Racconto di fantasia Chiamami per un controllo

Lo smart work dovrebbe essere proibito! Pensate a quella povera macchina da caffè lasciata da sola! Inoltre menomale che lei di sicuro ha controllato chi fosse uscito dalla video call!
Secondo me al fratello sarebbe venuto un infarto ahahahahha
 
Lo smart work dovrebbe essere proibito! Pensate a quella povera macchina da caffè lasciata da sola! Inoltre menomale che lei di sicuro ha controllato chi fosse uscito dalla video call!
Se i fratelli fossero rimasti per sbaglio nella call si sarebbe sentito al telegiornale 😂
 
7. Verifica post-intervento

La mattina dopo mi sveglio ancora addosso a lei. Ha i capelli aggrovigliati contro la mia spalla, la pelle è calda sotto la coperta. Mi alzo piano per non svegliarla, ma urto il comodino. Un male boia al ginocchio, porca troia.

“Ehi…” fa lei con gli occhi pieni di sonno.
“Non volevo svegliarti…” dico io sottovoce.
“Già te ne vai?”
“Il lavoro mi chiama.” rispondo. Poi le do un bacio sulla fronte. “Ci sentiamo dopo.”

Verso le dieci, mentre sono in studio a rivedere un preventivo, mi arriva un messaggio.
“Mi fa male tutto. Complimenti.”
“Allora forse hai bisogno di un altro controllo.”
“Forse sì… magari ti richiamo per la manutenzione.”

Poi mi manda una foto. Un angolo del suo letto con la coperta spiegazzata e le sue gambe nude, allungate, e una mano a coprire appena l’interno coscia. Non si vede quasi nulla, ma mi fa eccitare comunque.

Nel pomeriggio, abbiamo una call programmata con i fratelli per fare il punto della situazione. Mi collego in orario, sento un po’ di tensione. Spero di riuscire a dissimulare.

Miriam appare sullo schermo; ha la sua classica felpa da smartworking nera, o blu scuro, ancora non l’ho capito. Ha la faccia seria. Dietro di lei vedo il divano del salone e mi torna alla mente quello che stavamo facendo esattamente lì neanche ventiquattro ore prima.

Cerco di stare composto. Parlo poco. Spero che non si noti che sono strano, trattenuto. Che ogni tanto la guardo, cerco insistentemente i suoi occhi che vedo appena stanche, io so benissimo il perché.

Ad un certo punto, uno dei fratelli mi chiede qualcosa su un adattatore per la tappatrice. Rispondo con due frasi appena. Poi Miriam prende la parola e, come al solito, è precisa e puntuale, il tono calmissimo. Ha un controllo che mi fa impazzire. Ma come cazzo fa? Io mi sento un adolescente in piena crisi ormonale. La guardo e mi torna in mente tutto. Il letto. I gemiti, la casa, il letto. Le tette, soprattutto.

Questa call è stata un’autentica agonia, ma per fortuna dopo quaranta minuti siamo arrivati al riepilogo. I fratelli salutano, Lorenzo anche. Miriam, ancora una volta, resta. Io pure, come mio solito.

“Puoi restare due minuti?” mi chiede lei, quasi seria.
“Certo.”

Poi sorride. Si abbassa la zip della felpa ancora un po’, e si china in avanti verso la webcam. Stavolta è evidente. La felpa si allarga e stavolta non esce una, ma entrambe le tette. Senza reggiseno, chiaramente. Mi risveglio di botto dal torpore.

“Lo sapevo che l’altra volta l’avevi fatto apposta!”
Lei ridacchia, quasi infastidita dalla mia ingenuità.
“Bravo genio. Pensavi che la penna mi fosse scivolata per sbaglio?”
“Beh, sembrava quasi credibile.”
“E tu che facevi? Quello professionale che fa finta di niente?”
“Ci ho provato.”
“Non ti è riuscito benissimo. Si vedeva lontano un miglio che avevi adocchiato qualcosa.”
Decido di stuzzicarla.
“Quindi è tua consuetudine far vedere le tette alla fine di ogni call?”
“Solo agli addetti al controllo.”
“E...” faccio io premendo sull’acceleratore. “Fai vedere solo quelle?”

Sorride con malizia. Si piega all’indietro e si sfila del tutto la felpa, appoggiandola sullo schienale della sedia. Comincia a toccarsi il seno. Ogni volta mi stupisco e mi eccito alla sua vista. Miriam ha le mani non particolarmente grandi, con il palmo riesce a coprire solo una piccola parte di tutto il suo bendidio.

Si massaggia, poi con le dita comincia a scendere sul ventre.
“Come sta l’impianto che ho controllato? È tutto a posto?” chiedo.
Aggrotta le sopracciglia e si sporge in avanti per sistemare la webcam. Il suo viso sparisce dietro le tette per qualche secondo. Ora la camera punta più in basso.
“Tu che dici?” sussurra, maliziosa.

Comincia a toccarsi, le sue dita sottili si accarezzano l’interno coscia. Piega le ginocchia e poggia i piedi sulla sedia, poi allarga le gambe. Io mi slaccio i pantaloni e inizio a infilare la mano dentro i boxer. Lei lo nota e geme.

“Mi pensi adesso?”
“Ti penso da stamattina.”

Si morde il labbro e le sue dita si muovono veloci. Il medio si stuzzica il clitoride, poi si massaggia l’apertura. Lei esplode per prima. Si piega in avanti, con un piccolo gemito trattenuto, la bocca semiaperta, le dita ancora premute tra le cosce. Chiude le gambe, per concentrare il piacere. Resta così un momento, poi riapre gli occhi.

Io guardo incredulo, lascio per un momento la presa attorno al mio cazzo, più rosso che mai. Vedo che mi sorride ammiccando.

“E tu? Non mi fai vedere come finisci?”
Me lo afferro di nuovo, e ho il respiro corto. Mi immagino ancora di essere lì da lei, come la sera prima. Lei osserva con curiosità, mentre il suo seno è ancora al vento in tutto il suo splendore.
“Se continui a guardarmi così…”
“Così come?” fa lei, avvicinandosi alla webcam.
“Esattamente così.” ansimo.

Lei si morde il labbro, poi si tocca il seno con una mano, lentamente. Si stuzzica i capezzoli. Per me è il colpo di grazia. Non mi ero minimamente preparato a tutto ciò, e vengo esplodendo in una miriade di fiotti. Qualcuno anche sul tavolo, sulla tastiera.

Poggio la testa all’indietro sulla sedia. Miriam mi guarda soddisfatta, mentre io tiro il fiato e cerco un fazzoletto o qualcosa per pulirmi. Si sistema i capelli e si gira per prendere la felpa e mettersela di nuovo addosso.

“Domani ti richiamo per un altro controllo.” dice, ridendo.
Poi chiude la call, lasciandomi lì, inerme, incredulo e ancora con addosso qualche goccia residuo di quello che era appena successo.
quantomeno appassionante..
 
7. Verifica post-intervento

La mattina dopo mi sveglio ancora addosso a lei. Ha i capelli aggrovigliati contro la mia spalla, la pelle è calda sotto la coperta. Mi alzo piano per non svegliarla, ma urto il comodino. Un male boia al ginocchio, porca troia.

“Ehi…” fa lei con gli occhi pieni di sonno.
“Non volevo svegliarti…” dico io sottovoce.
“Già te ne vai?”
“Il lavoro mi chiama.” rispondo. Poi le do un bacio sulla fronte. “Ci sentiamo dopo.”

Verso le dieci, mentre sono in studio a rivedere un preventivo, mi arriva un messaggio.
“Mi fa male tutto. Complimenti.”
“Allora forse hai bisogno di un altro controllo.”
“Forse sì… magari ti richiamo per la manutenzione.”

Poi mi manda una foto. Un angolo del suo letto con la coperta spiegazzata e le sue gambe nude, allungate, e una mano a coprire appena l’interno coscia. Non si vede quasi nulla, ma mi fa eccitare comunque.

Nel pomeriggio, abbiamo una call programmata con i fratelli per fare il punto della situazione. Mi collego in orario, sento un po’ di tensione. Spero di riuscire a dissimulare.

Miriam appare sullo schermo; ha la sua classica felpa da smartworking nera, o blu scuro, ancora non l’ho capito. Ha la faccia seria. Dietro di lei vedo il divano del salone e mi torna alla mente quello che stavamo facendo esattamente lì neanche ventiquattro ore prima.

Cerco di stare composto. Parlo poco. Spero che non si noti che sono strano, trattenuto. Che ogni tanto la guardo, cerco insistentemente i suoi occhi che vedo appena stanche, io so benissimo il perché.

Ad un certo punto, uno dei fratelli mi chiede qualcosa su un adattatore per la tappatrice. Rispondo con due frasi appena. Poi Miriam prende la parola e, come al solito, è precisa e puntuale, il tono calmissimo. Ha un controllo che mi fa impazzire. Ma come cazzo fa? Io mi sento un adolescente in piena crisi ormonale. La guardo e mi torna in mente tutto. Il letto. I gemiti, la casa, il letto. Le tette, soprattutto.

