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Mio marito è spesso fuori città per lavoro. Se oggi questa cosa capita al massimo due giorni alla settimana, qualche anno fa c’è stato un determinato periodo in cui capitava con più frequenza.
Quando decidiamo di mangiare una pizza a casa, per velocità e pigrizia, di solito ce la facciamo consegnare da una pizzeria egiziana che si trova a meno di un chilometro da casa nostra.
Di solito, è mio marito o mio figlio più grande a occuparsi di aprire la porta e pagare.
Una sera di qualche anno fa, avevo avuto una giornata di lavoro piuttosto pesante. Sapendo che avrei fatto tardi, avevo chiesto ai miei di andare a prendere i miei figli a scuola e di farli dormire a casa loro.
Decisi di ordinarmi una pizza.
Quando citofonarono, vidi che a consegnarla era venuto il titolare. Un egiziano sui 45, sempre molto gentile con me e con mio marito, sempre sorridente e cordiale ogni volta che passavamo fuori la pizzeria o che veniva a portarci le pizze personalmente. Un bel viso, carnagione olivastra, belle braccia muscolose e molto pelose, mani grandi, un po’ di pancia dovuta probabilmente alla quantità di pizze che per praticità mangerà ogni settimana.
Ero ancora vestita con gli abiti indossati per gli impegni lavorativi di quel giorno: un jeans, delle scarpe nere con tacco e una camicetta verde attillata. Senza rifletterci troppo, in modo molto istintivo, sbottonai quasi tutti i bottoni della scollatura. Sotto indossavo un completino nero di pizzo. Aprii la porta. L’egiziano mi fece un gran sorriso. Ricambiai con un sorriso dolce e solare, chiedendogli come stava e se aveva molto lavoro quella sera. Mentre parlavo, notai subito il suo sguardo cadere sulla scollatura. Posai la pizza sul tavolo e mi chinai leggermente per cercare il portafogli nella borsa, sapendo che quel gesto avrebbe reso ancora più evidente la scollatura. Con la coda dell’occhio, riuscii a scorgere il suo sguardo incuriosito e il sorriso che aveva in volto. Dopo avergli dato i soldi, lo salutai rivolgendogli il più acceso dei sorrisi e lo stesso fece lui con me.
Mi sedetti e iniziai a mangiare la pizza, ancora un po’ tremante dopo la provocazione che senza pensarci troppo avevo creato. Mangiavo e ripensavo alla scena. Al suo sguardo. Ai peli sulle sue braccia. Lasciai la pizza a metà. Andai in bagno e riempii la vasca idro massaggio. Mi spogliai velocemente buttando per aria i vestiti. Una volta immersa, iniziai a toccarmi i seni e poi a masturbarmi lentamente, aumentando sempre più il ritmo man mano che le fantasie diventavano più nitide nella mia testa. Avevo gli occhi chiusi e immaginavo. Lui che mentre ero intenta a cercare i soldi mi chiedeva se mio marito ci fosse e io che distrattamente gli rispondevo che ero sola in casa. La sua mano che chiudeva la porta alle sue spalle. Mentre alzavo lo sguardo di scatto. Spaventata e sorpresa. Lo vedevo poggiare il casco per terra e avvicinarsi a me lentamente, toccandosi il cazzo da sopra i jeans.
“Ma che diavolo fai?”
“Scommetto che me lo vuoi succhiare, vero bella signora?”
Con gli occhi chiusi, immaginavo la mia eccitazione e la paura in una situazione del genere.
“Sì...ma te lo succhio e poi sparisci. E non lo dici a nessuno. E qui non ci devi venire più a consegnare le pizze.”
“Va bene...adesso però stai zitta e succhiami le palle e poi il cazzo”.
Mi inginocchiai e mi tolsi velocemente camicia e reggiseno.
Era sempre più vicino a me. Il cazzo gli stava esplodendo da sotto ai pantaloni.
