. Se la sfila, niente intimo sotto. La cosa mi eccita a più non posso.

“Vedo che hai preparato bene l’impianto per il controllo.” faccio io.
Lei sorride appena ma poi torna seria perché inizia a godere.

Le mie dita le scivolano tra le sue cosce, lei si apre piano, si muove con il bacino. La guardo in faccia, ogni tanto la bacio, poi con la bocca torno sul seno. Ha gli occhi chiusi, le labbra socchiuse che ogni tanto si mordicchia o si ripassa con la lingua.

La mano affonda, poi torna su, poi affonda di nuovo. Le mie dita dentro di lei, bagnate, la esplorano, le sento umide. Vado in profondità. Lei segue i movimenti delle mie dita con il ventre, si contorce appena. Geme piano, con la testa appoggiata alla mia spalla.

Poi si ferma. Si alza in piedi e abbandona i pantaloni della tuta, che erano rimasti alle caviglie, sul tappeto, accanto alla maglietta.

“Vado in camera.” dice. Poi si gira. “Se vuoi controllare il resto dell’impianto, mi trovi lì.”

La vedo camminare nuda, il suo culo tondo, burroso, che ondeggia di qua e di là. Poi sparisce dietro l’archetto che porta alla zona notte. Non posso aspettare un solo minuto in più: mi alzo di scatto e la raggiungo. La porta della camera è socchiusa e cigola quando faccio per aprirla.

Miriam è in piedi, davanti al letto, completamente nuda. Ha acceso una piccola lampada da terra che fa una luce soffusa. Il letto non è rifatto perfettamente, il piumone è tirato a caso, ma c’è odore di buono. Ordinato disordine, anche qui.

Mi guarda.
“Chiudi la porta.” dice.

Lo faccio e poi mi avvicino, lento, sornione, con il passo di una pantera. Le metto le mani sui fianchi, la tiro contro di me. Io sono ancora praticamente vestito, ho solamente la camicia slacciata ed un’erezione che mi prega a gran voce di liberarla.

Ci baciamo di nuovo, con le dita scivolo sulla schiena, poi torno davanti. Le stringo i seni, uno alla volta, sfioro i capezzoli con i pollici. Lei chiude gli occhi, appoggia la fronte sulla mia.

“Non ti togli niente?”
Sorrido.
“Ci stavo arrivando.”

Mi tolgo la camicia e la poggio su una poltrona. Lei mi aiuta con la cintura, tira giù i jeans. Resto in boxer. Lei ci passa sopra le dita, lenta. Finalmente mi sta toccando. Li abbasso, il mio membro esulta nell’essere liberato. Miriam guarda tra le mie gambe e poi mi fissa dritto negli occhi. Si avvicina, allunga la mano e lo stringe.

Va con movimenti lenti, io mi godo ogni suo tocco. Allungo anche io la mano di nuovo verso il suo sesso, poi la spingo sul letto. Le lenzuola sanno di ammorbidente al cocco, ma sento anche il suo odore, quello di prima, e quello che avevo ancora sulle dita dalla mattina.

Sono sopra di lei. Le bacio il collo, di nuovo il seno – per me irresistibile – poi scendo verso il ventre, lei trema. Scivolo più in basso. Le bacio l’addome morbido, lei mi prende una mano e la stringe. Mordicchio la pelle del fianco un po’ sporgente poi scendo ancora.

Lei allarga le gambe. Non dice nulla, ma quello è un chiaro invito. La assaggio, la sento schiudersi nella mia bocca, sotto la mia lingua. La sento un po’ tesa, ma umida e calda. La esploro con la lingua, lecco il clitoride e le labbra, grandi e piccole. La lingua va lenta, poi più rapida, poi di nuovo lenta.

Lei si inarca, si copre la bocca con la mano, quasi si vergognasse.
“Non smettere…”

Sento il suo respiro che si spezza, le gambe che tremano, l’orgasmo che la pervade. Sono soddisfatto, e risalgo il suo corpo per finire occhi negli occhi.

“Voglio che controlli a fondo, adesso.” sussurra.

Le prendo le mani, le incastro tra le mie e le porto all’indietro sul cuscino, all’altezza della nuca. Mi avvicino con il bacino, e poi entro. La sua bocca si apre, ma non esce nessun suono. Ha gli occhi chiusi e un’espressione di godimento dipinta sulle labbra.