Questa call è stata un’autentica agonia, ma per fortuna dopo quaranta minuti siamo arrivati al riepilogo. I fratelli salutano, Lorenzo anche. Miriam, ancora una volta, resta. Io pure, come mio solito.

“Puoi restare due minuti?” mi chiede lei, quasi seria.
“Certo.”

Poi sorride. Si abbassa la zip della felpa ancora un po’, e si china in avanti verso la webcam. Stavolta è evidente. La felpa si allarga e stavolta non esce una, ma entrambe le tette. Senza reggiseno, chiaramente. Mi risveglio di botto dal torpore.

“Lo sapevo che l’altra volta l’avevi fatto apposta!”
Lei ridacchia, quasi infastidita dalla mia ingenuità.
“Bravo genio. Pensavi che la penna mi fosse scivolata per sbaglio?”
“Beh, sembrava quasi credibile.”
“E tu che facevi? Quello professionale che fa finta di niente?”
“Ci ho provato.”
“Non ti è riuscito benissimo. Si vedeva lontano un miglio che avevi adocchiato qualcosa.”
Decido di stuzzicarla.
“Quindi è tua consuetudine far vedere le tette alla fine di ogni call?”
“Solo agli addetti al controllo.”
“E...” faccio io premendo sull’acceleratore. “Fai vedere solo quelle?”

Sorride con malizia. Si piega all’indietro e si sfila del tutto la felpa, appoggiandola sullo schienale della sedia. Comincia a toccarsi il seno. Ogni volta mi stupisco e mi eccito alla sua vista. Miriam ha le mani non particolarmente grandi, con il palmo riesce a coprire solo una piccola parte di tutto il suo bendidio.

Si massaggia, poi con le dita comincia a scendere sul ventre.
“Come sta l’impianto che ho controllato? È tutto a posto?” chiedo.
Aggrotta le sopracciglia e si sporge in avanti per sistemare la webcam. Il suo viso sparisce dietro le tette per qualche secondo. Ora la camera punta più in basso.
“Tu che dici?” sussurra, maliziosa.

Comincia a toccarsi, le sue dita sottili si accarezzano l’interno coscia. Piega le ginocchia e poggia i piedi sulla sedia, poi allarga le gambe. Io mi slaccio i pantaloni e inizio a infilare la mano dentro i boxer. Lei lo nota e geme.

“Mi pensi adesso?”
“Ti penso da stamattina.”

Si morde il labbro e le sue dita si muovono veloci. Il medio si stuzzica il clitoride, poi si massaggia l’apertura. Lei esplode per prima. Si piega in avanti, con un piccolo gemito trattenuto, la bocca semiaperta, le dita ancora premute tra le cosce. Chiude le gambe, per concentrare il piacere. Resta così un momento, poi riapre gli occhi.

Io guardo incredulo, lascio per un momento la presa attorno al mio cazzo, più rosso che mai. Vedo che mi sorride ammiccando.

“E tu? Non mi fai vedere come finisci?”
Me lo afferro di nuovo, e ho il respiro corto. Mi immagino ancora di essere lì da lei, come la sera prima. Lei osserva con curiosità, mentre il suo seno è ancora al vento in tutto il suo splendore.
“Se continui a guardarmi così…”
“Così come?” fa lei, avvicinandosi alla webcam.
“Esattamente così.” ansimo.

Lei si morde il labbro, poi si tocca il seno con una mano, lentamente. Si stuzzica i capezzoli. Per me è il colpo di grazia. Non mi ero minimamente preparato a tutto ciò, e vengo esplodendo in una miriade di fiotti. Qualcuno anche sul tavolo, sulla tastiera.

Poggio la testa all’indietro sulla sedia. Miriam mi guarda soddisfatta, mentre io tiro il fiato e cerco un fazzoletto o qualcosa per pulirmi. Si sistema i capelli e si gira per prendere la felpa e mettersela di nuovo addosso.

“Domani ti richiamo per un altro controllo.” dice, ridendo.
Poi chiude la call, lasciandomi lì, inerme, incredulo e ancora con addosso qualche goccia residuo di quello che era appena successo.
mamma mia,raccontato molto bene..questo racconto mi fa ricredere sui racconti di fantasia..complimenti!!
 
8. Faenza

Mi aveva scritto la sera prima.
“Domani ti faccio aprire alle 7, così lavoriamo meglio.”
Aprire… che cosa? Era stata volutamente ambigua, come sempre.

Mi sveglio già eccitato, con le coperte tese dall’erezione. Quando arrivo a Essenza Lab, la città sembra ancora dormire. Parcheggio un po’ distante, non si sa mai. Mi guardo intorno circospetto. Ho i brividi, sia per il fresco della mattina, sia per la sensazione di star facendo qualcosa di proibito. Entro col badge che mi ha lasciato.

Dentro non c’è nessuno. Solo le luci d’emergenza e i miei passi che rimbombano nel silenzio. Metto in fila qualche passo incerto, arrivo fino al suo ufficio. Lei è già lì che mi aspetta. La vedo da dietro il vetro, ha una delle sue solite felpe, e sotto una maglietta. Ma il reggiseno, quello no, come sempre.

“Buongiorno.” mi dice non appena varco la soglia.

Chiude la porta, a scanso di equivoci. Ma è solo scena: le pareti di vetro non garantiscono comunque la privacy. Mi viene incontro, piano, vedo la voglia dipinta sui suoi occhi. Poggia le labbra sulle mie, e ricomincia la danza delle nostre lingue.

Le apro frettolosamente la zip della felpa, ha una maglietta bianca. Vedo chiaramente la forma del suo seno che ormai conosco più che bene, i capezzoli spingono e si fanno notare in tutti i modi riempiendo le trame del tessuto ed apparendo in trasparenza.

La spingo piano sul tavolo, lei comincia a sbottonarsi i jeans e li abbassa il giusto, poi scansa le mutandine. Solo qualche tocco della mia mano, quel tanto che basta per renderla più umida di quanto già non sia. Scivolo dentro in un attimo.

La più classica delle sveltine: colpi forti, ansimi deboli, sensazione di qualcosa di proibito nell’aria. Lei si morde il polso per non gridare. Io spingo forte, fino a che non sono in procinto di venire. Lo tiro fuori in fretta, le sollevo la maglietta, e schizzo di piacere sul suo ventre. Adocchio un dispenser di fazzoletti sulla scrivania, e ne approfitto per ripulirla alla buona.

Ci vestiamo in fretta per evitare sorprese spiacevoli. Già troppe volte siamo stati interrotti ingiustamente. Almeno stavolta siamo riusciti ad andare fino in fondo. Miriam si tira su a fatica, e si siede sulla scrivania, si sistema i capelli e mi dà un bacio.

“Vai, esci, fatti un giro.” mi ordina. “Torna verso le 8 e qualcosa, quando sono già arrivati tutti.”
Annuisco ed eseguo.

Quando entro di nuovo, sono già tutti in ufficio. Saluto con un sorriso allegro, forse troppo. E come potrebbe essere il contrario? Ho scopato con Miriam neanche un’ora fa. La mattinata deve ancora cominciare, ognuno ancora si fa un po’ di cazzi suoi: Flavio sta con la testa sul monitor, Lorenzo chino sul telefono. Miriam è in piedi, sistema qualche gingillo su una mensola e qualche faldone su uno scaffale.

“Aò, Fabrì...” fa Flavio appena finisce di smanettare sul computer. “Ce sta ‘sta storia de Faenza. Settimana prossima tocca che ce vai te.”
“Faenza?” chiedo, perplesso. Non ho idea di cosa cazzo stia parlando.
“Sì, stamo ad aprì l’impianto nuovo lì. Serve che qualcuno ce dà ‘na controllata prima che parte tutto: linea, impianto elettrico, raccordi... ‘na passata generale, capito?”
Annuisco piano.
“Ok.”
“Er piano è questo: piji er treno delle 8.20 da Termini. Alle 11.40 stai là, fai er giro, te rimetti sur treno pe’ le 4 e alle 8 stai bello bello a casetta tua. Manco dodici ore e hai fatto tutto.”

Incrocio lo sguardo di Lorenzo, che mi guarda quasi compatendomi. Marcello, invece, dà man forte al fratello.

“Io e Flavio semo bloccati qua pe’ ‘na consegna grossa, quindi... te tocca annà da solo.”
A quel punto, interviene Miriam.
“Se volete, posso andare io con Fabrizio. Ho seguito tutto, conosco già i referenti. Almeno vediamo anche com’è messa la parte commerciale.”

Flavio smette di trafficare con il cellulare, e la guarda con severità.
“Aò, ma te lo porti dietro pure ar cesso, sto pischello?”
“A Flà, e non comincia’.” risponde lei stizzita, facendo uscire spontaneamente la sua romanità.
Lui non si scompone, e guarda verso di me.
“Fabrì, oh, nun fa’ er cretino co’ mia sorella, eh. Sennò giuro che te gonfio.”
Poi ride, si alza e si avvicina a me, dandomi un buffetto sulla nuca.
“Daje, sto a scherzà… più o meno.”