“Vieni qui...”
Si avvicinò e gli presi le mani e me le poggiai sui seni. Inizio’ a stringere con le mani forti e ruvide.
Prima con titubanza e poi così forte da far male.
Gli tolsi la cintura e gli sbottonai i jeans. Glielo tirai fuori.
Aveva un cazzo scuro, non particolarmente curato dal punto di vista igienico. Pieno di peli scuri e crespi. Iniziai a succhiargli le palle. Scure, pelose e gonfissime. Con la mano gli massaggiavo la cappella gonfia e già umida. Dopo avergliele succhiate e mordicchiate per un po’, decisi di accogliere il suo cazzo tra le labbra, dedicandomi a lui prima con le sole labbra e poi con la lingua. Lo sentivo godere e rilassarsi. Succhiavo avidamente. Dopo aver aumentato il ritmo, prese la mia nuca tra le mani, stringendo i capelli e spingendo con insistenza la mia testa. Dovetti fermarmi due volte per i conati di vomito. Ma ripreso subito. Meritava che io arrivassi fino in fondo. E così fu.. sentii la gola e le labbra innaffiate da un getto caldo denso e acidulo. Gemeva e mi diceva che ero proprio brava. Gli ripulii la cappella con la lingua e quando staccai la bocca, si avvicinò al tavolo col cazzo ancora gocciolante, apri’ il cartone delle pizze e iniziò a scappellarsi sulla pizza, facendo cadere un po’ di seme sulla pizza.
“Ora mangia la mia pizza troia”.
Scoppiai a ridere, e con la bocca ancora bagnata dal suo seme, il trucco completamente sbavato, mi avvicinai in ginocchio al tavolo e staccai con le mani il pezzo di pizza dove era venuto. Restai in ginocchio e lo mangiai golosamente guardandolo dritto negli occhi.
In quel momento, nella vasca, una scarica elettrica mi attraverso’ il corpo. Venni, urlando senza inibizioni. Venni gioiosamente, persa in una fantasia che mai avrei immaginato di poter creare.
Quando decidiamo di mangiare una pizza a casa, per velocità e pigrizia, di solito ce la facciamo consegnare da una pizzeria egiziana che si trova a meno di un chilometro da casa nostra.
Di solito, è mio marito o mio figlio più grande a occuparsi di aprire la porta e pagare.
Una sera di qualche anno fa, avevo avuto una giornata di lavoro piuttosto pesante. Sapendo che avrei fatto tardi, avevo chiesto ai miei di andare a prendere i miei figli a scuola e di farli dormire a casa loro.
Decisi di ordinarmi una pizza.
Quando citofonarono, vidi che a consegnarla era venuto il titolare. Un egiziano sui 45, sempre molto gentile con me e con mio marito, sempre sorridente e cordiale ogni volta che passavamo fuori la pizzeria o che veniva a portarci le pizze personalmente. Un bel viso, carnagione olivastra, belle braccia muscolose e molto pelose, mani grandi, un po’ di pancia dovuta probabilmente alla quantità di pizze che per praticità mangerà ogni settimana.
Ero ancora vestita con gli abiti indossati per gli impegni lavorativi di quel giorno: un jeans, delle scarpe nere con tacco e una camicetta verde attillata. Senza rifletterci troppo, in modo molto istintivo, sbottonai quasi tutti i bottoni della scollatura. Sotto indossavo un completino nero di pizzo. Aprii la porta. L’egiziano mi fece un gran sorriso. Ricambiai con un sorriso dolce e solare, chiedendogli come stava e se aveva molto lavoro quella sera. Mentre parlavo, notai subito il suo sguardo cadere sulla scollatura. Posai la pizza sul tavolo e mi chinai leggermente per cercare il portafogli nella borsa, sapendo che quel gesto avrebbe reso ancora più evidente la scollatura. Con la coda dell’occhio, riuscii a scorgere il suo sguardo incuriosito e il sorriso che aveva in volto. Dopo avergli dato i soldi, lo salutai rivolgendogli il più acceso dei sorrisi e lo stesso fece lui con me.