Comincio a muovermi lento, sento il piacere catturarmi. Il mio membro è immerso dentro di lei, la sento calda, umida, accogliente. Ogni tanto sento delle contrazioni, sento che pulsa, che mi vuole ancora più dentro. E allora spingo forte, lei ansima e porta le gambe dietro alla mia schiena. Ci incastriamo ancora di più. I nostri corpi sudati scivolano l’uno sull’altro, nella foga lei sbatte contro la testiera.

Ridiamo e ci fermiamo un secondo. Poi ricominciamo e torniamo seri, perché il piacere è enorme. Lei mi abbraccia e ci rotoliamo fino a invertirci di posizione. Ora sono io a stare sotto e lei è seduta su di me, si muove ritmicamente.

I capelli le scendono davanti, sudati, e ogni volta si porta una ciocca dietro le orecchie. La bocca socchiusa. È bellissima.

Seguiamo il ritmo dell’altro, un’orchestra che suona perfettamente all’unisono pur senza aver mai fatto una prova. Sento il mio fiato che si fa sempre più corto, il piacere cresce a più non posso, pronto ad esplodere.

Mugugno e la stringo forte per le mani, mi sollevo per mettere di nuovo il viso in mezzo al suo petto.
“Vieni?” mi chiede lei con un filo di voce.
“Sì…” rispondo io con ancor meno fiato.

Si sfila e si china su di me, basta qualche colpo di mano. Indirizza i miei fiotti sul suo seno, è una visione paradisiaca. Getti di seme caldo volano sulle sue tette enormi, colano piano, bagnano i capezzoli, ricadono lenti sulle mie cosce.

Sono esausto, ma dire che sono soddisfatto è dire poco. Ci lasciamo cadere sul letto, sudati, in silenzio. I nostri respiri affannosi piano piano rallentano e restiamo abbracciati. Lei mi bacia sulla bocca.

“Se ci avessero interrotto un’altra volta, avrei ammazzato qualcuno.”
“Anche io. Specie i tuoi fratelli.”
“Adesso non fare lo sborone, però.”

Ha ragione. La prendo a ridere e ridiamo insieme. Poi mi stringe. Ci addormentiamo nudi, aggrovigliati, ancora sudati e sporchi di sesso. Ma belli, e soddisfatti, e appagati. In un ordinato disordine, anche noi.
 
6. Ordinato disordine

Alla fine, resto con suo fratello un’altra mezz’ora. Mi mostra due cose da sistemare, io mi concentro, faccio quello che devo. Testo un attuatore, controllo una piccola perdita di pressione. Tutto regolare. Mi ammonisce ancora, ritirando fuori la storia della sorella, e io mi innervosisco. Probabilmente gli rispondo anche male.

Faccio per andar via, e non so se passare a salutare Miriam oppure no. Vedo in lontananza Flavio ancora che mi scruta, ma poi arriva lei e mi intercetta nel corridoio.
“Ti accompagno”, dice.

Camminiamo insieme in silenzio fino all’ingresso. Metto la mano sulla maniglia, e guardo verso l’interno. Adesso non c’è più nessuno; neanche Flavio, che pare sparito sul retro. Ci guardiamo. Furtivamente, senza dire nulla, mi bacia. Poi si gira e rientra.

Durante il resto della giornata sparisco un po’. Ma non è per colpa dei fratelli o della scena del magazzino. Credo. È che avevo una call con un cliente internazionale che doveva chiudere una commessa entro sera. Poi ho dovuto rivedere un’offerta e rispondere a una mail urgente per un progetto che avevo quasi dimenticato. Insomma, la classica giornata piena — di quelle che ti fagocitano.

Alle 21:43, mi vibra il telefono. È lei.

“Non ti starai mica tirando di nuovo indietro per colpa di mio fratello, vero? Te l’ho già detto: io sono adulta e decido da sola.”
Mi sento toccato dalle sue parole, forse perché in parte so che è così.
“No, oggi ero incasinato sul serio. Ma non c’entra tuo fratello. Non me ne frega proprio niente.”
“Allora dovresti farmi un favore. Avrei bisogno di un controllo urgente.”
“Su cosa?”
“Sul mio impianto di raffreddamento. A casa mia.”
“Funziona?”
“Non lo so. Ma forse è meglio che lo controlli bene.”