Miriam lo fissa, apparentemente innervosita.
“E pure se fosse? Ho ventotto anni. Decido io con chi andare. E perché.”
Sento un brivido. Non so come interpretare quella frase, né tantomeno come l’abbiano interpretata Flavio e Marcello. Ma sto zitto.
Flavio sbuffa, poi conclude.
“Martedì. Intercity delle 8.20. Er treno lo prenotamo noi.”

*

Martedì mattina, ore 7.50. Alla Stazione Termini c’è già un discreto viavai di pendolari. Noto Miriam da lontano, mi fa un cenno con la mano. Arriva in jeans, sneakers e zaino leggero. Sul viso niente trucco, anzi un po’ di occhiaie. Forse anche lei ha dormito poco. Io di sicuro. Pensavo al viaggio, a lei, al fatto che avevamo una giornata intera nella quale non dovevamo nasconderci da nessuno né fare attenzione a niente.

Ci sediamo vicini, parliamo poco. Entrambi controlliamo un paio di mail, rispondiamo a un paio di messaggi. Ma sotto il tavolino, ogni tanto, le nostre mani si cercano.

A un certo punto, mi lancia uno sguardo.
“L’hai mai fatto in treno?”
“No…” dico io, rimanendo anche sorpreso da quella domanda. “Tu?”
“Nemmeno.” risponde, alzandosi in piedi. “Vieni.”

C’è poca gente nella nostra carrozza. Scandaglio tutti i presenti, poi realizzo che nessuno sta facendo caso a noi. Mi alzo anche io, quasi con timore, e la seguo. Arriviamo al giunto tra i vagoni, facciamo finta di chiacchierare mentre passano un paio di persone. Poi, quando non c’è più nessuno, svicoliamo dentro il bagno.

Per fortuna è ancora pulito, il viaggio è iniziato da poco. Forse troppo pulito. C’è un odore pungente di detersivo e di chimico. Forse Miriam c’è abituata, lavorando in un’azienda che produce cosmetici. Io no. Tossisco un paio di volte.

“Tutto bene?” mi domanda lei.
Le faccio segno di sì con il pollice. Lei si siede sul water chiuso e poggia una mano sulla patta dei miei pantaloni. A quel punto, mi passa tutto.
“Ora decisamente meglio.” le dico.

Mi sincero che la porta sia chiusa, lei decisa mi sbottona i jeans. Io le alzo la maglia per toccare, ancora, le sue tette. Non mi stancherò mai di farlo. Le sfioro con le dita, mentre lei si avvicina con le labbra al mio glande. È la prima volta che me lo prende in bocca. Goduria. Se lo infila tra le labbra, e io sobbalzo. Mi lascio sfuggire un grido di piacere, che forse si sente anche all’esterno. E infatti bussano.

Toc, toc.

“Occupato!” fa Miriam, svuotandosi la bocca dal mio membro.
Proviamo a proseguire per un po’, ma il fatto di sapere che c’è gente fuori mi mette ansia. Il mio pene perde vigore. Ma lei glielo fa riacquistare immediatamente infilandoselo tra le tette.

“Cazzo!” esclamo. Stavolta sono sicuro di essere stato sentito. Andiamo avanti ancora un minuto, lei lo fa scorrere lì in mezzo che è una meraviglia. Ma veniamo di nuovo interrotti.

Toc, toc, toc.
“Scusate, c’è gente che aspetta!”

Ci fermiamo. Con la morte negli occhi, la guardo facendo spallucce. Lei si copre la bocca per non ridere. Io mi sistemo, respiro piano, provo a far rientrare per quanto possibile la mia erezione.
“Vabbè, tocca rimandare.”

Miriam esce fingendo indifferenza, io divento paonazzo. Un anziano signore ci guarda e poi scuote la testa. Mi tremano ancora le mani, ma poi scoppio a ridere.

*

A Faenza il responsabile ci accoglie, ci offre un caffè terribile – classico aziendale - e ci fa vedere la linea. Tutto sembra andare bene, finché una valvola non dà problemi. Il dosatore non tiene, bisogna smontare. Sono costretto a chiamare Flavio.

“Flavio, tocca restare. Abbiamo qualche problemino.” dico al telefono.
Sento che sbuffa. Poi mi risponde, quasi spazientito.
“Vabbè, ve prenoto n’albergo. Ma camere separate, eh. Nun ve dico altro.”
“Sì, sì…” rispondo, tagliando corto.
Miriam sbuffa. Sono col vivavoce, ha sentito tutto.
“Flà, ma sul serio? Ancora?” dice stizzita.
“Ciao, sorellì. Me raccomanno.” chiude lui.

Raccomandati quanto vuoi, Flà. A me e Miriam ci aspetta una nottata in hotel, da soli, a 400 chilometri da te. Ci penso io alla tua sorellina.
 
La citazione sul caffè aziendale la prendo come una dedica personale a me medesimo qui presente! Per il resto, treno aereo spogliatoio al mare, cazzo sempre trovato vecchi deboli di prostata. Prostata ci loroooooo
 
La citazione sul caffè aziendale la prendo come una dedica personale a me medesimo qui presente! Per il resto, treno aereo spogliatoio al mare, cazzo sempre trovato vecchi deboli di prostata. Prostata ci loroooooo
Beh bisogna pur premiarli i lettori affezionati 😜

Gli anziani impiccioni comunque sono una piaga
 
8. Faenza

Mi aveva scritto la sera prima.
“Domani ti faccio aprire alle 7, così lavoriamo meglio.”
Aprire… che cosa? Era stata volutamente ambigua, come sempre.

Mi sveglio già eccitato, con le coperte tese dall’erezione. Quando arrivo a Essenza Lab, la città sembra ancora dormire. Parcheggio un po’ distante, non si sa mai. Mi guardo intorno circospetto. Ho i brividi, sia per il fresco della mattina, sia per la sensazione di star facendo qualcosa di proibito. Entro col badge che mi ha lasciato.

Dentro non c’è nessuno. Solo le luci d’emergenza e i miei passi che rimbombano nel silenzio. Metto in fila qualche passo incerto, arrivo fino al suo ufficio. Lei è già lì che mi aspetta. La vedo da dietro il vetro, ha una delle sue solite felpe, e sotto una maglietta. Ma il reggiseno, quello no, come sempre.

“Buongiorno.” mi dice non appena varco la soglia.

Chiude la porta, a scanso di equivoci. Ma è solo scena: le pareti di vetro non garantiscono comunque la privacy. Mi viene incontro, piano, vedo la voglia dipinta sui suoi occhi. Poggia le labbra sulle mie, e ricomincia la danza delle nostre lingue.

Le apro frettolosamente la zip della felpa, ha una maglietta bianca. Vedo chiaramente la forma del suo seno che ormai conosco più che bene, i capezzoli spingono e si fanno notare in tutti i modi riempiendo le trame del tessuto ed apparendo in trasparenza.

La spingo piano sul tavolo, lei comincia a sbottonarsi i jeans e li abbassa il giusto, poi scansa le mutandine. Solo qualche tocco della mia mano, quel tanto che basta per renderla più umida di quanto già non sia. Scivolo dentro in un attimo.

La più classica delle sveltine: colpi forti, ansimi deboli, sensazione di qualcosa di proibito nell’aria. Lei si morde il polso per non gridare. Io spingo forte, fino a che non sono in procinto di venire. Lo tiro fuori in fretta, le sollevo la maglietta, e schizzo di piacere sul suo ventre. Adocchio un dispenser di fazzoletti sulla scrivania, e ne approfitto per ripulirla alla buona.

Ci vestiamo in fretta per evitare sorprese spiacevoli. Già troppe volte siamo stati interrotti ingiustamente. Almeno stavolta siamo riusciti ad andare fino in fondo. Miriam si tira su a fatica, e si siede sulla scrivania, si sistema i capelli e mi dà un bacio.

“Vai, esci, fatti un giro.” mi ordina. “Torna verso le 8 e qualcosa, quando sono già arrivati tutti.”
Annuisco ed eseguo.

Quando entro di nuovo, sono già tutti in ufficio. Saluto con un sorriso allegro, forse troppo. E come potrebbe essere il contrario? Ho scopato con Miriam neanche un’ora fa. La mattinata deve ancora cominciare, ognuno ancora si fa un po’ di cazzi suoi: Flavio sta con la testa sul monitor, Lorenzo chino sul telefono. Miriam è in piedi, sistema qualche gingillo su una mensola e qualche faldone su uno scaffale.

“Aò, Fabrì...” fa Flavio appena finisce di smanettare sul computer. “Ce sta ‘sta storia de Faenza. Settimana prossima tocca che ce vai te.”
“Faenza?” chiedo, perplesso. Non ho idea di cosa cazzo stia parlando.
“Sì, stamo ad aprì l’impianto nuovo lì. Serve che qualcuno ce dà ‘na controllata prima che parte tutto: linea, impianto elettrico, raccordi... ‘na passata generale, capito?”
Annuisco piano.
“Ok.”
“Er piano è questo: piji er treno delle 8.20 da Termini. Alle 11.40 stai là, fai er giro, te rimetti sur treno pe’ le 4 e alle 8 stai bello bello a casetta tua. Manco dodici ore e hai fatto tutto.”