Mi sedetti e iniziai a mangiare la pizza, ancora un po’ tremante dopo la provocazione che senza pensarci troppo avevo creato. Mangiavo e ripensavo alla scena. Al suo sguardo. Ai peli sulle sue braccia. Lasciai la pizza a metà. Andai in bagno e riempii la vasca idro massaggio. Mi spogliai velocemente buttando per aria i vestiti. Una volta immersa, iniziai a toccarmi i seni e poi a masturbarmi lentamente, aumentando sempre più il ritmo man mano che le fantasie diventavano più nitide nella mia testa. Avevo gli occhi chiusi e immaginavo. Lui che mentre ero intenta a cercare i soldi mi chiedeva se mio marito ci fosse e io che distrattamente gli rispondevo che ero sola in casa. La sua mano che chiudeva la porta alle sue spalle. Mentre alzavo lo sguardo di scatto. Spaventata e sorpresa. Lo vedevo poggiare il casco per terra e avvicinarsi a me lentamente, toccandosi il cazzo da sopra i jeans.
“Ma che diavolo fai?”
“Scommetto che me lo vuoi succhiare, vero bella signora?”
Con gli occhi chiusi, immaginavo la mia eccitazione e la paura in una situazione del genere.
“Sì...ma te lo succhio e poi sparisci. E non lo dici a nessuno. E qui non ci devi venire più a consegnare le pizze.”
“Va bene...adesso però stai zitta e succhiami le palle e poi il cazzo”.
Mi inginocchiai e mi tolsi velocemente camicia e reggiseno.
Era sempre più vicino a me. Il cazzo gli stava esplodendo da sotto ai pantaloni.
“Vieni qui...”
Si avvicinò e gli presi le mani e me le poggiai sui seni. Inizio’ a stringere con le mani forti e ruvide.
Prima con titubanza e poi così forte da far male.
Gli tolsi la cintura e gli sbottonai i jeans. Glielo tirai fuori.
Aveva un cazzo scuro, non particolarmente curato dal punto di vista igienico. Pieno di peli scuri e crespi. Iniziai a succhiargli le palle. Scure, pelose e gonfissime. Con la mano gli massaggiavo la cappella gonfia e già umida. Dopo avergliele succhiate e mordicchiate per un po’, decisi di accogliere il suo cazzo tra le labbra, dedicandomi a lui prima con le sole labbra e poi con la lingua. Lo sentivo godere e rilassarsi. Succhiavo avidamente. Dopo aver aumentato il ritmo, prese la mia nuca tra le mani, stringendo i capelli e spingendo con insistenza la mia testa. Dovetti fermarmi due volte per i conati di vomito. Ma ripreso subito. Meritava che io arrivassi fino in fondo. E così fu.. sentii la gola e le labbra innaffiate da un getto caldo denso e acidulo. Gemeva e mi diceva che ero proprio brava. Gli ripulii la cappella con la lingua e quando staccai la bocca, si avvicinò al tavolo col cazzo ancora gocciolante, apri’ il cartone delle pizze e iniziò a scappellarsi sulla pizza, facendo cadere un po’ di seme sulla pizza.
“Ora mangia la mia pizza troia”.
Scoppiai a ridere, e con la bocca ancora bagnata dal suo seme, il trucco completamente sbavato, mi avvicinai in ginocchio al tavolo e staccai con le mani il pezzo di pizza dove era venuto. Restai in ginocchio e lo mangiai golosamente guardandolo dritto negli occhi.
In quel momento, nella vasca, una scarica elettrica mi attraverso’ il corpo. Venni, urlando senza inibizioni. Venni gioiosamente, persa in una fantasia che mai avrei immaginato di poter creare.