Quando arrivo sotto casa sua, mi sento un po’ teso. Tutti quei retropensieri sui fratelli mi condizionano, che io lo voglia o no. Per fortuna, Miriam scioglie subito l’atmosfera con una battuta.
“Benvenuto nel mio laboratorio.”

L’appartamento è al secondo piano. Non troppo grande, ma curato. Per tutta casa si respira un’aria di ordinato disordine. Ogni cosa ha un posto, ma non è tutto sistemato, preciso. C’è una tazza lasciata sul tavolo, un libro aperto sul divano, una coperta stropicciata sulla sedia. Sulle mensole ci sono candele, qualche pianta, boccette di prova e riviste di moda mischiate a cataloghi tecnici.

La casa la rispecchia in tutto e per tutto. È proprio come lei. Pulita, precisa, profumata. Ma con qualcosa di fuori posto qui e là, che ogni tanto sfugge. Come i capelli un po’ arruffati raccolti con la matita, o la felpa semiaperta con una manica tirata su e l’altra giù.

“Vuoi da bere?” mi domanda.
“Solo se non è caffè della macchinetta.”
“Promesso.”

Mi versa dell’acqua in un bicchiere di vetro spesso e poi mi guarda. Mi sento osservato mentre bevo. Vedo dal fondo del vetro che sorride e viene verso di me. Poggio il bicchiere sul tavolo, lei mi prende una mano, la stringe e poi mi bacia.

Stavolta già con veemenza. Riesco a percepire la sua voglia. Le mani mi scorrono sul petto, poi si arrampicano dietro la nuca e mi prende qualche capello tra le dita. Io la cingo per la vita, la stringo, la tiro contro di me. Sento ancora il suo seno appiattirsi contro il mio torace, così morbido ma così sodo.

Ha ancora la maglietta di stamattina, ma senza reggiseno. Chissà se l’ha recuperato o se l’ha lasciato dentro quello scatolone. E dal tessuto così sottile, svettano i suoi capezzoli. Le sfioro la schiena e le tiro su la maglietta, lei alza le braccia. Gliela sfilo, liberando al vento le sue tette che rimbalzano pesanti, si scontrano e poi restano lì, ondeggianti, a guardarmi.

Le prendo in mano, passo un dito sulle areole chiare, poco più scure della sua pelle candida. I capezzoli sono già duri, stavolta mi ci tuffo, li mordicchio e li lecco, e lei piega la testa all’indietro.

Respira più forte, mi sussurra qualcosa che non capisco. Mi apre la camicia. Le sue mani sono più decise di quanto pensassi. Mi spinge leggermente verso il divano. Mi siedo, e lei si mette sopra di me. Mi sfiora il collo con la lingua, mi morde piano il lobo dell’orecchio.

“Da dove vuoi cominciare il controllo?”
“Direi da qui, da dove ero rimasto.” dico, e le infilo una mano nella tuta.

La slaccia lei mentre le mie dita si fanno strada verso il basso. Se la sfila, niente intimo sotto. La cosa mi eccita a più non posso.

“Vedo che hai preparato bene l’impianto per il controllo.” faccio io.
Lei sorride appena ma poi torna seria perché inizia a godere.

Le mie dita le scivolano tra le sue cosce, lei si apre piano, si muove con il bacino. La guardo in faccia, ogni tanto la bacio, poi con la bocca torno sul seno. Ha gli occhi chiusi, le labbra socchiuse che ogni tanto si mordicchia o si ripassa con la lingua.

La mano affonda, poi torna su, poi affonda di nuovo. Le mie dita dentro di lei, bagnate, la esplorano, le sento umide. Vado in profondità. Lei segue i movimenti delle mie dita con il ventre, si contorce appena. Geme piano, con la testa appoggiata alla mia spalla.

Poi si ferma. Si alza in piedi e abbandona i pantaloni della tuta, che erano rimasti alle caviglie, sul tappeto, accanto alla maglietta.

“Vado in camera.” dice. Poi si gira. “Se vuoi controllare il resto dell’impianto, mi trovi lì.”

La vedo camminare nuda, il suo culo tondo, burroso, che ondeggia di qua e di là. Poi sparisce dietro l’archetto che porta alla zona notte. Non posso aspettare un solo minuto in più: mi alzo di scatto e la raggiungo. La porta della camera è socchiusa e cigola quando faccio per aprirla.