Incrocio lo sguardo di Lorenzo, che mi guarda quasi compatendomi. Marcello, invece, dà man forte al fratello.

“Io e Flavio semo bloccati qua pe’ ‘na consegna grossa, quindi... te tocca annà da solo.”
A quel punto, interviene Miriam.
“Se volete, posso andare io con Fabrizio. Ho seguito tutto, conosco già i referenti. Almeno vediamo anche com’è messa la parte commerciale.”

Flavio smette di trafficare con il cellulare, e la guarda con severità.
“Aò, ma te lo porti dietro pure ar cesso, sto pischello?”
“A Flà, e non comincia’.” risponde lei stizzita, facendo uscire spontaneamente la sua romanità.
Lui non si scompone, e guarda verso di me.
“Fabrì, oh, nun fa’ er cretino co’ mia sorella, eh. Sennò giuro che te gonfio.”
Poi ride, si alza e si avvicina a me, dandomi un buffetto sulla nuca.
“Daje, sto a scherzà… più o meno.”

Miriam lo fissa, apparentemente innervosita.
“E pure se fosse? Ho ventotto anni. Decido io con chi andare. E perché.”
Sento un brivido. Non so come interpretare quella frase, né tantomeno come l’abbiano interpretata Flavio e Marcello. Ma sto zitto.
Flavio sbuffa, poi conclude.
“Martedì. Intercity delle 8.20. Er treno lo prenotamo noi.”

*

Martedì mattina, ore 7.50. Alla Stazione Termini c’è già un discreto viavai di pendolari. Noto Miriam da lontano, mi fa un cenno con la mano. Arriva in jeans, sneakers e zaino leggero. Sul viso niente trucco, anzi un po’ di occhiaie. Forse anche lei ha dormito poco. Io di sicuro. Pensavo al viaggio, a lei, al fatto che avevamo una giornata intera nella quale non dovevamo nasconderci da nessuno né fare attenzione a niente.

Ci sediamo vicini, parliamo poco. Entrambi controlliamo un paio di mail, rispondiamo a un paio di messaggi. Ma sotto il tavolino, ogni tanto, le nostre mani si cercano.

A un certo punto, mi lancia uno sguardo.
“L’hai mai fatto in treno?”
“No…” dico io, rimanendo anche sorpreso da quella domanda. “Tu?”
“Nemmeno.” risponde, alzandosi in piedi. “Vieni.”

C’è poca gente nella nostra carrozza. Scandaglio tutti i presenti, poi realizzo che nessuno sta facendo caso a noi. Mi alzo anche io, quasi con timore, e la seguo. Arriviamo al giunto tra i vagoni, facciamo finta di chiacchierare mentre passano un paio di persone. Poi, quando non c’è più nessuno, svicoliamo dentro il bagno.

Per fortuna è ancora pulito, il viaggio è iniziato da poco. Forse troppo pulito. C’è un odore pungente di detersivo e di chimico. Forse Miriam c’è abituata, lavorando in un’azienda che produce cosmetici. Io no. Tossisco un paio di volte.

“Tutto bene?” mi domanda lei.
Le faccio segno di sì con il pollice. Lei si siede sul water chiuso e poggia una mano sulla patta dei miei pantaloni. A quel punto, mi passa tutto.
“Ora decisamente meglio.” le dico.

Mi sincero che la porta sia chiusa, lei decisa mi sbottona i jeans. Io le alzo la maglia per toccare, ancora, le sue tette. Non mi stancherò mai di farlo. Le sfioro con le dita, mentre lei si avvicina con le labbra al mio glande. È la prima volta che me lo prende in bocca. Goduria. Se lo infila tra le labbra, e io sobbalzo. Mi lascio sfuggire un grido di piacere, che forse si sente anche all’esterno. E infatti bussano.

Toc, toc.

“Occupato!” fa Miriam, svuotandosi la bocca dal mio membro.
Proviamo a proseguire per un po’, ma il fatto di sapere che c’è gente fuori mi mette ansia. Il mio pene perde vigore. Ma lei glielo fa riacquistare immediatamente infilandoselo tra le tette.

“Cazzo!” esclamo. Stavolta sono sicuro di essere stato sentito. Andiamo avanti ancora un minuto, lei lo fa scorrere lì in mezzo che è una meraviglia. Ma veniamo di nuovo interrotti.

Toc, toc, toc.
“Scusate, c’è gente che aspetta!”

Ci fermiamo. Con la morte negli occhi, la guardo facendo spallucce. Lei si copre la bocca per non ridere. Io mi sistemo, respiro piano, provo a far rientrare per quanto possibile la mia erezione.
“Vabbè, tocca rimandare.”

Miriam esce fingendo indifferenza, io divento paonazzo. Un anziano signore ci guarda e poi scuote la testa. Mi tremano ancora le mani, ma poi scoppio a ridere.

*

A Faenza il responsabile ci accoglie, ci offre un caffè terribile – classico aziendale - e ci fa vedere la linea. Tutto sembra andare bene, finché una valvola non dà problemi. Il dosatore non tiene, bisogna smontare. Sono costretto a chiamare Flavio.

“Flavio, tocca restare. Abbiamo qualche problemino.” dico al telefono.
Sento che sbuffa. Poi mi risponde, quasi spazientito.
“Vabbè, ve prenoto n’albergo. Ma camere separate, eh. Nun ve dico altro.”
“Sì, sì…” rispondo, tagliando corto.
Miriam sbuffa. Sono col vivavoce, ha sentito tutto.
“Flà, ma sul serio? Ancora?” dice stizzita.
“Ciao, sorellì. Me raccomanno.” chiude lui.

Raccomandati quanto vuoi, Flà. A me e Miriam ci aspetta una nottata in hotel, da soli, a 400 chilometri da te. Ci penso io alla tua sorellina.
dajeeee
 
Beh bisogna pur premiarli i lettori affezionati 😜

Gli anziani impiccioni comunque sono una piaga
se lo invitavate al banchetto, rompeva meno.
bisogna pur "dare una mano" alla popolazione coi capelli bianchi:p

Sulle "stelle" dell'hotel...allora... dipedesse da me punterei 1 euro su un 4 stelle fuori stagione, ovviamente con centro benessere💦

Sullo stile del Donatello di Imola in cui passai un'ottima notte durante una trasferta di lavoro
 
Ultima modifica:
se lo invitavate al banchetto, rompeva meno.
bisogna pur "dare una mano" alla popolazione coi capelli bianchi:p

Sulle "stelle" dell'hotel...allora... dipedesse da me punterei 1 euro su un 4 stelle fuori stagione, ovviamente con centro benessere💦

Sullo stile del Donatello di Imola in cui passai un'ottima notte durante una trasferta di lavoro
Ti ricordo che però l'hotel è stato prenotato dal fratello :asd:
 
Ti ricordo che però l'hotel è stato prenotato dal fratello :asd:
Lo so, ma non penso farebbe dormire la sorella in un posto scrauso. E' anche lei una dei titolari:cool:
E poi c'è la cena da organizzare prima, possibilmente cucina emiliano-romagnola...la nota spese non potrà non avere una cena altrimenti aumentano i sospetti
 
8. Faenza

Mi aveva scritto la sera prima.
“Domani ti faccio aprire alle 7, così lavoriamo meglio.”
Aprire… che cosa? Era stata volutamente ambigua, come sempre.

Mi sveglio già eccitato, con le coperte tese dall’erezione. Quando arrivo a Essenza Lab, la città sembra ancora dormire. Parcheggio un po’ distante, non si sa mai. Mi guardo intorno circospetto. Ho i brividi, sia per il fresco della mattina, sia per la sensazione di star facendo qualcosa di proibito. Entro col badge che mi ha lasciato.

Dentro non c’è nessuno. Solo le luci d’emergenza e i miei passi che rimbombano nel silenzio. Metto in fila qualche passo incerto, arrivo fino al suo ufficio. Lei è già lì che mi aspetta. La vedo da dietro il vetro, ha una delle sue solite felpe, e sotto una maglietta. Ma il reggiseno, quello no, come sempre.

“Buongiorno.” mi dice non appena varco la soglia.

Chiude la porta, a scanso di equivoci. Ma è solo scena: le pareti di vetro non garantiscono comunque la privacy. Mi viene incontro, piano, vedo la voglia dipinta sui suoi occhi. Poggia le labbra sulle mie, e ricomincia la danza delle nostre lingue.

Le apro frettolosamente la zip della felpa, ha una maglietta bianca. Vedo chiaramente la forma del suo seno che ormai conosco più che bene, i capezzoli spingono e si fanno notare in tutti i modi riempiendo le trame del tessuto ed apparendo in trasparenza.

La spingo piano sul tavolo, lei comincia a sbottonarsi i jeans e li abbassa il giusto, poi scansa le mutandine. Solo qualche tocco della mia mano, quel tanto che basta per renderla più umida di quanto già non sia. Scivolo dentro in un attimo.