Miriam è in piedi, davanti al letto, completamente nuda. Ha acceso una piccola lampada da terra che fa una luce soffusa. Il letto non è rifatto perfettamente, il piumone è tirato a caso, ma c’è odore di buono. Ordinato disordine, anche qui.

Mi guarda.
“Chiudi la porta.” dice.

Lo faccio e poi mi avvicino, lento, sornione, con il passo di una pantera. Le metto le mani sui fianchi, la tiro contro di me. Io sono ancora praticamente vestito, ho solamente la camicia slacciata ed un’erezione che mi prega a gran voce di liberarla.

Ci baciamo di nuovo, con le dita scivolo sulla schiena, poi torno davanti. Le stringo i seni, uno alla volta, sfioro i capezzoli con i pollici. Lei chiude gli occhi, appoggia la fronte sulla mia.

“Non ti togli niente?”
Sorrido.
“Ci stavo arrivando.”

Mi tolgo la camicia e la poggio su una poltrona. Lei mi aiuta con la cintura, tira giù i jeans. Resto in boxer. Lei ci passa sopra le dita, lenta. Finalmente mi sta toccando. Li abbasso, il mio membro esulta nell’essere liberato. Miriam guarda tra le mie gambe e poi mi fissa dritto negli occhi. Si avvicina, allunga la mano e lo stringe.

Va con movimenti lenti, io mi godo ogni suo tocco. Allungo anche io la mano di nuovo verso il suo sesso, poi la spingo sul letto. Le lenzuola sanno di ammorbidente al cocco, ma sento anche il suo odore, quello di prima, e quello che avevo ancora sulle dita dalla mattina.

Sono sopra di lei. Le bacio il collo, di nuovo il seno – per me irresistibile – poi scendo verso il ventre, lei trema. Scivolo più in basso. Le bacio l’addome morbido, lei mi prende una mano e la stringe. Mordicchio la pelle del fianco un po’ sporgente poi scendo ancora.

Lei allarga le gambe. Non dice nulla, ma quello è un chiaro invito. La assaggio, la sento schiudersi nella mia bocca, sotto la mia lingua. La sento un po’ tesa, ma umida e calda. La esploro con la lingua, lecco il clitoride e le labbra, grandi e piccole. La lingua va lenta, poi più rapida, poi di nuovo lenta.

Lei si inarca, si copre la bocca con la mano, quasi si vergognasse.
“Non smettere…”

Sento il suo respiro che si spezza, le gambe che tremano, l’orgasmo che la pervade. Sono soddisfatto, e risalgo il suo corpo per finire occhi negli occhi.

“Voglio che controlli a fondo, adesso.” sussurra.

Le prendo le mani, le incastro tra le mie e le porto all’indietro sul cuscino, all’altezza della nuca. Mi avvicino con il bacino, e poi entro. La sua bocca si apre, ma non esce nessun suono. Ha gli occhi chiusi e un’espressione di godimento dipinta sulle labbra.

Comincio a muovermi lento, sento il piacere catturarmi. Il mio membro è immerso dentro di lei, la sento calda, umida, accogliente. Ogni tanto sento delle contrazioni, sento che pulsa, che mi vuole ancora più dentro. E allora spingo forte, lei ansima e porta le gambe dietro alla mia schiena. Ci incastriamo ancora di più. I nostri corpi sudati scivolano l’uno sull’altro, nella foga lei sbatte contro la testiera.

Ridiamo e ci fermiamo un secondo. Poi ricominciamo e torniamo seri, perché il piacere è enorme. Lei mi abbraccia e ci rotoliamo fino a invertirci di posizione. Ora sono io a stare sotto e lei è seduta su di me, si muove ritmicamente.

I capelli le scendono davanti, sudati, e ogni volta si porta una ciocca dietro le orecchie. La bocca socchiusa. È bellissima.

Seguiamo il ritmo dell’altro, un’orchestra che suona perfettamente all’unisono pur senza aver mai fatto una prova. Sento il mio fiato che si fa sempre più corto, il piacere cresce a più non posso, pronto ad esplodere.

Mugugno e la stringo forte per le mani, mi sollevo per mettere di nuovo il viso in mezzo al suo petto.
“Vieni?” mi chiede lei con un filo di voce.
“Sì…” rispondo io con ancor meno fiato.

Si sfila e si china su di me, basta qualche colpo di mano. Indirizza i miei fiotti sul suo seno, è una visione paradisiaca. Getti di seme caldo volano sulle sue tette enormi, colano piano, bagnano i capezzoli, ricadono lenti sulle mie cosce.

Sono esausto, ma dire che sono soddisfatto è dire poco. Ci lasciamo cadere sul letto, sudati, in silenzio. I nostri respiri affannosi piano piano rallentano e restiamo abbracciati. Lei mi bacia sulla bocca.

“Se ci avessero interrotto un’altra volta, avrei ammazzato qualcuno.”
“Anche io. Specie i tuoi fratelli.”
“Adesso non fare lo sborone, però.”

Ha ragione. La prendo a ridere e ridiamo insieme. Poi mi stringe. Ci addormentiamo nudi, aggrovigliati, ancora sudati e sporchi di sesso. Ma belli, e soddisfatti, e appagati. In un ordinato disordine, anche noi.
Wow non mi aspettavo due capitoli di fila
 
La descrizione della casa, semplicemente incredibile. Peccato per non avere una macchina del caffè degna di nota!
 
6. Ordinato disordine

Alla fine, resto con suo fratello un’altra mezz’ora. Mi mostra due cose da sistemare, io mi concentro, faccio quello che devo. Testo un attuatore, controllo una piccola perdita di pressione. Tutto regolare. Mi ammonisce ancora, ritirando fuori la storia della sorella, e io mi innervosisco. Probabilmente gli rispondo anche male.

Faccio per andar via, e non so se passare a salutare Miriam oppure no. Vedo in lontananza Flavio ancora che mi scruta, ma poi arriva lei e mi intercetta nel corridoio.
“Ti accompagno”, dice.

Camminiamo insieme in silenzio fino all’ingresso. Metto la mano sulla maniglia, e guardo verso l’interno. Adesso non c’è più nessuno; neanche Flavio, che pare sparito sul retro. Ci guardiamo. Furtivamente, senza dire nulla, mi bacia. Poi si gira e rientra.

Durante il resto della giornata sparisco un po’. Ma non è per colpa dei fratelli o della scena del magazzino. Credo. È che avevo una call con un cliente internazionale che doveva chiudere una commessa entro sera. Poi ho dovuto rivedere un’offerta e rispondere a una mail urgente per un progetto che avevo quasi dimenticato. Insomma, la classica giornata piena — di quelle che ti fagocitano.

Alle 21:43, mi vibra il telefono. È lei.

“Non ti starai mica tirando di nuovo indietro per colpa di mio fratello, vero? Te l’ho già detto: io sono adulta e decido da sola.”
Mi sento toccato dalle sue parole, forse perché in parte so che è così.
“No, oggi ero incasinato sul serio. Ma non c’entra tuo fratello. Non me ne frega proprio niente.”
“Allora dovresti farmi un favore. Avrei bisogno di un controllo urgente.”
“Su cosa?”
“Sul mio impianto di raffreddamento. A casa mia.”
“Funziona?”
“Non lo so. Ma forse è meglio che lo controlli bene.”

Quando arrivo sotto casa sua, mi sento un po’ teso. Tutti quei retropensieri sui fratelli mi condizionano, che io lo voglia o no. Per fortuna, Miriam scioglie subito l’atmosfera con una battuta.
“Benvenuto nel mio laboratorio.”

L’appartamento è al secondo piano. Non troppo grande, ma curato. Per tutta casa si respira un’aria di ordinato disordine. Ogni cosa ha un posto, ma non è tutto sistemato, preciso. C’è una tazza lasciata sul tavolo, un libro aperto sul divano, una coperta stropicciata sulla sedia. Sulle mensole ci sono candele, qualche pianta, boccette di prova e riviste di moda mischiate a cataloghi tecnici.

La casa la rispecchia in tutto e per tutto. È proprio come lei. Pulita, precisa, profumata. Ma con qualcosa di fuori posto qui e là, che ogni tanto sfugge. Come i capelli un po’ arruffati raccolti con la matita, o la felpa semiaperta con una manica tirata su e l’altra giù.

“Vuoi da bere?” mi domanda.
“Solo se non è caffè della macchinetta.”
“Promesso.”