La più classica delle sveltine: colpi forti, ansimi deboli, sensazione di qualcosa di proibito nell’aria. Lei si morde il polso per non gridare. Io spingo forte, fino a che non sono in procinto di venire. Lo tiro fuori in fretta, le sollevo la maglietta, e schizzo di piacere sul suo ventre. Adocchio un dispenser di fazzoletti sulla scrivania, e ne approfitto per ripulirla alla buona.

Ci vestiamo in fretta per evitare sorprese spiacevoli. Già troppe volte siamo stati interrotti ingiustamente. Almeno stavolta siamo riusciti ad andare fino in fondo. Miriam si tira su a fatica, e si siede sulla scrivania, si sistema i capelli e mi dà un bacio.

“Vai, esci, fatti un giro.” mi ordina. “Torna verso le 8 e qualcosa, quando sono già arrivati tutti.”
Annuisco ed eseguo.

Quando entro di nuovo, sono già tutti in ufficio. Saluto con un sorriso allegro, forse troppo. E come potrebbe essere il contrario? Ho scopato con Miriam neanche un’ora fa. La mattinata deve ancora cominciare, ognuno ancora si fa un po’ di cazzi suoi: Flavio sta con la testa sul monitor, Lorenzo chino sul telefono. Miriam è in piedi, sistema qualche gingillo su una mensola e qualche faldone su uno scaffale.

“Aò, Fabrì...” fa Flavio appena finisce di smanettare sul computer. “Ce sta ‘sta storia de Faenza. Settimana prossima tocca che ce vai te.”
“Faenza?” chiedo, perplesso. Non ho idea di cosa cazzo stia parlando.
“Sì, stamo ad aprì l’impianto nuovo lì. Serve che qualcuno ce dà ‘na controllata prima che parte tutto: linea, impianto elettrico, raccordi... ‘na passata generale, capito?”
Annuisco piano.
“Ok.”
“Er piano è questo: piji er treno delle 8.20 da Termini. Alle 11.40 stai là, fai er giro, te rimetti sur treno pe’ le 4 e alle 8 stai bello bello a casetta tua. Manco dodici ore e hai fatto tutto.”

Incrocio lo sguardo di Lorenzo, che mi guarda quasi compatendomi. Marcello, invece, dà man forte al fratello.

“Io e Flavio semo bloccati qua pe’ ‘na consegna grossa, quindi... te tocca annà da solo.”
A quel punto, interviene Miriam.
“Se volete, posso andare io con Fabrizio. Ho seguito tutto, conosco già i referenti. Almeno vediamo anche com’è messa la parte commerciale.”

Flavio smette di trafficare con il cellulare, e la guarda con severità.
“Aò, ma te lo porti dietro pure ar cesso, sto pischello?”
“A Flà, e non comincia’.” risponde lei stizzita, facendo uscire spontaneamente la sua romanità.
Lui non si scompone, e guarda verso di me.
“Fabrì, oh, nun fa’ er cretino co’ mia sorella, eh. Sennò giuro che te gonfio.”
Poi ride, si alza e si avvicina a me, dandomi un buffetto sulla nuca.
“Daje, sto a scherzà… più o meno.”

Miriam lo fissa, apparentemente innervosita.
“E pure se fosse? Ho ventotto anni. Decido io con chi andare. E perché.”
Sento un brivido. Non so come interpretare quella frase, né tantomeno come l’abbiano interpretata Flavio e Marcello. Ma sto zitto.
Flavio sbuffa, poi conclude.
“Martedì. Intercity delle 8.20. Er treno lo prenotamo noi.”

*

Martedì mattina, ore 7.50. Alla Stazione Termini c’è già un discreto viavai di pendolari. Noto Miriam da lontano, mi fa un cenno con la mano. Arriva in jeans, sneakers e zaino leggero. Sul viso niente trucco, anzi un po’ di occhiaie. Forse anche lei ha dormito poco. Io di sicuro. Pensavo al viaggio, a lei, al fatto che avevamo una giornata intera nella quale non dovevamo nasconderci da nessuno né fare attenzione a niente.

Ci sediamo vicini, parliamo poco. Entrambi controlliamo un paio di mail, rispondiamo a un paio di messaggi. Ma sotto il tavolino, ogni tanto, le nostre mani si cercano.

A un certo punto, mi lancia uno sguardo.
“L’hai mai fatto in treno?”
“No…” dico io, rimanendo anche sorpreso da quella domanda. “Tu?”
“Nemmeno.” risponde, alzandosi in piedi. “Vieni.”

C’è poca gente nella nostra carrozza. Scandaglio tutti i presenti, poi realizzo che nessuno sta facendo caso a noi. Mi alzo anche io, quasi con timore, e la seguo. Arriviamo al giunto tra i vagoni, facciamo finta di chiacchierare mentre passano un paio di persone. Poi, quando non c’è più nessuno, svicoliamo dentro il bagno.

Per fortuna è ancora pulito, il viaggio è iniziato da poco. Forse troppo pulito. C’è un odore pungente di detersivo e di chimico. Forse Miriam c’è abituata, lavorando in un’azienda che produce cosmetici. Io no. Tossisco un paio di volte.

“Tutto bene?” mi domanda lei.
Le faccio segno di sì con il pollice. Lei si siede sul water chiuso e poggia una mano sulla patta dei miei pantaloni. A quel punto, mi passa tutto.
“Ora decisamente meglio.” le dico.

Mi sincero che la porta sia chiusa, lei decisa mi sbottona i jeans. Io le alzo la maglia per toccare, ancora, le sue tette. Non mi stancherò mai di farlo. Le sfioro con le dita, mentre lei si avvicina con le labbra al mio glande. È la prima volta che me lo prende in bocca. Goduria. Se lo infila tra le labbra, e io sobbalzo. Mi lascio sfuggire un grido di piacere, che forse si sente anche all’esterno. E infatti bussano.

Toc, toc.

“Occupato!” fa Miriam, svuotandosi la bocca dal mio membro.
Proviamo a proseguire per un po’, ma il fatto di sapere che c’è gente fuori mi mette ansia. Il mio pene perde vigore. Ma lei glielo fa riacquistare immediatamente infilandoselo tra le tette.

“Cazzo!” esclamo. Stavolta sono sicuro di essere stato sentito. Andiamo avanti ancora un minuto, lei lo fa scorrere lì in mezzo che è una meraviglia. Ma veniamo di nuovo interrotti.

Toc, toc, toc.
“Scusate, c’è gente che aspetta!”

Ci fermiamo. Con la morte negli occhi, la guardo facendo spallucce. Lei si copre la bocca per non ridere. Io mi sistemo, respiro piano, provo a far rientrare per quanto possibile la mia erezione.
“Vabbè, tocca rimandare.”

Miriam esce fingendo indifferenza, io divento paonazzo. Un anziano signore ci guarda e poi scuote la testa. Mi tremano ancora le mani, ma poi scoppio a ridere.

*

A Faenza il responsabile ci accoglie, ci offre un caffè terribile – classico aziendale - e ci fa vedere la linea. Tutto sembra andare bene, finché una valvola non dà problemi. Il dosatore non tiene, bisogna smontare. Sono costretto a chiamare Flavio.

“Flavio, tocca restare. Abbiamo qualche problemino.” dico al telefono.
Sento che sbuffa. Poi mi risponde, quasi spazientito.
“Vabbè, ve prenoto n’albergo. Ma camere separate, eh. Nun ve dico altro.”
“Sì, sì…” rispondo, tagliando corto.
Miriam sbuffa. Sono col vivavoce, ha sentito tutto.
“Flà, ma sul serio? Ancora?” dice stizzita.
“Ciao, sorellì. Me raccomanno.” chiude lui.

Raccomandati quanto vuoi, Flà. A me e Miriam ci aspetta una nottata in hotel, da soli, a 400 chilometri da te. Ci penso io alla tua sorellina.
Wow davvero scritto bene mi sorgono tante domande
A) chi sa cosa avrà penato il vecchio
B) Certo che rompi coglioni flavio secondo me pero ha capito te la scopi a giudicare anche dalle affermazioni fatti da miriam
 
9. Due cuori e una camera

Arriviamo in hotel che è da poco passato il tramonto. È un tre stelle senza infamia e senza lode, a pochi passi dalla stazione. Flavio non ha voluto darci la soddisfazione di regalarci una nottata in una location romantica, come a dire: “so che scoperete, ma almeno lo farete alle mie condizioni; col cazzo che vi pago un albergo di lusso.”

Entriamo, ma sembra pulito. Ci avviciniamo al desk, uno accanto all’altra. Il tipo della reception ci sorride, poi ci accoglie, con chiaro accento romagnolo.

“Buonasera, benvenuti. Camera?”
Guardo Miriam e rido.
“Due camere.” faccio io, cercando di non fargli pesare la gaffe. “Abbiamo una prenotazione a nome Essenza Lab.”
“Oh scusate.” dice lui con un velo di imbarazzo. “Ecco a voi. La 305 e la 306.”
Poi ci porge le tessere magnetiche. Ci dirigiamo verso l’ascensore e ci salutiamo sul ciglio della porta con un bacio veloce.

Mi butto in doccia, per lavare via puzza e stanchezza. Ma sono costretto a rimettermi i vestiti che avevo prima. Non ho il cambio, non era previsto che dormissimo fuori. L’acqua fa scorrere via anche i miei pensieri – ancora non del tutto acquietatisi – su Miriam e i fratelli.

Le lascio il tempo di prepararsi, io sono piuttosto veloce di solito. Mi bastano cinque minuti per la doccia ed altrettanti per asciugarmi i (corti) capelli e rivestirmi. Scendo in sala ristorante.

Lei arriva dopo una decina di minuti. Sembra vestita esattamente come stamattina: jeans, felpa. Ma vedo che ha una maglietta color crema e non nera. Adoro questo modo che ha di avere sempre un piano per tutto. Si avvicina e mi bacia, sento la pelle pulita e un odore buono che non è profumo.

“Potevi aspettarmi.”
“Se ti avessi aspettata, ti avrei baciata appena uscita dalla doccia.”
“E sarebbe stato un problema?”
“No. Sarebbe finita in camera. E ci siamo promessi di cenare, prima.”

Le luci calde, i tavoli distanziati. C’è abbastanza privacy. E comunque, siamo praticamente soli. Ordiniamo due primi veloci e due calici di vino. La osservo, tra un sorso e l’altro. Lei si guarda intorno, curiosa. Poi le dico che ho notato il suo cambio di maglietta.

“Hai sempre un piano per tutto, eh?”
Lei ride.
“Provo a non farmi trovare impreparata.”
“E per dopo, che piani hai?” incalzo.
“Se vieni in camera mia ti faccio un disegnino.”

Mentre mangiamo, le nostre dita si cercano sotto il tavolo. È il preludio a quello che sta per succedere. Ci saltiamo addosso già dentro l’ascensore, come due liceali allupati. Con una mano tiro fuori la tessera dalla tasca ed apro la porta della mia camera, la più vicina delle due. Più vicina di neanche un metro, ma ogni secondo in più sarebbe tempo sprecato.

Prende l’elastico che ha al polso e si lega i capelli. Intuisco il senso del suo gesto e sento muoversi qualcosa nelle mutande. Si avvicina piano al letto, si siede sul ciglio. Io mi avvicino lentamente. Mi guarda dritto in faccia, senza timore. Anzi, con decisione. Pone la mano sulla mia patta, tasta la mia erezione da fuori. Quindi, mi sbottona i pantaloni e mi cala gli slip.

“Mi pare che in treno fossimo rimasti qui…” dice maliziosa.
Lo avvicina alla sua bocca. Passa la lingua su tutto il glande ed io sento un brivido sulla schiena. Mi viene letteralmente la pelle d’oca. Prendo il lembo inferiore della sua maglietta e faccio per sfilargliela. Miriam favorisce il tutto alzando le braccia. Prendo i suoi seni tra le mani e mi avvicino con il cazzo, ormai bagnato dalla sua saliva.
“Veramente, eravamo rimasti qui…”

Mi guarda ammiccando, e comincia a farlo scorrere là in mezzo. Le sento, morbide, gonfie, che avvolgono tutta la mia asta. Scivolano che è una bellezza, lei con una mano mi massaggia anche i testicoli. Io con la mia accarezzo le areole, i capezzoli che si induriscono.

Dopo qualche minuto, la stendo e piombo sopra di lei, la voglia mi assale. Mordicchio i suoi capezzoli duri, li sento tra le mie labbra. Poi scendo di nuovo, e lei trema; le sfilo i jeans, le mutandine e la libero dal tessuto che la separa dalla mia lingua.

Mi invita a scendere, socchiude le cosce e la sua mano si sposta verso l’inguine. Io accolgo di buon grado il suo suggerimento, la bacio dove pulsa di più. Alterno movimenti circolari, lenti, poi più rapidi e decisi. Entro con un dito, poi due. Provo – e riesco – ad infilare anche il terzo. La punta della mia lingua titilla il suo clitoride, e a quel punto lei impazzisce. Viene con un gridolino, ansima, stringe la punta dei piedi.

Torna a succhiarmi per restituirmi il piacere, si mette sdraiata a pancia in giù e mi lecca tutto. Mi bacia l’addome poi, piano, se lo infila tutto in bocca e va avanti e indietro con foga. Con movimenti precisi, quasi pianificati, anche in questo contesto.

Decido che è il momento di congiungerci.
“Basta. Vieni sopra.”
“Mi piace quando mi dai gli ordini.”
Mi adagio sul letto, con due cuscini dietro la testa. Lei salta su con decisione, come un motociclista sulla sella. E mi guarda, prima di alzare gli occhi verso il soffitto.

Entra tutto, lentamente; guido il movimento prendendola per i fianchi. La sua pelle sbatte contro la mia, rimbalziamo l’uno sull’altro, è bagnata e io sono duro più che mai.

Vado lento, all’inizio. Poi lei prende le redini e mi faccio guidare. Accelera. Salta sempre più forte, si piega in avanti per appoggiarsi con le mani alla testiera del letto. Le sue tette enormi saltellano e mi sbattono in faccia, quasi mi fanno male per la mole che hanno. Le prendo tra le mani, cerco di tenerle ferme e le massaggio. Poi, mi ci tuffo di testa.

Sudiamo, ansimiamo. Capisco che lei è vicina ad un altro orgasmo. La faccio sfilare da me e inginocchiare sul letto. Comincio a penetrarla da dietro.

Spingo forte, lei grida piano. Le mie mani vanno ovunque, sul culo, poi tornano sul seno. Anche da dietro, lo prendo tra le mani, per tenerlo fermo. Ma tra le mani non mi entra tutto.

Lei si accascia in avanti, spalmandosi sul letto, inebriata dal piacere. Finalmente anche io posso estrarlo e liberare il mio orgasmo su tutta la sua schiena. Sono stanco morto, mi sdraio accanto a lei sul letto e mi dà un bacio. Poi mi faccio pensieroso, e lei se ne accorge. Non riesco proprio a far finta di niente. Mai che mi goda un momento fino in fondo.

“Che hai?” mi chiede, sapendo già la risposta.
Io sono una tomba.
“Fabrizio, lascialo stare.” insiste. “È un coglione. Davvero. Non pensare a lui.”
“Lo so. Ma ogni volta che fa una battuta mi si contorce lo stomaco dal nervoso.”
Lei si mette seduta, incrocia le gambe. La schiena ancora sporca di sperma, non si appoggia alla testiera.
“Non devi spiegargli niente. Lui può dire quello che vuole. Faccio quello che mi pare, l’ho detto pure a lui. Io non lo ascolto, e non dovresti farlo nemmeno tu.”
“È diverso. Siete miei clienti.”
Sbuffa, ma le prendo la mano e la bacio.
“Sai che mi sembrava di essere in gita?” le dico.
“Ah, sì?”
“Sì. Hai presente quando ti infili nella camera della compagna di classe, di nascosto, col prof che dorme accanto?”
Lei ridacchia.
“E ti eccita?”
“Sì. Ma tu di più.”

Chiudiamo gli occhi e ci addormentiamo in un paio di minuti. La camera 306 resterà vuota stanotte. E sticazzi, tanto paga Flavio.
 
9. Due cuori e una camera

Arriviamo in hotel che è da poco passato il tramonto. È un tre stelle senza infamia e senza lode, a pochi passi dalla stazione. Flavio non ha voluto darci la soddisfazione di regalarci una nottata in una location romantica, come a dire: “so che scoperete, ma almeno lo farete alle mie condizioni; col cazzo che vi pago un albergo di lusso.”

Entriamo, ma sembra pulito. Ci avviciniamo al desk, uno accanto all’altra. Il tipo della reception ci sorride, poi ci accoglie, con chiaro accento romagnolo.

“Buonasera, benvenuti. Camera?”
Guardo Miriam e rido.
“Due camere.” faccio io, cercando di non fargli pesare la gaffe. “Abbiamo una prenotazione a nome Essenza Lab.”
“Oh scusate.” dice lui con un velo di imbarazzo. “Ecco a voi. La 305 e la 306.”
Poi ci porge le tessere magnetiche. Ci dirigiamo verso l’ascensore e ci salutiamo sul ciglio della porta con un bacio veloce.

Mi butto in doccia, per lavare via puzza e stanchezza. Ma sono costretto a rimettermi i vestiti che avevo prima. Non ho il cambio, non era previsto che dormissimo fuori. L’acqua fa scorrere via anche i miei pensieri – ancora non del tutto acquietatisi – su Miriam e i fratelli.

Le lascio il tempo di prepararsi, io sono piuttosto veloce di solito. Mi bastano cinque minuti per la doccia ed altrettanti per asciugarmi i (corti) capelli e rivestirmi. Scendo in sala ristorante.

Lei arriva dopo una decina di minuti. Sembra vestita esattamente come stamattina: jeans, felpa. Ma vedo che ha una maglietta color crema e non nera. Adoro questo modo che ha di avere sempre un piano per tutto. Si avvicina e mi bacia, sento la pelle pulita e un odore buono che non è profumo.

“Potevi aspettarmi.”
“Se ti avessi aspettata, ti avrei baciata appena uscita dalla doccia.”
“E sarebbe stato un problema?”
“No. Sarebbe finita in camera. E ci siamo promessi di cenare, prima.”