Mi versa dell’acqua in un bicchiere di vetro spesso e poi mi guarda. Mi sento osservato mentre bevo. Vedo dal fondo del vetro che sorride e viene verso di me. Poggio il bicchiere sul tavolo, lei mi prende una mano, la stringe e poi mi bacia.

Stavolta già con veemenza. Riesco a percepire la sua voglia. Le mani mi scorrono sul petto, poi si arrampicano dietro la nuca e mi prende qualche capello tra le dita. Io la cingo per la vita, la stringo, la tiro contro di me. Sento ancora il suo seno appiattirsi contro il mio torace, così morbido ma così sodo.

Ha ancora la maglietta di stamattina, ma senza reggiseno. Chissà se l’ha recuperato o se l’ha lasciato dentro quello scatolone. E dal tessuto così sottile, svettano i suoi capezzoli. Le sfioro la schiena e le tiro su la maglietta, lei alza le braccia. Gliela sfilo, liberando al vento le sue tette che rimbalzano pesanti, si scontrano e poi restano lì, ondeggianti, a guardarmi.

Le prendo in mano, passo un dito sulle areole chiare, poco più scure della sua pelle candida. I capezzoli sono già duri, stavolta mi ci tuffo, li mordicchio e li lecco, e lei piega la testa all’indietro.

Respira più forte, mi sussurra qualcosa che non capisco. Mi apre la camicia. Le sue mani sono più decise di quanto pensassi. Mi spinge leggermente verso il divano. Mi siedo, e lei si mette sopra di me. Mi sfiora il collo con la lingua, mi morde piano il lobo dell’orecchio.

“Da dove vuoi cominciare il controllo?”
“Direi da qui, da dove ero rimasto.” dico, e le infilo una mano nella tuta.

La slaccia lei mentre le mie dita si fanno strada verso il basso. Se la sfila, niente intimo sotto. La cosa mi eccita a più non posso.

“Vedo che hai preparato bene l’impianto per il controllo.” faccio io.
Lei sorride appena ma poi torna seria perché inizia a godere.

Le mie dita le scivolano tra le sue cosce, lei si apre piano, si muove con il bacino. La guardo in faccia, ogni tanto la bacio, poi con la bocca torno sul seno. Ha gli occhi chiusi, le labbra socchiuse che ogni tanto si mordicchia o si ripassa con la lingua.

La mano affonda, poi torna su, poi affonda di nuovo. Le mie dita dentro di lei, bagnate, la esplorano, le sento umide. Vado in profondità. Lei segue i movimenti delle mie dita con il ventre, si contorce appena. Geme piano, con la testa appoggiata alla mia spalla.

Poi si ferma. Si alza in piedi e abbandona i pantaloni della tuta, che erano rimasti alle caviglie, sul tappeto, accanto alla maglietta.

“Vado in camera.” dice. Poi si gira. “Se vuoi controllare il resto dell’impianto, mi trovi lì.”

La vedo camminare nuda, il suo culo tondo, burroso, che ondeggia di qua e di là. Poi sparisce dietro l’archetto che porta alla zona notte. Non posso aspettare un solo minuto in più: mi alzo di scatto e la raggiungo. La porta della camera è socchiusa e cigola quando faccio per aprirla.

Miriam è in piedi, davanti al letto, completamente nuda. Ha acceso una piccola lampada da terra che fa una luce soffusa. Il letto non è rifatto perfettamente, il piumone è tirato a caso, ma c’è odore di buono. Ordinato disordine, anche qui.

Mi guarda.
“Chiudi la porta.” dice.

Lo faccio e poi mi avvicino, lento, sornione, con il passo di una pantera. Le metto le mani sui fianchi, la tiro contro di me. Io sono ancora praticamente vestito, ho solamente la camicia slacciata ed un’erezione che mi prega a gran voce di liberarla.

Ci baciamo di nuovo, con le dita scivolo sulla schiena, poi torno davanti. Le stringo i seni, uno alla volta, sfioro i capezzoli con i pollici. Lei chiude gli occhi, appoggia la fronte sulla mia.

“Non ti togli niente?”
Sorrido.
“Ci stavo arrivando.”