Le luci calde, i tavoli distanziati. C’è abbastanza privacy. E comunque, siamo praticamente soli. Ordiniamo due primi veloci e due calici di vino. La osservo, tra un sorso e l’altro. Lei si guarda intorno, curiosa. Poi le dico che ho notato il suo cambio di maglietta.

“Hai sempre un piano per tutto, eh?”
Lei ride.
“Provo a non farmi trovare impreparata.”
“E per dopo, che piani hai?” incalzo.
“Se vieni in camera mia ti faccio un disegnino.”

Mentre mangiamo, le nostre dita si cercano sotto il tavolo. È il preludio a quello che sta per succedere. Ci saltiamo addosso già dentro l’ascensore, come due liceali allupati. Con una mano tiro fuori la tessera dalla tasca ed apro la porta della mia camera, la più vicina delle due. Più vicina di neanche un metro, ma ogni secondo in più sarebbe tempo sprecato.

Prende l’elastico che ha al polso e si lega i capelli. Intuisco il senso del suo gesto e sento muoversi qualcosa nelle mutande. Si avvicina piano al letto, si siede sul ciglio. Io mi avvicino lentamente. Mi guarda dritto in faccia, senza timore. Anzi, con decisione. Pone la mano sulla mia patta, tasta la mia erezione da fuori. Quindi, mi sbottona i pantaloni e mi cala gli slip.

“Mi pare che in treno fossimo rimasti qui…” dice maliziosa.
Lo avvicina alla sua bocca. Passa la lingua su tutto il glande ed io sento un brivido sulla schiena. Mi viene letteralmente la pelle d’oca. Prendo il lembo inferiore della sua maglietta e faccio per sfilargliela. Miriam favorisce il tutto alzando le braccia. Prendo i suoi seni tra le mani e mi avvicino con il cazzo, ormai bagnato dalla sua saliva.
“Veramente, eravamo rimasti qui…”

Mi guarda ammiccando, e comincia a farlo scorrere là in mezzo. Le sento, morbide, gonfie, che avvolgono tutta la mia asta. Scivolano che è una bellezza, lei con una mano mi massaggia anche i testicoli. Io con la mia accarezzo le areole, i capezzoli che si induriscono.

Dopo qualche minuto, la stendo e piombo sopra di lei, la voglia mi assale. Mordicchio i suoi capezzoli duri, li sento tra le mie labbra. Poi scendo di nuovo, e lei trema; le sfilo i jeans, le mutandine e la libero dal tessuto che la separa dalla mia lingua.

Mi invita a scendere, socchiude le cosce e la sua mano si sposta verso l’inguine. Io accolgo di buon grado il suo suggerimento, la bacio dove pulsa di più. Alterno movimenti circolari, lenti, poi più rapidi e decisi. Entro con un dito, poi due. Provo – e riesco – ad infilare anche il terzo. La punta della mia lingua titilla il suo clitoride, e a quel punto lei impazzisce. Viene con un gridolino, ansima, stringe la punta dei piedi.

Torna a succhiarmi per restituirmi il piacere, si mette sdraiata a pancia in giù e mi lecca tutto. Mi bacia l’addome poi, piano, se lo infila tutto in bocca e va avanti e indietro con foga. Con movimenti precisi, quasi pianificati, anche in questo contesto.

Decido che è il momento di congiungerci.
“Basta. Vieni sopra.”
“Mi piace quando mi dai gli ordini.”
Mi adagio sul letto, con due cuscini dietro la testa. Lei salta su con decisione, come un motociclista sulla sella. E mi guarda, prima di alzare gli occhi verso il soffitto.

Entra tutto, lentamente; guido il movimento prendendola per i fianchi. La sua pelle sbatte contro la mia, rimbalziamo l’uno sull’altro, è bagnata e io sono duro più che mai.

Vado lento, all’inizio. Poi lei prende le redini e mi faccio guidare. Accelera. Salta sempre più forte, si piega in avanti per appoggiarsi con le mani alla testiera del letto. Le sue tette enormi saltellano e mi sbattono in faccia, quasi mi fanno male per la mole che hanno. Le prendo tra le mani, cerco di tenerle ferme e le massaggio. Poi, mi ci tuffo di testa.

Sudiamo, ansimiamo. Capisco che lei è vicina ad un altro orgasmo. La faccio sfilare da me e inginocchiare sul letto. Comincio a penetrarla da dietro.

Spingo forte, lei grida piano. Le mie mani vanno ovunque, sul culo, poi tornano sul seno. Anche da dietro, lo prendo tra le mani, per tenerlo fermo. Ma tra le mani non mi entra tutto.

Lei si accascia in avanti, spalmandosi sul letto, inebriata dal piacere. Finalmente anche io posso estrarlo e liberare il mio orgasmo su tutta la sua schiena. Sono stanco morto, mi sdraio accanto a lei sul letto e mi dà un bacio. Poi mi faccio pensieroso, e lei se ne accorge. Non riesco proprio a far finta di niente. Mai che mi goda un momento fino in fondo.

“Che hai?” mi chiede, sapendo già la risposta.
Io sono una tomba.
“Fabrizio, lascialo stare.” insiste. “È un coglione. Davvero. Non pensare a lui.”
“Lo so. Ma ogni volta che fa una battuta mi si contorce lo stomaco dal nervoso.”
Lei si mette seduta, incrocia le gambe. La schiena ancora sporca di sperma, non si appoggia alla testiera.
“Non devi spiegargli niente. Lui può dire quello che vuole. Faccio quello che mi pare, l’ho detto pure a lui. Io non lo ascolto, e non dovresti farlo nemmeno tu.”
“È diverso. Siete miei clienti.”
Sbuffa, ma le prendo la mano e la bacio.
“Sai che mi sembrava di essere in gita?” le dico.
“Ah, sì?”
“Sì. Hai presente quando ti infili nella camera della compagna di classe, di nascosto, col prof che dorme accanto?”
Lei ridacchia.
“E ti eccita?”
“Sì. Ma tu di più.”

Chiudiamo gli occhi e ci addormentiamo in un paio di minuti. La camera 306 resterà vuota stanotte. E sticazzi, tanto paga Flavio.
ridajee! non deludi mai..
 
Hai ragione...i racconti con il tag "fantasia" tirano meno degli altri anche se....
Però, al momento, in quello che hai raccontato non ci vedo differenze che sia un tag o l'altro.
il capitolo 1 si legge d'un fiato e vorresti già leggere il seguito. Spero si mantengano le premesse.
Intanto grazie e buona scrittura.
Confermo il mio primo commento!
Questo racconto va avanti filante e piacevole, tag o non tag
Capitoli lunghi il giusto, situazioni classiche ma non raccontate in modo banale.
ma soprattutto, nessuna fantasia cuck...yeeehhh!
Avanti così che che ce n'é bisogno;)
 
Confermo il mio primo commento!
Questo racconto va avanti filante e piacevole, tag o non tag
Capitoli lunghi il giusto, situazioni classiche ma non raccontate in modo banale.
ma soprattutto, nessuna fantasia cuck...yeeehhh!
Avanti così che che ce n'é bisogno;)

Sono d'accordo con te, ma fino a un certo punto: "capitoli lunghi il giusto". No! Assolutamente no! Sono fin troppo stringati!!!

@Tubamascherata ormai i complimenti si sprecano! La dolcezza, la finezza e la sensualità con cui descrivi le scene di sesso sono pura estasi! Senza contare (anche se forse l'ho già detto) la bravura che hai avuto nel far affezionare il lettore ai personaggi, rendendoli tridimensionali, diversi e non tutti sfaccettature della stessa personalità, affiatatati e complici.
Complimenti, come sempre!
 
Sono d'accordo con te, ma fino a un certo punto: "capitoli lunghi il giusto". No! Assolutamente no! Sono fin troppo stringati!!!

@Tubamascherata ormai i complimenti si sprecano! La dolcezza, la finezza e la sensualità con cui descrivi le scene di sesso sono pura estasi! Senza contare (anche se forse l'ho già detto) la bravura che hai avuto nel far affezionare il lettore ai personaggi, rendendoli tridimensionali, diversi e non tutti sfaccettature della stessa personalità, affiatatati e complici.
Complimenti, come sempre!
Grazie ancora come sempre, Violet!

E pensare che io mi faccio sempre problemi di essere troppo prolisso nei capitoli...
 
10. Solo una notte [FINALE]

Siamo tornati a Roma la mattina dopo, prendendo un treno con lo stesso orario del giorno prima ma con percorso invertito. Il viaggio è stato stranamente normale. Abbiamo parlato poco, guardato i nostri telefoni, bevuto un caffè in stazione – questo sì che era decente, almeno. A vederci da fuori sembravamo due colleghi qualsiasi, rientrati da una trasferta come tante. Ma quella piccola increspatura data dai soliti, sfiancanti, monotoni discorsi sui suoi fratelli cominciavo a sentirla.

Nel pomeriggio passo in ufficio, per aggiornare tutti quanti. Casualità vuole che Miriam arrivi praticamente nel mio stesso istante. Quindi, entriamo insieme.