Mi tolgo la camicia e la poggio su una poltrona. Lei mi aiuta con la cintura, tira giù i jeans. Resto in boxer. Lei ci passa sopra le dita, lenta. Finalmente mi sta toccando. Li abbasso, il mio membro esulta nell’essere liberato. Miriam guarda tra le mie gambe e poi mi fissa dritto negli occhi. Si avvicina, allunga la mano e lo stringe.

Va con movimenti lenti, io mi godo ogni suo tocco. Allungo anche io la mano di nuovo verso il suo sesso, poi la spingo sul letto. Le lenzuola sanno di ammorbidente al cocco, ma sento anche il suo odore, quello di prima, e quello che avevo ancora sulle dita dalla mattina.

Sono sopra di lei. Le bacio il collo, di nuovo il seno – per me irresistibile – poi scendo verso il ventre, lei trema. Scivolo più in basso. Le bacio l’addome morbido, lei mi prende una mano e la stringe. Mordicchio la pelle del fianco un po’ sporgente poi scendo ancora.

Lei allarga le gambe. Non dice nulla, ma quello è un chiaro invito. La assaggio, la sento schiudersi nella mia bocca, sotto la mia lingua. La sento un po’ tesa, ma umida e calda. La esploro con la lingua, lecco il clitoride e le labbra, grandi e piccole. La lingua va lenta, poi più rapida, poi di nuovo lenta.

Lei si inarca, si copre la bocca con la mano, quasi si vergognasse.
“Non smettere…”

Sento il suo respiro che si spezza, le gambe che tremano, l’orgasmo che la pervade. Sono soddisfatto, e risalgo il suo corpo per finire occhi negli occhi.

“Voglio che controlli a fondo, adesso.” sussurra.

Le prendo le mani, le incastro tra le mie e le porto all’indietro sul cuscino, all’altezza della nuca. Mi avvicino con il bacino, e poi entro. La sua bocca si apre, ma non esce nessun suono. Ha gli occhi chiusi e un’espressione di godimento dipinta sulle labbra.

Comincio a muovermi lento, sento il piacere catturarmi. Il mio membro è immerso dentro di lei, la sento calda, umida, accogliente. Ogni tanto sento delle contrazioni, sento che pulsa, che mi vuole ancora più dentro. E allora spingo forte, lei ansima e porta le gambe dietro alla mia schiena. Ci incastriamo ancora di più. I nostri corpi sudati scivolano l’uno sull’altro, nella foga lei sbatte contro la testiera.

Ridiamo e ci fermiamo un secondo. Poi ricominciamo e torniamo seri, perché il piacere è enorme. Lei mi abbraccia e ci rotoliamo fino a invertirci di posizione. Ora sono io a stare sotto e lei è seduta su di me, si muove ritmicamente.

I capelli le scendono davanti, sudati, e ogni volta si porta una ciocca dietro le orecchie. La bocca socchiusa. È bellissima.

Seguiamo il ritmo dell’altro, un’orchestra che suona perfettamente all’unisono pur senza aver mai fatto una prova. Sento il mio fiato che si fa sempre più corto, il piacere cresce a più non posso, pronto ad esplodere.

Mugugno e la stringo forte per le mani, mi sollevo per mettere di nuovo il viso in mezzo al suo petto.
“Vieni?” mi chiede lei con un filo di voce.
“Sì…” rispondo io con ancor meno fiato.

Si sfila e si china su di me, basta qualche colpo di mano. Indirizza i miei fiotti sul suo seno, è una visione paradisiaca. Getti di seme caldo volano sulle sue tette enormi, colano piano, bagnano i capezzoli, ricadono lenti sulle mie cosce.

Sono esausto, ma dire che sono soddisfatto è dire poco. Ci lasciamo cadere sul letto, sudati, in silenzio. I nostri respiri affannosi piano piano rallentano e restiamo abbracciati. Lei mi bacia sulla bocca.

“Se ci avessero interrotto un’altra volta, avrei ammazzato qualcuno.”
“Anche io. Specie i tuoi fratelli.”
“Adesso non fare lo sborone, però.”

Ha ragione. La prendo a ridere e ridiamo insieme. Poi mi stringe. Ci addormentiamo nudi, aggrovigliati, ancora sudati e sporchi di sesso. Ma belli, e soddisfatti, e appagati. In un ordinato disordine, anche noi.
non un solo capitolo che hai scritto ha deluso le aspettative. complimenti..
 
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