Flavio è appoggiato alla scrivania con un cacciavite in mano, sembra che stia stringendo la vite di uno scaffale o – che Dio non voglia – intenda usarlo per minacciarmi. Lorenzo è lì accanto, mezzo sdraiato su una sedia, con lo sguardo annoiato. Marcello è fuori per delle commissioni.

“Guarda chi è tornato... i fidanzatini de Faenza,” dice Flavio, appena ci vede entrare.
Vorrei sprofondare dall’imbarazzo. Ma allo stesso tempo gli spaccherei la faccia. Anche se ne uscirei sicuramente sconfitto.

Miriam è più brava di me e non si fa scalfire, almeno all’apparenza. Non gli dà soddisfazione e tira dritto. Io mi avvio verso la macchinetta. Lei mi segue. Prendiamo i nostri soliti, schifosi, caffè, e torniamo di là. Ci sediamo vicini, ma solo perché erano le uniche sedie vuote.

Flavio ci osserva da lontano. Poi sbotta:
“Mo’ manco pe’ anna’ a prende il caffè ve potete separa’?”
Miriam stavolta non si contiene, e gli risponde alzando la voce.
“Ma la vuoi finire?”
Flavio alza le mani come a dire che stava solo scherzando, ma l’aria è tesa.
Io resto zitto. Ma dentro sento che la misura è colma. Che ormai lui lo sa, lo ha capito da un pezzo. E ogni volta che ne ha l’occasione, cerca di farcela pesare. E lavorare con questo clima è davvero pesante.

Quella sera sono a casa, non mi va di fare niente. Faccio zapping distrattamente, poi prendo il cellulare per scrollare Instagram e scambiarmi qualche reel idiota con i miei amici. Ma all’improvviso, spunta una notifica.

“Vieni?”
Nessuna emoji. Nessuna spiegazione. Solo quella parola.
“Va bene. Vengo per le nove.”

Arrivo da lei in anticipo. Mi apre in maglietta, con i capelli legati in uno chignon, sembra diversa. Ma è bella comunque. Nell’aria c’è qualcosa di strano, ma non parlo di odori.

Sta bevendo un bicchiere di vino, che è già a metà, appoggiato sul tavolino davanti al divano. Neanche me lo offre. Io mi limito a sedermi accanto a lei, in totale silenzio. Non vola una mosca per almeno un minuto buono. Poi sento la sua testa che si appoggia alla mia spalla.

“Flavio ormai lo sa.” dico piano, senza girarmi.
Lei sospira.
“Lo sa da settimane. Fa finta di no, ma... lo sa.”
“E allora perché lo fa?”
“Perché gli piace fare così. O forse spera che smettiamo. O che mi stanco.”
Resto in silenzio per un attimo.
“E tu? Ti stai stancando?”
Lei ci pensa.
“Non lo so. È che... non so più se riesco a far finta. Ma nemmeno so come spiegarla. A lui, a Marcello, agli altri.”
Mi giro. Le prendo il viso con una mano.
“Miriam, voglio essere sincero. Mi piace stare con te. Ma so anche che ogni volta che ti guardo davanti a loro, devo far finta di niente. E a lungo andare, diventa pesante, capisci? Diventa dura lavorare così.”

Lei annuisce. Ci fissiamo un attimo. Forse questa sarà la nostra ultima notte insieme. E allora, sfruttiamola.

Miriam si sporge e mi bacia. Un bacio che sa quasi di resa. Ma che proprio per quello è più intenso che mai.

Ci alziamo insieme e andiamo in camera. Lei non accende la luce, solo la solita lampada da terra che diffonde una luce calda, soffusa.

Si toglie la maglietta che le arrivava alle ginocchia con un gesto lento. Sotto è nuda. Non ha il reggiseno – e questa non è una novità – ma nemmeno le mutandine.

Vedo il suo corpo in controluce. Il seno le si muove leggermente, tondo, pieno. La luce ne disegna i contorni con delicatezza. La pelle è liscia, le anche morbide, la pancia pure. I suoi capezzoli sono leggermente tesi, come se stessero aspettando le mie carezze.

“Spogliati,” mi dice, sottovoce, mentre mi guarda negli occhi.

Lo faccio, senza dire una parola. I miei vestiti si accasciano sul pavimento, io mi avvicino a lei. Siamo ancora in piedi, cominciamo a baciarci e i nostri corpi nudi si toccano. Cerco la sua lingua con insistenza, assaporo dalle labbra quel che resta del Bordeaux che si è scolata.

Arretriamo piano, fino a che ci poggiamo delicatamente sul letto, io sopra di lei. Le mie mani le scorrono sui fianchi, con le labbra le bacio il collo e ogni tanto la mordicchio, lei mi passa una mano tra i capelli, scompigliandomeli.

Percorro il suo corpo sfiorandolo con le dita, e scendendo sempre più giù. Le apro le gambe con naturalezza. Le bacio le cosce, prima esterne, poi interne. E lei già comincia ad ansimare. Con la lingua esploro l’apertura, con circospezione, poi affondo.

Miriam geme, forte, senza trattenersi. Mi tiene la testa con una mano, non vuole che mi fermi, mentre l’altra stringe un lembo del lenzuolo. Disegno cerchi con la lingua, poi passo al clitoride; mi aiuto con le dita da fuori, da dentro. Prima uno, poi due. La sua voglia cola, io la afferro avido con la bocca, mi assaporo le labbra che sanno di lei.

Quando viene, mi stringe tra le gambe, quasi a volermi trattenere. Rischio di soffocare, ma sarebbe una morte che potrei sopportare. Poi mi tira su.

“Voglio che vieni anche tu.” mi sussurra, riprendendo fiato.

Si inginocchia, mi fa sdraiare, prende il mio sesso in mano e lo accoglie in bocca con decisione. Sparisce tutto tra le sue labbra, e sento la sua lingua che lavora, con movimenti circolari. La mano segue il ritmo della bocca. E ancora, mi lecca tutta l’asta in lungo e in largo, su e giù, un susseguirsi di movimenti che mi mandano in estasi.

La guido con le mani tra i capelli, ma non ne ha bisogno. È abile, sicura, precisa. Proprio come sul lavoro. È questo che mi piace di lei. Sa perfettamente cosa fare. E sa perfettamente che sto per venire. Se ne accorge dai miei muscoli che si contraggono e dal mio sguardo che la cerca come a pregarla di non smettere. Accoglie tutto dentro la sua bocca calda e umida.

Non voglio finire la serata così. Voglio ancora stare dentro di lei e so che anche lei vuole lo stesso. Aspettiamo il tempo necessario, senza fretta, con qualche coccola. Ma in silenzio assoluto. Ci sono solo mani che si accarezzano, e i nostri corpi caldi appiccicati come le figurine su un album.

Accarezzandole la schiena nuda, e poi di nuovo il seno – del quale non mi stancherò mai – il mio cazzo riprende vigore. Mi alzo con un movimento netto, lei resta sdraiata, sotto di me. La fisso negli occhi, lei li socchiude appena. Prendo le sue mani e le intreccio con le mie. Poi entro dentro di lei, piano, con un solo colpo.

Arrivo fino in fondo, sento il glande che sbatte sulle sue pareti. È bagnata, è aperta, è vogliosa. Lei si irrigidisce un istante, poi si lascia andare.

E così comincio a muovermi. Colpi lenti, profondi. Quasi un movimento meccanico, ma così rallentato che le sensazioni che proviamo sono dieci volte più intense. Lei viene ancora, i gemiti sono strozzati e flebili. Chiude gli occhi, io continuo a godermi il nostro incastro.

Dieci minuti, forse venti, non so di preciso quanto. Non sento lo stimolo di venire, e forse non lo voglio nemmeno. Nessuno dei due ha voglia di smettere, né di cambiare posizione.

Ma ad un certo punto, la natura chiama. Sento il flusso risalirmi per tutto il corpo e allora comincio ad andare un po’ più veloce. Lei intuisce, ma mi stringe forte per i glutei. Vuole sentirmi tutto dentro di lei.

E allora vengo, ogni fiotto è un’esplosione di piacere, è un gemito di godimento. Mi abbandono su di lei, e i suoi seni mi fanno da paraurti morbidi, come i copertoni legati ai moli quando le barche attraccano.

Rimaniamo lì, nudi, incollati. Intrecciamo le gambe, nessuno vuole lasciare andare l’altro. Lei mi abbraccia, buttando le mani dietro la mia schiena, e comincia ad accarezzarmi. Entrambi, però, capiamo che è stata l’ultima volta, forse.

“Se domani faccio finta di niente... tu capirai, vero?”
Annuisco, con un velo di tristezza.
“Sì. E se io mi faccio sentire solo per lavoro, tu capirai lo stesso?”
“Penso di sì.”

Poi mi stringe un po’ più forte. Chiude gli occhi. E resta lì, col respiro calmo. Non è un addio. Ma nemmeno l’inizio di qualcosa, come una parte di me stava iniziando a sperare. È solo una notte. Che entrambi abbiamo scelto di ricordare così.
 
Back
Top Bottom